Sommario:
1. Introduzione
La sostenibilità dell'attività aziendale ha fatto irruzione prepotentemente nel dibattito delle scienze sociali, segnatamente di quelle economico-aziendali e giuridiche, a causa di cogenti e sempre più avvertite esigenze di rispetto delle norme ambientali, sociali e di governo societario tali da indurre il legislatore sovranazionale – e per discendenza quello nazionale – a introdurre obblighi di rendicontazione a carico delle aziende. Ma le politiche sostenibili – ovverosia riconducibili alle metriche ESG – prim'ancora degli interventi legislativi in punto di ampliamento degli obblighi di rendicontazione, hanno rappresentato uno dei temi avanguardistici della dottrina economico-aziendale. Questa, infatti, ha posto al centro dei propri interessi scientifici l'esame della relazione tra sostenibilità e andamento economico-reddituale – rintracciandovi una relazione generalmente positiva, seppur con intensità diverse a seconda della componente considerata – così da ampliare i tradizionali titoli confinari delle scienze aziendalistiche, che arretravano il raggio d'azione allo studio delle condizioni di equilibrio e non alle modalità di raggiungimento del medesimo.
A partire da queste considerazioni – eseguita una celere ricognizione delle principali evidenze empiriche, di fondamentale ausilio per il prosieguo di questo intervento – tenteremo di sintetizzare criticamente le principali posizioni emerse nel dibattito giuridico sulla veste da attribuire alle politiche sostenibili in rapporto alle attribuzioni dell'Organo amministrativo. In altri termini, ripercorreremo rapidamente le diverse posture assunte dai giuristi che hanno talvolta ritenuto che gli amministratori fossero onerati del dovere della sostenibilità – al netto degli obblighi di rendicontazione – e che talora, invece, hanno evidenziato come la sostenibilità non possa elevarsi al rango di attribuzione propria dell'Organo amministrativo.
Rilevata questa sorta di dualismo o di dicotomia tra obbligatorietà e facoltatività delle politiche sostenibili da parte dell'Organo amministrativo – le cui funzioni possono evidentemente essere interpretate più o meno estensivamente – offriremo il nostro contributo al dibattito attraverso considerazioni economico-aziendali.
In tal guisa, evidenzieremo celermente l'evoluzione della nozione di equilibrio economico e del ruolo svolto dall'azienda: se a questa era demandata la mera funzione di generazione del profitto e di congrua remunerazione degli azionisti, affinché potesse operare in condizioni di equilibrio economico, l'evoluzione degli studi economico-aziendali ha consentito di identificare l'azienda quale attore sociale nonché centro di sintesi e di composizione di interessi di plurima natura. Irrompono, pertanto, gli aspetti non finanziari della gestione aziendale – relativi ai fattori ESG – che connotano e integrano l'originaria nozione di equilibrio economico. Inoltre, le robuste evidenze empiriche emergenti dagli studi aziendalistici – che hanno rintracciato una relazione generalmente positiva tra la dimensione ESG e l'andamento economico-reddituale – consentono di identificare i suddetti fattori come leve del valore aziendale. Considerato che, con riguardo all'impresa lucrativa, la gestione aziendale deve essere orientata secondo la prospettiva giuridica ed aziendalistica, rispettivamente, almeno al perseguimento del tendenziale equilibrio tra ricavi e costi e alla creazione di valore, riteniamo che la sostenibilità rappresenti uno degli strumenti o una delle leve da azionare per raggiungere tali obiettivi.
La valvola di sfogo del nostro ragionamento è rappresentata, pertanto, dalla riconduzione della sostenibilità nell'ambito del perimetro operativo dei principi di corretta gestione societaria ex art. 2497 c.c., che, sebbene siano previsti dalla disciplina positiva per i gruppi societari, hanno portata applicativa generale.
2. La ricognizione della letteratura relativa al rapporto tra dimensione ESG e performance economica
L'attenzione delle aziende alla dimensione sostenibile – relativa al rispetto delle norme ambientali, sociali e alla cura degli assetti di governo societario quali elementi costituenti la dimensione ESG – ha rappresentato interesse di ricerca centrale e avanguardistico nella dottrina aziendalistica, antesignana della necessità di valutare l'equilibrio economico secondo un'ampia accezione terminologica e semantica. Si consideri, infatti, che, prim'ancora delle rilevanti innovazioni normative e regolamentari che hanno dilatato gli obblighi informativi o di rendicontazione aziendale, la dottrina aziendalistica nella sostenibilità vi aveva scorto un prospero filone di studi foriero di rilevanti implicazioni scientifiche e operative.
