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Lavoro 11.06.2020

Le misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro

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1.   La tutela della salute e della sicurezza sul lavoro ai tempi del Covid-19.

La dilagante diffusione del virus Covid-19 ha reso indispensabili misure di contenimento e di distanziamento sociale; per contrastare i rischi sanitari derivanti dall'epidemia si sono susseguiti nel giro di pochi mesi decreti-legge, d.P.C.M., ordinanze del Ministero della Salute, protocolli di sicurezza, che via via hanno adeguato le misure urgenti per fronteggiare l'emergenza all'evoluzione del contagio.

Con d.l. 25 marzo 2020 n. 19, in corso di conversione alla data di redazione del presente contributo, si è autorizzata l'adozione sulla totalità o parti del territorio nazionale, per periodi predeterminati, reiterabili e modificabili, di misure straordinarie volte ad incidere su tutti i settori della vita personale, sociale, economica e lavorativa dei cittadini.

All'art. 1, comma 2, lett. z) di tale decreto, con una norma di chiusura, aggiuntiva rispetto a specifiche misure destinate ad una applicazione settoriale, si è disposta la limitazione o sospensione delle attività d'impresa o professionali, anche ove comportanti l'esercizio di pubbliche funzioni, nonché di lavoro autonomo, con possibilità di esclusione dei servizi di pubblica necessità.

Con il successivo d.l. 16 maggio 2020 n. 33 si è previsto un notevole alleggerimento delle disposizioni eccezionali consentendo la mobilità interregionale e la ripartenza graduale di tutte le attività economiche, produttive e sociali, a condizione che esse si svolgano – recita il comma 14 dell'art. 1 – «nel rispetto dei contenuti di protocolli o linee guida idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in ambiti analoghi, adottati dalle regioni o dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali. In assenza di quelli regionali trovano applicazione i protocolli o le linee guida adottati a livello nazionale».

Le misure contenitive che hanno riguardato il mondo del lavoro si sono rese necessarie per limitare, in generale, le occasioni di spostamento e contatto sociale, ma anche per ridurre il numero di contagi indotti dalle caratteristiche intrinseche delle varie attività lavorative.

 È ormai patrimonio scientifico consolidato che il rischio di contrazione del virus sia molto più elevato laddove sono presenti contatti ravvicinati tra persone; indispensabile, dunque, definire degli standard generali di sicurezza e prevenzione dei luoghi di lavoro, ove quotidianamente questi contatti si moltiplicano, ed individuare poi misure calibrate sul diverso livello di rischio prevedibile nei vari settori professionali, che le specificità dei processi produttivi e delle modalità di organizzazione del lavoro contribuiscono a differenziare.

Nel nostro ordinamento, in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, opera un corpus normativo molto articolato che trova il suo testo fondamentale nel d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81 (che ha sostituito il d.lgs. 19 settembre 1994 n. 626) e la sua sintesi nell'art. 2087 c.c., norma elastica e aperta che in tema di tutela della salute dei lavoratori impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, siano necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro; non solo dunque regole d'esperienza e regole tecniche preesistenti e già collaudate, ma anche tutte quelle misure e cautele, cd innominate, che si rendano indispensabili in un determinato momento storico, in base alle conoscenze scientifiche e delle tecnologie disponibili.

Gli obblighi di prevenzione sul lavoro non operano limitatamente a rischi specifici, predeterminati, già analizzati e neutralizzati in prevenzione da disposizioni normative, ma si estendono anche a rischi nuovi, imprevisti, rispetto ai quali non è stato ancora possibile intervenire con la previsione di norme di cautela calibrate, ma di cui si abbia comunque consapevolezza e conoscenza.

Un richiamo alle «disposizioni o misure necessarie anche secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell'integrità dell'ambiente esterno» è presente anche nel d.lgs. n. 81 del 2008, all'art. 2, lett. n).

La prova della completezza ed esaustività del sistema vigente per la protezione dei luoghi di lavoro si rinviene indirettamente nel fatto che, pur a fronte di una emergenza pandemica imprevedibile, non si sono resi necessari interventi di modifica o integrazione della normativa vigente, ma è risultato sufficiente ricorrere ad indicazioni operative e mere raccomandazioni.

Il fulcro della tutela di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è l'istituto della valutazione dei rischi; ci si è posti da subito il problema se il nuovo rischio sanitario, seppure generico e non collegato alla singola attività lavorativa, dovesse essere considerato in sede di valutazione dei rischi mediante un aggiornamento del relativo documento (Documento di Valutazione Rischi, c.d. DVR). [1]

A sostegno di una risposta affermativa a tale quesito è sufficiente ricordare che l'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2008 prevede l'applicazione del decreto a «tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio», che all'art. 28, comma 2, lett. a), è presente il riferimento a «tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa»; che ai sensi dell'art. 29, comma 3: «La valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata …, in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori».

Indubbio che l'emergenza sanitaria da Covid-19 imponga rilevanti modifiche dell'organizzazione di lavoro, sia di carattere generale che specifico, commisurate al rischio di esposizione a SARS-CoV-2, e che i d.l. n. 19 e n. 33 del 2020 rimandino al datore di lavoro la definizione dell'assetto organizzativo in concreto adeguato a prevenire, o almeno mitigare, il rischio di contagio negli ambienti di lavoro; è tale esigenza di adeguamento a rendere necessario che si proceda ad un aggiornamento del DVR, con il coinvolgimento di tutte le figure della prevenzione nei luoghi di lavoro e, pertanto, anche del Responsabile per la prevenzione e protezione (RSPP), che coadiuva il datore di lavoro nell'attuazione delle misure.

2.   Le fonti dell'emergenza in materia di sicurezza sul lavoro.

L'emergenza sanitaria ha determinato la necessità di una sospensione di molte, ma non tutte le attività produttive, in alcuni settori si è infatti, sempre, continuato a lavorare in presenza (es. strutture socio-sanitarie, forze dell'ordine, forze armate e servizi essenziali della pubblica amministrazione, filiera alimentare, farmacie, trasporti, ecc.); nel passaggio alla cd Fase 2 è stata prevista una progressiva riapertura di quasi tutte le attività sospese e quindi una massiccia affluenza di persone nei luoghi di lavoro.

