La lettura del recentissimo editoriale di Francesco Macario, Per un diritto dei contratti più solidale in epoca di “coronavirus” , che recepisce i tanti spunti di Fabrizio Di Marzio in altro editoriale di qualche giorno prima, Comunità. Affrontiamo la nostra prova, suggerisce alcune considerazioni in tema di disciplina generale dei contratti, con particolare riferimento all’istituto della impossibilità sopravvenuta della prestazione.
In un tempo sospeso tra la forzata solitudine e l’atteso ritorno ai rapporti sociali, i rapporti giuridici, e in particolare quelli a contenuto patrimoniale, permangono immutati nella propria efficacia e validità, apparentemente indifferenti alle vicende che agitano gli uomini.
Si tratta allora di verificare l’esistenza di quegli “anticorpi” dei quali parla Francesco Macario nel suo articolo e in particolare di comprendere se e in che modo una disciplina dettata per regolare rapporti economicamente e giuridicamente strutturati sulla “certezza” della pretesa e sull’altrettanto inconfutabile rimedio della responsabilità del debitore, possa essere utilizzata per far fronte ad un evento assolutamente straordinario e imprevedibile e che ha portato, in una prospettiva macroeconomica, addirittura alla sospensione del patto di stabilità in ambito europeo.
La prospettiva che il giurista molto probabilmente sarà chiamato ad affrontare alla fine dell’emergenza sarà un moltiplicarsi di conflitti fondati su pretese contrattuali inadempiute.
Il diritto dei contratti e delle obbligazioni non può che affidarsi a due strumenti per fronteggiare l’emergenza che stiamo vivendo: l’impossibilità sopravvenuta e la eccessiva onerosità sopravvenuta.
È nota la assenza, all’interno del nostro sistema, di norme finalizzate alla “revisione” del rapporto [È il termine utilizzato da V. ROPPO, Il contratto, in G. IUDICA-P. ZATTI (diretto da), Trattato di diritto privato, Milano, 2011, 1037 ss. Sul tema della rinegoziazione F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996; R. TOMMASINI, Revisione del rapporto (diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1989] in considerazione delle sopravvenienze verificatesi nel corso dell’esecuzione del contratto, se si eccettua la assolutamente minoritaria giurisprudenza che consente al giudice di operare una rideterminazione del contenuto economico del sinallagma in presenza di eccessiva onerosità sopravvenuta [Cass. civ., 18 luglio 1989, n. 3347, in Foro it., 1990, I, 564, con nota di F. MACARIO, Eccessiva onerosità, riconduzione ad equità e poteri del giudice] e la disciplina di alcuni contratti tipici (es. l’art. 1818 nel contratto di mutuo e l’art. 1664 nel contratto di appalto) che, in realtà, prevede non un obbligo di rinegoziare posto in capo alle parti ma una rideterminazione ex lege del contenuto del rapporto contrattuale.
Tradizionalmente i due istituti dell’impossibilità e della eccessiva onerosità, in relazione all’incidenza sulle dinamiche negoziali, sono ricollegati al verificarsi di un evento caratterizzato dal caso fortuito o dalla forza maggiore, nel senso appunto della non dipendenza in capo alle parti di ciò che altera l’equilibrio contrattuale raggiunto dai paciscenti.
L’interpretazione giurisprudenziale ha fornito una determinazione del contenuto dei due istituti legata alla astratta realizzabilità della pretesa da parte del creditore e dalla sostanziale irrilevanza delle situazioni personali del debitore.
