Editoriali

Obbligazioni e contratti 21.04.2020

Brevi riflessioni sulle sopravvenienze contrattuali alla luce della normativa sull'emergenza epidemiologica da Covid-19

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1. Il fatto.

Evitando inutili preamboli sull'emergenza epidemiologica da Covid-19 si intende esaminare l'incidenza del fatto sopravvenuto-Covid 19 sui rapporti contrattuali in corso.

La pandemia può essere qualificata come una sopravvenienza, cioè come un fatto che accade in modo inatteso e che modifica una situazione antecedente?

La domanda è retorica viste le conseguenze devastanti indotte dalla medesima. Il fatto è del tutto inatteso e, in quanto accaduto dopo, modifica sicuramente situazioni antecedenti.

Spostando però l'attenzione dall'aspetto sociale a quello giuridico il tema da affrontare è stabilire se il fatto, oggettivamente straordinario e imprevedibile, alteri una precedente situazione alla luce di un criterio giuridico.

Procediamo con ordine.

 

2. Impossibilità sopravvenuta.

La pandemia, intesa come fatto, consente di applicare ai contratti in corso, l'art. 1463 c.c.? La risposta non è così semplice.

Il fatto-pandemia rende impossibile la prestazione di una delle parti?

La risposta è positiva se la prestazione del debitore debba essere eseguita da un paziente ricoverato in terapia intensiva e il contratto sia intuitu personae. Almeno per il periodo di durata del suo isolamento certamente la prestazione sarà impossibile; e in questo caso, l'altro contraente non potrà di certo pretendere l'adempimento dell'obbligazione, soggettivamente e temporaneamente impossibile, e sarà a sua volta liberato, sia pur temporaneamente, dall'obbligo di eseguire la propria.

Ma ove invece non ricorra questa ipotesi, la prestazione delle parti non può a mio avviso considerarsi impossibile per effetto del fatto-pandemia.

Il concetto di impossibilità, sia pur storicamente determinato, è un concetto assoluto, nel senso che trova applicazione alla generalità dei consociati. Sotto questo profilo si rileva che molte prestazioni di molti contratti continuano ad essere eseguite anche in tempo di pandemia. Inutile fare esempi per non scadere in una superficiale retorica in tempi in cui siamo sommersi di retorica.

Se ben si riflette, allora, la impossibilità non è indotta dal fatto-pandemia, ma dai provvedimenti normativi, via via emessi dal Governo e dal Presidente del Consiglio dei Ministri (una rassegna efficace di tutti i provvedimenti e delle conseguenze sul piano civilistico può essere letta in F. GIGLIOTTI, Considerazioni in tema di impossibilità sopravvenuta, per emergenza epidemiologica, di prestazioni dello spettacolo e assimilate, in Giustiziacivile.com; 1° aprile 2020; si v. pure F. MACARIO, Per un diritto dei contratti più solidale in epoca di ‘coronavirus', in Giustiziacivile.com, 17 marzo 2020). È a seguito di questi provvedimenti, certamente fondati sulla pandemia, che molte obbligazioni sono divenute impossibili. Senza ricorrere alla casistica, è evidente che per effetto di quei provvedimenti, del factum principis, molte prestazioni siano divenute temporaneamente impossibili; il tema è che in diversi casi, interrompendosi filiere produttive, l'impossibilità non abbia riguardato solo la prestazione del debitore, ma anche l'impossibilità del creditore di ricevere la prestazione medesima. E non a caso la giurisprudenza, distinguendo tra impossibilità della prestazione del debitore e impossibilità di fruizione della prestazione da parte del creditore, ha affermato che il contratto si risolve per impossibilità sopravvenuta non solo quando il debitore non può tenere la condotta dovuta, ma anche quando la prestazione non può essere fruita dal creditore per causa a lui non imputabile (Cass. civ., 10 luglio 2018, n. 18047, annotata da M. DELLACASA, Impossibilità di fruire della prestazione non imputabile al creditore e risoluzione del contratto, in C. GRANELLI (a cura di), I nuovi orientamenti della Cassazione civile, III ed., Milano, 2019, 375 ss.). 

Un primo risultato: l'impossibilità temporanea della prestazione non è determinata dal fatto-pandemia, ma dalla normativa eccezionale di questi giorni. Senza scomodare concetti come la forza maggiore, che presentano contorni incerti ed hanno comunque ad oggetto eventi, naturali e umani, non contrastabili una volta verificatisi, sarà invece opportuno fare più semplicemente e correttamente riferimento alle norme in tema di impossibilità sopravvenuta della prestazione, che consentono di risolvere il problema con un corretto ricorso all'evento che ha determinato l'impossibilità che non è un evento naturale, ma è l'evento giuridico segnato dai provvedimenti legislativi.

