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Lavoro 22.04.2020

COVID-19 e relazioni industriali: il Protocollo del 14 marzo 2020 e oltre

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Emergenza sanitaria e “questione operaia”: note di contesto.

In tempi di disintermediazione il ritorno alle pratiche concertative fa notizia. O meglio dà il senso della gravità dell'emergenza sanitaria che ha colpito il nostro Paese in seguito alla rapida diffusione del contagio da COVID-19 e che ha scosso – come non succedeva da tempo – anche il mondo del lavoro.

Il riferimento è al divampare di proteste che nel giro di pochi giorni hanno interessato da nord a sud decine di stabilimenti e nel corso delle quali i lavoratori in agitazione hanno manifestato forti perplessità sulla prosecuzione delle normali attività produttive a fronte dell'espandersi dell'epidemia.

Il cuore della protesta può essere sintetizzato così: mentre a tutti viene imposto di restare nelle proprie abitazioni (è ormai virale la sacrosanta campagna “#iorestoacasa”), alla stragrande maggioranza dei lavoratori, anche a quelli non impegnati in attività di prima necessità, è consentito (o, meglio, richiesto) di svolgere la normale routine (uscire di casa, prendere i mezzi pubblici, stare a contatto con i colleghi, etc.). Una contraddizione ben descritta in uno striscione che dalla Spagna ha fatto subito il giro del web in cui si legge che “la romantización de la cuarentena es privilegio de clase”.

Il fondamento normativo di questo “sdoppiamento” della regolazione dell'emergenza è rinvenibile nel d.P.C.M. 11 marzo 2020 (emanato ai sensi dell'art. 3 d.l. 23 febbraio 2020, n. 6).Quest'ultimo, infatti, dispone lo stop di moltissime attività economiche (commercio al dettaglio, ristorazione, servizi alla persona) (art. 1, nn. 1-3), con la garanzia di una serie di servizi e attività ritenuti di stretta necessità (art. 1, n. 4), ma non prevede alcun blocco per le «attività produttive» e «professionali». Per queste il Governo ha prescritto solo alcune raccomandazioni: il massimo utilizzo da parte delle imprese del lavoro agile, l'incentivo alle ferie e ai congedi retribuiti, la sospensione delle attività dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione, l'adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio e, ove non fosse possibile mantenere la distanza di sicurezza, l'adozione di dispositivi di protezione individuale, l'incentivo alla sanificazione dei luoghi di lavoro e, per le sole attività produttive, la limitazione al massimo degli spostamento all'interno dei siti e il contingentamento dell'accesso agli spazi comuni (art. 1, n. 7 e 8).

Pur capendo le ragioni (e le pressioni) che hanno portato i decisori pubblici a tale scelta – ovvero l'impossibilità di bloccare l'intero sistema produttivo nazionale, già fortemente provato alle sue fondamenta ben prima di questa emergenza, e l'effetto psicologico di una tale misura sulla popolazione – è altrettanto comprensibile la preoccupazione diffusa tra i lavoratori. Del resto il dilemma sotteso a questa vicenda è tra quelli più roventi che covano sotto la cenere del nostro sistema manifatturiero e, più in generale, di produzione e riguarda il contemperamento del diritto alla salute con quello al lavoro e alla libertà di iniziativa economica. Questo problema, però, se sino a oggi ha interessato singole realtà o territori (si pensi alla vicenda dell'ex-Ilva di Taranto), ora ha assunto drammaticamente un respiro nazionale.

Protocollo governo-parti sociali 14 marzo 2020: un accordo a due “anime”.

In questo scenario si inserisce l'approvazione del “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”. Tale accordo è stato sottoscritto dalle parti sociali e dal Governo (su impulso di quest'ultimo) sulla scorta di quanto previsto sempre dal d.P.C.M. dell'11 marzo, ove ci si impegnava a favorire proprio «intese tra organizzazioni datoriali e sindacali» (art. 1, comma 1, n. 9).

L'aspirazione dell'intesa è fornire «linee guida condivise tra le Parti per agevolare le imprese nell'adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio», atteso che – sempre testualmente dalla premessa – «la prosecuzione delle attività produttive può infatti avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino alle persone che lavorano adeguati livelli di protezione».

