Editoriali

28.04.2025

Il “rispetto dell’altro”. Ricordo di Guido Alpa

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Lo scritto che si pubblica è stato pronunciato oralmente dall’Autore al termine della messa celebrata in suffragio di Guido Alpa, nella Cappella dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, l’8 aprile 2025.

Ringrazio le Autorità accademiche e religiose per avermi offerto questa possibilità di ricordare la figura di un così illustre esponente della comunità accademica di questo Ateneo, un maestro riconosciuto degli studi giuridici, un uomo di profonda e raffinata cultura, un grande avvocato.

E aggiungo anche – per chi come me ha avuto il dono della sua amicizia – persona di grande levatura morale, di grande generosità e finezza d’animo.

Riconosciamo tutti a Guido Alpa il merito di avere indagato l’universo dei segni giuridici con straordinaria intelligenza, con grande passione, con tenace costanza.

Personalmente non ho conosciuto uno studioso così devotamente dedito alla ricerca, così febbrilmente rapito dalla cacoethes scribendi: la sua produzione letteraria è davvero incontenibile, interi scaffali delle biblioteche giuridiche anche delle università straniere sono occupati dai suoi libri. È stato ampiamente tradotto nelle principali lingue straniere offrendo uno straordinario contributo alla conoscenza del diritto italiano anche al di fuori dei nostri confini nazionali.

Le sue ricerche hanno indagato pressoché tutti i settori di attività, tutte le manifestazioni comunitarie dell’agire umano, tutte le istituzioni erette dall’uomo.

In molti di questi campi le sue indagini sono state pionieristiche, dalla elaborazione del danno biologico, all’ampliamento della tutela dei diritti fondamentali della persona, alla costruzione della frontiera del diritto dei consumatori, sino ai più recenti studi sull’intelligenza artificiale. Guido Alpa ha indagato i temi e i problemi inseguendoli in tutte le loro diramazioni, partendo dal diritto civile, ma estendendosi al diritto commerciale, al diritto amministrativo, al diritto costituzionale, penetrando a fondo l’ordinamento europeo, studiando i più importanti ordinamenti stranieri, comparando differenti ordinamenti giuridici.

 

Vorrei spendere qualche parola sul suo metodo, sulla sua concezione epistemologica. Permettetemi se lo faccio riferendo qualche aspetto che riguarda la mia persona. Mi sono laureato qui alla Sapienza quando lui ancora insegnava a Genova, ho avuto, quale mentore accademico, il prof. Giovanni Battista Ferri, illustre esponente della scuola romana che faceva capo a Rosario Nicolò, caratterizzata – tradizionalmente – da una spiccata vocazione dogmatica e sistematica.

Ho conosciuto Guido Alpa anni dopo, quando, concluso ormai il mio periodo di noviziato giuridico, ero diventato ricercatore di Diritto privato nell’Università di Firenze. Potete immaginare quale impatto può avere avuto in un giovane ricercatore, nutrito accademicamente nel rigore concettuale della scuola romana, il suo approccio fortemente innovativo – per alcuni versi rivoluzionario – agli studi giuridici.

Mi ritrovai a confrontarmi con un approccio metodologico ed epistemologico, che muoveva – addirittura – dal ripudio del formalismo giuridico e del legalismo positivistico, una modalità di indagare il diritto ben distante dalle propensioni concettualistiche e dogmatiche a cui ero abituato.

Guido Alpa, nel corso dei suoi studi universitari genovesi, era stato fortemente influenzato da grandi personalità scientifiche quali Giovanni Tarello, Pietro Trimarchi, Stefano Rodotà, quest’ultimo poi diventato suo maestro, e aveva perfezionato i suoi studi rimanendo conquistato dagli indirizzi del gius-realismo, in particolare nord-americano.

All’inizio rimasi disorientato: un po’ semplicisticamente, riconducevo la cifra delle sue indagini giuridiche alla più assoluta libertà: libertà dell’oggetto di ricerca, libertà di come ricercarlo. Insomma, a voler fare un paragone con la filosofia della scienza, per me fu come essersi formati al razionalismo popperiano e poi incontrare un epistemologo eretico come Paul Feyerabend ed essere costretto a confrontarsi con le sue invettive “contro il metodo”.

Superato questo iniziale disorientamento compresi che questo approccio anti-formalista non sconfinava affatto nell’anarchia metodologica, né tantomeno in un indistinto sincretismo contenutistico.

Piuttosto consentiva di avere una visione più complessa dell’esperienza giuridica, estesa anche alla dimensione funzionale, alla sua estensione applicativa, alla sua propria dimensione effettuale.

Era un’opzione metodologica che consentiva di rimettere in discussione alcuni falsi postulati di buona parte della cultura giuridica italiana: a) ancora legata alla concezione della natura imperativa della norma giuridica, oscurandone la dimensione sociale, b) ancora intenta a rappresentare il diritto come un sistema coordinato logico-formale, c) ancora ferma alla descrizione dell’interpretazione da parte del giudice come di un’attività propriamente logica e, quindi, di carattere neutro.

Di qui l’incredibile arricchimento di prospettiva a cui schiudeva l’approccio di Guido Alpa: il diritto non può essere oggetto di una conoscenza razionale attraverso categorie e forme ordinanti, ma va indagato nella sua più complessa dimensione fenomenologica, quale “law in action” come direbbero gli anglosassoni, sviscerandone tutte le varie implicazioni anche di ordine politico, economico, sociale.