Tra i provvedimenti legislativi rilevano i già richiamati decreti legge; l'art. 1, comma 2, d.l. n. 19 del 2020, alle lett. z) e gg), stabilisce che le attività non sospese si svolgano previa assunzione delle misure idonee a garantire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale adeguata a prevenire o ridurre il rischio di contagio e che i servizi di pubblica necessità debbano adottare, qualora non sia possibile far rispettare detta distanza, protocolli di sicurezza anti-contagio e strumenti di protezione individuale.

L'art. 1, comma 14, d.l. n. 33 del 2020 ha implementato la copertura normativa dei protocolli e delle linee guide di settore rendendone obbligatorio il rispetto all'atto della ripresa per tutte le attività economiche e produttive e non solo nel caso in cui non sia possibile il distanziamento interpersonale; prevista anche una sorta di decentramento, nel rispetto delle indicazioni nazionali, a favore delle regioni o della Conferenza delle regioni e delle province autonome.

Significativa la elevazione a norma della disposizione sanzionatoria già presente nei protocolli adottati dalle parti sociali: ai sensi del comma 15 “Il mancato rispetto dei contenuti dei protocolli o delle linee guida, regionali, o, in assenza, nazionali, di cui al comma 14 che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell'attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza”.

Ebbene, il 14 marzo 2020 è stato sottoscritto fra il Governo e le parti sociali un protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro, ulteriormente integrato il 24 aprile 2020; nella stessa data è stato sottoscritto un protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del Covid-19 nei cantieri, fra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e le parti sociali; al 20 marzo 2020 risale il protocollo siglato nel settore del trasporto e della logistica.

Con riguardo alle attività pubbliche non differibili o ai servizi pubblici essenziali, sono stati stipulati dal Ministro per la pubblica amministrazione con le sigle sindacali maggiormente rappresentative nella pubblica amministrazione due protocolli di sicurezza analoghi a quelli del settore privato, in data 3 e 8 aprile 2020.

Diversi i d.P.C.M. che sono stati emanati in attuazione del d.l. n. 19 del 2020, in base all'evoluzione dell'emergenza sanitaria; il d.P.C.M. 10 aprile 2020 all'art. 2, comma 10, ha disposto che le imprese le cui attività non sono sospese rispettino “i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 14 marzo 2020 fra il Governo e le parti sociali”, mentre all'art. 1, lett. ii), con riferimento alle attività professionali, che proseguono, raccomanda, tra l'altro, di assumere protocolli di sicurezza anti-contagio, con adozione, “laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento”, di strumenti di protezione individuale, e di incentivare le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro.

Il d.p.c.m. del 26 aprile 2020 contiene analoghe previsioni rispettivamente, all'art. 2, comma 6, con riferimento al Protocollo sottoscritto il 24 aprile 2020 per le attività produttive, di cui è stato anche disposto l'inserimento come allegato 6, ed all'art. 1, lett. l1), punto c), per le attività professionali.

Infine il d.P.C.M. del 16 maggio 2020 all'art. 2 impone sull'intero territorio nazionale e per tutte le attività produttive industriali e commerciali il rispetto del protocollo condiviso del 24 aprile 2020, che ne costituisce l'allegato 12, nonché, per i rispettivi ambiti di competenza, del protocollo per i cantieri, sottoscritto in pari data, che ne costituisce l'allegato 13, e del protocollo per il settore del trasporto e della logistica, che ne costituisce l'allegato 14; per le attività professionali il richiamo ai protocolli è all'art. 1, lett. l l, punto c).

Con particolare riferimento alla pubblica amministrazione rilevano la direttiva n. 2 del 12 marzo 2020 e la circolare n. 2 del 1° aprile 2020 del Ministro per la Pubblica Amministrazione, che hanno limitato al minimo indispensabile la presenza negli uffici, e adottato ogni idonea misura per la tutela della salute del proprio personale, ponendo come modalità ordinaria di lavoro quella del lavoro agile e mantenendo in presenza le attività non differibili e che riguardano l'effettuazione di servizi pubblici essenziali, cui si ispirano i protocolli sottoscritti per la pubblica amministrazione; il Dipartimento dell'Organizzazione Giudiziaria, del Personale e dei Servizi del Ministero della Giustizia con circolare del 2 maggio 2020 ha invece dettato le misure di prevenzione per gli uffici giudiziari.

Tanto premesso, è possibile giungere alla conclusione che i provvedimenti innanzi menzionati assicurano ai Protocolli condivisi una sorta di copertura legislativa e che in ogni caso le misure ivi previste, rispecchiando sostanzialmente le raccomandazioni precauzionali fornite dall'OMS, si integrano perfettamente con i principi e i precetti propri del sistema di prevenzione delineato dal d.lgs. n. 81 del 2008 e dall'art. 2087 c.c. [2]

Le norme adottate per la gestione dell'emergenza, in sinergia con i Protocolli, hanno codificato alcune misure precauzionali standard, valide per l'intero territorio nazionale, ed affidato ai datori di lavoro il compito di attuarle e di adeguarle alle specifiche esigenze della singola organizzazione aziendale; queste misure, seppure non esauriscono in termini assoluti le misure richieste ai fini all'adempimento dell'obbligo di sicurezza imposto dall'art. 2087 c.c., che costituisce pur sempre un obbligo dinamico, sensibile all'evoluzione delle tipologie di rischi e delle tecniche note per prevenirli, individuano comunque, in termini ragionevoli e prossimi all'esaustività, le misure precauzionali necessarie alla prevenzione del rischio da Covid-19 allo stato attuale delle conoscenze scientifiche condivise.

Alcune di queste prescrizioni risultano obbligatorie, altre solo raccomandate, in alcuni casi si cumulano, in altri sono alternative; ciò che rileva è che la loro adozione garantisca le condizioni di salubrità e sicurezza degli ambienti di lavoro e delle modalità lavorative: la mancata attuazione del Protocollo che non assicuri adeguati livelli di protezione, oltre a comportare la sospensione dell'attività fino al ripristino delle condizioni richieste, espone il datore di lavoro alle conseguenze penali e civili connesse all'inadempimento.

 

3.   I Protocolli condivisi di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro.

Per consentire una ripresa progressiva di tutte le attività lavorative il Governo e le parti sociali hanno concordato in data 14 marzo 2020, ed aggiornato il 24 aprile 2020, una serie di misure organizzative, di prevenzione e protezione; il Protocollo che le contiene, formalmente indirizzato ad imprese ed aziende private, è stato richiamato nell'analogo protocollo siglato per la pubblica amministrazione, non sussistendo ragioni ostative alla sua applicazione negli uffici pubblici ove sono analoghe le esigenze di tutela della salute.