L'importanza della dimensione ESG è cresciuta sensibilmente negli ultimi decenni – vuoi per una maggiore e più diffusa cultura della sostenibilità, vuoi per il progresso degli studi economico-aziendali e giuridici – tanto da costituire tema sempre più centrale nelle scienze sociali. Lo sviluppo di una cultura aziendale più matura ha impresso una forte accelerazione all'evoluzione del ruolo e della funzione svolta dalle aziende, anche, e, soprattutto, di quelle lucrative od orientate al mercato, non più identificate esclusivamente come mere entità generatrici di profitti, bensì considerate quali centri di composizione di interessi di plurima origine e natura.
La nozione di equilibrio economico aziendale è stata interessata, pertanto, da una evidente dilatazione, come meglio verrà chiarito nel proseguo, tanto da non potersi più ridurre alla mera considerazione degli aspetti reddituali, patrimoniali e finanziari; l'equilibrio economico, in questa sua nuova e rinnovata veste, è da ricondursi all'equilibrio strategico complessivo, che, oltre ai suddetti aspetti, incorpora anche la dimensione non finanziaria aziendale [1]. Va da sé che l'azienda non opererebbe in condizioni di equilibrio economico, pur conseguendo soddisfacenti risultati reddituali, patrimoniali e finanziari, laddove trascurasse gli aspetti non finanziari della gestione: ad esempio, laddove violasse i diritti dei lavoratori o non rispettasse le norme poste a tutela dell'ambiente.
La dottrina economico-aziendale, a partire da questi precetti teoretici o finalistici, ha indagato in termini empirico-induttivi, quale tema avanguardistico, se e come l'impegno aziendale sul versante ambientale, sociale e di governo societario potesse riverberarsi sull'andamento economico e di mercato. L'impostazione di questo tema di ricerca, sul piano operativo, ha postulato l'individuazione delle misure alle quali fare riferimento: con riguardo alla prima, è stato considerato il rating ESG, mentre la seconda è stata valutata tramite taluni indicatori di bilancio, quali il ROE, il ROA, la Q di Tobin e il P/E [2]. Tali indagini empirico-induttive – eseguite con metodi quantitativi, segnatamente attraverso regressioni lineari multiple – hanno cercato di rintracciare se e come il suddetto rating ESG fosse correlato ai summenzionati indicatori di bilancio. La poderosa letteratura sviluppatasi ha rilevato risultati talvolta convergenti, talora divergenti, talaltra incerti o di difficile interpretazione. A tal proposito, in un'ottica di sistematizzazione o di semplificazione dei risultati ottenuti, è di particolare interesse e ausilio una c.d. metanalisi che ha preso in considerazione un campione di circa 2000 ricerche empiriche i cui risultati sono stati pubblicati tra il 1970 e il 2014 [3]. Ebbene, tale studio, che assurge a una sorta di portolano o di bussola per orientarsi nella copiosa letteratura in materia, ha concluso che in circa il 90% degli studi costituenti il campione esaminato è emersa una relazione non negativa tra il rating ESG e i suddetti indicatori di bilancio. Più precisamente, è stata riscontrata – relativamente al 63% circa degli studi facenti parte del campione – la positività della suddetta relazione; è stato accertato, pertanto, che le politiche di sostenibilità sono in grado di azionare la crescita dei suddetti indicatori di bilancio tanto da assurgere a vere e proprie leve del valore aziendale.
La relazione tra la dimensione non finanziaria e gli indici di bilancio summenzionati è stata studiata, con riguardo alla prima, sia in termini generali sia con riferimento a ciascuna componente della dimensione ESG per isolare e apprezzare partitamente il contributo di ogni elemento all'andamento economico e di mercato aziendale. Ebbene, tale metanalisi – eseguita su circa duemila studi empirici – ha concluso che:
i) la variabile Environmental “E” presenta una correlazione generalmente positiva con i suddetti indicatori nella maggior parte degli studi analizzati nel campione. In particolare, la positività e la negatività di tale relazione sono emerse, rispettivamente, nel 58,7% e nel 4,3% dei casi;
ii) la variabile Social “S” è correlata positivamente all'andamento economico positiva nel 55,1% dei casi, mentre nel 5,1% dei casi è emersa una correlazione negativa;
iv) la variabile Governance “G” presenta una correlazione positiva e negativa, rispettivamente, nel 62,3% e nel 9,2% dei casi.
