Noi abbiamo letto soltanto sui libri di storia della lotta per i diritti, delle idee giusnaturalistiche per l'eguaglianza, del superamento di una società divisa per classi e ceti, della conquista di diritti per tutti.
Noi siamo nati quasi tutti dopo la Seconda guerra mondiale e quindi la guerra e i limiti alle libertà li abbiamo sentiti raccontare soltanto dai genitori o dai nonni.
Per questa ragione, i diritti che chiamiamo di “prima generazione” sono (stati) una parte quasi trascurata nei manuali giuridici.
Libertà personale, libertà di domicilio, di circolazione e soggiorno, di riunione, di associazione, sono in fondo tutte cose che abbiamo dato per scontato, per anni.
E ci siamo interessanti preferibilmente ai problemi dei diritti di seconda generazione, soprattutto per i costi che comportano alle finanze statali. A quelli di terza generazione, per capire chi e come possa essere titolare di situazioni giuridiche soggettive sulla pace o sulla tutela dell'ambiente. E ora, ai diritti di quarta generazione, per tutte le interferenze delle tecnologie sulla nostra vita.
Ma l'emergenza connessa all'epidemia ci sta facendo comprendere quanto siano preziose le libertà più classiche della persona e di come sia difficile vivere quando sono limitate.
In fondo i diritti della personalità hanno un senso profondo, che tu accordi di quanto sia profondo quando ti accorgi che non puoi più goderne liberamente, come hai sempre fatto.
I Costituenti sapevano bene che questi diritti possono essere limitati e relativizzati. Cosi avevano previsto come si potesse procedere.
Solidi fondamenti alle limitazioni che stiamo provando ora, sono non soltanto l'art. 16 Cost. che consente “limitazioni” alla libertà di circolazione e soggiorno, allorquando «la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza». Ma anche l'art. 32 che tutela la salute non solo come «fondamentale diritto dell'individuo” ma anche quale «interesse della collettività».
I diritti sono relativi e non semplicemente assoluti. Perché è nell'interesse della collettività che possono essere conformati e limitati.
Il punto che sta emergendo nel dibattito costituzionale riguarda ora il ruolo del Parlamento in questi interventi normativi di limitazione.
Basta andare sulla preziosa raccolta curata dalla G.U. degli “Atti recanti misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19” (https://www.gazzettaufficiale.it/dettaglioArea/12) per rilevare che nell'ultimo mese abbiamo 8 d.P.C.M., 5 Decreti-legge e una sola legge (di conversione), oltre a decine di ordinanze contingibili di presidenti di regione e sindaci, anche con sovrapposizioni e incertezze a scapito dei cittadini.
Ecco il punto.
È corretto lasciare la gran parte delle misure limitative dei diritti a provvedimenti amministrativi generali, senza intervento del Parlamento?
Tradizionalmente, sappiamo che in caso di guerra i Parlamenti non riescono a lavorare. E così è avvenuto in Italia, anche se diversamente, nella I e nella II guerra mondiale. L'istituto dei pieni poteri – cui nel nostro Paese si è fatto ricorso, da ultimo, con l. 22 maggio 1915, n. 671 – nasce proprio per queste circostanze.
E la dottrina ci ricorda che con questa locuzione si intende “la concentrazione di potestà e di funzioni nelle mani dell'autorità di governo” che importa «gravi deroghe ai principi dello “stato di diritto”», in relazione alle «necessità sorte in periodi di grave crisi, in quanto che allora un'azione di governo rispettosa di tali strutture e garanzie non riuscirebbe adeguata alla cura dei più alti interessi pubblici»; in tal modo al Governo viene conferita la potestà di «organizzare e dirigere tanti ambiti della vita sociale, incidendo su molte parti della legislazione anteriormente in vigore» (così P.G. GRASSO, Pieni poteri, in Nss. D.I., XIII, Torino, 1966, 61 s.).
La nostra Costituzione segue questa linea riservando al Parlamento la delibera dello “stato di guerra” e il conferimento al Governo dei “poteri necessari” (art. 78 Cost.).
Si badi, dei poteri “necessari” e non dei “pieni” poteri.
Ovviamente il Costituente non conosceva le nuove tecnologie, per cui oggi è pensabile trovare soluzioni digitali che consentano un maggiore coinvolgimento del Parlamento anche in casi di emergenza, come la attuale crisi sanitaria.
E confido che nelle prossime settimane si riuscirà a trovare una soluzione in questo senso, anche per individuare misure univoche e chiare su tutto il territorio nazionale.
Perché non è solo importante che siano i rappresentanti della sovranità popolare a delineare le linee guida con cui limitare i diritti dei cittadini, ma anche che tali indicazioni siano chiare e univoche. Altrimenti, ogni giorno ci verrà imposto un nuovo modello di autocertificazione e, tra d.P.C.M., ordinanze e regolamenti dei diversi livelli di governo sarà difficile per noi cittadini comprendere davvero cosa poter fare e cosa no, nell'interesse della collettività.