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Danno e responsabilità 19.05.2020

La responsabilità sanitaria e i possibili contenziosi da Covid

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Le diverse stagioni della responsabilità sanitaria. La prima stagione: quella della sostanziale immunità ( “The doctor can do no wrong”) (1942-1978). 

Credo importante premettere una breve rassegna delle precedenti stagioni attraversate dalla responsabilità sanitaria prima di passare all'analisi dell'impatto del COVID 19 su questo settore della r.c. e in particolare delle norme attualmente in discussione governativa, volte ad approntare agli esercenti la professione sanitaria limitazioni di responsabilità per le eventuali colpe commesse dagli stessi commesse in questo periodo di straordinaria emergenza sanitaria.

Per ragioni di brevità non affronterò la prima stagione, nella quale il medico aveva goduto, a torto o a ragione, di una sostanziale immunità tale che potrebbe essere evocato il famoso principio di common law per escludere la responsabilità dei magistrati e più in generale dell'intero apparato governativo: al posto di The King, andrebbe The doctor can do no wrong. Le stesse esigenze di protezione dell'autonomia delle funzioni dell'apparato giudiziario – che per secoli avevano sconsigliato di dichiarare la responsabilità dei Giudici – possono valere anche per la classe medica. Ad esempio, l'interpretazione riservata per alcuni decenni all'art. 2236 (ritenuta applicabile alla sola imperizia e non anche ad imprudenza e negligenza ; al tempo stesso, quasi tutti gli interventi medici venivano considerati di speciale difficoltà e qualificare allora in termini di colpa grave o addirittura di dolo la condotta dei medici diventava onere della prova impossibile) e la qualificazione dell'obbligazione del professionista medico in termini di obbligazione di mezzi minavano alle basi la possibile affermazione di un diritto comune della responsabilità del professionista intellettuale medico. Il discorso sarebbe ovviamente assai più articolato da compiere, ma è stato esplorato in dottrina con compiutezza.

 

La seconda stagione della medical malpractice: l'imperialismo della  Giurisprudenza (1978-2012). 

Inaugurato dalle note decisioni che avevano distinto interventi di facile e di difficile esecuzione, che ponevano a favore del paziente danneggiato un più favorevole regime dell'onere della prova, sino al 2017 la giurisprudenza, pezzo dopo pezzo, ha, invece, costruito uno statuto della responsabilità medica che ha fissato un livello di responsabilità sempre più rigoroso per le strutture sanitarie e per gli esercenti la professione sanitaria.

Si è parlato addirittura, ma con un grave errore, di una responsabilità cripticamente oggettiva che sarebbe stata imposta dalla giurisprudenza a carico delle strutture sanitarie. In effetti non si tratta di una responsabilità oggettiva che poi in un sistema perfetto potrebbe essere introdotta solo dal legislatore, ma casomai di una responsabilità sempre più aggravata a carico della struttura sanitaria.

Il maggior rigore della responsabilità era stato determinato da un profondo mutamento della società italiana che dagli ultimi decenni del secolo scorso aveva cominciato a chiedere in modo sempre deciso e insistente un aumento del risarcimento del danno in generale e in particolare del risarcimento richiesto dai pazienti in seguito a trattamenti sanitari. Il vento risarcitorio che ha investito l'Italia muove dal progressivo allontanamento del principio holmesiano – non scritto in nessuna norma giuridica ma che aveva costituto il cuore della responsabilità civile – per il quale “a loss shall remain where it falls”. Non sono stati quindi solo i giudici che avrebbero promosso battaglie persecutorie nei confronti degli operatori sanitari, né gli avvocati dei pazienti lesi né i periti di parte responsabili di essere portatori di verità non rigorose e scientifiche: il “grande freddo” della responsabilità medica di quegli anni nasce dalla volontà, culturale prima che politica, di assicurare in modo sempre più diffuso il risarcimento, ignorando che il trasferimento della maggiore ricchezza (costituita dal risarcimento del danno ) così attuato sarebbe stato magicamente neutro in termini economici.

