Corte cost., 30 ottobre 2025, n. 156
Sommario:
- 1. La sentenza
- 2. Il caso giudiziale e i nuovi profili di incostituzionalità dell’art. 19 dello Statuto
- 3. L’ipotesi, alternativa (ma non seguita dalla Corte), della interpretazione costituzionalmente orientata dei rimedi contro l’esercizio abusivo della libertà contrattuale del datore di lavoro
- 4. I razionali di fondo che la Corte pone a base della scelta del nuovo criterio selettivo delle “associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”
- 5. La necessaria comparazione della rappresentatività dei sindacati sul piano nazionale, ma anche nell’ambito del solo settore di riferimento del datore di lavoro
- 6. La difficile adattabilità del meccanismo della comparazione della rappresentatività del sindacato all’art. 19 dello Statuto: la differente struttura delle disposizioni di legge orientate alla individuazione del contratto collettivo leader sulla base della maggiore rappresentatività comparativa dei suoi firmatari
- 7. Segue: il problema della selezione di sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale senza utilizzare il parametro della negoziazione o firma del CCNL applicato e/o del CCNL Leader
- 8. Qualche ipotesi di lavoro per la selezione di sindacati comparativamente più rappresentativi diversi da quelli che hanno negoziato il CCNL leader
- 9. Brevi notazioni finali
1. La sentenza
Con la sentenza n. 156/2025 la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, l. n. 300/1970 e ne riscrive la portata nel senso che le rappresentanze sindacali aziendali (RSA) possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori, in ogni unità produttiva, oltre che nell’ambito di associazioni che hanno partecipato alla negoziazione di contratti collettivi applicati (Corte cost., n. 231/2013), “anche” nell’ambito delle “associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
Ne deriva che il sindacato effettivamente rappresentativo, legittimato ad ospitare nel suo ambito la costituzione di una RSA, e quindi ad accedere tramite di essa alla legislazione di sostegno all’attività sindacale nei luoghi di lavoro (titolo III l. n. 300/1970), non è più solo quello che si è imposto al tavolo negoziale di un qualsiasi contratto collettivo applicato nell’unità produttiva.
La sentenza aggiorna il criterio selettivo più rilevante del nostro diritto sindacale perché, fermo quanto previsto dall’art. 14 St. lav., solo il sindacato che supera quella selezione è messo nelle condizioni, anche comprimendo la libertà di impresa del datore di lavoro, di operare concretamente, e visibilmente, nei luoghi di lavoro. Un intervento certamente destinato ad imporre nuovi equilibri nel sistema di relazioni industriali e, proprio per questo, superando l’iniziale sensazione di disorientamento che molti tecnici della materia hanno avvertito, è fondamentale intenderne correttamente la portata.
Nell’ambito di quale sindacato è concretamente possibile costituire una RSA? Come individuare le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale? Le domande che tutti noi ci stiamo ponendo.
2. Il caso giudiziale e i nuovi profili di incostituzionalità dell’art. 19 dello Statuto
Partiamo, però, con ordine. Ricordando, anzitutto, che a questa conclusione la Corte è pervenuta rilevando che il criterio selettivo della negoziazione di contratti collettivi applicati, precedentemente messo a punto da Corte cost., n. 231/2013, se destinato ad operare da solo, contrasta con gli artt. 3 e 39 Cost. perché non realizza la funzione di selezione dei soggetti in ragione della loro effettiva rappresentatività.
Ed infatti, “l’ammissione di un’associazione dei lavoratori alle trattative, e quindi alle prerogative del Titolo III dello statuto, è condizionata dalle scelte discrezionali della parte datoriale”. Ma non solo. Rileva la Corte, a rafforzare la gravità della situazione attuale, che con l’obiettivo di impedire l’accesso alla legislazione di sostegno il datore di lavoro potrebbe finanche presentare al sindacato una “piattaforma inaccettabile e non negoziabile” ovvero, quale estrema ratio, rifiutare del tutto l’apertura delle trattative con qualunque sigla.
Dopo la sentenza n. 231/2013, che aveva focalizzato l’operatività del criterio selettivo dell’art. 19 St. lav. sulla partecipazione alle trattative, erano in molti ad avere qualche dubbio sulle regole di composizione dei tavoli negoziali e sulla loro esigibilità. Perché qualche zona grigia indubbiamente c’è, sia perché non sono chiarissimi i limiti della libertà contrattuale dell’impresa di scegliere gli interlocutori ai fini della contrattazione aziendale sia perché il meccanismo di composizione dei tavoli negoziali di rinnovo del CCNL previsto dal Testo Unico del 2024 presta il fianco a qualche critica.