 L'attenzione è stata focalizzata sugli oneri di informazione, nei confronti dei lavoratori e di chiunque entri nei luoghi di lavoro, da assolvere anche mediante l'affissione di avvisi circa comportamenti e cautele da osservare, e sulle misure relative alle modalità di ingresso del personale e dei fornitori esterni, alla pulizia e sanificazione degli ambienti, alle precauzioni di igiene personale ed ai dispositivi di protezione individuale.

Altre disposizioni hanno natura tipicamente organizzativa, disciplinando la gestione degli spazi comuni, la turnazione aziendale, l'entrata e l'uscita dei dipendenti, gli eventi interni e le riunioni, il distanziamento delle postazioni di lavoro; si sollecita poi il ricorso al lavoro agile ed ai collegamenti a distanza, la fruizione di ferie, permessi ed ammortizzatori sociali. Sono date infine indicazioni per la gestione di una persona sintomatica, per l'incentivazione della sorveglianza sanitaria in azienda e la costituzione di un Comitato per l'applicazione e la verifica delle regole del protocollo di regolamentazione.

Il Covid-19 viene classificato come un “rischio biologico generico” ed espressamente si prevede che le indicazioni operative ivi contenute sono finalizzate ad incrementare, negli ambienti di lavoro, non sanitari, l'efficacia delle misure precauzionali di contenimento generale già adottate per tutta la popolazione al fine di contrastare l'epidemia, e che le stesse possono essere integrate con altre equivalenti, ovvero più incisive, tenendo conto della specificità di ogni singola realtà produttiva e delle situazioni territoriali, previa consultazione delle rappresentanze sindacali aziendali, “per tutelare la salute delle persone presenti all'interno dell'azienda e garantire la salubrità dell'ambiente di lavoro.”

La seconda misura individuata dal Protocollo, oggetto del presente contributo, attiene alle precauzioni da osservare in ordine alle modalità di ingresso nei luoghi di lavoro: essa prevede la possibilità di sottoporre il personale al controllo della temperatura corporea prima dell'accesso al luogo di lavoro e quindi di impedirne l'ingresso nel caso in cui la temperatura risulti superiore ai 37,5°; le persone in tali condizioni, prescrive il documento, “saranno momentaneamente isolate e fornite di mascherine non dovranno recarsi al Pronto Soccorso e/o nelle infermerie di sede, ma dovranno contattare nel più breve tempo possibile il proprio medico curante e seguire le sue indicazioni.”

La misurazione della temperatura non è indicata come obbligatoria, anche perché potrebbe risultare in alcuni contesti di complessa ed onerosa attuazione, ma è comunque raccomandata in modo specifico, quasi a volerne sottolineare l'efficacia, integrando sicuramente una delle misure necessarie secondo “l'esperienza e la tecnica”.

Molto importante la nota 1) del Protocollo che suggerisce:

- di rilevare la temperatura e non registrare il dato acquisito;

- di identificare l'interessato e registrare il superamento della soglia di temperatura solo se necessario a documentare le ragioni che hanno impedito l'accesso ai locali aziendali;

- di fornire, anche oralmente, l'informativa sul trattamento dei dati personali, in cui è possibile omettere le informazioni di cui l'interessato è già in possesso;

- di indicare in tale informativa: quanto alla finalità del trattamento, la prevenzione dal contagio da Covis-19; quanto alla base giuridica, l'implementazione dei protocolli di sicurezza anti-contagio ai sensi dell'art. 1, n. 7, lett. d) del d.P.C.M. 11 marzo 2020; quanto alla durata dell'eventuale conservazione dei dati, la cessazione dello stato d'emergenza;

- di definire le misure di sicurezza e organizzative adeguate a proteggere i dati, individuando i soggetti preposti al trattamento e fornendo loro le istruzioni necessarie; a tal fine, si ricorda che i dati possono essere trattati esclusivamente per finalità di prevenzione dal contagio da Covid-19 e non devono essere diffusi o comunicati a terzi al di fuori delle specifiche previsioni normative (es. in caso di richiesta da parte dell'Autorità sanitaria per la ricostruzione della filiera degli eventuali contatti stretti di un lavoratore risultato positivo al Covid-19);

- di assicurare, in caso di isolamento momentaneo dovuto al superamento della soglia di temperatura, modalità tali da garantire la riservatezza e la dignità del lavoratore.

I due protocolli sottoscritti per i dipendenti pubblici prevedono delle misure sostanzialmente analoghe dal punto di vista della prevenzione, organizzazione, sicurezza e tutela della salute; la misura del controllo della temperatura all'accesso non è richiamata in modo espresso, tuttavia al punto 4 è prevista l'implementazione delle azioni di sicurezza, “anche di misure analoghe a quelle riportate dal Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”. Risulta invece prevista come misura obbligatoria nell'analogo protocollo sottoscritto dalle parti sociali per il contenimento del contagio nel settore delle opere pubbliche e dei cantieri.

 

4.   Il controllo della temperatura corporea: natura giuridica.

La misurazione della temperatura corporea in tempo reale attraverso l'utilizzo dei cd. termo-scanner, in combinato disposto con l'allontanamento del soggetto che superi la soglia attenzionata dei 37.5°, può costituire un accorgimento estremamente utile ai fini del contenimento del contagio in quanto permette di verificare quotidianamente lo stato di salute di chi accede al luogo di lavoro, sia si tratti di dipendenti, che di pubblico o di fornitori, e sebbene non consenta di individuare i soggetti, spesso inconsapevoli e asintomatici, già portatori del virus, permette quanto meno di selezionare una parte dei potenziali contagiati.

Dal punto di vista tecnico risultano disponibili a tali fini diverse metodologie, da quelle più semplici del termometro manuale ad infrarossi o del termo-scanner portatile, posizionati in prossimità del soggetto da un operatore, a quelle più sofisticate che prevedono l'installazione fissa di termo-camere o videocamere termografiche, collegate a PC con software in grado di elaborare velocemente i dati in tempo reale e di conservare nel tempo le rilevazioni.

I sistemi del primo tipo, offrono il vantaggio di essere poco costosi, di minore impatto ambientale e di non prevedere la conservazione dei dati, di contro però, richiedono una rilevazione più lenta, con possibile formazione di code, e la presenza di un operatore, con tutti i rischi che per quest'ultimo possono derivare dal contatto ravvicinato con una molteplicità di persone; quelli più avanzati, che possono essere installati vicino ai varchi ed ai tornelli di ingresso, seppure più efficienti pongono maggiori problemi di gestione della privacy in quanto implicano una più elevata acquisizione di dati da trattare.