Come conseguenza di questo clima generale e per dare tecnicamente corpo a questa volontà riparatoria, la giurisprudenza in meno di dieci anni ha provveduto, progressivamente, ad una rivoluzionaria modificazione di alcune consolidate regole giuridiche, riconoscendo:

a) la natura contrattuale della responsabilità gravante sulla struttura e sull'esercente la professione sanitaria;

b) la generale operatività del principio della vicinanza della prova che finisce per far gravare sulla struttura l'onere di escludere il nesso di causalità materiale nei casi di causalità incerta;

c) il nesso di causalità materiale interpretato secondo il criterio del più probabile che non;

d) il riconoscimento della perdita di chance 

e) l'interpretazione elastica riservata alle norme sulla prescrizione con particolare riferimento alla decorrenza dei suoi termini dal momento in cui il danneggiato ha avuto – o avrebbe dovuto avere, usando l'ordinaria diligenza - una conoscenza soggettiva dell'antigiuridicità della condotta del danneggiante; oltre a confermare nel settore specifico della responsabilità sanitaria una notevole generosità nella concessione del danno non patrimoniale che ha reso il sistema italiano come normalmente il più attraente in tutto il continente europeo quanto alla misura concreta di questa figura di danno [MAGGIOLO].

Il rigore e la severità con le quali viene giudicata l'attività degli operatori sanitari solleva il problema della c.d. “medicina difensiva”, nelle sue declinazioni attiva e passiva. Si impone cioè una disciplina della responsabilità sanitaria che, sempre volendo assicurare una adeguata protezione della salute dei cittadini, mira anche a introdurre un diverso equilibrio tra questa esigenza fondata sulla Costituzione rispetto ad altri valori e beni aventi sempre rango costituzionale.

La terza stagione, degli interventi legislativi: la legge Balduzzi, la lunga discussione per una nuova legge, l'approvazione della Gelli-Bianco e la sua attuazione (2012-2020).

Il settore delle professioni intellettuali è sempre stato ontologicamente di matrice quasi interamente giurisprudenziale, essendo costruito attorno a poche norme( artt.1176,2236); tuttavia, necessitava di un intervento legislativo per gli eccessi manifestati nella tutela del paziente, che avevano poi fatto lievitare i costi della sanità oltre ogni ragionevole limite e avevano determinato anche una quasi completa fuga dal mercato della gran parte delle imprese di assicurazione. Per queste ragioni entra in campo il legislatore con un cammino lungo caratterizzato da tanti interventi: un primo provvedimento, volutamente incompleto, è stato adottato con un DL e poi trasformato vistosamente in sede di conversione, su iniziativa del Ministro Balduzzi ; poi dopo un lungo processo di discussione viene approvata la legge Gelli Bianco che fissa una organica disciplina della responsabilità medica.

Il timore era che, nel pur lodevole compito di razionalizzare il settore dell'esercizio della professione intellettuale sanitaria, il legislatore in qualche modo avrebbe potuto violare la ripartizione tra i poteri legislativo e giudiziario, ponendo in essere un vero e proprio trespass nei confronti degli equilibri raggiunti dalla giurisprudenza.

La legge del 2017, invece, rispetta e non tocca quelle che erano stati i traguardi, giusti o sbagliati, raggiunti dalla giurisprudenza italiana: si mantiene, con tutti gli aspetti favorevoli per il paziente danneggiato, la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria ex art.1218 c.c., facendo invece divenire extracontrattuale la responsabilità dell'esercente la professione sanitaria, che è tradizionalmente più ostica per la persona che cerca il risarcimento. L'intento evidente è quello di spingere le eventuali controversie verso la struttura (attraverso un meccanismo di c.d. “canalizzazione della responsabilità”), quale soggetto nelle condizioni di meglio organizzare lo svolgimento dell'attività e anche più protetto, potendo poi esercitare un'azione di rivalsa nei confronti dell'esercente la responsabilità sanitaria, laddove sia provato il dolo o la colpa grave, pur sempre entro limiti quantitativi molto modesti. Non esiste responsabilità civile nel caso di osservanza delle linee guida, mentre la responsabilità penale rimane esclusa solo se la violazione delle linee guide è avvenuta per colpa lieve determinata da imprudenza e negligenza, ma non da imperizia, determinando in tal modo un maggior rigore.