Ma le ulteriori preoccupazioni ora annotate dalla Corte, a dire il vero, possono essere ridimensionate. Basti considerare che il datore di lavoro applica normalmente un CCNL e deve, necessariamente, consentire la costituzione di RSA quantomeno nell’ambito di tutte le organizzazioni sindacali che hanno negoziato il contratto collettivo applicato. E se pure è vero che in un sistema produttivo di piccole imprese la contrattazione di secondo livello non è la regola (e che qualsiasi datore di lavoro, se potesse scegliere, farebbe quasi sempre a meno di un contratto aziendale), sembra difficile che l’esistenza di un contratto collettivo di questo livello, normalmente sollecitata proprio dalle rappresentanze aziendali unitamente alle associazioni nel cui ambito sono costituite, possa essere condizionata dalla volontà di non legittimare la costituzione di altre rappresentanze aziendali. Anzi, le rappresentanze costituite hanno un fortissimo interesse ad avviare la negoziazione collettiva in azienda proprio per rimarcare la centralità della loro esistenza. Il problema, semmai, è che nella negoziazione di quel contratto di secondo livello può essere forte l’istanza, in primo luogo delle rappresentanze aziendali costituite, di escludere l’ampliamento del tavolo negoziale ad altre organizzazioni.
È questa, del resto, la fattispecie concreta, affatto isolata, da cui scaturisce la questione di legittimità costituzionale. Nel giudizio incardinato presso il Tribunale di Modena il sindacato, non firmatario del CCNL, lamentava di essere escluso dalle trattative relative agli accordi aziendali, ed anche di non essere stato ammesso alla firma per adesione di quegli accordi, pur rappresentando, nell’ambito dell’azienda ove intendeva costituire RSA, più del 20% dei lavoratori sindacalizzati e circa al 10% della forza lavoro complessiva (nel caso di specie il sindacato aveva anche sottoscritto un protocollo nazionale che ne delimitava le prerogative. La circostanza appare a chi scrive piuttosto rilevante ai fini di quel giudizio, ma non più di tanto per la questione di diritto di cui qui intendiamo occuparci).
3. L’ipotesi, alternativa (ma non seguita dalla Corte), della interpretazione costituzionalmente orientata dei rimedi contro l’esercizio abusivo della libertà contrattuale del datore di lavoro
È a fronte di questa situazione che per Corte cost., n. 156/2025 il sindacato rappresentativo non sarebbe adeguatamente tutelato dal rischio di una esclusione dalle trattative di un contratto collettivo.
Risulterebbe, infatti, inadeguata non solo la tutela di diritto comune conseguibile mediante il canone della buona fede oggettiva (che per la Corte “si limita a garantire, con apparato rimediale suo proprio, che non vi sia abuso della libertà contrattuale con possibile violazione della libertà contrattuale”) ma anche la tutela offerta dallo strumento della repressione della condotta antisindacale. Ciò in quanto, pure a fronte di quanto previsto dall’art. 28 l. n. 300/1970, il datore non ha l’obbligo di trattare con tutte le organizzazioni sindacali potendosi configurare una “condotta antisindacale” solo quando il datore di lavoro faccia “un uso distorto della libertà negoziale, oggettivamente discriminatorio, produttivo di un apprezzabile lesione della libertà sindacale dell’organizzazione esclusa”. Ond’è che, per la Corte, proprio nell’esercizio della libertà dell’impresa di trattare con chi vuole si aprirebbe il possibile vuoto di tutela del sindacato effettivamente rappresentativo.
A dire il vero, pur avendo dato già atto che qualche incertezza esiste, non sono affatto convinto che l’attuale portata della tutela antidiscriminatoria, in uno con la dimensione aperta della fattispecie della condotta antisindacale (art. 28 St. lav. non potesse rappresentare un efficace controlimite al rischio di esclusione di un sindacato rappresentativo dalla negoziazione di un contratto collettivo aziendale evidenziato dalla Corte.
Perché ho molti dubbi sul fatto che non possa essere considerato discriminatorio, e quindi sanzionato, il comportamento del datore di lavoro che rifiuti di confrontarsi con un sindacato dotato di una rappresentatività, misurata, cosa che in azienda è sempre possibile fare semplicemente contando le deleghe, superiore a quella di altri sindacati coinvolti nel tavolo negoziale.