Quanto all'inquadramento di tale misura va innanzitutto escluso, per le caratteristiche strutturali, che ad essa trovi applicazione la disciplina dei dispositivi di protezione individuale (D.P.I.), dettata dal capo secondo del titolo terzo del d.lgs. n. 81 del 2008; ai sensi dell'art. 74 di tale decreto «si intende per dispositivo di protezione individuale…qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo». Evidente, pertanto, che mentre costituiscono D.P.I. le mascherine, i guanti, gli occhiali protettivi, le cuffie, le tute, i camici che valgono a proteggere dal rischio di contagio, non rientra in tale definizione la misurazione della temperatura che non è individuale e non va indossata.

Va però evidenziato che l'installazione di un termo-scanner, in quanto misura ulteriore ed efficace, può assumere indirettamente rilevanza ai fine di mitigare gli obblighi relativi all'utilizzo dei D.P.I. che, ai sensi dell'art 75 d.lgs. n. 81 del 2008, «devono essere impiegati quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da misure tecniche di prevenzione, da mezzi di protezione collettiva, da misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro».

Da escludere anche che il controllo della temperatura corporea costituisca una forma di controllo a distanza rientrante nel campo di operatività del divieto di cui all'art. 4 l. 20 maggio 1970 n. 300, pur con le modifiche introdotte dall'art. 23 d.lgs. 14 settembre 2015 n. 151, c.d. Jobs Act, e in seguito dal d.lgs. 24 settembre 2016 n. 185.

I limiti al potere di controllo del datore di lavoro derivano dal contrapposto diritto dei lavoratori al rispetto della riservatezza, della dignità personale, della libertà di espressione e di comunicazione, nel segno degli artt. 1, 2, 6, 13, 14 e 15 Cost.; la normativa richiamata prevede un rigoroso divieto dei controlli lesivi dei diritti inviolabili ed è espressione di un tendenziale sfavore per ogni tipo di controllo occulto, divieto attenuato solo in presenza di esigenze organizzative e produttive, di sicurezza del lavoro e tutela del patrimonio aziendale e di un preventivo accordo sindacale o, in mancanza, di una autorizzazione amministrativa.

Al fine di bilanciare l'esigenza di tutela del lavoratore dai controlli cd odiosi del datore di lavoro e quella di quest'ultimo di sorvegliare il patrimonio aziendale nonché di controllare la prestazione del dipendente ai fini dell'esercizio del potere disciplinare, organizzativo e direttivo, l'art. 4 cit. ha previsto una procedura autorizzatoria che deve aver luogo o in sede sindacale o presso l'Ispettorato del lavoro.

A seguito delle modifiche apportate dall'art. 23 del d.lgs. n. 151 del 2015 tale procedura resta obbligatoria con esclusivo riferimento agli strumenti diretti al controllo del lavoratore e non anche agli strumenti di lavoro.

Con la modernizzazione delle tecniche lavorative e lo sviluppo tecnologico, si è assistito ad una implementazione delle forme dei controlli da remoto, in quanto il monitoraggio dell'attività lavorativa viene messo in atto non solo con l'utilizzo di impianti audiovisivi di video sorveglianza ma anche in modo occulto, mediante altri strumenti tecnologici, per i quali la verifica dell'adeguatezza della prestazione lavorativa costituisce una conseguenza indiretta e non lo scopo principale dell'installazione; ebbene è indubbio che la sola idoneità del sistema a condurre, di fatto, a un potenziale controllo a distanza del lavoratore, comporta la necessità per il datore di lavoro di ricorrere alle garanzie previste nell'art. 4.

Tanto premesso, il divieto di cui all'art. 4 St.lav. opera limitatamente a quelle forme di controllo messe in atto con strumenti tecnologici che consentono al datore di lavoro di monitorare l'attività del dipendente a prescindere dalla presenza in prossimità del lavoratore stesso; il termo-rilevatore della temperatura corporea, seppure effettuato a distanza e con strumenti tecnologici, non determina un controllo sulla correttezza e diligenza nell'adempimento della prestazione lavorativa bensì solo un monitoraggio dello stato di salute del dipendente e non rientra quindi nel campo di applicazione della norma suddetta.

Da verificare ancora l'operatività del divieto di accertamenti sanitari sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente, posto al datore di lavoro dall'art. 5, comma 1, St.lav.

La Corte costituzionale ha più volte affermato che la salute è un bene primario, costituzionalmente protetto, che assurge a diritto fondamentale della persona, che impone piena ed esaustiva tutela [3], tale da operare sia in ambito pubblicistico che nei rapporti di diritto privato [4], ma che lo stesso non si esaurisce in una situazione di pretesa, implicando anche l'assunzione di doveri.

Salvaguardata in ogni caso la dignità della persona, che comprende il diritto alla riservatezza sul proprio stato di salute ed al mantenimento della vita lavorativa e di relazione compatibile con tale stato, l'art. 32 Cost. prevede un contemperamento del diritto alla salute di ciascun individuo con il dovere di tutelare il diritto dei terzi che vengono in necessario contatto con la persona per attività che comportino un serio rischio, non volontariamente assunto, di contagio.

Afferma la Consulta, nella sentenza 2 giugno 1994 n. 218 in tema di accertamenti dell'assenza di sieropositività all'infezione da HIV, che «In tal caso le attività che, in ragione dello stato di salute di chi le svolge, rischiano di mettere in pericolo la salute dei terzi, possono essere espletate solo da chi si sottoponga agli accertamenti necessari per escludere la presenza di quelle malattie infettive o contagiose, che siano tali da porre in pericolo la salute dei destinatari delle attività stesse».

Posta dunque la legittimità da un punto di vista costituzionale di tutti quegli accertamenti che, nel rispetto della dignità e del diritto alla riservatezza della persona che vi sia sottoposta, siano necessari, anche in ambito lavorativo, in correlazione con l'esigenza di tutelare la salute dei terzi o della collettività generale, nessun ostacolo sembra derivare dall'art. 5 l. n. 300 del 1970.

Tale norma è finalizzata a tutelare la libertà e la dignità del lavoratore e ad impedire che i datori di lavoro, per controllare l'idoneità o le ragioni dell'assenza per infermità del lavoratore ricorrano a medici di loro fiducia, anziché al servizio sanitario nazionale, potendo così strumentalizzare l'accertamento sanitario per fini impropri, che possono essere lesivi della dignità del lavoratore e propedeutici a provvedimenti illegittimi quali sanzioni disciplinari o licenziamenti; la ratio della norma è dunque di garantire l'imparzialità del controllo sanitario sulla infermità del lavoratore dipendente a tutela della dignità di quest'ultimo.