È emerso, pertanto, che le variabili G e S presentano, rispettivamente, le relazioni più forti, in termini positivi, con i suddetti indici di bilancio; la variabile E, invece, si colloca in una posizione intermedia [4]. Il governo societario è, pertanto, la variabile maggiormente impattante sulla redditività aziendale e sull'andamento di mercato tanto da palesarsi, più delle altre due variabili della dimensione ESG, quale vera e propria leva del valore aziendale. È emerso, in particolare, che la presenza di (i) amministratori indipendenti, (ii) la diversità di genere, (iii) la separazione dei ruoli di presidente del C.d.a. e di amministratore delegato (c.d. ceo duality) e (iv) la dimensione dell'organo amministrativo sono elementi decisivi affinché la governance societaria possa esplicare effetti positivi sull'andamento reddituale e di mercato aziendale [5]. È opportuno rilevare, infine, che la centralità della c.d. corporate governance – emersa anche a seguito di taluni importanti dissesti e della crisi economico-finanziaria internazionale del 2008 – può essere apprezzata vuoi con riguardo alla qualità, alla quantità e all'affidabilità dell'informazione esterna aziendale, vuoi con riferimento alla necessità di predisporre efficienti presìdi di governo societario, anche, e, soprattutto, in un'ottica di affidabilità dei dati contabili comunicati al mercato [6].
In forza di queste evidenze empiriche, tenteremo di innestare nel dibattito dottrinale giuridico – sulla natura obbligatoria o facoltativa delle politiche sostenibili – talune considerazioni economico-aziendali utili alla chiarificazione del ruolo svolto dall'organo amministrativo in merito al tema complesso della sostenibilità.
3. La sostenibilità (tra dovere e facoltà dell'organo amministrativo) quale possibile leva del valore aziendale
Il dibattito dottrinario giuridico si è concentrato sulla veste da adagiare indosso alle politiche sostenibili – ovverosia aderenti alle metriche ESG – in punto di obbligatorietà o di facoltatività delle stesse, al netto evidentemente delle prescrizioni normative in punto di rendicontazione esterna d'impresa. In altri termini, la riconduzione delle politiche sostenibili all'interno o all'esterno del perimetro di operatività dell'organo amministrativo ha rappresentato il fulcro attorno al quale è ruotato il dibattito dottrinario giuridico. La risposta al quesito ha portata rilevantissima, sia sul piano teoretico-finalistico ma anche, e, soprattutto, sul piano effettuale; presuppone la chiarificazione a monte del fine e del ruolo svolto dall'azienda, quale sistema aperto che interagisce con l'ambiente di riferimento nel quale opera e centro di sintesi di interessi – non sempre convergenti – di plurima natura.
Ciò premesso, è opportuno rilevare che una parte della dottrina ha avvalorato l'ipotesi della necessaria attribuzione all'organo amministrativo del dovere di attuazione delle politiche sostenibili. A tal proposito, è stato rilevato che «la punta più avanzata del movimento di riforma del diritto dell'impresa, nella direzione dell'affermazione di un principio di gestione sostenibile, può essere vista nelle iniziative assunte, negli ultimi due anni, dagli organi di vertice dell'Unione Europea» [7]. In tal guisa, la responsabilità sociale dell'impresa è universalmente riconosciuta e accettata e l'apparato normativo-regolamentare è improntato alla valorizzazione delle politiche sostenibili [8]. È, infatti, percezione ormai diffusa che la responsabilità sociale sia intrinseca all'attività aziendale – che si interseca, in una sorta di rapporto osmotico, con il fine della massimizzazione del valore per gli azionisti – nel solco dei precetti costituzionali. Basti riferirsi, infatti, ai commi 2 artt. 9 e 41 Cost. in base ai quali, rispettivamente, «[La Repubblica] tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione» e «[l'iniziativa economica] non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» [9]. È stato rilevato – oltre alla cornice costituzionale all'interno della quale ricondurre l'attuazione delle politiche sostenibili – che l'elevazione di quest'ultime al rango di doveri dell'organo amministrativo sarebbe legittimata anche dalla necessità di proteggere il paradigma della continuità aziendale da potenziali rischi di natura non finanziaria. La sostenibilità, secondo questa prospettazione, permeerebbe la gestione societaria e imporrebbe agli amministratori la gestione e la mitigazione del rischio non finanziario, potenzialmente lesivo del paradigma della continuità aziendale [10].
