Editoriali

Società e concorrenza 26.02.2025

Appunti sul ruolo del capitale sociale fra presente e futuro

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1. La nascita del capitale sociale

Nell'immaginare il futuro (delle regole sul) capitale sociale, l'analisi non può che essere inizialmente storica, per evidenziare la tendenza della relativa disciplina, al pari di come un economista francese, Jacques Attali, ha analizzato le possibili evoluzioni del mondo, partendo da un'analisi storica delle tendenze in atto, per prevedere una sequenza di fasi. Pertanto, come si prevede che l'egemonia degli Stati Uniti potrà terminare, occorre verificare se l'egemonia del capitale nella disciplina delle società di capitale possa avere una sua fine.

La prima disciplina organica della società per azioni in Italia si trova nel Codice di Commercio del 1865, ispirato al modello francese. Il Codice di Commercio Napoleonico (1807) formalizzava, infatti, la figura della società anonima, anticipando il modello moderno di s.p.a. Invero, le prime forme embrionali di società anonime, come noto, si fanno risalire alle Compagnie delle Indie (XVI-XVII secolo): tra le prime società con capitale frazionato ci sono la Compagnia Olandese delle Indie Orientali (1602) e la Compagnia Inglese delle Indie Orientali (1600). Queste imprese avevano azioni negoziabili e limitavano la responsabilità dei soci, segnando un precedente per le moderne s.p.a.

Nel Codice di Commercio del 1865, l'art. 129 stabiliva che “la società anonima si forma mediante riunione di capitali”. In forza dell'art. 135, “per la costituzione della società è necessario che sia sottoscritto per quattro quinti il capitale sociale, e versato in danaro da ciascun socio il decimo almeno del montare delle azioni da lui sottoscritto, sempreché non sia stabilito il versamento di una quota maggiore nel decreto di autorizzazione della società”. L'art. 142 prevedeva le conseguenze in caso di perdite, per cui “quando gli amministratori riconoscano che il capitale sociale è diminuito della metà, devono convocare gli azionisti per interrogarli se intendano sciogliere la società”. Con una disposizione simile a quella attuale del codice italiano,era stabilito che “quando la diminuzione giunga ai due terzi del capitale, lo scioglimento ha luogo di diritto se gli azionisti non preferiscono reintegrarlo o limitare il fondo sociale al capitale rimanente, purché̀ questo basti a conseguire lo scopo della società”. 

Il Codice di Commercio del 1882 ha confermato il concetto di capitale sociale come elemento essenziale per le società di capitali, in particolare per le società anonime (le antenate delle attuali s.p.a.), con due principali funzioni:

a) garanzia per i creditori, per cui il capitale sociale rappresenta l'importo che i soci si impegnavano a versare per la costituzione della società, garantendo una base patrimoniale minima;

b) base per l'organizzazione societaria, per cui il capitale sociale serve a definire la misura della partecipazione dei soci e dei loro diritti economici e di voto.

Con il Codice Civile del 1942, il capitale sociale è riconfermato come requisito fondamentale per le società per azioni (art. 2327 c.c.), per le società in accomandita per azioni e per le società a responsabilità limitata (art. 2464 c.c.), introdotte in Italia per la prima volta. Questa normativa consolidò la funzione del capitale sociale, con poche ma essenziali norme per le società di persone e con una disciplina più consistente e rigida per le società di capitali.

 

2. Un veloce sguardo nel mondo 

Il capitale sociale è un elemento cardine nelle società di capitali anche di molti ordinamenti giuridici, ma il suo ruolo e la sua disciplina variano in base al contesto normativo e culturale. Nel Regno Unito, il capitale sociale è previsto per le società per azioni (Public Limited Company - PLC) e può essere richiesto anche per alcune società a responsabilità limitata (Private Limited Company - Ltd), ma il focus si è spostato sulla solvibilità.      

Negli Stati Uniti, sebbene il capitale sociale non sia obbligatorio nella maggior parte degli stati, alcune società possono indicarlo negli atti costitutivi come strumento di organizzazione interna. Tuttavia, non ha la stessa funzione di garanzia che si trova negli ordinamenti europei simili al nostro (ad esempio, in Germania, Francia, Spagna). Pure in Canada il capitale sociale non è obbligatorio per tutte le società, ma può essere richiesto a seconda della struttura societaria e delle leggi provinciali.

Anche in Asia il capitale sociale ha avuto una evoluzione normativa non indifferente. In Cina, la legge societaria cinese, come modificata con il Company Law del 2024, regola l'esecuzione dei conferimenti per la copertura del capitale sociale. In India, pur prevedendosi inizialmente minimi di capitale sociale, la legislazione ha avuto un'evoluzione diretta ad eliminarli. In Giappone, per le Kabushiki Kaisha (KK), l'equivalente delle società per azioni, il capitale sociale è obbligatorio, ma le soglie minime sono state ridotte per incentivare l'imprenditoria.