Da qui la necessità di predisporre rapidamente un primo nucleo di regole da discutere e integrare all'esito del confronto con le rappresentanze sindacali aziendali e, per le imprese che ne sono sprovviste, con le rappresentanze territoriali, «affinché ogni misura adottata possa essere condivisa e resa più efficace dal contributo di esperienza delle persone che lavorano, in particolare degli RLS e degli RLST, tenendo conto della specificità di ogni singola realtà produttiva e delle situazioni territoriali» (premessa, ultimo cpv.).

Nel merito, la prima impressione è che il Protocollo si componga di due “anime”, che riflettono i due differenti approcci all'emergenza: quello più “duro” del blocco totale delle attività non essenziali e quello più “morbido” della continuità della produzione, pur nella consapevolezza della necessità di rafforzare le misure di protezione per il contrasto e il contenimento del contagio.

La parte hard è quella che raccomanda, in linea con i provvedimenti governativi, il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile, delle ferie e dei congedi retribuiti, nonché degli ulteriori strumenti previsti dalla contrattazione collettiva. E, ancora, la sospensione delle attività dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione o, comunque, di quelli dei quali è possibile il funzionamento mediante il ricorso al lavoro agile e sospendendo e annullando le trasferte/viaggi di lavoro nazionali e internazionali, anche se già concordati o organizzati (punto 8).

La parte soft, invece, prevede indicazioni operative per aumentare «negli ambienti di lavoro non sanitari» l'efficacia delle misure precauzionali per il contrasto e il contenimento della pandemia.

In primo luogo, viene disciplinato un onere di informazione in capo all'azienda che, «attraverso le modalità più idonee ed efficaci», dovrà rendere edotti i lavoratori e chiunque faccia ingresso in azienda circa le disposizioni emanate dalle autorità (punto 1). In secondo luogo, vengono normate le modalità di ingresso in azienda sia del personale (che prima dell'accesso potrà essere sottoposto anche al controllo della temperatura corporea), sia dei visitatori e dei fornitori esterni (saranno individuate «procedure di ingresso, transito e uscita, mediante modalità, percorsi e tempistiche predefinite, per ridurre le occasioni di contatto con il personale in forza nei reparti/uffici coinvolti») (punti 2 e 3).

Uno spazio importante, inoltre, è dedicato alle misure di pulizia e igienizzazione sia dei luoghi di lavoro, sia del personale. Quanto ai primi, l'azienda deve assicurare la pulizia giornaliera e la sanificazione periodica dei locali, degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni e di svago e, qualora venga accertata la presenza di una persona contagiata all'interno dei locali aziendali, deve assicurare la pulizia e la sanificazione secondo le disposizioni della Circolare 22 febbraio 2020, n. 5443 del Ministero della salute. Previste, poi, la pulizia a fine turno e la sanificazione periodica degli strumenti di lavoro, come tastiere, schermi touch e mouse (punto 4). Quanto ai lavoratori, invece, nell'accordo si precisa che le persone presenti in azienda debbano adottare tutte le precauzioni igieniche, compresa la frequente pulizia delle mani, anche grazie a idonei mezzi detergenti forniti dall'azienda (punto 5).

In merito alle misure di protezione dei lavoratori, indicativa della situazione di emergenza (nonché della difficoltà, allo stato, di garantire a pieno la salute e sicurezza dei lavoratori), è la parte dedicata ai dispositivi di protezione individuale (dpi): prendendo atto della difficoltà di reperimento, infatti, le parti stipulanti mettono nero su bianco che la loro adozione «è evidentemente legata alla disponibilità in commercio». In ogni caso, concordano sul fatto che, quando una particolare attività imponga di lavorare a distanza minore di un metro e non siano possibili altre soluzioni organizzative, «è comunque necessario l’uso delle mascherine, e altri dispositivi di protezione (guanti, occhiali, tute, cuffie, camici, ecc…) conformi alle disposizioni delle autorità scientifiche e sanitarie» (punto 6). Di fronte a questa lapalissiana antinomia (impiegare i dpi, solo se reperibili in commercio e, in ogni caso, impiegarli quando sia impossibile tenere la distanza di sicurezza), è auspicabile un’interpretazione che imponga il blocco di quelle attività in assenza di misure minime di sicurezza. Una conferma, seppur indiretta, a questa opzione ermeneutica sembra arrivare dalle prime pronunce sul punto: i provvedimenti con i quali i giudici del lavoro di Firenze e Bologna (Trib. Firenze, decreto 1 aprile 2020 e Trib. Bologna, decreto 14 aprile 2020) hanno ordinato a due aziende operanti nel settore del food delivery di fornire ai propri riders una serie di dpi (mascherine, guanti e gel disinfettanti). Gli stessi dispositivi che all’inizio dell’emergenza sanitaria l’azienda, nel caso fiorentino, si era solo limitata a consigliare ai lavoratori e, in quello bolognese, si era impegnata a consegnare solo quando li avesse reperiti.