 

La sua produzione letteraria si è giovata con il tempo di una notevole ricchezza culturale. Le sue pagine si sono via via diventate sempre più ariose, rivelando la profondità delle sue letture, ben oltre i ristretti confini della letteratura giuridica. Era un grande appassionato della storia delle idee, delle stratificazioni culturali che si accompagnano alla fenomenologia giuridica. Potevi spendere ore con lui a parlare di Leo Strauss o di Spinoza, delle varie teorie sull’interpretazione biblica o del dibattito sulla fine della storia.

Una delle opere a cui teneva di più, pubblicata per i tipi di Laterza, si intitola, “La cultura delle regole”: costituisce un ampio e poderoso affresco sulle costruzioni e sulle pratiche argomentative utilizzate da studiosi e operatori del diritto civile italiano per accompagnare l’evoluzione della nostra società, restituendoci l’immagine dei giuristi quale consapevole ceto intellettuale (G. Alpa, La cultura delle regole. Storia del diritto civile italiano, Laterza, Roma-Bari, 2009, pp. 502).

Guido Alpa non è stato un “maestro” in senso tradizionale, secondo l’accezione più ristretta di “capo-scuola”. Questo aspetto va chiarito: credo che siano una moltitudine gli “apprendisti giuristi” e i provetti giuristi, tantissimi i colleghi che avvertono un debito intellettuale nei suoi confronti.

Eppure non è stato il classico caposcuola che condiziona gli allievi fornendo i suoi strumenti teorici, i suoi utensìli concettuali, vincolandoli finanche negli specifici percorsi di indagine. La sua è stata la “scuola della libertà”, del più profondo rispetto per le personali inclinazioni e sensibilità dei giovani studiosi: nessuna imposizione sul piano del metodo e dell’oggetto di indagine. Ma, sempre, una incredibile apertura al dialogo, ampio e versatile, sempre la più inesauribile generosità nello scambio di idee, che lo ha portato a dispensare a tutti, provetti e novizi, colleghi giovani e meno giovani, avvocati e professionisti, amici di vecchia data o appena conosciuti, una inesauribile miriade di consigli, suggerimenti, spunti preziosi, sovente innovativi.

Guido Alpa ci trasmette una grande lezione sul piano etico. È stato un intellettuale a tutto tondo, libero sempre, integro totalmente, gentile con tutti, mai servile con nessuno. Ha sfiorato più volte le tentazioni del potere, ma non si è mai consegnato a questo demone. È stato a lungo Presidente del Consiglio nazionale forense, ha ricevuto incarichi da parte di governi e ministri soprattutto come presidente di commissioni di studio, ha rifiutato anche molti incarichi. Anche come docente universitario: immaginate il potere accademico che avrebbe potuto esercitare, lui che era universalmente riconosciuto come un grande maestro. In realtà, aveva profondo rispetto dell’accademia, ma era del tutto estraneo alle sue più antiche e trite liturgie. Guido si è tenuto lontano dal potere perché aveva fatto della sua autonomia e indipendenza il centro della sua virtù. 

 

Era una persona umile. Ricordava spesso la sua modesta condizione familiare, era figlio orgoglioso di un tranviere, ricordava bene anche il nonno emigrato in Argentina per mantenere la sua famiglia, rivendicava fortemente l’antifascismo di famiglia, e professava sempre la sua piena adesione agli ideali del socialismo, con particolare riguardo alla giustizia sociale. Mi ha sempre seguito con attenzione, rispettando la mia decisione di assumere l’incarico di Presidente del Consiglio. Era molto contento del percorso evolutivo che avevo compiuto a capo di una forza politica (Movimento 5 Stelle) che, progressivamente, ho condotto nel campo progressista contribuendo a individuare quali primari obiettivi politici il contrasto delle varie forme di diseguaglianza e delle varie iniquità sociali.

Al centro della sua indagine giuridica e della sua ricerca intellettuale c’è la persona, nella piena e libera manifestazione delle sue sensibilità, fragilità, ideali e aspirazioni. È anche questa la lezione che si ricava da una sua recente opera: “Il diritto di essere se stessi” (G. Alpa, Il diritto di essere se stessi, La Nave di Teseo, Milano, 2021, pp. 333), un’opera che affronta il complesso tema dell’identità e della dignità dell’uomo, approfondendo tutti i fattori di ordine giuridico, ma anche sociale, economico e culturale da cui si sviluppano stigmi, limitazioni e discriminazioni che ancora oggi, anche nei nostri sistemi democratici, mortificano il diritto dell’individuo di agire e disporre di sé, costruendo liberamente la propria rete di rapporti sociali.

 

Il senso più profondo della sua infaticabile ricerca, il tratto più marcato della sua quotidiana esperienza di vita, il principio più saldo da cui deriva la sua indomita tensione etica è il “rispetto dell’altro”, l’altro da sé, un valore che Guido Alpa ha eretto a professione di vita, forte di un’intima convinzione e – direi – anche di una naturale inclinazione. Ed è questo, forse, il dono più prezioso che lascia a chi lo ha conosciuto e, oggi, ne avverte acuta la mancanza.

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