1. Inaspettatamente, all’età di 75 anni, il 13 aprile 2022 Giuseppe Terranova ha concluso il suo itinerario terreno. Professore emerito di Diritto commerciale presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, era nato a Trapani, città nella quale aveva trascorso gli anni delle scuole e nella quale aveva volontariamente deciso di fare filiale ritorno al termine di una lunga e prestigiosa carriera.
2. Giuseppe Terranova si è laureato in giurisprudenza a “La Sapienza” sotto l’autorevole guida del Prof. Giuseppe Ferri, di cui è presto divenuto assistente ed allievo e del quale - sempre - si sentiva con fierezza discepolo. Culturalmente integrato nella Scuola romana di diritto commerciale ed affettivamente legato ai suoi esponenti, ha continuato la sua carriera accademica tra l’Università di Palermo, l’Università “Roma TRE” e “La Sapienza”, nelle quali ha tenuto corsi in “Istituzioni di diritto privato”, “Diritto commerciale”, “Diritto commerciale I” “Diritto commerciale II”, “Diritto industriale”, “Diritto bancario” e “Diritto fallimentare” e ha ricoperto prestigiosi incarichi accademici. All’Università di Palermo è stato, tra l’altro, Direttore del Dipartimento di Diritto privato generale e ha contribuito alla fondazione del Polo Territoriale di Trapani, mentre all’Università “Roma TRE” è stato il primo Preside della allora neo-nata Facoltà di Giurisprudenza.
È stato condirettore della Rivista “Il diritto fallimentare e delle società commerciali”, componente di due Commissioni ministeriali per la riforma del diritto fallimentare e ha ricoperto importanti incarichi istituzionali e di amministrazione, tra i quali piace ricordare quello di Commissario della più rilevante procedura d'amministrazione straordinaria di una banca, la procedura d’amministrazione straordinaria della Sicilcassa.
3. L’illustre Maestro ha coltivato praticamente tutti i settori del diritto commerciale e ci ha lasciato in eredità opere raffinatissime in tema di diritto fallimentare, contratti bancari, titoli di credito e teoria generale del diritto, ognuna delle quali meriterebbe una lunga ed accurata disamina. Fra le tante, in ordine tematico, cito: “L’assuntore di concordato fallimentare” (1976); “Conti correnti bancari e revocatorie fallimentari” (1982); “Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori - Parte generale” (1993); “Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori - Parte speciale” (2001); “Appunti per uno studio sullo sconto bancario” (1984); “Profili dell’attività bancaria” (1989); “I titoli di credito e la struttura delle situazioni soggettive” (2008); “Elogio dell’approssimazione: il diritto come esperienza comunicativa” (2015); “Il diritto e il suo linguaggio. Metodi, teorie, parole del diritto commerciale” (2020); e, da ultimo, “Il ragionamento giuridico” (2021). Pur con le dovute differenze di data e contenuto, ciascuna di queste opere restituisce per altro un ritratto fedele della formazione del Maestro e, in pari tempo, lo statuto di quella che, per lui, era la missione del giurista.
Giuseppe Terranova, in effetti, era profondamente convinto che il giurista avesse una missione sociale da svolgere e che, dell’inesatto adempimento di questo mandato, dovesse rispondere nei confronti della società (moralmente, s’intende). Chi, come me, ha avuto il privilegio di esserne stato allievo ricorda per esempio che, quando si trattava di valutare un’opzione teorica che si presentava plausibile e perfino accattivante, il Maestro suggeriva sempre di verificare, mediante una sorta di prognosi postuma, se la messa in pratica di tale opzione avrebbe fatto fare alla società un autentico passo innanzi.
L’esimio studioso era certamente un progressista, ma conosceva anche la virtù della moderazione, con la conseguenza che, nel suo insegnamento, l’interesse per l’efficienza produttiva non veniva mai disgiunta dal rispetto delle istanze della giustizia distributiva. Anzi, a questo proposito, nel 2021 scriveva: “Se dovessi esporre le mie opinioni al riguardo […] mi dipingerei come un progressista moderato, fortemente meritocratico, che si sente gettato in un mondo pieno di pregiudizi sociali, di rendite di posizione, di perversi meccanismi di potere; e cerca di cambiarlo, ma preferisce affrontare i problemi uno per volta, senza correre l’alea di sovvertire la società dalle fondamenta, con effetti imprevedibili e potenzialmente eversivi” (Il ragionamento giuridico, p. 139).