Vi sono, tuttavia, anche opinioni diverse, che deviano dalla tesi ora esposta facendo leva su valutazioni che intersecano aspetti giuridici ed economico-aziendali con una particolare attenzione all'efficienza economica [11]. È stato evidenziato, infatti, che l'accentuazione dell'importanza del paradigma della sostenibilità potrebbe riverberarsi negativamente – a causa dei rilevanti costi sostenuti – sulla massimizzazione del profitto. È necessario, pertanto, ricondurre le politiche sostenibili in un alveo di ragionevolezza, attraverso una significativa sfumatura degli entusiasmi emersi anche nel dibattito dottrinario, cosicché sia possibile realizzare un'adeguata sintesi tra interessi diversi e non sempre convergenti. Questo differente approccio conduce a considerare l'impresa non più gravata dell'onere di attuare politiche sostenibili, bensì responsabile solo degli effetti negativi derivanti dall'esercizio delle attività svolte; in altre parole, la responsabilità sociale dell'impresa vede restringersi significativamente il perimetro di estensione, sì da potersi interpretare in termini non più proattivi – di necessaria iniziativa – bensì, che dir si voglia, reattivi – volti alla riparazione delle eventuali esternalità negative o anticipatori, ma limitati alla prevenzione delle stesse.
Va da sé che questa prospettiva diverge sensibilmente da quella dianzi esposta, che, come appena rammentato, attribuiva all'organo amministrativo un ruolo (pro)attivo nell'attuazione delle politiche sostenibili; tale divergenza consterebbe proprio in una diversa interpretazione del ruolo svolto in tal senso dall'organo amministrativo non più onerato di una funzione di iniziativa o propositiva, ma solo di prevenire e, eventualmente, di rimediare ai guasti esterni prodotti dall'attività d'impresa.
Questa tesi si giova, inoltre, del possibile conflitto interno agli obiettivi di sostenibilità tale da rendere difficoltosa una sorta di gerarchizzazione: si pensi, in prima battuta, alle esternalità ambientali negative derivanti da talune attività aziendali dal cui arresto scaturirebbero effetti ambientali positivi, ma negativi sul piano occupazionale. La tutela dell'ambiente e dei diritti sociali dei lavoratori, che, come in questo caso, potrebbero entrare in rotta di collisione, dovrebbe esulare dal perimetro di operatività aziendale, bensì dovrebbe essere ricondotta nell'alveo dei Pubblici poteri, sovente sovranazionali, investiti dell'esclusiva o quantomeno della precipua responsabilità di comporre simili conflitti o di prevenirli.
Emerge, pertanto, una sorta di dualismo o di dicotomia tra (pro)attività e reattività, tra azione e (re)azione, tra iniziativa e riparazione, che si concreta nella diversa interpretazione della sostenibilità tra facoltà o dovere dell'organo amministrativo.
A partire da queste considerazioni, volte a delineare il perimetro all'interno del quale si è svolto il dibattito dottrinario giuridico, tentiamo di apportare il nostro contributo attraverso considerazioni economico-aziendali posizionate proprio in questa sorta di intercapedine determinata dalla presenza di due tesi dicotomiche.
La dottrina aziendalistica ha rilevato, in una prima fase, come la generazione del profitto fosse condizione sufficiente perché l'impresa operasse, giustappunto, in equilibrio economico [12]. È stato altresì evidenziato, sulla stessa lunghezza d'onda, che l'unico scopo dell'impresa doveva essere rintracciato nella remunerazione dell'investimento degli azionisti senza che questa fosse gravata di alcuna responsabilità sociale [13].
Lo sviluppo di una cultura economico-aziendale più matura e consapevole del ruolo svolto dall'azienda ha consentito di mutare questa originaria impostazione, nella consapevolezza che il raggiungimento dell'equilibrio economico comprende anche il c.d. equilibrio strategico – che si estende oltre gli aspetti reddituali, finanziari e patrimoniali – nell'ambito del quale posizionare tutti gli elementi relativi agli aspetti non finanziari dell'attività aziendale ricondotti nelle metriche ESG [14]. Alla base di questa sorta di cambio di paradigma vi è, pertanto, la consapevolezza e la convinzione profonde che il reddito è misura inidonea alla rappresentazione dell'equilibrio o del disequilibrio aziendale [15].
È emersa, pertanto, la necessità di esaminare le modalità di generazione del profitto, ampliando l'angolo visuale che vedeva nella produzione di un reddito positivo l'assolvimento completo delle funzioni demandate all'azienda. Quest'ultima, secondo tale prospettazione, non opererebbe in condizioni di equilibrio economico laddove le modalità di generazione del reddito non fossero rispettose delle istanze provenienti dai c.d. stakeholders, ovverosia violative delle norme ambientali e sociali nonché divergenti dalle norme e dalle buone prassi di governo societario [16].