Sul punto la sentenza della Corte è alquanto rinunciataria e, decisamente orientata a mettere bene in evidenza l’assenza nell’ordinamento di una adeguata tutela del sindacato rappresentativo, ma escluso dalla trattativa, si limita a considerare due pronunce della Cassazione alquanto datate (n. 14511/2013 e n. 212/2008) senza chiedersi quanto pesi, nel diritto vivente, il fatto che la discriminazione richiede solo l’accertamento dell’effetto pregiudiziale subito dal soggetto differenziale.
Mi rendo conto che questa non era certamente la prospettiva che il datore di lavoro, in quel giudizio, aveva interesse a sottolineare all’attenzione della Corte perché, enfatizzandola troppo, avrebbe poi comunque rischiato di perdere la causa.
Ma se è pur vero che per fare funzionare la tutela antidiscriminatoria occorre una comparazione tra casi (sindacati) analoghi, e che essere o meno firmatari di un CCNL non sembra un elemento irrilevante a tal fine, magari proprio su questo specifico aspetto della comparabilità delle situazioni “sindacali” in azienda, e della loro rilevanza ai fini della composizione dei tavoli negoziali, la Corte avrebbe potuto offrire qualche chiarimento. Ad esempio, sul perimetro della condotta antisindacale applicabile a questo tipo di fattispecie per fugare, a monte, i dubbi di costituzionalità sulla norma così evitando di aprire una questione di portata sistemica tutt’altro che trascurabile.
4. I razionali di fondo che la Corte pone a base della scelta del nuovo criterio selettivo delle “associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”
La strada prescelta dalla Corte, non c’è dubbio, non è stata quella di offrire un’interpretazione costituzionalmente orientata dei limiti della libertà del contraente (datore di lavoro) di scegliere gli interlocutori (sindacali) con cui negoziare un contratto (collettivo di secondo livello) e, dunque, vengo al merito della soluzione individuata che, certamente, è l’aspetto più interessante.
Il criterio selettivo prescelto dalla Corte costituzionale per correggere l’art. 19 St. lav., come detto, premia le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e nel fare ciò, giustamente, la Consulta rileva: a) che non si tratta di una riedizione della lettera a) del primo comma dell’art. 19 St. lav., giacché la norma abrogata con la consultazione referendaria del 1995 lavorava sulla rappresentatività riflessa della confederazione cui aderiva il sindacato nel cui ambito poteva essere costituita la RSA; b) che il criterio della rappresentatività comparativa è quello più frequentemente utilizzato dal legislatore negli ultimi anni e la Corte, di conseguenza, non può che valorizzare soluzioni avvalorate da precisi riscontri normativi; c) che la soluzione dovrebbe auspicabilmente avere una dimensione transitoria competendo al legislatore, sottolinea la Corte, “delineare un assetto normativo capace di valorizzare l’effettiva rappresentatività in azienda quale criterio di accesso alla tutela promozionale delle organizzazione dei lavoratori”.
Gli assunti sono tutti largamente condivisibili ma, essendo ben chiaro che un intervento del legislatore su questi temi è tutt’altro che agevole, la concreta funzionalità della soluzione prescelta presenta qualche seria criticità.
5. La necessaria comparazione della rappresentatività dei sindacati sul piano nazionale, ma anche nell’ambito del solo settore di riferimento del datore di lavoro
In primo luogo, la Corte fa riferimento alle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, così chiaramente escludendo la rilevanza di una rappresentatività misurata in azienda o sul territorio, senza specificare se la comparazione debba coinvolgere tutte le organizzazioni sindacali, a prescindere dall’ambito cui si rivolge la loro attività rappresentativa, o solo quelle che operano nel settore di riferimento del datore di lavoro i cui dipendenti intendono costituire la RSA.
Lasciare che la comparazione possa essere estesa a tutte le organizzazioni sindacali, a prescindere dal loro effettivo ambito di rappresentanza (statutariamente definito e empiricamente verificato), finirebbe irrimediabilmente per svuotare la rigorosa funzione selettiva che l’art. 19 St. lav., nella fondamentale prospettiva del bilanciamento tra libertà sindacale e libertà economica, è da sempre chiamata ad esercitare premiando “l’effettività dell’azione sindacale” (Corte cost., n. 244/1996).