In questo senso, e prescindendo in questa sede dall’analisi della dottrina che di volta in volta ha accentuato le caratteristiche oggettive o soggettive dell’istituto della impossibilità sopravvenuta [G. COTTINO, L’impossibilità sopravvenuta della prestazione e la responsabilità del debitore, Milano, 1955, G. OSTI, Impossibilità sopravvenuta, in Nss. D.I., Torino, 1957; P. PERLINGIERI, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, Bologna, 1975, U. BRECCIA, Le obbligazioni, in in G. IUDICA-P. ZATTI (diretto da), Trattato di diritto privato, Milano, 1991], si deve rilevare che i caratteri dell’assolutezza e della oggettività hanno da sempre identificato i presupposti perché l’istituto possa operare con effetto liberatorio in favore del debitore, nelle sue diverse forme della impossibilità assoluta, di quella temporanea e di quella parziale [Cass. civ., 13 agosto 1990, n. 8249; Cass. civ., 27 febbraio 2004, n. 4016].
Radicato orientamento giurisprudenziale, inoltre, è quello secondo il quale, in applicazione del principio genus numquam perit, l’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro non è suscettibile di estinguersi per impossibilità sopravvenuta [Cass. civ., 16 marzo 1987, n. 2691] così come non operi con efficacia estintiva la mera difficoltà di adempiere per mancanza di liquidità [Cass. civ., 15 novembre 2013, n. 25777 ].
L’attenzione esclusiva al contenuto patrimoniale del rapporto obbligatorio lascerebbe dedurre che le difficoltà che il debitore, in tempi di pandemia, possa incontrare nell’adempimento debbano degradare a circostanze irrilevanti in ordine al giudizio di responsabilità posto che, astrattamente, la inattività economica rientra pur sempre in un rischio che grava su chi assume un’obbligazione.
È altrettanto vero però che la straordinarietà dell’evento che stiamo vivendo, la sua diffusione mondiale, le conseguenze inevitabili sulle attività produttive [In questi ultimi giorni si sono susseguiti numerosi provvedimenti che hanno, di volta in volta, limitato sempre di più le attività concretamente esercitabili (d.P.C.M. 1° marzo, 4 marzo, 8 marzo, 11 marzo, 22 marzo; d.l. 2 marzo 2020, n. 17 e marzo 2020, n. 18)] non possono essere liquidate quali elementi irrilevanti in ordine alla esigibilità della prestazione.
L’influenza di valori costituzionali e il rispetto della dignità della persona, in disparte dalla immanenza, nella nostra società, del principio solidaristico espressamente richiamato all’art. 2 della nostra Carta costituzionale, non possono lasciare l’interprete indifferente alla incidenza di tali valori nella costruzione del rapporto di dare/avere, pervenendo così ad una valutazione solo economica dell’obbligazione.
È stato infatti autorevolmente sostenuto [P. PERLINGIERI, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, cit., 452 ss.] che il compimento o l’omissione di atti, che costituiscono manifestazione di solidarietà umana e sociale o di esigenze dello sviluppo delle personalità, può costituire causa non imputabile. E, sotto altro profilo, la valorizzazione dei valori della persona risulta significativa nella giurisprudenza che ha avuto modo di applicare la categoria dell’impossibilità sopravvenuta anche nelle ipotesi di impossibilità di fruizione soggettiva della prestazione [Cass. civ., 24 luglio 2007, n. 16315 in Obbligazioni e contratti, 2008, 13 ss., con nota di PAROLA, Recesso dal contratto di compravendita e impossibilità di utilizzazione della prestazione, stabilisce la risoluzione di un contratto di viaggio ai sensi dell’art. 1463 c.c. per l’impossibilità di fruizione della “finalità turistica” per cause non imputabili alle parti].
È innegabile, peraltro, che il nostro ordinamento non consideri il singolo rapporto obbligatorio come una entità singola, ma valuti complessivamente la responsabilità patrimoniale del debitore in relazione a tutti i rapporti a contenuto economico dallo stesso intrattenuti. La par condicio creditorum, l’azione revocatoria, la indicazione tassativa delle cause di privilegio del credito da un lato, la limitata pignorabilità di salari e pensioni dall’altro disegnano un sistema di responsabilità patrimoniale che impedisce di valorizzare l’istanza del singolo creditore di massimizzare la propria pretesa in danno degli altri [G. COTTINO, L’impossibilità sopravvenuta della prestazione e la responsabilità del debitore, cit., 161, «se è vero che deve considerarsi imputabile a chi non adempie la situazione determinata dalla sua insufficienza economica, non parrebbe potersi estendere l’affermazione sino a costringere il debitore a fallire o ad assoggettarsi all’olocausto economico, quando ciò è l’inevitabile conseguenza dello sforzo da compiersi per eliminare la sopravvenuta non imputabile impossibilità della prestazione»] o ledendo diritti fondamentali della persona.