La misura in esame mira, al contrario, a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro del lavoratore e di tutti coloro che con il lavoratore vengano a contatto nell'esercizio delle sue mansioni; costituisce attuazione degli obblighi di prevenzione e protezione gravanti sul datore di lavoro; non implica, in ogni caso, una diagnosi invasiva, e quindi un accertamento di natura sanitaria, ma solo la verifica di una alterazione febbrile, potenzialmente pericolosa, ma non classificabile e quindi non suscettibile di strumentalizzazioni future. 

Del resto, ai sensi dell'art. 20 d.lgs. n. 81 del 2008, rientra tra gli obblighi dei lavoratori prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all'adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro ed osservare le disposizioni e le istruzioni impartite ai fini della protezione collettiva e individuale.

Indubbio invece che la rilevazione in tempo reale della temperatura corporea all'atto dell'accesso nel luogo di lavoro costituisca un trattamento di dati personali, ed in particolare di dati sensibili, in quanto relativi allo stato di salute, cui risulta pertanto applicabile la disciplina della privacy vigente.

5.   La tutela dei dati personali del lavoratore.

Il diritto alla riservatezza e alla tutela della vita privata, nonché il diritto alla protezione dei dati personali, quali manifestazioni della dignità umana, costituiscono da anni oggetto di tutela sia in ambito nazionale che sovranazionale.

Pur in mancanza di una norma specifica, il diritto al rispetto di tali valori è stato riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità sulla base della lettura sistematica di altre disposizioni nella nostra Costituzione: l'art. 2, per il richiamo ai diritti inviolabili della persona; l'art. 3, per l'affermazione della pari dignità sociale tra gli individui; l'art. 14 relativo alla protezione del domicilio, l'art. 15 sulla libertà e segretezza della corrispondenza, l'art. 13 sulla libertà personale, l'art. 21 sulla protezione della libertà di manifestazione del pensiero.

Più recente l'elaborazione del diritto alla privacy; a seguito della diffusione della tecnologia informatica e delle sue applicazioni è emersa sempre con maggior vigore la necessità di tutelare il diritto alla protezione dei dati di carattere personale, quale diritto distinto e autonomo rispetto alla tutela della vita privata e alla sua riservatezza, al fine di garantire a ciascun soggetto la facoltà di controllare l'insieme delle informazioni che a lui si riferiscono e che costituiscono la manifestazione della sua persona e di proteggere tale identità dal trattamento altrui in innumerevoli attività, potenzialmente pericolose per i diritti della persona.

Tutelare la riservatezza ed il diritto alla protezione dei dati personali significa assicurare tutela alla libertà ed alla dignità del singolo, riconoscendogli il diritto di autodefinirsi e di controllare le informazioni che riguardano la sua persona.

Il diritto alla protezione dei dati personali è stato riconosciuto quale diritto fondamentale dall'art. 16 del TFUE e dall'art. 8 della CDFUE, che gli ha riconosciuto un collocamento autonomo accanto al tradizionale diritto al rispetto della vita privata e familiare (di cui all'art. 7).

L'art. 52, § 1, della Carta prevede tuttavia che anche diritti come quelli sanciti dagli artt. 7 e 8 della medesima possano essere limitati, purché tali limitazioni siano previste dalla legge, ne garantiscano il contenuto essenziale e, nel rispetto del principio di proporzionalità, siano necessarie e rispondano a finalità d'interesse generale riconosciute dall'Unione o all'esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.

La tutela dei dati personali è poi assicurata dal regolamento (UE) 2016/679 (di seguito GDPR), [5]e nel nostro ordinamento dal d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, cd Codice della Privacy, così come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018 n. 101, in attuazione del regolamento UE.

Ai sensi dell'art. 4, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 196 del 2003 costituisce dato sensibile quello idoneo a rivelare informazioni, espressamente elencate, attinenti a differenti profili della persona, relativi a caratteristiche, stati, condizioni ovvero all'esercizio di libertà fondamentali, tra cui rientrano anche le condizioni di salute.

Ai sensi dello stesso articolo per trattamento si intende “qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l'ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, la consultazione, l'elaborazione, la modificazione, la selezione, l'estrazione, il raffronto, l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati”.

Anche nei confronti dei datori di lavoro trovano applicazione i principi base che disciplinano il trattamento dei dati personali fissati dagli artt. 5 e 6 del GDPR.

Il datore di lavoro deve dunque rispettare:

- il principio di necessità: il trattamento deve risultare necessario o indispensabile rispetto ad uno scopo determinato ed avere il carattere dell'eccezionalità, limitato nel tempo e nell'oggetto, mirato e mai massivo;

- il principio di finalità: i dati vanno trattati per finalità specifiche e legittime, tenendo in considerazione il principio di limitazione delle finalità, assicurando che i dati raccolti siano adeguati, pertinenti e limitati per la finalità prevista;

- il principio di trasparenza: il datore di lavoro deve informare preventivamente il dipendente in merito all'uso dei dati, ai limiti di utilizzo ed alle finalità delle tecnologie utilizzate;

- il principio di proporzionalità: il datore di lavoro deve adottare forme di trattamento strettamente proporzionate e non eccedenti lo scopo dello stesso;

- il principio di sicurezza: i dati raccolti devono essere protetti in modo adeguato da accessi non autorizzati e non conservati più a lungo del necessario.

In ambito lavorativo le basi giuridiche del trattamento sono:

- la necessità di esecuzione del contratto (nella specie di lavoro);

- la necessità di adempiere ad un obbligo legale del datore (ad es. gli adempimenti in ambito previdenziale, assistenziale, amministrativo e tributario);

- la necessità di salvaguardare l'interesse vitale del dipendente o di altra persona fisica, specie nei luoghi di lavoro che presentano rischi particolari per la salute;

- il perseguimento del legittimo interesse del titolare (in tal caso va valutato preventivamente se il trattamento sia necessario e proporzionato per il perseguimento di una legittima finalità del datore di lavoro).

Nell'ambito del rapporto di lavoro tendenzialmente si esclude che il consenso possa essere invocato come base giuridica del trattamento da parte del datore di lavoro in quanto, data la disparità di posizioni tra le parti, difficilmente lo stesso può ritenersi liberamene prestato, e quindi genuino.