Inoltre, una siffatta interpretazione della portata della pronuncia della Corte risulterebbe non solo contraria all’esigenza di “un’interpretazione rigorosa della fattispecie dell’art. 19” (Corte cost., n. 244/1996) ma, a ben vedere, finirebbe per replicare, se pur in termini diversi, il meccanismo della rappresentatività riflessa abrogato dal referendum del 1995. Ciò in quanto, pur non coinvolgendo la rappresentanza confederale, quella interpretazione consentirebbe comunque ad un sindacato rappresentativo nel settore A, ma sostanzialmente assente nel settore B, di accogliere la costituzione di RSA in aziende operanti in entrambi i settori.
Più corretto, dunque, appare lo sforzo dell’interprete di delimitare il riferimento della Corte ai soli sindacati comparativamente più rappresentativi nell’ambito del settore ove opera il datore di lavoro presso il quale si intende costituire la RSA.
È vero che il concetto di settore può risultare, a sua volta, alquanto sfuggente per via di una certa confusione che sempre si manifesta quando, come è normale che sia nel sistema della contrattazione collettiva di diritto comune, non si registra l’univoca coincidenza tra l’ambito di applicazione di un determinato CCNL, la sua categoria professionale di riferimento e il settore merceologico, o categoria, ove opera l’impresa (che, talvolta, come noto, e ora bene certificato dall’ottimo e molto utile “file Excel CNEL Codici CCNL settore privato agg. 2025”, è incluso, in modo agevolmente verificabile, nel campo di applicazione di più CCNL).
Ma fermo restando che il concetto di settore o categoria è ampiamente utilizzato dalla giurisprudenza (Cass. n. 11199/2002; Cass. n. 9967/2007; n. 801/2012; n. 11650/2018; n. 12166/2019; n. 17107/2022), ed è sovente associato dal Legislatore proprio alla nozione di sindacato comparativamente più rappresentativo (a titolo meramente esemplificativo, art. 29, comma 1-bis, d.lgs. n. 276/2003; o, con riferimento alla categoria, l’art. 2, comma 25, l. n. 549/1995; l’art. 7, comma 4, del d.l. n. 248/2007, convertito, con modificazioni, in l. n. 31/2008; l’art. 47 l. n. 428/1990), proprio con l’obiettivo di circoscrivere e focalizzare il perimetro di quella comparazione, resta da evidenziare che per delimitare i sindacati comparabili sul piano nazionale ai fini dell’art. 19 St. lav. occorre misurare, o forse meglio “pesare”, la rappresentatività di sindacati che operano, concorrenzialmente, nel medesimo ambito produttivo.
Per fare ciò si dovrebbe considerare la rappresentatività che un determinato sindacato, a prescindere dall’essere firmatario o meno del contratto collettivo nazionale di lavoro, esprime tra i lavoratori occupati nelle imprese che svolgono la medesima attività merceologica. Imprese identificabili anche grazie all’attribuzione di un medesimo codice Ateco che il CNEL, nel sopra citato file Excel, ricollega ai codici identificativi dei diversi CCNL esistenti (anche segnalando, per ciascun contratto, numeri significativi per coglierne l’effettivo livello di diffusione).
6. La difficile adattabilità del meccanismo della comparazione della rappresentatività del sindacato all’art. 19 dello Statuto: la differente struttura delle disposizioni di legge orientate alla individuazione del contratto collettivo leader sulla base della maggiore rappresentatività comparativa dei suoi firmatari
Tutte le disposizioni citate dalla Corte per argomentare la razionalità del criterio selettivo prescelto per superare il vincolo della negoziazione del contratto collettivo applicato hanno una struttura intrinsecamente capace di valorizzare il criterio selettivo della rappresentatività comparativa. Ma quelle disposizioni, purtroppo, e lo stesso si potrebbe dire per gli esiti della elaborazione giurisprudenziale che seguendo Corte cost., n. 51/2015 ha replicato (ad esempio ai sensi dell’art. 36 Cost.) schemi analoghi anche in assenza di specifiche disposizioni legislative (ad esempio ai fini dell’’art. 36 Cost., n. 4951/2019; T.A.R. Lazio, n. 1522/2018 e n. 8865/2015; Cons. Stato, n. 537/2019; Cass., n. 4951/2019; Cass., n. 12166/2019), essendo orientate a selezionare un singolo contratto collettivo di riferimento tra una molteplicità di contratti disponibili, non sono affatto sovrapponibili alla struttura dell’art. 19 St. lav. che, senza alcun vincolo di numero chiuso, definisce quali sono le caratteristiche che devono possedere i sindacati per consentire la costituzione nel loro ambito di una RSA.