Premesso che l'evoluzione degli studi economico-aziendali ha ampliato la nozione di equilibrio economico – riconducendovi anche gli aspetti non finanziari della gestione, relativi alla dimensione ESG – è opportuno evidenziare i risultati degli studi empirici che hanno esaminato la relazione tra sostenibilità e andamento economico-reddituale aziendale. Orientarsi a favore dell'una o dell'altra tesi – relative all'obbligatorietà o alla facoltatività dell'attuazione delle politiche sostenibili da parte dell'organo amministrativo – presuppone a nostro avviso proprio il riferimento agli esiti dei suddetti studi, sintetizzati nel precedente paragrafo. Basti solo rammentare, in questa sede, che, nella maggior parte dei casi è emersa una relazione generalmente positiva tra l'andamento non finanziario aziendale, misurato dal rating ESG, e la performance economica e di mercato, misurata da taluni indicatori quali ROE, ROA, Q ratio e P/E. L'ottenimento di risultati significativi sul versante non finanziario è correlato positivamente, pertanto, ai suddetti indicatori di bilancio [17].
Si consideri, a tal proposito, che, anche dalla prospettiva giuridica, secondo la tesi oggi prevalente, l'attività d'impresa deve essere connotata dal criterio economico, ovverosia almeno dalla tendenziale copertura dei costi con i ricavi [18]. La gestione dell'impresa commerciale secondo il c.d. criterio economico – che consiste quanto meno dalla tendenziale copertura dei costi attraverso i ricavi, anche se non necessariamente riconducibile alla generazione del profitto – è da considerarsi una delle articolazioni o delle declinazioni operative del dovere di corretta gestione societaria e di razionalità economica sancito dall'art. 2497 c.c. Non sarebbe ipotizzabile, infatti, una gestione economicamente corretta e razionale senza che l'azione amministrativa fosse caratterizzata almeno dal tendenziale equilibrio tra componenti positivi e negativi di reddito e, successivamente, dall'ampliamento di tale differenziale volto alla generazione di un avanzo ripartibile tra i soci.
Se dalla prospettiva giuridica la gestione aziendale deve essere connotata almeno dal criterio economico, da quella economico-aziendale l'azione amministrativa deve essere orientata alla c.d. creazione di valore.
È opportuno precisare, alla luce di quanto appena illustrato, che i suddetti principi di corretta gestione societaria – sebbene siano dettati dalla disciplina civilistica esplicitamente per i gruppi societari – hanno portata o valenza applicativa generale o, come si suole dire, urbi et orbi; principi che, evidentemente, devono permeare e orientare l'azione amministrativa [19].
L'attuazione di politiche sostenibili, ovverosia aderenti alle metriche ESG, in forza delle robuste evidenze empiriche quivi richiamate, in termini di effetti positivi sulla redditività aziendale, appare a nostro avviso una delle declinazioni operative del principio di corretta gestione societaria. La tesi da noi sostenuta si giova, pertanto, del contributo all'economicità della gestione e alla creazione di valore, apportato dai fattori ESG.
Si consideri, inoltre, che la mitigazione dei rischi non finanziari, in una più ampia gestione complessiva del rischio, si innesta nell'ambito della corretta e responsabile amministrazione aziendale, anche, e, soprattutto, per la prevenzione e per la gestione della crisi [20]. È noto, infatti, che gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili previsti dall'art. 2086 c.c. – in un'ottica preventiva e anticipatoria della crisi – devono consentire il monitoraggio e l'intercettazione tempestiva anche dei rischi non finanziari, che sovente contribuiscono alla perdita del paradigma della continuità aziendale.
Riteniamo, all'epilogo di questo paragrafo, che la sostenibilità dell'attività aziendale possa considerarsi – muovendo dalle robuste evidenze empiriche – un'articolazione del dovere di corretta gestione societaria e di razionalità economica previsto dall'art. 2497 c.c. L'attuazione di politiche attente agli aspetti ambientali, sociali e delle norme e prassi di governo societario può ritenersi, in base a quanto precede, una delle c.d. leve del valore aziendale tale da contribuire al miglioramento della redditività e dell'andamento di mercato.