La legge si propone anche di attivare il meccanismo assicurativo vista la grande fuga dal mercato, ma ad oltre tre anni non sono stati emessi i decreti attuativi previsti, con la conseguenza che ancor oggi i profili assicurativi sono fonte di grossi problemi: sono stati risolti solo quelli relativi agli esercenti la professione sanitaria, ma non anche per le strutture sanitarie. E molte di queste hanno anche optato per meccanismi di auto-assicurazione, del resto previsti dalla legge, forse nella consapevolezza che una sistemazione completa e ragionevole delle problematiche assicurative non sarebbe stata molto facile da raggiungere.

Come è noto, alcuni dei problemi più spinosi che avevano determinato il maggior rigore con il quale la giurisprudenza aveva considerato la posizione dei medici e della struttura sono stati poi rivisitati dalla giurisprudenza della Terza sezione; la quale ha lodevolmente recepito la più autentica indicazione della legge Gelli-Bianco, mirante ad introdurre un giusto equilibrio tra gli interessi spesso contrapposti (salute del paziente e sicurezza delle cure ma anche sostenibilità economica e assicurativa di un sistema sanitario molto avanzato). E quando in Italia, almeno nelle Riviste giuridiche, si discuteva animatamente della nuova giurisprudenza sanitaria inaugurata dalla Cassazione e si attendeva il deposito di una ulteriore produzione giurisprudenziale per completare il Restatement iniziato l'11 novembre 2019, arriva la pandemia del Covid 19 che riempie l'Italia, primo paese europeo colpito, di un numero impressionante di morti e di contagiati, potenziali soggetti attivi di pretese risarcitorie.

Quasi sopraffatte dalla violenza del contagio, le autorità sanitarie non sono nemmeno riuscite a contare con sufficiente precisione il numero dei decessi causati dal virus, né tantomeno a gestire i corpi. Il corona virus impegna poi all'inverosimile le terapie intensive, che si rivelano chiaramente insufficienti e inadeguate ad ospitare l'incredibile numero di coloro che ne fanno richiesta; se ne cercano e se ne costruiscono di nuove, ma intanto il numero dei pazienti che muore aumenta. Allo stesso tempo, tra le persone decedute si contano sempre più spesso medici e infermieri che malati non erano, ma sono stati contagiati da pazienti infetti perché spesso non protetti in modo adeguato. Lo scenario è apocalittico e assomiglia a quello di una vera e propria guerra.

Forti del ricordo di che cosa sia successo nell'Italia in una situazione di non pandemia, tutti pensano allora immediatamente alle tante cause che potrebbero essere instaurate nel dopo Covid 19. Subito il pensiero corre a episodi di contenzioso collettivo, più o meno omogeneo, verificatosi nel passato, stante la sostanziale inutilizzabilità dello strumento dell'azione collettiva (la nuova disciplina non è entrata in vigore, mentre quella attualmente in vigore non pare adeguata a ospitare le azioni dei tanti danneggiati perché la materia della responsabilità medica non rientra nel campo di applicazione): in particolare, immediato è il riferimento al blackout elettrico del 28 settembre 2003 che ha originato circa 150mila cause per richieste risarcitorie normalmente non superiori ai limiti di competenza per valore dei giudici di Pace. Il potenziale contenzioso Covid-19, oltre ad essere molto più grave nella sua diversità per la presenza di morti e feriti, si prospetta come altrettanto prolifico ; sicché non poteva non risvegliare gli appetiti di una parte della classe forense, subito giustamente redarguita per aver assunto posizioni non solo non corrette deontologicamente ma che soprattutto contrasterebbero apertamente con i sentimenti di apprezzamento e di riconoscenza che tutta la società italiana dovrebbe avere nei confronti di tutti gli operatori sanitari, i veri eroi della pandemia. Nasce da questa situazione una esigenza forte di assicurare una protezione ai medici, ma non è ben chiaro se tale misura debba essere concessa anche alle strutture sanitarie. Si parla insistentemente di “scudo”, cioè di una norma di deroga alla generale operatività delle disposizioni della legge Gelli Bianco e di quelle generali previste nel Codice Civile. Per la grave situazione di emergenza sanitaria ci si interroga in particolare se sia giusto o opportuno, politicamente prima che giuridicamente, prevedere questo scudo: in altri termini, una situazione eccezionale dovrebbe giustificare l'introduzione di una norma eccezionale [COMANDÈ].