Una particolare attenzione, poi, è riservata alla gestione degli spazi comuni (mense, spogliatoi, aree fumatori, distributori automatici…) per evitare assembramenti (punto 7), all'organizzazione aziendale, con piani di turnazione per diminuire al massimo i contatti tra lavoratori (punto 8), alla gestione dell'entrata e delle uscite dei dipendenti, favorendo scaglionamenti (punto 9), agli spostamenti interni, alle riunioni, agli eventi interni e alla formazione, riducendoli, annullando quelli in presenza già organizzati e disponendo, ove possibile, modalità di svolgimento telematiche (punto 10).

Nell'accordo, inoltre, si definiscono le procedure da adottare in azienda in presenza di una persona che presenti sintomi del contagio (punto 11) e le peculiari modalità per la sorveglianza sanitaria da parte del medico competente e dei RLS: vanno privilegiate alcune tipologie di visite (“preventive”, “a richiesta” e “da rientro da malattia”); la sorveglianza sanitaria periodica non va interrotta e il medico competente deve segnalare all'azienda situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregressi dei dipendenti (punto 12).

Infine, si individua un processo di aggiornamento di tali misure di prevenzione, attraverso la costituzione in azienda di comitati per l'applicazione e la verifica delle regole con la partecipazione delle RSA e del RLS (punto 13). Una misura, questa, destinata a rimanere “sulla carta” per le aziende più piccole (che, peraltro, rappresentano la stragrande maggioranza di quelle italiane) e difficilmente realizzabile con l'intervento delle organizzazioni sindacali e datoriali di livello territoriale.

 

Oltre il (e a sostegno del) Protocollo: le misure contenute nel d.l. n. 18 del 2020.

Trattandosi di un accordo di concertazione, bisogna ora comprendere se e in che modo l'attore pubblico abbia messo in campo misure e risorse per consentirne la piena operatività, poiché nella parte iniziale dell'intesa si prevede espressamente che «il Governo favorisce, per quanto di sua competenza, la piena attuazione del Protocollo». Questo test, pertanto, è rivolto in primo luogo al c.d. decreto “cura Italia” (d.l. 17 marzo 2020, n. 18) e, nell'economia del presente scritto, è diretto a indagare se e in che modo il Governo abbia inteso sostenere le due diverse anime del Protocollo.

Rispetto alla parte hard (il blocco delle attività produttive non essenziali), nulla si dice in maniera espressa, non rivenendosi alcun obbligo di chiusura. In via indiretta, però, esso contiene diverse misure che consentono ad aziende e lavoratori di attutire gli effetti di una eventuale sospensione (o anche solo del rallentamento) della produzione. Anzitutto, la previsione di ammortizzatori sociali, anche in deroga, per far fronte all'emergenza (artt. 19-22); in secondo luogo, l'individuazione di speciali congedi per i dipendenti del settore privato (art. 23) e, infine, l'estensione della durata dei permessi retribuiti ai sensi dell'art. 33 l. n. 104 del 1992 (art. 24).

Del tutto insoddisfacente appare la parte di sostegno alla parte soft del Protocollo (relativa al potenziamento delle misure di sicurezza per le aziende che non interrompano la produzione). Ci si limita a disporre, su un piano più generale, che «allo scopo di sostenere la continuità, in sicurezza, dei processi produttivi delle imprese» l'Inail trasferisca entro il 30 aprile (quando, però, ci si augura che l'emergenza sia nella sua fase calante!) ad Invitalia l'importo di 50 milioni di euro da erogare alle imprese per l'acquisto di dispositivi ed altri strumenti di protezione individuale (art. 43, co. 1). Su un piano più settoriale, con riferimento alla continuità delle attività indifferibili per l'esecuzione di lavori volti al ripristino del servizio elettrico, si prevede che le abilitazioni in possesso del relativo personale conservino la loro validità sino al 30 aprile 2020 anche nei casi di temporanea impossibilità a effettuare i moduli di aggiornamento pratico, con l'obbligo, però, per il datore di lavoro di «erogare la formazione per l'aggiornamento teorico, anche a distanza nel rispetto delle misure di contenimento adottate per l'emergenza epidemiologica da COVID-19» (art. 45). Sempre sullo stesso piano, si dispongono particolari precauzioni per il personale delle amministrazioni della giustizia civile, penale, tributaria e militare (artt. 83, 84 e 85) e per quello adibito al servizio postale (art. 108).