Se quindi l'art. 1463 c.c. è applicabile nei limiti delle previsioni normative, che impediscono l'esecuzione di certi contratti, occorre domandarsi cosa accade a proposito di quei rapporti che non sono stati vietati, oppure dei rapporti non disciplinati. In alcuni casi, infatti, il legislatore ha indicato precisamente le attività che debbono proseguire, o comunque che possono proseguire, mentre altri rapporti non sono stati affatto previsti. Si pensi per tutti ai rapporti di locazione (solo il tema della esecuzione dei provvedimenti di sfratto è stato disciplinato dal legislatore con l'art. 103, comma 6 che prevede: «L'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è sospesa fino al 30 giugno 2020»), dove a fronte del mancato godimento dell'immobile da parte di molti conduttori non si è previsto nulla a proposito del pagamento del canone ad opera di questi ultimi. Difficile in questo caso invocare l'applicazione dell'art. 1463 c.c. perché, non avendo previsto nulla al riguardo, i diversi provvedimenti legislativi non hanno reso impossibile la prestazione di pagamento, ma solo molto più complesso il godimento da parte del conduttore. Tuttavia, poiché il locatore esegue la propria prestazione consentendo il godimento del bene al conduttore, il sinallagma non sembra risultare alterato: ne deriva che il conduttore sarebbe comunque tenuto al pagamento del canone.

 

3. Il comma 6-bis dell'art. 3 d.l. 23 febbraio 2020, n.6.

Occorre ammettere che il legislatore, ancorché con una norma non del tutto intellegibile, si è posto tutte queste domande. Infatti, con il comma 6-bis, introdotto con l'art. 91 d.l. 20 marzo2020, n. 18, e aggiunto all'art. 3 d.l. 23 febbraio 2020, n.6, ha offerto una chiave interpretativa per risolvere molti problemi.

La norma prevede che «il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti».

L'art. 1 d.l. 23 febbraio 2020, n.6, al comma 1 indica lo scopo delle misure di contenimento che consiste «nell'evitare il diffondersi del COVID-19, nei comuni o nelle aree nei quali risulta positiva almeno una persona. A tal fine le autorità competenti sono tenute ad adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all'evolversi della situazione epidemiologica». E il secondo comma contiene una lunga elencazione di alcune di esse.

Non c'è dunque una definizione di “misura di contenimento”. Possiamo assumere la proposizione come «il mezzo, il provvedimento che consente di ridurre o frenare del tutto un certo fenomeno, individuato nel diffondersi del Corona Virus».

La norma indicata ha ad oggetto il rispetto delle misure adottate; non è rivolta, pertanto, a chi quelle misure abbia violato. La norma descrive, nella fattispecie, l'ipotesi di debitori che, rispettando le misure richiamate, si siano resi inadempienti, totalmente o parzialmente ovvero siano in ritardo nell'adempimento. Come è evidente, la fattispecie è la stessa di quella descritta dall'art. 1218 cod. civ.; il fatto ulteriore, che rende la norma eccezionale, è il rispetto delle misure di contenimento; cosicché l'effetto sarà opposto a quello previsto dall'art. 1218 c.c.: cioè l'assenza di responsabilità del debitore nonostante la mancanza di prova dell'impossibilità sopravvenuta della prestazione da parte di quest'ultimo.

Ebbene, con questa norma eccezionale, atteso che troverà applicazione solo ai casi e nei tempi in essa considerati, si prevede, quindi, con riguardo agli effetti, che il giudice, che dovrà procedere all'accertamento dell'inadempimento del debitore, anziché escludere la responsabilità di quest'ultimo solo ove venga da questi dimostrato, a norma dell'art. 1218 c.c., che l'inadempimento è dovuto a una impossibilità sopravvenuta della prestazione derivante da  causa a lui non imputabile, dovrà estendere la valutazione anche al rispetto delle misure di contenimento del Covid-19. Il giudice, in altre parole, nel compiere quell'indagine, sarà tenuto sempre ad allargare la sua valutazione all'accertamento del rispetto delle misure di contenimento del Covid-19 e, di riflesso, non potrà considerare il debitore responsabile se l'inadempimento derivi dal rispetto di quelle misure. E non è un caso che la norma parli di esclusione della responsabilità: ne discende che ove le misure siano state rispettate il debitore non sarà mai responsabile.

Il criterio di responsabilità non è così la mancata prova dell'impossibilità sopravvenuta della prestazione dovuta a causa a lui non imputabile, ma il rispetto delle misure di contenimento da parte del debitore.

La norma ha, peraltro, uno spettro più ampio: l'art. 1223 c.c., infatti, alla luce del comma 6-bis dell'art. 3 potrebbe trovare applicazione solo se il debitore non abbia rispettato le misure di contenimento; anche se è probabile che proprio il mancato rispetto delle misure renda possibile l'adempimento della prestazione. Si tratta allora di stabilire perché il legislatore abbia effettuato un richiamo anche all'art. 1223 c.c., oltre che all'art. 1218 c.c. Se infatti, a norma del comma 6-bis dell'art. 3, il criterio della responsabilità di cui all'art. 1218 c.c. non trova applicazione, il richiamo all'art. 1223 c.c. contenuto nella norma sembra privo di senso, tenuto conto che il solo rispetto delle misure di contenimento esclude la responsabilità e, di riflesso, ogni risarcimento del danno.