La quarta stagione: la grande emergenza sanitaria: l'esigenza socialmente avvertita di offrire una protezione alla classe medica. I possibili contenziosi da Covid. 

Dico subito che, a mio giudizio, la categoria degli esercenti la professione sanitaria non ha bisogno di una protezione tramite la previsione di uno scudo che escluda o limiti la normale responsabilità prevista dalla legge Gelli- Bianco. Magari, preferibilmente, solo qualche lieve modifica della legislazione vigente (Ad es., l'Associazione Nazionale dei Civilisti italiani, in vista del Convegno annuale, ha preparato una breve nota indicante alcune modificazioni: escludere la legittimazione passiva degli esercenti la professione sanitaria, mantenendo solo quella delle strutture sanitarie, e sotto il profilo della responsabilità penale, ritornare come suggerito dalla più autorevole dottrina penalistica alla formulazione presente nella legislazione Balduzzi). Diverso il discorso appare per le strutture sanitarie, pubbliche o private.

Per meglio giustificare questo mio assunto e anche per avere un quadro prospettico sufficientemente ordinato, è utile offrire una breve tassonomia delle diverse situazioni presenti. Ad oggi pare potersi individuare ben cinque classi di ipotesi di possibili futuri contenziosi. Come si vedrà, alcuni di questi casi possono essere risolti tramite l'applicazione della normativa attualmente esistente; altri, invece, dovrebbero consigliare il decisore politico di adottare misure diverse, che superano i limiti della responsabilità civile sanitaria, perché appartengono a un diverso sistema di sicurezza sociale.

 

a) Responsabilità della struttura sanitaria e/o degli esercenti la professione sanitaria per condotta sanitaria colposa. 

Nel primo gruppo di futuro contenzioso (nel quale, oltre le strutture sanitarie potrebbero essere citati in giudizio a titolo di responsabilità extracontrattuale anche gli esercenti la professione sanitaria) potrebbero essere collocati i soggetti che lamentano la sussistenza di una colpa durante il trattamento sanitario da loro ricevuto all'interno della struttura sanitaria in questo periodo di emergenza sanitaria.

Questa pare essere la classica situazione di responsabilità medica: è stata commessa una colpa nei singoli atti medici posti in essere, perché si sono tenute condotte imprudenti negligenti o imperite.

Pare però difficile parlare in termini generali e consistenti di una colpa degli esercenti la professione sanitaria per la situazione d'urgenza creatasi per il Covid 19: non solo non esistono linee guida preparate dalle varie Associazioni Professionali che fissino con certezza le condotte che devono essere tenute dalla classe medica – e quindi manca in rerum natura un metro di confronto – ma anche perché l'aver agito e operato in condizioni di emergenza e con carenze strutturali ha di fatto imposto al personale medico il compito di dover risolvere problemi di speciale difficoltà (art. 2236 c.c.), che durante il normale esercizio dell'attività sanitaria non sussisterebbero.

Quindi, lo scudo invocato per proteggere esercenti la professione sanitaria e le strutture non sembra necessario: l'attuale disciplina codicistica, senza nemmeno scomodare la disciplina della Gelli-Bianco, sembra offrire una risposta equilibrata alla soluzione del conflitto fra struttura sanitaria, all'interno della quale opera il personale sanitario, e paziente, la cui persona deve essere prioritariamente protetta.

Un ulteriore appiglio di questa lettura può anche essere trovato poi nella Gelli-Bianco laddove la quantificazione del danno nell'azione contabile nei confronti dell'esercente la professione sanitaria deve tener conto «delle situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa, della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica, in cui l'esercente la professione sanitaria ha operato».