Blocco (o quasi) delle attività non essenziali (d.P.C.M. 22 marzo 2020 e d.l. n. 19 del 2020) e questione salute e sicurezza immaginando la “fase 2”.

Al netto delle buone intenzioni di Governo e parti sociali, gli interventi messi in campo non corrispondono all’obiettivo prefissato: garantire la continuità del nostro sistema produttivo, senza sacrificare la salute e la sicurezza dei lavoratori. E questo è confermato quotidianamente dai bollettini ufficiali diramati dalla Protezione civile sull’evolversi del contagio e sul numero di deceduti.

Di fronte a questi dati, le parti sociali hanno dovuto trarre le conseguenze. E così i tre segretari confederali, dopo una sola settimana dalla sottoscrizione del Protocollo, hanno fatto presente al premier l’utilità di «una verifica comune sugli effetti applicativi che tale intesa ha determinato […] anche alla luce della progressione dei contagi, nonostante le misure di contenimento fino ad ora adottate», chiedendo di valutare anche la «necessità di misure ancor più rigorose di sospensione delle attività non essenziali» (lettera Landini, Furlan, Barbagallo del 21 marzo 2020).

Una richiesta che il Governo ha raccolto disponendo, attraverso l'ennesimo d.P.C.M.(22 marzo 2020), il blocco delle attività non essenziali che, tuttavia, si è rivelato molto meno incisivo rispetto a quello annunciato.

Il riferimento è alle moltissime “eccezioni” – contenute nell’art. 1, lett. d, e, f, g e h – che allentano le maglie (già piuttosto larghe) dell’elenco delle attività sospese dallo stesso decreto e contenute nell’allegato 1.

Il Governo si è forse lasciato condizionare dalle legittime preoccupazioni del mondo imprenditoriale, palesate in maniera esplicita dal numero uno di Confindustria dopo l’annuncio della stretta (cfr. lettera Boccia del 22 marzo).

Ad ogni modo, l’apertura dell’Esecutivo alle istanze del mondo produttivo ha provocato la piccata reazione dei sindacati (che hanno invocato lo “sciopero generale”) e ha rischiato di minare alle fondamenta il già precario equilibrio sotteso all’apprezzabile sforzo concertativo delle ultime settimane.

Nel difficile contesto economico in fieri questa rottura andava evitata. Tantissimi, infatti, sono i lavoratori in attività e sulle cui spalle continua a gravare la garanzia degli approvvigionamenti e, più in generale, la tenuta del nostro sistema Paese. E che continuando a lavorare si espongono quotidianamente al rischio di contrarre il virus e di trasmetterlo all’interno delle proprie famiglie.

Per questo va salutata positivamente la ripresa del dialogo tra le parti sociali e il Governo, che ha portato a una modifica dell’elenco delle imprese escluse dal provvedimento di blocco (cfr. il decreto 25 marzo 2020 del Ministro per lo sviluppo economico).

Di grande importanza, infine, l'approvazione del d.l. n. 19 del 2020, in cui si scorge per la prima volta la «legificazione» (così PASCUCCI 2020, 122) dell’obbligo di sospendere e bloccare le attività produttive laddove non sia possibile rispettare le distanze di sicurezza o impiegare adeguati dpi (art. 1, co. 2, lett. z).

Passi apprezzabili nel contemperamento tra il preminente diritto alla salute dei cittadini-lavoratori e la garanzia della continuità del sistema produttivo. Indispensabili, alla luce del fatto che – come è ormai certo – questa emergenza ci accompagnerà per ancora molto tempo e sarà fondamentale programmare una ripresa, graduale ma inevitabile, di tutte le attività che, però, potrebbe presentare modalità specifiche e differenziate, destinate a riverberarsi sulla regolazione del mercato del lavoro.

Si pensi all’ipotesi da più parti avanzata di un rientro scaglionato per fasce d’età o preceduto da test sierologici rapidi volti a individuare i soggetti positivi al virus (in particolare i c.d. asintomatici) e agli interessanti risvolti giuridici che potrebbero derivare da tali scelte (in materia di ammortizzatori sociali, tutela della privacy, etc.). Queste ultime, infatti, sono inevitabilmente destinate a scontrarsi con una molteplicità di regole che dovrebbero essere “derogate” o “congelate” in ragione della straordinaria emergenza.