Forse, quindi, è il momento di pensare ad una impossibilità della prestazione che valorizzi tali aspetti della convivenza, concretizzando i valori solidaristici sempre, beninteso, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede che impediscono al più scaltro di avvalersi delle situazioni di difficoltà altrui: «è proprio questa la funzione del diritto, che è la tecnica per realizzare la comunità: costruire regole per rendere possibile la vita in comune» [DI MARZIO, Comunità. Affrontiamo la nostra prova].
Ed allora un ricorso all’istituto della impossibilità sopravvenuta, segnatamente all’ipotesi prevista dal 2° comma dell’art. 1256 c.c. in tema di temporanea inesigibilità della prestazione, potrebbe costituire un sistema di mitigare il conflitto sociale che inevitabilmente verrà a crearsi nel corso di questo difficilissimo periodo.
In realtà il riferimento alla impossibilità temporanea consentirebbe anche la tutela degli interessi del creditore che potrebbe liberarsi dal rapporto contrattuale per il venir meno dell’interesse a conseguire una prestazione ritardata.
Si dovrà quindi convenire che l’esigibilità della prestazione non potrà prodursi al cessare del contagio pandemico ma dovrà essere valorizzata in relazione alle condizioni soggettive dei debitori che non potranno risultare adempienti.
In questo senso sembrano muoversi i primi provvedimenti legislativi dettati dall’emergenza.
L’art. 88 d.l. 17 marzo 2020, n. 18 infatti prevede che i contratti di soggiorno e quelli per spettacoli, musei e altri luoghi per la cultura siano risolti per l’impossibilità sopravvenuta della prestazione ai sensi dell’art. 1463 c.c. ma che il costo sia trasfuso in un voucher da utilizzare entro un anno [In realtà più che di risoluzione si tratta di una rideterminazione ex lege dei contenuti del rapporto].
Anche l’art. 91 del medesimo testo di legge prevede che l’adozione delle misure di contenimento del contagio dovrà essere elemento di valutazione ai sensi degli artt. 1218 e 1223 c.c.
È maturo il tempo per riflettere sui rimedi manutentivi del rapporto economico e non ragionare solo in termini risolutivi?
La strada forse è tracciata; si dovrà avere il coraggio di percorrerla fino in fondo di modo che il ricordo di questo terribile periodo non rimanga solo nei libri di storia ma sia presente anche nelle rassegne di giurisprudenza e renda concreta e operante la solidarietà sociale.
«Indipendentemente da quanto farà, o potrebbe fare il legislatore, per rispondere alle esigenze di contraenti in difficoltà – nondimeno, lealmente pronti a “rivedere” le condizioni e i termini contrattuali, affinchè l’assetto dei rapporti risulti “equo”, rispetto alle circostanze che in modo “straordinario e imprevedibile” hanno prodotto uno squilibrio che renda economicamente insostenibili le prestazioni pattuite – occorre poi che la giurisprudenza sia pronta e disposta a confrontarsi con questi nuovi scenari, una volta acclarato che gli strumenti a disposizione del giudice non sono più soltanto le disposizioni di un diritto dei contratti tradizionalmente impostato secondo l’interesse del contraente, individualmente inteso e vincolato senza condizioni dal principio espresso nel noto (ma assai generico) brocardo pacta sunt servanda» [Macario, Per un diritto dei contratti più solidale in epoca di “coronavirus” ].