4. L’illustre Maestro era un raffinato ragionatore e, per questo motivo, aveva sempre coltivato lo studio della teoria generale del diritto e di alcune aree della filosofia del novecento e dell’epistemologia. Per esempio, nei suoi studi sui contratti bancari e sulle revocatorie fallimentari è facile scorgere l’eco di quel saggio di Norberto Bobbio che decretava uno spostamento del punto di vista dell’osservatore dalla struttura alla funzione; sempre negli studi sulle revocatorie fallimentari si può scorgere, in filigrana, l’influenza della filosofia dei valori di Nicolai Hartmann e del tentativo, di quest’ultimo, di ordinare i giudizi etici mediante una griglia assiologica; così come nelle ricerche dedicate ai titoli di credito sono palpabili le tracce della filosofia del linguaggio ordinario di origine inglese e, soprattutto, della filosofia del linguaggio di origine statunitense.
Ciò nonostante, però, Giuseppe Terranova è rimasto sempre fedele al suo ruolo di giurista positivo e non è mai caduto nella tentazione di confondere il mezzo con il fine, elaborando tesi che, pur intellettualmente coerenti ed affascinanti, non risolvessero problemi concreti. Per il Maestro, infatti, punto di partenza e anche di arrivo di ogni indagine era e doveva essere l’esistenza di un problema concreto. Sotto questo profilo, anzi, la sua prima preoccupazione consisteva nel verificare se quello che veniva presentato come un problema fosse realmente un problema e non fosse invece soltanto un’erronea percezione dell’interprete.
Giuseppe Terranova, d’altra parte, amava tenere i piedi sempre ben piantati per terra e tale atteggiamento, ad un tempo pragmatico e realista, era particolarmente evidente quando, interpretando una norma giuridica, si preoccupava di evitare che un’interpretazione troppo formalistica potesse ingessare lo sviluppo della realtà socio-economica. Nella produzione degli ultimi anni, anzi, il Maestro sembrava sempre più impegnato nel tentativo di restituire dignità argomentativa al criterio ermeneutico - di origine tedesca, ma familiare ai giuristi romani del primo Novecento - della “natura delle cose”, con l’obiettivo di ridurre la distanza che esiste fra il dover essere della norma giuridica e l’essere della realtà socio-economica e, in ultima analisi, con l’obiettivo di rendere il sistema giuridico permeabile alle rinnovate istanze della società e dell’economia.
L’insigne studioso era ben consapevole che, per lo meno nell’impostazione tradizionale, la "natura delle cose" appartenesse al versante dell’essere e che, per questa ragione, tale elemento non potesse svolgere il ruolo di quel tanto ricercato ponte fra il versante del dover essere e quello dell’essere. Nel corso del tempo, però, Giuseppe Terranova si era andato convincendo che quella aporia potesse trovare una svolta nella filosofia del linguaggio. Infatti, criticando apertamente ogni forma di scetticismo, negli ultimi anni il Maestro era arrivato alla conclusione secondo la quale la tanto deprecata indeterminatezza degli enunciati normativi non dovesse essere considerata come un limite del ragionamento giuridico e che, tutt’al contrario, essa potesse offrisse all’interprete un’importante opportunità da cogliere; che proprio l’indeterminatezza del linguaggio (o, meglio, la sua porosità, come Giuseppe Terranova amava chiamarla) potesse fornire il presupposto per un riavvicinamento fra il versante del dover essere e quello dell’essere; e, infine, che quel criterio della "natura delle cose" - che, anche inconsapevolmente, aveva accompagnato tutta la sua produzione scientifica - poteva finalmente trovare dignità scientifica nel ruolo di quello "scenario di riferimento" che, per alcuni studiosi di filosofia del linguaggio, deve essere adottato da ogni interprete come criterio guida per interpretare e contestualizzare gli enunciati linguistici, ivi compresi quelli normativi.
5. La pandemia aveva rarefatto i nostri incontri. Ci siamo visti l’ultima volta a Palermo il 10 dicembre 2021 in occasione di una tavola rotonda dedicata alla sua ultima monografia su “Il ragionamento giuridico”. I relatori, in prevalenza filosofi del diritto, avevano analizzato a fondo il volume e avevano presentato articolate relazioni scritte che, con dovizia di argomenti, mettevano in risalto lo spessore culturale del lavoro, la profondità del contenuto, la modernità dell’approccio e, persino, le possibili implicazioni pratiche. Ero contento per il Maestro e gli chiesi se lui si sentisse soddisfatto. Certamente, lo era. Ma, per indole, Giuseppe Terranova era un uomo umile, estremamente riconoscente per il lavoro altrui, con la conseguenza che, esprimendo sul volto un sentimento di profondo stupore, non rispose alla mia domanda e si limitò a dire che quella sera era rimasto sbalordito per il tempo che gli era stato dedicato. Conoscevo bene la persona e le sue reazioni emotive, ma quella sera … quella risposta, fatta soprattutto di messaggi non verbali, mi colpì particolarmente, così che la archiviai nel mio cuore come si fa con una foto ricordo che immortala un piacevole incontro. Tuttavia, mai e poi mai, avrei potuto immaginare che quella sera quell’istantanea avrebbe immortalato l’ultima occasione in cui ho incrociato lo sguardo del Maestro.