Mi spiego meglio.
Nell’art. 51 d.lgs. n. 81/2015 il riferimento alle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale serve per selezionare, tra più contratti collettivi, l’unico contratto collettivo legittimato a disciplinare certe materie rinviate dalla legge perché sottoscritto da sindacati che, comparativamente, sono più rappresentativi dei sindacati che hanno sottoscritto altri contratti collettivi esistenti o che, per altro verso, non hanno sottoscritto alcun accordo.
Anche l’art. 8 d.l. n. 138/2011 (convertito, con modificazioni, in l. n. 148/2011), fa riferimento alle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale per fare in modo che gli effetti speciali del contratto collettivo di prossimità siano prodotti solo da accordi che sono sottoscritti da sindacati che, nel loro ambito di riferimento, sono comparativamente più rappresentativi dei sindacati che hanno firmato altri accordi o che, per altro verso, non hanno sottoscritto alcun accordo.
Identica portata hanno le ulteriori disposizioni citate nella motivazione della Corte (art. 11, comma 1, d.lgs. n. 36/2023; art. 2, comma 2, lettera e), l. n. 76/2025), tutte orientate a comparare la rappresentatività dei sindacati per selezionare l’unico contratto collettivo, tra più contratti, legittimato dalla legge a produrre qualche specifico effetto ulteriore a quello che gli attribuisce il diritto comune dei contratti.
È dunque chiaro che in tutte le disposizioni citate dalla Corte per sostenere la razionalità del nuovo criterio selettivo per l’accesso alla legislazione di sostengo all’attività sindacale la valutazione comparativa della rappresentatività presuppone la predeterminazione dei soggetti da comparare (chi ha firmato il contratto A e il contratto B; ovvero chi ha firmato il contratto A e chi non ha firmato contratti pur essendo rappresentativi nel medesimo settore; ecc …) e, soprattutto, si risolve, all’esito della comparazione, nella individuazione di un solo vincitore: il contratto collettivo qualificato dalla maggiore rappresentatività comparata dei sindacati che lo hanno sottoscritto.
Chiedo perdono per la ripetizione, ma lo scopo di quelle disposizioni è individuare l’unico contratto che, qualificato dalla rappresentatività comparativa dei suoi firmatari, prevale, per gli effetti che di volta in volta la legge considera, sugli altri.
Orbene, se guardiamo l’art. 19 St. lav. il tema della predeterminazione dei soggetti da comparare può essere delimitato ove, come proposto, si intenda che ai sensi di quella disposizione la comparazione della rappresentatività deve riguardare i soli sindacati rappresentativi nel medesimo settore. Ma non altrettanto può dirsi per lo scopo della comparazione.
Ove l’art. 19 St. lav. prevedesse un numero massimo di RSA costituibili per unità produttiva il criterio, almeno in astratto, funzionerebbe allo stesso modo delle disposizioni citate dalla Corte e porterebbe, all’esito della comparazione, a legittimare, ai fini della occupazione degli spazi di costituzione di RSA disponibili, le organizzazioni effettivamente più rappresentative di quelle escluse. Ma visto che così non è, perché come ovvio non esiste alcun numero massimo di RSA che possono essere costituite in una unità produttiva, il criterio della rappresentatività comparata risulta alquanto difficile da utilizzare.
Ciò che viene da osservare è che ogni sindacato, anche se poco rappresentativo, può sempre essere comparativamente più rappresentativo di un altro. E in una valutazione di requisiti soggettivi che non si basa su un meccanismo di concorrenza ad excludendum non è affatto facile individuare la soglia che qualifichi le associazioni come comparativamente più, o meno, rappresentative. L’assenza di una soglia porterebbe al paradosso, davvero inaccettabile se si considera la funzione selettiva che l’art. 19 St. lav. deve continuare a esercitare, di considerare comparativamente più rappresentative tutte le associazioni più consistenti di quella meno rappresentativa, nel settore, rispetto alle altre.