4. Conclusioni
La sostenibilità, sebbene sia stata a lungo un tema di interesse per imprese, mercati e istituzioni internazionali, ha recentemente beneficiato di una forte accelerazione per effetto dei numerosi e significativi cambiamenti normativi a livello europeo. In particolare, la Direttiva sull'informativa non finanziaria [21] ha introdotto obblighi per le grandi aziende riguardo alla gestione dei rischi ambientali e sociali, rendendo la sostenibilità una componente essenziale delle strategie aziendali e una responsabilità fondamentale per l'organo amministrativo. Parallelamente, la Direttiva sui diritti degli azionisti ha spinto le società a sviluppare politiche di remunerazione che supportino gli interessi a lungo termine e la sostenibilità.
Come noto, in Italia, un importante impulso alla sostenibilità è derivato dall'evoluzione dell'autodisciplina delle società quotate. La nuova versione del Codice di Corporate Governance del 2020 [22] ha stabilito che l'obiettivo da perseguire per il Consiglio di amministrazione è la creazione di valore per gli azionisti nel lungo periodo, definendo il “successo sostenibile”. Inoltre, il dialogo con gli stakeholder è stato identificato come un elemento centrale per lo sviluppo di un'impresa sostenibile. Questo cambiamento spinge le aziende a prendersi maggiori responsabilità nella riduzione dell'impatto negativo delle loro attività sull'ambiente e sulla società, influenzando profondamente il ruolo del Consiglio di amministrazione e le decisioni strategiche. La funzione dell'organo amministrativo, nell'era della sostenibilità, diventa quindi quella di armonizzare e integrare diversi interessi al fine di perseguire l'interesse sociale.
La crescente importanza dei profili di sostenibilità socio-ambientale impone un inevitabile ampliamento degli interessi e dei rischi che l'organo amministrativo deve considerare, valutare e integrare nella governance e nelle strategie aziendali. Questo si traduce in diverse implicazioni:
i) un ampliamento del perimetro di analisi della materialità e di mappatura dei rischi, che influisce direttamente sulla responsabilità dell'organo durante l'esame del piano industriale e nella definizione e valutazione del sistema di controllo interno e gestione dei rischi;
ii) l'integrazione dei profili di sostenibilità nei piani strategici e industriali;
iii) la necessità di identificare, gestire e prevenire i rischi ambientali e sociali;
iv) la considerazione degli aspetti socio-ambientali anche nella gestione quotidiana delle operazioni aziendali.
Fermo quanto precede – in termini di ampliamento delle funzioni e delle attribuzioni dell'Organo amministrativo – riteniamo opportuno evidenziare, in conclusione di questo nostro intervento, che l'attuazione di politiche sostenibili è una delle c.d. leve del valore aziendale, considerate le robuste evidenze empiriche che hanno accertato una forte relazione positiva, giustappunto, tra i fattori ESG e l'andamento economico-reddituale delle imprese. L'attenzione a tali fattori rappresenterebbe, pertanto, nelle imprese orientate al mercato, in forza della relazione positiva con l'andamento economico-reddituale, una manifestazione del dovere di corretta gestione societaria e di razionalità economica sancito dall'art. 2497 c.c., che, sebbene sia previsto per la disciplina dei gruppi, esplica i suoi effetti urbi et orbi.
Il necessario perseguimento dell'obiettivo della creazione di valore si interseca, pertanto, con l'attuazione delle politiche sostenibili e lo sviluppo delle metriche ESG in una sorta di rapporto osmotico, sì da intessere una trama unitaria in cui redditività e sostenibilità si intersecano e si sovrappongono in uno spazio comune privo di titoli confinari divisivi delle rispettive aree di competenza. Questa osmosi e intersecazione aderisce plasticamente alle moderne funzioni aziendali e dei relativi organi gestori, che, come appena rilevato, devono realizzare una sintesi adeguata tra gli interessi di cui è portatrice la costellazione di soggetti che ruotano attorno all'azienda.
Riferimenti bibliografici:
[1] E. CAVALIERI-R. FERRARIS FRANCESCHI, Economia Aziendale, I, Attività aziendale e processi produttivi, IV ed., Torino, 2010.
[2] Per approfondimenti sugli indici di bilancio, v. tra i tanti, senza ovviamente pretesa alcuna di esaustività, C. CARAMIELLO-F. DI LAZZARO-G. FIORI, Indici di bilancio. Strumenti per l'analisi della gestione aziendale, Giuffrè, Milano, 2003; G. FERRERO-F. DEZZANI-P. PISONI-L. PUDDU, Analisi di bilancioe rendiconti finanziari, Giuffrè, Milano, 2006; O. PAGANELLI, Analisi di bilancio. Indici e flussi, Torino, 1965; U. SÒSTERO-P. FERRARESE-M. MANCIN-C. MARCON, L'analisi economico-finanziaria di bilancio, III ed., Giuffrè, Milano, 2018; C. TEODORI, Analisi di bilancio. Lettura e interpretazione, III ed., Torino, 2017.