 Il consenso è infatti definito come qualsiasi manifestazione di volontà libera, specifica e informata, con la quale l'interessato accetta che i dati personali che lo riguardano siano oggetto di un trattamento; nel rapporto di lavoro, dato lo squilibrio delle posizioni contrattuali, la mancata espressione del consenso può tradursi in un effettivo o potenziale pregiudizio per il lavoratore o la sua manifestazione può essere conseguente all'assoggettamento a pressioni da parte del datore di lavoro.

Questa impostazione è stata condivisa dal WP29, il Gruppo di Lavoro costituito ai sensi dell'art. 29 della ora abrogata direttiva europea 95/46 e sostituito dal Comitato Europeo per la Protezione dei Dati (European Data Protection Board) che, nel parere datato 8 giugno 2017, ha evidenziato come i lavoratori non siano quasi mai nella posizione di poter dare, rifiutare o revocare liberamente il proprio consenso, data la componente di dipendenza che caratterizza il rapporto con il datore di lavoro.

Di regola dunque il consenso non può essere considerato come una valida base giuridica per i trattamenti effettuati nell'ambito del rapporto di lavoro, salvo ipotesi eccezionali nelle quali, vista la totale assenza di conseguenze legate alla sua espressione o, al contrario, di un diniego, lo stesso potrebbe possedere i necessari requisiti.

In sintesi, tali principi impongono al datore di lavoro, in qualità di titolare dei dati del lavoratore, un trattamento che rispetti i principi di pertinenza e non eccedenza e quindi per finalità determinate, esplicite e legittime, con modalità il meno invasive possibile, minimizzando i rischi di un loro trattamento illecito.

Con trattamento illecito, si intende un trattamento in violazione del principio di necessità, secondo cui i sistemi informativi e i programmi informatici devono essere configurati riducendo al minimo l'utilizzazione di dati personali e di dati identificativi in relazione alle finalità perseguite, ed in violazione del principio di correttezza, secondo cui le caratteristiche essenziali dei trattamenti devono essere rese note ai lavoratori.

6.   La liceità del trattamento dei dati rilevati a seguito della misurazione della temperatura corporea.

Tanto premesso, la misura della temperatura corporea costituisce un dato attinente alla salute che rientra nel divieto generalizzato di trattamento di cui all'art. 9 GDPR; lo stesso art. 9 al § 2 prevede però una serie di casi in cui tale divieto non trova applicazione.

Esclusa l'utilizzabilità della lett. a), che fa riferimento al consenso, assumono rilevanza:

- la lett. b): secondo cui è ammesso il trattamento «necessario per assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti specifici del titolare del trattamento o dell'interessato in materia di diritto del lavoro e della sicurezza sociale e protezione sociale, nella misura in cui sia autorizzato dal diritto dell'Unione o degli Stati membri o da un contratto collettivo ai sensi del diritto degli Stati membri, in presenza di garanzie appropriate per i diritti fondamentali e gli interessi dell'interessato»

- la lett. i): secondo cui è ammesso il trattamento «necessario per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero o la garanzia di parametri elevati di qualità e sicurezza dell'assistenza sanitaria e dei medicinali e dei dispositivi medici, sulla base del diritto dell'Unione o degli Stati membri che prevede misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell'interessato, in particolare il segreto professionale»

- la lett h); secondo cui è ammesso il trattamento «necessario per finalità di medicina preventiva o di medicina del lavoro, valutazione della capacità lavorativa del dipendente, diagnosi, assistenza o terapia sanitaria o sociale ovvero gestione dei sistemi e servizi sanitari o sociali sulla base del diritto dell'Unione o degli Stati membri o conformemente al contratto con un professionista della sanità, fatte salve le condizioni e le garanzie di cui al § 3.

Ai sensi del § 3, nei casi di cui alla lett. h) i dati vanno trattati «da o sotto la responsabilità di un professionista soggetto al segreto professionale conformemente al diritto dell'Unione o degli Stati membri o alle norme stabilite dagli organismi nazionali competenti o da altra persona anch'essa soggetta all'obbligo di segretezza conformemente al diritto dell'Unione o degli Stati membri o alle norme stabilite dagli organismi nazionali competenti».

Rileva ancora il § 4 dell'art. 9 che, in tema di dati relativi alla salute, consente agli Stati membri di mantenere o introdurre ulteriori condizioni e limitazioni, e l'art 88 del GDPR che, in attuazione del considerando n. 155, riconosce agli stessi Stati di prevedere, con legge o tramite contratti collettivi, norme più specifiche per assicurare la protezione dei diritti e delle libertà con riguardo al trattamento dei dati personali dei dipendenti nell'ambito dei rapporti di lavoro.

Il nostro Stato ha esercitato questa facoltà con l'art. 2-septies d.lgs. n. 196 del 2003 (inserito dal d.lgs. n. 101 del 2018), che ha rimesso al Garante il compito di prevedere delle specifiche "misure di garanzia" per il trattamento dei dati genetici, biometrici e relativi alla salute.

Il Garante per la privacy non ha ancora individuato tali misure, per cui trova applicazione la disciplina transitoria dettata dall'art. 21 dello stesso decreto che rinvia alle autorizzazioni generali vigenti; ad oggi il punto di riferimento è costituito dal Provvedimento generale del Garante del 13 dicembre 2018, secondo il quale un dato particolare idoneo a rivelare lo stato di salute, può esser trattato solo se necessario «per adempiere o per esigere l'adempimento di specifici obblighi o per eseguire specifici compiti previsti dalla normativa dell'Unione europea, da leggi, da regolamenti o da contratti collettivi anche aziendali, ai sensi del diritto interno».

Sollecitato da numerose richieste nel parere del 2 marzo 2020, il Garante ha precisato che «I datori di lavoro devono […] astenersi dal raccogliere, a priori e in modo sistematico e generalizzato, anche attraverso specifiche richieste al singolo lavoratore o indagini non consentite, informazioni sulla presenza di eventuali sintomi influenzali del lavoratore e dei suoi contatti più stretti o comunque rientranti nella sfera extra lavorativa», in quanto l'accertamento e la raccolta di informazioni concernenti i sintomi tipici del suddetto virus e le informazioni sui recenti spostamenti di ogni individuo sono di competenza degli operatori sanitari e della protezione civile.