A ben riflettere, tuttavia, il richiamo all'art. 1223 c.c. potrebbe avere un preciso significato: di attribuire al giudice un potere equitativo che gli consenta di valutare in termini diversi dal contenuto dell'art. 1223 c.c. non il risarcimento del danno, ma il contenuto del rapporto contrattuale nell'ipotesi in cui la prestazione non sia divenuta impossibile, ma per il rispetto delle misure di contenimento sia divenuta particolarmente onerosa. 

Si pensi proprio al caso delle locazioni, dove il sinallagma è assicurato dal godimento e dal corrispettivo; è indubbio che il godimento continui ad essere assicurato da parte del locatore, ma il pagamento del corrispettivo, in questo particolare momento, potrebbe risultare particolarmente oneroso per il conduttore laddove, ad esempio, la locazione abbia ad oggetto beni produttivi o uffici o alberghi oppure abitazioni che vedono il debitore nell'impossibilità o nella difficoltà di lavorare ovvero in cassa integrazione, ecc. Oppure si pensi a quei casi in cui l'attività è tra quelle consentite per un interesse sociale, ma che non garantiscono alcuna redditività a chi la presta; anzi ne determinano a suo carico una evidente perdita.

In questi casi, con l'interpretazione proposta, la norma attribuirebbe al giudice un potere di rivedere il contenuto del contratto in via equitativa, operando al di fuori dalle maglie strette degli artt. 1218 e 1223 c.c.

In termini giuridici, la responsabilità è esclusa non solo se la prestazione è impossibile, ma anche ove la prestazione, pur possibile, non sia stata effettuata o sia sta effettuata diversamente da quanto previsto dal contratto proprio a causa del rispetto, da parte del debitore, delle misure di contenimento del Covid-19.

 

4. Eccessiva onerosità.

Da ultimo la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta. È indubbio che in questo caso il fatto-pandemia rappresenti un evento straordinario (essendo statisticamente la prima volta che accade) e imprevedibile (considerato che nessuno avrebbe potuto prevederlo usando il criterio di ordinaria diligenza). Ed è altrettanto indubbio che in molti casi (soprattutto con riguardo alle attività che non sono state vietate dal legislatore) l'evento pandemia abbia prodotto un forte squilibrio del sinallagma contrattuale, che potrebbe legittimare la richiesta di risoluzione del contratto ex art. 1467 c.c.

Tuttavia, tra la domanda di risoluzione proposta da chi subisce gli effetti della eccessiva onerosità e la sentenza di risoluzione correrebbe un periodo non inferiore a due-tre anni; ciò che renderebbe il rimedio del tutto inefficace rispetto all'esigenza immediata di chi la richiede. È vero che la sentenza opera retroattivamente al momento della domanda con l'obbligo del creditore di ripetere quanto pagato, ma è altrettanto vero che il debitore sino alla sentenza deve continuare a pagare l'intero; e non è poi detto che arrivi a quel momento.

Ne discende che la misura di cui all'art. 3, comma 6-bis, si palesa un rimedio molto più efficace rispetto a quelli ordinari, in particolare la risoluzione per eccessiva onerosità, perché in ogni caso attribuisce all'altro contraente l'onere di provare l'inadempimento del debitore non alla stregua dell'art.1218 c.c., ma secondo il diverso criterio del mancato rispetto delle misure di contenimento.

Potrebbe eccepirsi che la interpretazione offerta presuppone anche qui un giudizio; ed è un'eccezione corretta. Tuttavia, ciò che muta è il soggetto che è costretto ad avviare il giudizio: che non sarà il debitore che ha rispettato le norme di contenimento del Covid-19, ma il creditore della prestazione che dovrà offrire la prova del mancato rispetto di quelle misure da parte del debitore ovvero offrire la prova che il rispetto delle misure non avrebbe impedito l'adempimento della prestazione. Poiché non assume rilevanza l'inadempimento inteso come fonte di responsabilità ex art. 1218 c.c., il giudice non potrà far ricorso agli artt. 1223 e 1225 c.c. se non limitatamente all'ipotesi in cui il rispetto delle misure di contenimento non avrebbe impedito comunque la prestazione; ed anche in questo caso, peraltro in via equitativa avrà l'obbligo di valutare l'incidenza di quelle misure con riguardo al sacrificio imposto al debitore per l'adempimento della prestazione.

Per una volta si può tributare un plauso al legislatore che ha dettato una norma efficace in tempo di emergenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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