 

b) Responsabilità delle strutture sanitarie per carenza organizzativa. 

Nel secondo gruppo (che verosimilmente riguarderà le sole strutture sanitarie e per il quale comunque per superare ogni possibile dubbio potrebbe essere prevista – con uno specifico emendamento normativo – la carenza di legittimazione passiva degli esercenti la professione sanitaria) potrebbero essere collocate le pretese di chi ritiene di aver subito un danno per non aver potuto ricevere una tempestiva e sollecita ospedalizzazione nei reparti di terapia intensiva dato l'eccessivo affollamento o per averla ricevuta tardivamente e quindi essersi così pregiudicata la possibilità di una guarigione. Altro possibile esempio di questa classe di contenzioso può essere costituto da chi possa lamentare il pregiudizio di non essere stato visitato e sottoposto a tampone in modo tempestivo, e non aver quindi potuto essere curato con la dovuta tempestività.

Questi problemi, posti dalla pandemia del coronavirus, sembrano essere prevalentemente di tipo organizzativo: limitato numero dei posti di terapia intensiva; carenza dei ventilatori; sovraffollamento delle corsie ospedaliere; ridotta disponibilità di tamponi; trasformazione strutturale, ma tardiva e quindi inadeguata, di reparti ospedalieri per soddisfare esigenze della terapia intensiva, ecc.

Qui, a differenza della prima categoria, non viene in considerazione una colpa intesa come imprudenza, negligenza e imperizia, quale può essere imputata agli esercenti la professione sanitaria. E ci deve domandare, quindi, se ai sensi del diritto vigente possa essere fissata una responsabilità delle singole strutture sanitarie. La disciplina specialistica nulla dice al riguardo. La letteratura che si è occupata a lungo e in modo approfondito della responsabilità sanitaria accenna a una responsabilità di tipo organizzativo-gestionale gravante sulla singola struttura, basata sul rischio inerente all'organizzazione di servizi di cura e assistenza alla salute delle persone [DE MATTEIS]. È sempre però una responsabilità basata sull'art.1218 c.c., e non oggettiva; anche se l'onere della prova dell'impossibilità della prestazione per fatto non imputabile al debitore si tinge di un forte colore oggettivo quando il debitore sia costituto da un'impresa (anche se una struttura sanitaria spesso non ha una natura giuridica imprenditoriale). Ritenere qui la responsabilità della struttura significa verificare la possibilità di costruire una figura di responsabilità oggettiva gravante sulla struttura sanitaria per non essersi dotato di una organizzazione oggettivamente adeguata. La questione fa riemergere all'attenzione alcuni, isolati precedenti giurisprudenziali decisi alla fine del secolo scorso (ad esempio Tribunale di Monza e Tribunale di Brescia ove era stata appunto affermata una responsabilità di tipo oggettivo perché la singola struttura chiamata in giudizio non si era dotata di un'articolazione interna adeguata a far fronte a esigenze che avrebbero potuto essere previste).

La configurabilità di tale responsabilità passa necessariamente attraverso la verifica della prevedibilità del rischio che ha determinato la situazione di emergenza sanitaria. Essendo una responsabilità di tipo oggettivo, non introdotta poi dal legislatore, ma elaborata dalla giurisprudenza, si tratterà di vedere se possano trovare applicazione le premesse giuseconomiche care agli studiosi di responsabilità civile. Il riferimento obbligato è alle opere di Pietro Trimarchi [TRIMARCHI].

Quindi, dovrebbe essere svolta una indagine approfondita per verificare se nel gennaio 2020, quando si è sviluppato per la prima volta in Cina il Covid 19, poteva o meno essere prevista tale eccezionale e straordinaria situazione, che solo potrebbe giustificare l'imposizione di una regola di responsabilità oggettiva. Ad esempio, a gennaio sul tavolo del Ministero della Sanità, come anche su quelli dei più importanti enti regionali, era pronto il “Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale”, dove venivano previste misure molto forti per limitare e contenere la trasmissione delle infezioni in comunità. Quindi – si potrebbe sostenere – il rischio già a gennaio 2020 era previsto. Tuttavia, come è stato ampiamente discusso in questi giorni sulla nozione di impossibilità rilevante ai sensi delle norme in tema di obbligazioni e contratti, la valutazione sulla sussistenza o meno della prevedibilità, come ricordato magistralmente, è una valutazione giuridica e non certo economica [IRTI].