[3] G. FRIEDE-T. BUSCH-A. BASSEN, ESG and financial performance: aggregated evidence from more than 2000 empirical studies, in Journal of Sustainable Finance & Investment, vol. 5, No. 4/2015, 210-233.
[4] G. FRIEDE-T. BUSCH-A. BASSEN, ESG and financial performance, op. cit.
[5] V. NACITI, Corporate governance and board of directors: The effect of a board composition on firm sustainability performance, in Journal of Cleaner Production, vol. 237, 2019.
[6] M. MAGNAN-G. MARKARIAN, Accounting, governance and the Crisis: Is risk the missing link? In European Accounting Review, vol. 20, 2011 – Issue 2, 215-231.
[7] M. LIBERTINI, Gestione “sostenibile” delle imprese e limiti alla discrezionalità imprenditoriale, in Contratto e impresa, 2023, 63.
[8] Id., Gestione “sostenibile", op. cit., 63.
[9] N. ABRIANI, La corporate Governance responsabile e sostenibile, in Riv. Corp. Gov., 1/2022; S.A. CERRATO, Appunti per una “via italiana” all'ESG: l'impresa “costituzionalmente solidale” (anche alla luce dei “nuovi” artt. 9 e 41, comma 3, Cost.), in Analisi Giuridica dell'Economia, 1/2022.
[10] V. CARIELLO, Per un diritto costituzionale della sostenibilità (oltre la “sostenibilità ambientale”), in Rivista Orizz. Dir. Comm., 2022, 424 ss.
[11] F. FIMMANÒ, Art. 41 della Costituzione e valori ESG: esiste davvero una responsabilità sociale dell'impresa? in atti del XIV Convegno Annuale “Imprese, Mercati e Sostenibilità: nuove sfide per il Diritto commerciale” Roma, 26-27 maggio 2023; C. AMATUCCI, Responsabilità sociale dell'impresa e nuovi obblighi degli amministratori. La giusta via di alcuni legislatori, in Giur. comm., 2022, 624.
[12]A. Amaduzzi, Di una teoria delle condizioni di equilibrio economico, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, 1948.
[13] K. PALMER-W.E. OATES-P.R. PORTEY, Tightening environmental standards: the benefit-cost or the no-cost paradigm? in Journal of Economic Perspectives, 1995; M. FRIEDMAN, The Social Responsibility of Business is to Increase its Profits, in New York Times Magazine, 1970.
[14] Sulla nozione di equilibrio economico e sulle relative componenti, v. E. CAVALIERI, Le nuove dimensioni dell'equilibrio aziendale. Contributo alla rivisitazione della teoria, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, 3-4/2010, 132. L'A. rileva che nella suddetta nozione sono compresi l'equilibrio finanziario, l'equilibrio monetario e l'equilibrio strategico complessivo. Con riferimento ai primi due, per un'esaustiva e puntuale disamina degli aspetti finanziari della gestione, v. F. PAOLONE, Il rendiconto finanziario. Aspetti dottrinali, normativi e gestionali, Milano, 2019.
[15] Sul punto v. E. GIANNESSI, Le aziende di produzione originaria, I, Le aziende agricole, Cursi, Pisa, 1960. L.'A. rileva che «il reddito di periodo non è idoneo a rappresentare lo stato di equilibrio dell'azienda; può essere uno degli elementi del giudizio, ma non l'unico ed assoluto elemento di giudizio», cit., 74. Secondo l'A. è necessario il raggiungimento dell'equilibrio economico “a valere nel tempo”. Ancora «[…] le condizioni di questo sviluppo (delle imprese) sono assai più complesse della massimizzazione del saggio del profitto o – almeno di una massimizzazione intesa in sistematica contrapposizione al meglio economico di quanti – oltre ai beneficiari del profitto – concorrono alla vita dell'impresa: dai lavoratori ai consumatori. Profitti, autofinanziamenti, salari, prezzi non sono quantità fra loro indipendenti)». Ancora, G. ZAPPA, Aziende di consumo, Giuffrè, Milano, 1962. L'A. rileva che «[…] l'efficienza economica e l'efficienza sociale non dovrebbero mai procedere con metodi e per fini contrastanti, non tanto difformi da addurre a risultati non compatibili e non riducibili ad unità d'insieme», cit., 677. V. anche R. CAFFERATA, Management in adattamento. Tra razionalità economica e imperfezione dei sistemi, Il Mulino, Bologna, 2009. L'A. rileva che «l'equilibrio aziendale non va inteso meramente come un fatto di bilancio», 180.