È ragionevole ipotizzare che tali modifiche (seppur temporanee) alla disciplina ordinaria saranno contenute nei provvedimenti che il legislatore varerà sulla scorta del parere tecnico-scientifico delle commissioni e task force nominate per la gestione dell’emergenza (sia il team di scienziati che in queste settimane ha affiancato il Governo nella scelta delle misure restrittive e sia quello di studiosi ed esperti ai quali è stato affidato il compito di occuparsi della “fase 2”). È, però, auspicabile che – come avvenuto per il Protocollo – queste scelte siano concordate con le parti sociali che, in questo particolare frangente storico, hanno dimostrato ancora una volta di essere indispensabili per la tenuta del nostro Paese.

 

Riferimenti bibliografici.

Per una riflessione sulla c.d. disintermediazione v. B. CARUSO, La rappresentanza delle organizzazioni di interessi tra disintermediazione e re-intermediazione, in Arg. dir. lav., 2017, 555 ss.

Sulla concertazione, invece, cfr., per tutti, L. BELLARDI, Concertazione e contrattazione: soggetti, poteri e dinamiche regolative, Bari, 1999; M. MARTONE, Governo dell'economia e azione sindacale,  Padova, 2006 e, più di recente, L. ZOPPOLI, Concertazione (dir. lav.), in Treccani online, 2016.

Per l'apparato normativo in materia di salute e sicurezza sul lavoro, per tutti, v. L. MONTUSCHI (diretto da), La nuova sicurezza sul lavoro, Bologna, 2011, e P. PASCUCCI, La tutela della salute e della sicurezza sul lavoro: il Titolo I del d.lgs. n. 81/2008 dopo il Jobs Act, Fano, 2017.

Con riferimento all’impatto sulla disciplina generale in materia di salute e sicurezza delle novità contenute nei provvedimenti regolamentari, legislativi e contrattuali emanati in occasione dell’emergenza sanitaria, cfr. A. Maresca, Relazione, Webinar COVID-19, Commissione di Certificazione, Università degli Studi Roma Tre, 11 marzo 2020; cfr. P. PASCUCCI, Sistema di prevenzione aziendale, emergenza coronavirus ed effettività, 17 marzo 2020, in Giustiziacivile.com; L.M. PELUSI, Tutela della salute dei lavoratori e COVID-19: una prima lettura critica degli obblighi datoriali, in Dir. sic. lav., 2019, 2, 122 ss.; S. BOLOGNA, Tutela del lavoro e emergenza da COVID-19. Coronavirus e salute e sicurezza: le risposte degli ordinamenti intersindacale e statale, in Treccani online, 31 marzo 2020; G. NATULLO, Covid-19 e sicurezza sul lavoro: nuovi rischi, vecchie regole?, in WP “Massimo D’Antona”.IT, n. 213, 2020.

Sul ruolo del sindacato nelle misure previste dal Protocollo del 14 marzo 2020 e dal d.l. n. 18 del 2020, cfr. A. BELL, Emergenza COVID-19 e attività sindacale, in Wikilabour – Newsletter, n. 6, 23 marzo 2020 e, più in generale, su quello delle parti sociali nell'individuazione di un punto di equilibrio tra salute e lavoro F. SEGHEZZI-M. TIRABOSCHI, Emergenza coronavirus: il ruolo delle parti sociali per non contrapporre salute ed economia, in Adapt Labour Studies e-Book series, n. 3, 18 marzo 2020.

Sulla “legificazione” operata con il d.l. n. 19/2020 della disciplina contenuta nei provvedimenti governativi adottati nelle prime settimane dell’emergenza, v. P. PASCUCCI, Ancora su coronavirus e sicurezza sul lavoro: novità e conferme nello ius superveniens del d.P.C.M. 22 marzo 2020 e soprattutto del d.l. n. 19/2020, in Dir. sic. lav., 2020, 1, 117 ss.

In merito ai possibili scenari di ritorno a lavoro e sui loro risvolti giuridici, cfr. M. T. CARINCI, Back to work al tempo del Coronavirus e obbligo di sicurezza del datore di lavoro. I test sierologici rapidi, in Adapt Labour Studies e-Book series, n. 3, 2020.

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