A meno di non ritenere applicabile in queste situazioni la norma sullo stato di necessità, che potrebbe essere applicata anche in territorio contrattuale: si escluderebbe in tal modo l'applicazione delle regole di responsabilità civile, residuando unicamente una indennità “la cui misura è rimessa all'equo apprezzamento del giudice “.

 Chiaramente per questo tipo di contenzioso, basato sull'organizzazione e sulla gestione dell'erogazione di servizi sanitari, dovrebbe essere esclusa la legittimazione dei singoli medici. Per questo caso che si stima possa essere il più esteso in termini quantitativi, il decisore politico potrebbe valutare di uscire dalle regole della responsabilità civile e di adottare dei piani indennitari: al posto del risarcimento sarebbe erogato un indennizzo da parte dello Stato, calcolato non secondo l'integralità del danno, ma a titolo di ristoro, come è stata previsto nel 1992 per i danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, HIV e somministrazione di emoderivati e successivamente per le vittime della mafia e di episodi di terrorismo. Un rimedio indennitario gestito a livello amministrativo a mo' di conforto e ristoro del pregiudizio subito; una sorta di riconoscimento monetario che, pur escludendo la ordinaria responsabilità della struttura sanitaria, indica la volontà della comunità tutta di mettere a disposizione di quella particolare categoria dei danneggiati una somma di denaro, in adempimento dei doveri di solidarietà sociale costituzionalmente rilevanti ex art.2 Cost.. Una scelta coerente con un sistema di sicurezza sociale.

 

c) Danni pretesi dagli eredi del personale sanitario

Questa è la terza situazione che pare possa profilarsi: il risarcimento viene chiesto in questo caso dagli eredi dei tanti “eroi” del coronavirus che purtroppo nell'adempimento dei doveri professionali hanno perso la vita o hanno riportato lesioni personali. E la probabile causa potrebbe essere rappresentata proprio dal non avere la struttura sanitaria, e più in generale il Servizio Sanitario Nazionale, dotato il personale medico e quello paramedico degli opportuni strumenti di prevenzione e protezione.

Per una parte, questa terza categoria di possibile contenzioso presenta chiari aspetti di vicinanza con il secondo caso: la situazione è stata così straordinaria ed eccezionale che non è stato proprio possibile dotare di un numero sufficiente e adeguato di strumenti di protezione il personale medico e paramedico all'interno della propria struttura ospedaliera. Non solo però deve essere ricordato il tardivo e quindi colpevole approvvigionamento di strumenti elementari di protezione; ma soprattutto va portato all'attenzione che i medici di famiglia o di medicina generale paiono essere stati lasciati senza istruzioni o linee guida per segnalare e trattare i casi sospetti.

Una grande percentuale nel numero dei decessi ha in particolare colpito i medici di base, categoria riguardo alla quale una valutazione molto condivisa sottolinea gli errori compiuti nell'ultimo decennio dalla politica sanitaria. Soprattutto si censura il loro sostanziale ridimensionamento nell'operare come primo intervento, lasciando alle strutture ospedaliere il ruolo di diventare imperialisticamente il centro di tutta l'organizzazione sanitaria, con tutte le conseguenze negative che ne sono derivate.

Qui, però, l'imprevedibilità e l'eccezionalità della situazione non pare criterio allo stesso modo convincente per escludere la responsabilità della struttura sanitaria: non si tratta tanto di un giudizio di adeguatezza sul numero dei posti di terapia intensiva e altro; qui, piuttosto, si rimprovera il non essere stata osservata una delle più elementari obbligazioni gravanti sulla struttura ospedaliera. E la responsabilità in questa situazione sembra difficilmente contestabile.