7. Segue: il problema della selezione di sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale senza utilizzare il parametro della negoziazione o firma del CCNL applicato e/o del CCNL Leader
In verità, esistono altre disposizioni di legge, non citate dalla Corte, ma più facilmente assimilabili all’art. 19 St. lav., che fanno riferimento alla rappresentatività comparata dei sindacati non al fine di selezionare un determinato contratto collettivo ma con l’obiettivo, senza alcun numero chiuso, di individuare quali siano i sindacati titolari di determinati diritti.
Se guardiamo, ad esempio, ai diritti di informazione e consultazione la legge talvolta non considera la nozione di sindacato comparativamente più rappresentativo (art. 4 l. n. 223/1991) ma, in altri casi, la utilizza in via residuale per il solo caso di assenza di rappresentanze aziendali (art. 47 l. n. 428/1990). In altri casi ancora, se ne avvale pienamente. Ed infatti, ai sensi dell’art. 24 del d.lgs. n. 148/2015 “l'impresa che intende richiedere il trattamento straordinario di integrazione salariale” è tenuta ad inviare la comunicazione di apertura della procedura sindacale “alle rappresentanze sindacali aziendali o alla rappresentanza sindacale unitaria, nonché alle articolazioni territoriali delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale”.
Senonché, in disposizioni così strutturate, la concreta individuazione dei soggetti comparativamente più rappresentativi, e quindi titolati a ricevere l’informativa, finisce per fare leva, principalmente, se pur non esclusivamente, proprio sulla individuazione dei sindacati firmatari o comunque coinvolti nella negoziazione del contratto collettivo leader del settore ove opera l’azienda. Giacché sono proprio quelle le associazioni che, in modo più immediato, vengono identificate, in quel determinato settore, come associazioni comparativamente più rappresentative rispetto alle altre. Talvolta da sole e altre volte unitamente alle associazioni che hanno firmato il CCNL, diverso da quello leader, applicato dal datore di lavoro.
La correlazione tra firmatari del CCNL leader e sindacato comparativamente più rappresentativo nel settore non può essere un automatismo per il semplice fatto che il CCNL diventa leader per via della sommatoria della rappresentatività di tutti i soggetti (comprese associazioni datoriali) che lo firmano e ciò, come ovvio, implica che tra quei soggetti possa esistere anche una, più o meno ampia, differenza di forza rappresentativa. Senonché, pur non potendosi escludere che all’esito di un accertamento del caso specifico possano emergere soluzioni diverse, se in un determinato settore esistono tre CCNL, e solo uno di questi è il contratto leader, è piuttosto intuitivo che i soggetti che lo hanno negoziato e firmato possano, almeno presuntivamente, essere considerati quelli comparativamente più rappresentativi a livello nazionale e, quindi, siano i titolari del diritto ad essere informati ai sensi delle disposizioni ora citate.
Orbene, se è così, non può sfuggire che nel caso dell’art. 19 St. lav., come riscritto da Corte cost., 156/2025, questa metodologia di individuazione del sindacato comparativamente più rappresentativo non può funzionare con le medesime rassicuranti modalità per il semplice e ovvio fatto che, ai sensi di quella disposizione, sono in primo luogo effettivamente rappresentativi proprio i sindacati negoziatori e/o firmatari dei contratti applicati.
Ond’è che possono verificarsi due distinte casistiche.
La prima è che il CCNL concretamente applicato dal datore di lavoro non sia il contratto leader. In questo caso le RSA potranno essere costituite nell’ambito delle associazioni firmatarie del CCNL applicato e, con il nuovo criterio selettivo aggiunto dalla Corte, quantomeno anche di quelle firmatarie del CCNL leader. Ciò in quanto, fatti sempre salvi diversi risultati della concreta verifica indirizzata ad accertare la rappresentatività del singolo sindacato richiedente, si può, come dicevamo, in qualche modo presumere che siano comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
La seconda è che il CCNL applicato sia il contratto leader. In questo caso, dopo quest’ultima pronuncia della Corte, occorre dunque porsi il problema di capire se esistono ulteriori organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e ciò, a ben vedere, ci pone dinanzi a un problema alquanto nuovo.
Chiarito che la comparazione è riferita ai sindacati che operano nel medesimo settore, l’attuale assetto dell’art. 19 St. lav. ci impone infatti di considerare come si possa essere sindacati comparativamente più rappresentativi, sul piano nazionale, anche senza utilizzare il parametro della firma o negoziazione di un contratto collettivo nazionale leader.