Il Garante ha quindi invitato «tutti i titolari del trattamento ad attenersi scrupolosamente alle indicazioni fornite dal Ministero della salute e dalle istituzioni competenti per la prevenzione della diffusione del Coronavirus, senza effettuare iniziative autonome che prevedano la raccolta di dati anche sulla salute di utenti e lavoratori che non siano normativamente previste o disposte dagli organi competenti»; l'adozione dei Protocolli innanzi descritti è stata vista come una risposta alle sollecitazioni del Garante.

Il gruppo dei Garanti Europei, l'European Data Protection Board, infine, con una dichiarazione del 16 marzo 2020 ha indicato una soluzione nella possibilità di utilizzare come base giuridica del trattamento l'art. 9, par. 2, lett. i) o h) del GDPR che, per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità o di finalità di medicina preventiva, non richiedono il consenso dell'interessato.

 

7.   Osservazioni conclusive.

Il rilevamento della temperatura corporea non costituisce un D.P.I. ex d.lgs. n. 81 del 2008, né una forma di controllo a distanza ex art. 4 st. lav., né un accertamento vietato ex art. 5 st. lav., ma implica necessariamente il trattamento di dati sensibili, in quanto personali ed attinenti alla salute, vietato ma possibile secondo le prescrizioni di cui all'art. 9 del GDPR.

Lo strumento risulta certamente conforme ai principi di necessità, finalità e trasparenza di cui all'art. 5 del GDPR: siamo in presenza di una misura estremamente utile, raccomandata ed efficace ai fini del contenimento del contagio da Covid-19 negli ambienti di lavoro, ed in particolare negli uffici che si caratterizzano per una indiscriminata affluenza di pubblico, la sua finalità è e deve essere limitata al periodo dell'emergenza epidemiologica, il suo utilizzo non avviene in maniera occulta ed è possibile una preventiva informativa sulle sue modalità di utilizzo.

La base giuridica del trattamento, ex art. 6 del GDPR, va individuata nella necessità di salvaguardare l'interesse vitale del dipendente nel luogo di lavoro, e di tutte le altre persone fisiche che ad esso vi accedono, alla protezione dal rischio di contagio, intensificando le misure idonee a prevenire il contatto con soggetti portatori del virus Sars-CoV-2.

Il trattamento, a prescindere dal consenso dell'interessato, che nella specie potrebbe essere pregiudicato dal rapporto lavorativo in atto, va ritenuto lecito secondo i parametri di cui all'art. 9 del GDPR per un triplice ordine di ragioni:

- ai sensi della lett b), in quanto: necessario al datore di lavoro per assolvere gli obblighi di tutela dell'incolumità fisica del lavoratore e per adempiere gli obblighi in tema di sicurezza sul lavoro; autorizzato dal diritto nazionale, alla stregua dei testi normativi innanzi richiamati, nonché da un contratto collettivo, potendo qualificarsi come tali i Protocolli condivisi sottoscritti da tutte le parti sociali sia per il lavoro pubblico che privato;

- ai sensi della lett. i), in quanto rispondente all'interesse generale per la sanità pubblica di proteggere da una grave minaccia per la salute il maggior numero di cittadini, al fine di poter garantire parametri elevati di qualità e sicurezza dell'assistenza sanitaria;

- ai sensi della lett h), in quanto necessario per finalità di medicina preventiva o di medicina del lavoro e per una gestione efficiente del servizio sanitario nazionale.

Posta la legittimità e liceità della misura, ai fini del rispetto «delle garanzie appropriate per i diritti fondamentali e gli interessi dell'interessato», richiesto dalla lett b) cit., nonché dei principi di proporzionalità e sicurezza del trattamento dei dati andrebbe prestata una particolare attenzione alle modalità di attuazione del controllo.

Lo sviluppo tecnologico a disposizione consente l'utilizzo di sistemi diversamente invasivi sotto il profilo della privacy: al fine di contenere gli oneri di gestione, conservazione e sicurezza dei dati andrebbero preferite quelle metodiche che prevedono l'identificazione nominativa limitata ai soggetti che risultino eventualmente positivi al controllo, in quanto affetti da uno stato febbrile superiore al livello soglia, nonché un'anonimizzazione dell'acquisizione del dato, non associata cioè a rilievi fotografici o riprese video o alla rilevazione della presenza mediante badge.

Si ricorda che ai sensi dell'art. 25 del GDPR la protezione dei dati va garantita sin dalla progettazione (cd privacy by design) e per impostazione predefinita (cd privacy by default), nel rispetto del principio di minimizzazione, secondo cui il trattamento deve riguardare soltanto i dati necessari alle specifiche finalità previste.

L'attivazione del controllo dovrebbe essere preceduta da una procedimentalizzazione delle misure di conservazione e sicurezza dei dati che sarà necessario raccogliere, quanto meno nei casi di positività.

Sintetizzando:

- l'acquisizione e la conservazione dei dati va limitata al periodo dell'emergenza;

- se richiesto, ai sensi dell'art. 37 GDPR, deve essere individuato e nominato il responsabile del trattamento dei dati nonché il responsabile della protezione dei dati;

 - se risulta necessaria una rilevazione manuale, vanno individuati gli operatori addetti a tale operazione, i cui nominativi andranno portati a conoscenza dei lavoratori; a tali addetti dovrà essere fornita una adeguata formazione, gli stessi vanno dotati di tutti i D.P.I. indispensabili per espletare tale mansione in sicurezza; va verificata la riconducibilità di tali compiti tra quelli oggetto di un capitolato di appalto dei servizi di vigilanza, se già in atto, o la possibilità di assegnazione di tale incombenza a personale interno;

- anche in caso di strumentazione che consenta il rilievo a distanza va comunque assicurata la presenza di un operatore competente ad assolvere gli oneri di informazione e ad intervenire in caso di positività per le procedure conseguenziali;

- va istituito il registro del trattamento, in presenza di un dato che rientra nella previsione di cui all'art. 9, § 1 GDR (art. 30 GDPR);

- va garantito l'utilizzo dei dati solo per le finalità specifiche di prevenzione anti-contagio e proibita la diffusione a terzi, salvo nei casi autorizzati;

- va attivato un sistema di protezione dei dati da eventuali accessi abusivi.

Una particolare attenzione dovrebbe essere prestata all'informativa preventiva: nel luogo di allocazione dello strumento di rilevazione, e negli ambienti antecedenti e viciniori, è necessario mettere a disposizione degli interessati sotto forma di brochure o volantini, o anche mediante semplice affissione di avvisi, un'informativa dettagliata relativa alle modalità di raccolta, alle finalità del trattamento, ai titolari ed ai tempi di conservazione dei dati.