Certo, il legislatore potrebbe forse non ritenere applicabili i comuni rimedi risarcitori e prevedere, alla stessa stregua di quanto indicato nel precedente gruppo, che ai familiari del personale medico e paramedico che abbiano perso la vita o abbiano in ogni caso riportato lesioni spetti una indennità che si colloca fuori però dal perimetro della responsabilità civile.

 

d) I danni che potranno essere chiesti dai familiari delle persone decedute in RSA. 

La quarta categoria, la più dolorosa per ovvie ragioni, indica in modo chiaro i profili di responsabilità per i danni causati. Si tratta di persone molto più fragili dei normali degenti poiché richiedono particolari cure, e in generale un protocollo ancor più adeguato se si vuole realizzare la sicurezza delle cure.

Il titolo di questa responsabilità sembra variare: da una parte ritroviamo gli argomenti legati alla carenza organizzativa, dall'altra una colpa specifica per imprudenza o negligenza per aver accolto all'interno delle RSA pazienti anziani contagiati non gravi (fenomeno che fortunatamente sembra essersi verificato solo in un numero limitato di RSA).Questa decisione è stata all'origine di tantissimi decessi e appare gravemente imprudente.

In questo gruppo mi pare meno probabile adottare, come per i danni causati al personale medico e paramedico, un piano di riconoscimento indennitario, che collocherebbe queste dinamiche fuori dai confini della responsabilità civile. Le situazioni possono risultare molto diverse le une dalle altre: qui sembra ravvisabile una colpa gestionale abbastanza evidente che avrebbe dovuto provocare l'adozione di misure di assoluto contenimento dei rischi di contagio proprio per la maggiore fragilità e debolezza dei pazienti ospiti di RSA.

 

e) Le pretese risarcitorie che potrebbero essere avanzate dai malati ordinari cui è stato precluso l'accesso ordinario in ospedale o ai quali sono stati ritardati trattamenti sanitari indilazionabili per l'affollamento di malati Covid. 

Il perimetro di quest'ultimo caso è assai ampio, anche se credo che i casi che potranno nascere non saranno numerosi: potrebbe ospitare, infatti, tutta una ampia categoria di soggetti con pregresse patologie, tendenzialmente quindi non malati di Covid, ai quali per la situazione di affollamento dell'ospedale non è stato possibile effettuare i trattamenti sanitari previsti secondo i programmi terapeutici in atto, o ai quali non è stato possibile accedere alle postazioni di terapia intensiva di cui loro avevano bisogno per patologie mediche diverse dal Covid. Questo quinto gruppo di casi è simile al secondo gruppo perché inevitabilmente vengono in discussione profili intrinsecamente collegati alla carenza organizzativa della struttura che sopraffatta dall'urgenza della pandemia ha finito per trascurare gli altri pazienti anch'essi bisognosi di trattamenti sanitari improcrastinabili. Qui, però, il possibile attore è un paziente comune, non affetto da coronavirus che potrebbe lamentare un peggioramento delle proprie condizioni di salute per essere stato “trascurato” rispetto all'onda emergenziale. E il difetto organizzativo stimato imprevedibile nel secondo gruppo si presenta altamente prevedibile in questo caso perché è inammissibile che una struttura sanitaria possa svolgere gran parte della propria attività solo a vantaggio di una particolare classe di pazienti, non essendo in grado di proteggere il diritto alle cure di tutti.

Riferimenti bibliografici e giurisprudenziali

Cfr. l'icastica posizione di M. MAGGIOLO, Una autentica solidarietà sociale come eredità del coronavirus: per una diversa destinazione dei risarcimenti del danno alla salute, in Giustiziacivile.com, 2 aprile 2029: secondo l'A. il danno non patrimoniale così generosamente riconosciuto dai Tribunali italiani ha una componente punitiva, e in ogni caso largamente non riparatoria, e conseguentemente una quota dello stesso dovrebbe essere trattenuto dallo Stato e destinato a finalità di solidarietà, sul modello dei più conosciuti punitive damages

Cfr. per ulteriori informazioni G. COMANDÈ, La responsabilità sanitaria al tempo del coronavirus …e dopo, in Danno e resp., 2020. 

