Editoriali

Soggetti e nuove tecnologie 15.01.2019

Diritto all’oblio e diritto di cronaca: una nuova luce su un problema antico

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Il diritto all’oblio costituisce un diritto oggi noto a tutti, anche al pubblico dei non giuristi. L’espressione ricorre frequentemente per indicare il diritto di cancellare, di nascondere e di non rendere note alcune informazioni. L’aspettativa sociale concernente l’oggetto e gli effetti del diritto all’oblio è estremamente elevata ed esso è sostanzialmente percepito come un diritto ad nutum, esercitabile senza motivazione e non sottoposto a limitazioni. Il comune sentire non corrisponde al dettato normativo né all’elaborazione giurisprudenziale: in parte corrisponde ad un pratica contrattuale implementata da alcuni provider, ma soprattutto riflette una istintiva concezione proprietaria del dato personale, socialmente diffusa. Tale concezione non è quella incarnata dal Regolamento europeo 679/2016 che invece sottopone ad un costante bilanciamento il diritto alla protezione dei dati personali con altri diritti.

Oggi il diritto all’oblio vive nel sentire sociale una fase espansiva che accompagna lo sviluppo della società dell’informazione. Nell’ambito giuridico, invece, esso è alla ricerca di contorni precisi e della definizione di una compiuta portata applicativa: essa non potrà prescindere ovviamente dal dettato del Regolamento europeo, ma non potrà in esso esaurirsi.

In questo quadro si inserisce l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 28084 del 2018 di rimessione al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione concernente il bilanciamento del diritto di cronaca – posto al servizio dell’interesse pubblico all’informazione - e del c.d. diritto all’oblio – posto a tutela della riservatezza della persona e così si illumina con una nuova luce un problema antico.

Il caso ha ad oggetto la rievocazione nell’articolo di un quotidiano di un omicidio avvenuto ventisette anni prima, all’interno di una rubrica intitolata “la storia della domenica”, dedicata ad alcuni fatti di cronaca nera. Rievocazione dei fatti e ripubblicazione dell’articolo originario e della foto identificano l’interessato e lo rendono pienamente riconoscibile.

L’interessato adisce il Garante per la protezione dei dati personali, il Tribunale di Cagliari e la Corte d’Appello di Cagliari, ma vede le sue pretese respinte.

Adita la Suprema Corte, con l’ordinanza in commento si rimette al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite.

La questione che si pone, dunque, non riguarda il tema, oggi di sempre maggior interesse, dell’esercizio del diritto all’oblio on line. Riguarda, invece, un tema che può apparire ormai antico, quello della rievocazione di vicende e della ripubblicazione di un articolo cartaceo già pubblicato ventisette anni prima. Si tratta dell’accezione più risalente del diritto all’oblio, quella elaborata dalla dottrina civilistica e dalla giurisprudenza, in epoca antecedente all’avvento della Rete.

Il diritto all’oblio, nella sua originaria definizione, è il diritto a non vedere ripubblicate notizie già legittimamente pubblicate, quando sia trascorso un notevole lasso di tempo e non ci sia un interesse attuale alla ripubblicazione della notizia. Esso è relativo a vicende che hanno costituito fatti di cronaca o comunque in relazione alle quali la pubblicizzazione, cioè la fuoruscita dalla sfera della riservatezza degli interessati, era da considerarsi lecita, ma rispetto alle quali non è lecita la ripubblicazione. Il diritto all’oblio, come magistralmente è stato scritto da Ferri, appartiene “alle ragioni e ‘alle regioni’ del diritto alla riservatezza” e precede storicamente il diritto all’identità personale e il diritto alla protezione dei dati personali.

Dunque, non un problema nuovo, ma un problema che la giurisprudenza, anche di legittimità, ha già affrontato e risolto in passato.

Ciò nondimeno la questione assume nuovi contorni considerato che oggi, a differenza di trent’anni fa, ci si confronta con un «reticolo di norme nazionali ed europee» (Cass. civ.,  20 marzo 2018, n. 6919), che il diritto alla cancellazione dei dati (già diritto all’oblio) è espressamente riconosciuto dal Regolamento europeo 679 del 2016 e che è ormai consistente l’elaborazione giurisprudenziale italiana ed europea. Soprattutto la sensibilità sociale nel corso dei trent’anni intercorsi dalle parole di Ferri è profondamente mutata. In questi trent’anni, infatti, Internet ha modificato la modalità di fruizione delle informazioni, che ora sono apprese e fruite nella dimensione temporale dell’istantaneità, ridefinendo il concetto di memoria, che oggi appare dilatata e appiattita sul presente.

Benché tutto questo sia riferibile innanzitutto a Internet e alla rete, tuttavia ha certamente modificato l’approccio culturale e la sensibilità sociale che, come si è accennato all’inizio, è profondamente mutata sul tema.

Tanto che la Corte ritiene di non potere applicare tout court la giurisprudenza precedente, cogliendo l’occasione per fare il punto sul tema.