Non è che fino a oggi questo problema non si ponesse, perché in effetti un sindacato ben rappresentativo sul piano nazionale, ma non firmatario del CCNL leader, certamente avrebbe potuto rivendicare ex lege il diritto ad essere informato della richiesta di attivazione del trattamento straordinario di integrazione salariale. Ma ora, con l’art. 19 St. lav. così come rielaborato dalla Corte, il problema si pone in una dimensione completamente diversa, e assai più significativa, che, forse, non abbiamo ancora gli strumenti per governare in piena sicurezza.
8. Qualche ipotesi di lavoro per la selezione di sindacati comparativamente più rappresentativi diversi da quelli che hanno negoziato il CCNL leader
Arrivo così al punto.
Ai sensi e per gli effetti dell’art. 19 St. lav., restano effettivamente rappresentativi, anzitutto, i sindacati che hanno sottoscritto o negoziato contratti collettivi effettivamente applicati nell’unità produttiva, siano essi contratti leader o no.
Ma dopo Corte cost., n. 156/2025 è altrettanto evidente che un sindacato, sempre ai sensi e per gli effetti dell’art. 19 St. lav., può essere comparativamente più rappresentativo sul piano nazionale (perché, ribadiamo, non basta esserlo solo a livello aziendale o territoriale), e quindi superare il criterio selettivo, anche senza aver negoziato i contratti collettivi applicati presso quella azienda.
Il problema, come detto, assume una difficoltà variegata a seconda che il CCNL applicato in azienda sia il CCNL leader oppure no perché in questo secondo caso, se abbiamo visto bene, è più facile da risolvere.
Rimaniamo sull’ipotesi più difficile, in cui il CCNL applicato in azienda è il CCNL leader e occorre verificare se un sindacato non firmatario è comparativamente più rappresentativo oppure no.
Se esistesse un dato di rappresentatività sindacale effettivamente misurato verrebbe da dire, usando la logica, che sono comparativamente più rappresentativi i sindacati che hanno un livello di rappresentatività almeno pari alla media di rappresentatività di tutti i sindacati presenti in un determinato settore. Ma, cambiando prospettiva, si potrebbe anche proporre di fissare la soglia in un valore almeno pari alla media di rappresentatività dei sindacati firmatari del contratto collettivo nazionale cosiddetto leader di quel determinato settore.
Le due ipotesi sono chiaramente diverse e non è facile argomentare quale sia la più corretta. Ma la questione non è poi così rilevante giacché, purtroppo, ad oggi non esistono ancora gli strumenti di misurazione indispensabili per consentire questo tipo di calcoli.
La rappresentatività del sindacato ancora non si misura. Se mi è consentita una metafora, si “pesa”, a mano, senza poter utilizzare una bilancia.
Utilizzando approcci alternativi a quelli della effettiva misurazione, necessariamente strutturati su una varietà di indicatori più o meno noti, ma certamente meno oggettivi, il calcolo del valore (o peso) della rappresentatività media di tutti sindacati presenti in un determinato settore appare poco affidabile e forse non seriamente percorribile. Probabilmente, non saremmo neanche in grado di sapere quali sono effettivamente tutti i sindacati che svolgono attività di rappresentanza in un determinato settore merceologico.
Più agevole, invece, sembra verificare se un determinato sindacato non firmatario di CCNL esprime una rappresentatività paragonabile a quella dei firmatari del CCNL leader, che almeno sono bene individuabili, facendo comparativamente ricorso ai noti, forse alquanto approssimativi, per questo definiti sintomatici, indicatori elaborati dalla prassi quali: a) la consistenza numerica degli associati delle singole organizzazioni (INL n. 2 del 2020); b) il numero dei contratti collettivi nazionali sottoscritti e/o partecipazione alla formazione e stipulazione dei contratti nazionali collettivi di lavoro (rispettivamente Interpello n. 25 del 2015, INL n. 2 del 2020); c) la diffusione territoriale (numero di sedi presenti sul territorio e ambiti settoriali) e/o ampiezza e diffusione delle strutture organizzative; (Interpello n. 25 del 2015, INL n. 2 del 2020); d) la partecipazione alla trattazione delle controversie di lavoro, individuali, plurime e collettive (INL n. 2 del 2020). Tali criteri sono richiamati anche dalla Autorità Nazionale Anticorruzione – ANAC nell’ultima nota illustrativa (Bando tipo n. 1/2023) relativa al nuovo codice degli appalti pubblici.