Cfr. da ultimo R. DE MATTEIS, La responsabilità in ambito sanitario, Padova, 2017. 

Cfr. Trib. Monza, 7 giugno 1995, in Resp. civ. prev. 1996,389 con nota di M. TOSCANO, Il difetto di organizzazione: una nuova ipotesi di responsabilità e Trib. Brescia 28 dicembre 2004, in Danno e resp. 2006, 895, con commento di R. BREDA, Ancora sulla responsabilità della struttura per inadeguata organizzazione del servizio sanitario. A livello di giurisprudenza di legittimità cfr. Cass. civ., 27 luglio 1998 n. 7336, in Resp. civ. prev. 1999, 996, con commento di M. GORGONI, Disposizioni tecniche e di organizzazione sanitaria e responsabilità professionale medica.

Buoni spunti anche in R. BREDA, Danno alla persona per inefficienza della struttura sanitaria, in Danno e resp. 2001, 209 ss. 

La prima opera pioneristica del 1961 (P. TRIMARCHI, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, Giuffré), poi ripresa nella successiva del 2017 (P. TRIMARCHI La responsabilità civile: atti illeciti, rischio e danno, Milano, Giuffrè). 

N. IRTI, Il diritto pubblico e privato in un'epoca che fa eccezione, in IlSole24Ore, 5 maggio 2020.

 

Riferimenti bibliografici:

[1] Sul punto cfr. l'icastica posizione di M. MAGGIOLO, Una autentica solidarietà sociale come eredità del coronavirus: per una diversa destinazione dei risarcimenti del danno alla salute,in Giustiziacivile.com, 2 aprile 2029: secondo l'A. il danno non patrimoniale così generosamente riconosciuto dai Tribunali italiani ha una componente punitiva, e in ogni caso largamente non riparatoria, e conseguentemente una quota dello stesso dovrebbe essere trattenuto dallo Stato e destinato a finalità di solidarietà, sul modello dei più conosciuti punitive damages.

[2] Cfr. per ulteriori informazioni G. COMANDÈ, La responsabilità sanitaria al tempo del coronavirus …e dopo, in Danno e resp., 2020.

[3] Ad es., l'Associazione Nazionale dei Civilisti italiani, in vista del Convegno annuale, ha preparato una breve nota indicante alcune modificazioni: escludere la legittimazione passiva degli esercenti la professione sanitaria, mantenendo solo quella delle strutture sanitarie, e sotto il profilo della responsabilità penale, ritornare come suggerito dalla più autorevole dottrina penalistica alla formulazione presente nella legislazione Balduzzi.

[4] Cfr. da ultimo R. DE MATTEIS, La responsabilità in ambito sanitario, Padova, 2017

[5] Cfr. Trib. Monza, 7 giugno1995, in Resp. civ. prev. 1996,389 con nota di M. TOSCANO, Il difetto di organizzazione: una nuova ipotesi di responsabilità e Trib. Brescia 28 dicembre 2004, in Danno e resp. 2006, 895, con commento di R. BREDA, Ancora sulla responsabilità della struttura per inadeguata organizzazione del servizio sanitario. A livello di giurisprudenza di legittimità cfr. Cass. civ., 27 luglio 1998 n. 7336, in Resp. civ. prev. 1999, 996, con commento di M. GORGONI, Disposizioni tecnciche e di organizzazione sanitaria e responsabilità professionale medica. Buoni spunti anche in R. BREDA, Danno alla persona per inefficienza della struttura sanitaria, in Danno e resp. 2001, 209 ss.

[6] La prima pioneristica del 1961 (Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, Giuffré), poi ripresa nella successiva del 2017 ( La responsabilità civile:atti illeciti, rischio e danno, Milano, Giuffrè).

[7] Come ricordato magistralmente da N. IRTI, Il diritto pubblico e privato in un'epoca che fa eccezione, in IlSole24Ore, 5 maggio 2020

 

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