[16] E. CAVALIERI-R. FERRARIS FRANCESCHI, Economia Aziendale, I, Attività aziendale e processi produttivi, IV ed., Giappichelli, Torino, 2010. Sulle modalità di creazione di valore M. CAVALIERI, Finalità e governance nelle imprese. Considerazioni critiche sulle modalità di creazione del valore, Giappichelli editore, Torino, 2009, 44. Con riguardo all'equazione dell'equilibrio economico – relativa esclusivamente alla giustapposizione tra costi e ricavi misurati da variazioni finanziarie – v. R. COPPA, Significatività dell'equazione economica e del bilancio di esercizio nell'impresa di oggi, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, 1979, n. 9/10. L'A. ha sviluppato alcune considerazioni critiche relative ad alcune categorie di c.d. costi sociali, sovente trascurati o sottovalutati, riconducibili alle condizioni di lavoro ed agli effetti ambientali, nonché alla significatività dei prezzi di mercato al tempo condizionati da importanti interventi di politica economica.
[17] G. FRIEDE-T. BUSCH-A. BASSEN, ESG and financial performance, op. cit., 2015.
[18] In tal senso, tra i tanti, F. GALGANO, L'imprenditore, in AA.VV., L'impresa, Padova, 1978, 52 ss.
[19] Si consideri, infatti, che sebbene «espressamente contemplati solo dalla norma che sancisce la responsabilità della società che esercita attività di direzione e coordinamento (art. 2497 c.c.), i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale sono comunemente eretti a parametro generale di comportamento degli amministratori di S.p.a. e di s.r.l., imponendo di adottare le decisioni funzionali al perseguimento dell'oggetto sociale compatibilmente con criteri di razionalità ed efficienza economica che prescrivono la programmazione e la pianificazione industriale e finanziaria delle attività necessarie al raggiungimento e alla conservazione dell'equilibrio economico e patrimoniale dell'impresa», cit. S. MASTURZI, Le misure di prevenzione della crisi e i controlli nel sistema dell'allerta, in Riv. dir. fall., 2/2020, 1081-1082. Sul punto si veda il contributo di C. ANGELICI, Le società per azioni. Principi e problemi, in Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, 2012, 390 ss. L'Autore fa riferimento al «dovere di assicurare le condizioni per la salvaguardia e l'efficienza dell'attività imprenditoriale della società». Ancora, si consideri che «il richiamo alla corretta amministrazione ha […] un suo proprio e autonomo contenuto precettivo ricavabile attraverso modelli di condotta già consolidati dall'esperienza; a standards ricavabili dalla prassi e da altre scienze, quali l'economia aziendale». Così M. IRRERA, Gli obblighi degli amministratori di società per azioni tra vecchie e nuove clausole generali, in RDS, 2/2011, 361-362.
[20] O. CAGNASSO, PMI e sostenibilità alla luce dei fattori ESG, in Riv. Corp. Gov., 2023, 1; S. PACCHI, Sostenibilità, fattori ESG e crisi d'impresa, in Ristrutturazioni aziendali, 2023; Id., La gestione sostenibile della crisi d'impresa, in Ristrutturazioni aziendali, 2022; G. D'ATTORRE, La responsabilità sociale dell'impresa insolvente, in Riv. dir. civ., 2021, 60 ss.; Id., Sostenibilità e responsabilità sociale nella crisi d'impresa, in dirittodellacrisi.it, 13 aprile 2021.
[21] Si fa riferimento alla direttiva (UE) 2022/2464 sul nuovo obbligo di rendicontazione in materia di sostenibilità che sostituisce la direttiva sulle informazioni non finanziarie ampliandone sia l'ambito di applicazione, sia il contenuto delle informazioni da fornire
[22] Il Comitato per la Corporate Governance è stato costituito, nell'attuale configurazione, nel giugno del 2011 ad opera delle Associazioni di impresa (ABI, ANIA, Assonime, Confindustria), Borsa Italiana S.p.A. e l'Associazione degli investitori professionali (Assogestioni). Il Comitato ha quale scopo istituzionale la promozione del buon governo societario delle società italiane quotate.
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