Nel corso degli anni, la Corte di cassazione si è espressa più volte sul diritto di cronaca, a partire dalla famosa sentenza del 1984. Nella giurisprudenza, anche richiamata nell’ordinanza, che fornisce una puntuale ed esaustiva ricognizione sulle decisioni concernenti diritto all’oblio e diritto di cronaca, si evidenziano tre principi da osservare, ormai ben noti: la verità dei fatti narrati, la forma “civile” della loro esposizione e la sussistenza di un pubblico interesse alla conoscenza della notizia. La fattispecie qui in esame richiede una riflessione sull’ultimo dei requisiti citati: la sussistenza di un pubblico interesse alla conoscenza della notizia e in particolare l’attualità dell’interesse.

Infatti, l’interesse alla diffusione della notizia deve essere un interesse effettivo ed attuale, come ribadito dalla Suprema Corte anche nella sentenza n. 16111 del 26 giugno 2013.

Ora, nel caso di specie non si tratta di informazione di cronaca attuale. La notizia non è collegata ad alcun fatto attuale o recente. È inserita all’interno di una rubrica di rievocazione della storia recente, intitolata appunto “la storia della domenica”, nella quale si narrano fatti di cronaca nera accaduti decenni prima.

Se la notizia fosse correlata ad un evento attuale, nessun dubbio si potrebbe porre sulla liceità della sua pubblicazione. Trattandosi, invece, di una scelta, discrezionale, di ripubblicare ciò che attuale non è più, per informare sul passato, il problema si pone. Il Tribunale e la Corte d’appello sottolineano la finalità di “sensibilizzare l’opinione pubblica su comportamenti e situazioni sempre attuali, generatrici di profonde tragedie”, la “necessità di un’informazione volta a concorrere utilmente all’evoluzione sociale, per quanto riguarda, ad esempio, la formazione delle coscienze e delle idee su temi ancora rilevanti”.

Ma come afferma Cass. civ. n. 16111 del 2013, «il diritto dell’interessato ad essere dimenticato in tanto può cedere il passo rispetto al diritto di cronaca in quanto sussista un interesse effettivo ed attuale alla diffusione della notizia; diversamente argomentando, altrimenti, si finirebbe col riconoscere una sorta di automatica permanenza dell’interesse alla divulgazione, anche in un contesto storico completamente mutato» e occorre ponderare la «concreta proporzionalità fra la causa di giustificazione (il diritto di cronaca) e la lesione del diritto antagonista».

Allora, nel caso di specie, non pare sussista un interesse attuale a conoscere l’identità dell’interessato, che non è persona nota, né personaggio pubblico, quanto semmai un interesse alla rievocazione del fatto, ad esempio per soddisfare le finalità di educazione sociale e di promozione di un dibattito culturale evidenziate nelle decisioni citate.

Se una soluzione incentrata sulla sussistenza o meno del requisito dell’attualità poteva essere formulata anche trent’anni fa, invece oggi, con la nuova sensibilità che si è sviluppata in materia, si potrebbe isolare il fatto dall’identità dei protagonisti e informare sul fatto, rievocandolo, senza informare sull’identità. Non appare infatti ravvisabile alcun interesse generale alla conoscenza dell’identità del reo e anzi, essa non rileva, non essendo questi un personaggio pubblico.

Il bilanciamento in questo caso potrebbe dunque concludersi nel senso di una rievocazione del fatto senza riferimenti all’identità, costituendo la ripubblicazione dei dati identificativi una lesione alla riservatezza dell’interessato non giustificabile per soddisfare un interesse all’informazione che, con riguardo a tutti gli elementi che compongono l’informazione stessa, non appare più attuale. Sembrerebbe di ausilio, nel caso di specie, l’applicazione del principio di minimizzazione previsto dal Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali, all’art. 5, comma 1, lett. c). Si noti, non si tratta della pubblicazione delle informazioni o del mantenimento di esse on line, bensì della loro ripubblicazione. Non viene in rilievo la memoria storica che invece non può che essere integralmente rispettata.

La verifica dei requisiti già consolidati nella giurisprudenza di legittimità alla luce della nuova sensibilità e delle più recenti disposizioni normative è certamente richiesta dai tempi, e il “reticolo” di norme con il quale occorre confrontarsi può offrire strumenti nuovi all’opera di rielaborazione e sistematizzazione di cui giurisprudenza e dottrina dovranno occuparsi.

Quest’opera oggi è necessaria, per fornire all’interprete un orientamento sicuro e per dipanare la fitta confusione a cui contribuiscono le molteplici accezioni terminologiche del termine “oblio”, la comunicazione a-tecnica sulla materia, il sentire sociale, le diverse culture giuridiche che nel mondo diversamente intendono (o non intendono) il diritto all’oblio.

Occorre, in altri termini, ricostruire il sistema giuridico nel quale il diritto all’oblio si colloca, non quale diritto autonomo, ma quale strumento per la compiuta realizzazione di un diritto della personalità (il diritto alla riservatezza, il diritto all’identità personale o il diritto alla protezione dei dati personali), e quindi per la realizzazione della persona stessa, secondo le letture che, di volta in volta, la giurisprudenza della Suprema Corte e della Corte di giustizia europea hanno reso.

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