Fermo restando che l’indicatore di cui alla lettera a) potrebbe, anche da solo, funzionare in modo soddisfacente ove fosse possibile disporre dei numeri degli iscritti dei sindacati oggetto di comparazione, non sono affatto sicuro che questo approccio soddisfi “l’esigenza di oggettività del criterio legale di selezione” di cui, nel 1996, scriveva Luigi Mengoni.
Anzi, premesso che in caso di giudizio assumerà un ruolo centrale anche la ripartizione degli oneri probatori, e che ritengo dovrebbe spettare al sindacato che chiede di accedere alla legislazione di sostegno dimostrare in una prospettiva comparativa i requisiti di rappresentatività richiesti dall’art. 19 St. lav., è assai probabile una certa confusione. Non è da escludere che in una prima fase lo stesso sindacato venga qualificato da alcuni giudici come comparativamente più rappresentativo e, da altri, no.
9. Brevi notazioni finali
Ovviamente, per stare al caso concreto che ha portato il Tribunale di Modena a sollevare la questione di legittimità costituzionale, non è affatto detto che il sindacato rappresentativo in una determinata azienda, o in un determinato territorio, sia anche comparativamente più rappresentativo sul piano nazionale. Dalla sentenza si ricava che il sindacato era alquanto rappresentativo nella singola azienda ma ciò nulla dice sul fatto che sia anche un sindacato comparativamente più rappresentativo sul piano nazionale nel settore di riferimento di quel datore di lavoro. Questo è un accertamento che dovrà necessariamente completare il Tribunale ponendosi, se è corretto quello che ho scritto sin qui, anche un problema di comparazione di rappresentatività tra quel sindacato e le organizzazioni sindacali firmatarie del CCNL leader per quella tipologia di attività produttiva.
Ciò detto, tornando a considerazioni più generali, questo nuovo sistema di selezione dei sindacati legittimati ad accedere alla legislazione di sostegno allenta l’efficacia selettiva dell’art. 19 St. lav. e, se pur nel rispetto dei contenuti essenziali di entrambe, sposta il punto di equilibrio tra libertà sindacale e libertà economica a favore della prima. A ciò si aggiunga che, per via dell’assenza di dati sulla rappresentatività misurata (e aggiungerei anche di una legge sulla rappresentanza), quel criterio espone inevitabilmente la norma al rischio di un certo soggettivismo giudiziale con una ragionevole prospettiva di incremento dei contenziosi.
Inoltre, la novità introdotta dalla Corte potrebbe produrre effetti significativi anche sugli equilibri del sistema di relazioni industriali. In primo luogo, direi per la potenziale estensione dei diritti sindacali nei luoghi di lavoro a mondi più o meno ampi del sindacalismo autonomo. In secondo luogo, perché con questo nuovo art. 19 St. lav. un sindacato dotato di una adeguata rappresentatività potrebbe, ora, valutare conveniente rifiutare del tutto il confronto negoziale e strutturare il suo posizionamento solo nella logica del conflitto.
Infine, non è da trascurare, cambiando prospettiva di analisi, che il medesimo criterio selettivo introdotto da Corte cost., n. 156/2025 possa anche essere invocato dai sindacati comparativamente più rappresentativi, semmai perché firmatari del cosiddetto CCNL leader di un determinato settore, per invocare il diritto dei lavoratori a costituire nel loro ambito RSA anche nelle unità produttive ove, per qualsiasi ragione, dovesse trovare applicazione un contratto collettivo sottoscritto da soggetti diversi. Magari un contratto collettivo cosiddetto “pirata”.
Sono tutte prospettive complesse che in qualche modo potranno anche condizionare il lavoro degli interpreti, fermo che l’obiettivo, direi comune, dovrebbe anzitutto restare quello di stabilizzare quanto prima l’interpretazione di una disposizione, l’art. 19 St. lav., di rilevanza strategica.
A tal riguardo mi permetto solo di segnalare che l’ampliamento di diritti sindacali nei luoghi di lavoro non può non considerare anche i bisogni essenziali delle imprese che sono chiamate a riconoscerli (art. 16 CDFUE; art. 3, comma 3, TUE; art. 151, comma 2, TFUE; art. 41 Cost.), o se si preferisce il valore sociale dell’impresa (Corte cost., n. 99/2025), e che per la stessa Corte cost., n. 334/1988, la rappresentanza pluricategoriale è quella più coerente con il complessivo disegno cui è informata la Carta (artt. 2, 3, 39 Cost.).