Gli operatori vanno istruiti in merito a tali informazioni e va sollecitata la loro disponibilità a fornire le informazioni anche oralmente.

Poiché la rilevazione della temperatura non costituisce un trattamento sanitario obbligatorio, va riconosciuto a chiunque il diritto di rifiutare di sottoporsi alla misurazione. In tale ipotesi, al fine di non pregiudicare l'utilità ed efficacia della misura, dovrà essere impedito l'accesso del soggetto che ha rifiutato la misurazione, senza alcun onere di identificazione; l'assenza dal lavoro non potrà in tal caso ritenersi giustificata, salvo ulteriori verifiche sulle ragioni eventualmente addotte come motivazione del rifiuto. 

Il superamento della soglia di temperatura costituisce un impedimento all'accesso per il soggetto controllato che, con modalità che ne assicurino la tutela della dignità e riservatezza, dovrà essere posto in una condizione di isolamento momentaneo e dotato di mascherina protettiva.

All'uopo si richiede la preventiva individuazione di un locale idoneo ove espletare le formalità essenziali alla identificazione; l'identificazione appare necessaria per la conservazione del dato posto a fondamento del divieto di accesso, tanto sia al fine di consentire all'interessato eventuali contestazioni sia per predisporre a richiesta una certificazione dell'impedimento, necessaria per documentare le ragioni giustificative che hanno impedito l'accesso al luogo di lavoro (ad es. per giustificare l'assenza sul lavoro).

Nei confronti del soggetto in stato febbrile saranno maggiori gli oneri di informazione che dovranno includere l'invito a non recarsi al Pronto Soccorso e/o nelle infermerie di sede, ma a contattare nel più breve tempo possibile il proprio medico curante e seguire le sue indicazioni.

In conclusione : il controllo della temperatura corporea costituisce una misura idonea ed efficace rispetto alle esigenze di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro nel periodo dell'emergenza da pandemia Covid-19; seppure non obbligatoria, va ritenuta doverosa nell'ambito di una valutazione complessiva dell'adeguatezza delle misure di contenimento del contagio in quanto la normativa vigente in tema di sicurezza sul lavoro richiede un adeguamento delle misure in atto, a fronte di rischi imprevisti, ma prevedibili sulla base delle conoscenze scientifiche e tecnologiche del momento storico.

Pur comportando il trattamento di dati sensibili, la misura va ritenuta legittima e lecita nel contesto emergenziale, purché attuata con modalità che rispettino i principi di pertinenza e proporzionalità e minimizzino i rischi di un trattamento illecito dei dati raccolti.

Riferimenti bibliografici:

[1] F. BACCHINI, Controlli sanitari sui lavoratori al tempo del COVID-19, in Giustiziacivile.com, 18 marzo 2020; G. DE FALCO La normativa in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro a confronto con l'emergenza epidemiologica da covid-19 Giustizia Insieme 22 aprile 2020; S. DOVERE, Covid -19: sicurezza del lavoro e valutazione dei rischi, in Giustizia Insieme, 22 aprile 2020; S. GIUBBONI, Covid-19: Obblighi di sicurezza, tutele previdenziali, profili riparatori, in corso di pubblicazione in Lav. e prev., 1, 2020; R. Guariniello, La sicurezza del lavoro al tempo del coronavirus, (e-book), Milano, 2020, 5; A. INGRAO, C'è il COVID ma non adeguati dispositivi di prevenzione: sciopero o mi astengo? in giustiziacivile.com, 18.3.2020; C. LAZZARI, Per un (più) moderno diritto della salute e della sicurezza sul lavoro: primi spunti di riflessione a partire dall'emergenza da Covid-19, in Dir. sic. lav., 1, 2020, 136 e ss; M. MARAZZA, L'art. 2087 c.c. nella pandemia (Covid-19), di prossima uscita in Riv. it. dir. lav.; G. NATULLO, Covid-19 e sicurezza sul lavoro: nuovi rischi, vecchie regole?, in WP CSDLE “Massimo D'Antona”.IT, n. 413/2020; P. PASCUCCI, Coronavirus e sicurezza sul lavoro, tra “raccomandazioni” e protocolli. Verso una nuova dimensione del sistema di prevenzione aziendale? in DSL, 2, 2019, 107 ss.; ID., Ancora su coronavirus e sicurezza sul lavoro: novità e conferme nello ius superveniens del d.P.C.M. 22 marzo 2020 e soprattutto del d.l. n. 19/2020, in DSL, 1, 2020, 129, 4; L.M. PELUSI Tutela della salute dei lavoratori e COVID-19: una prima lettura critica degli obblighi datoriali, in Riv. sic. lav., 2, 2019, 122 ss.; R. RIVERSO Salute, lavoro e coronavirus, nella ricorrenza del 1° maggio, in Quest. giust., 1° maggio 2020; P. Tullini, Tutela della salute dei lavoratori e valutazione del rischio biologico: alcune questioni giuridiche, in corso di pubblicazione in Riv. dir. sic. soc., 2, 2020.

[2] In tale senso S GIUBBONI, Covid-19: Obblighi di sicurezza, tutele previdenziali, profili riparatori, cit., «Lo stretto rapporto con la fonte pubblicistica, a cui accede, attribuisce al Protocollo (ovviamente, già a quello del 14 marzo 2020) non soltanto quella estensione generale che scaturisce (indirettamente) dal rinvio in funzione integrativa del precetto di legge , ma – più ancora – efficacia “lato sensu normativa” . Non si può pertanto dubitare che le previsioni contenute nel Protocollo – ad integrazione di precetti che rinvengono fonte diretta nei decreti legge e nella normazione secondaria nel frattempo stratificatisi -  condividano con questi ultimi la medesima natura di misure di tutela riconducibili alla nozione generale offerta dall'art. 15 del D.Lgs. n. 81/2008».

[3] Corte Cost., 22 giugno 1990 n. 307 e 16 ottobre 1990 n. 455.

[4] Corte Cost., 7 maggio 1991 n. 202; 18 dicembre 1987 n. 559; 14 luglio 1986 n. 184.

[5] F. COSTANTINI, Il Regolamento (UE) 679/2016 sulla protezione dei dati personali in Lav. giur., 2018, 6, 545; D. POLETTI, GDPR tra novità e discontinuità. Le condizioni di liceità del trattamento dei dati personali, in Giur. it., 2019, 2777

                           

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