Anche tra i paesi della America Latina, per i quali è regolata la formazione del capitale sociale, vi sono alcuni per i quali la tendenza è quella di eliminare importi minimi, come è in Brasile.

 

3. Le tendenze in atto

Il futuro del capitale sociale è oggetto di dibattito e riflessione in molti ordinamenti, incluso quello italiano, a causa delle recenti tendenze normative che ne hanno progressivamente ridotto l'importanza formale. Negli ultimi anni, le soglie minime del capitale sociale in sede di costituzione della società sono state abbassate per facilitare la creazione di nuove imprese societarie. L'introduzione di società con capitale simbolico, come quelle con capitale sociale di un solo euro, in Italia a partire dal d.l. n. 1/2012, conv., con mod., dalla l. 24 marzo 2012, n. 27 (s.r.l. semplificate in Italia) e poi con il d.l. n. 83/2012, conv., con mod., dalla l. 7 agosto 2012, n. 134 (s.r.l. a capitale ridotto, figura, questa, poi abrogata), rappresenta un segnale chiaro di questa evoluzione. In particolare, in Italia, la norma sulla s.r.l.s. (oggi si veda l'art. 2463-bis c.c.) permette la costituzione di società con capitale sociale di soli 1 euro, eliminando le barriere economiche per gli imprenditori. Simili modelli erano stati adottati in altri Paesi europei, come in Germania nel 2008, mostrando una tendenza comune a rendere più accessibile la costituzione di società. Quindi ci siamo adeguati per rendere più appetibile il nostro sistema.

Vi è da evidenziare che i minimi del capitale sociale si erano di fatto ridotti. In Italia già da tempo. Quando venne emanato il codice civile del 1942 il capitale minimo delle s.p.a. era di un milione e quello delle s.r.l. era di 50.000 lire. Successivamente tali valori vennero adeguati, nel 1977, a 200 milioni (s.p.a.) e a 900 mila lire (s.r.l.). Con la riforma del diritto societario introdotta dal d.lgs. n. 6/2003, in vigore dal 1° gennaio 2004, il capitale sociale minimo per le s.p.a. è stato fissato a 120.000 euro e per le s.r.l. a 10.000 euro. Il d.l. n. 91/2014, conv., con mod., dalla l. 11 agosto 2014, n. 116, noto come “Decreto Competitività”, ha poi ulteriormente ridotto il capitale sociale minimo delle s.p.a. da 120.000 euro a 50.000 euro. Tutto ciò mentre i valori del 1942 corrispondevano, al 31 dicembre 1999 (ultimo anno in cui l'Istat ha aggiornato l'indice di variazione del potere d'acquisto della lira nel tempo, prima del passaggio all'euro), rispettivamente a circa 802.661.200 lire e a 40.133.060 lire. Si è in seguito calcolato che il primo valore corrisponderebbe oggi a circa 557.707 euro e il secondo a circa 27.885 euro (fonte: inflationhistory.com). Ci si può ben rendere conto che rispetto ai valori indicati dal legislatore del 1942 vi è stata ad oggi una riduzione, in termini reali, superiore al 90 per cento quanto al capitale minimo delle s.p.a. e di circa i due terzi quanto a quello delle s.r.l. ordinarie. 

Il capitale minimo ad un euro, una sterlina o uno yen non è simbolico. Le società devono mantenere un patrimonio netto positivo, quindi anche quando il capitale è un euro. Se il patrimonio netto scende al di sotto di questa soglia, si attiva l'obbligo di ricapitalizzazione o avvio della liquidazione.

In sintesi, si sta passando da un modello basato sul capitale sociale come garanzia patrimoniale a uno che privilegia strumenti alternativi, ad esempio, attraverso controlli sui bilanci; il che si evidenzia soprattutto per le quotate. Più in generale, si evolvono le discipline che rafforzano il controllo sul patrimonio netto; margini di liquidità e solvibilità della società stanno sostituendo il ruolo tradizionale del capitale sociale.

Diversi sono i possibili scenari futuri sulla base delle considerazioni che si stanno svolgendo in varie direzioni. Si parla di abolizione del capitale sociale come requisito minimo. Si potrebbe andare verso un modello in cui il capitale sociale non è più un requisito obbligatorio, sostituito da altri strumenti di valutazione della solidità aziendale, come obblighi di reporting finanziario più stringenti o assicurazioni obbligatorie.

Si parla anche di capitale sociale “funzionale”: il capitale sociale potrebbe essere mantenuto solo per alcune tipologie di società (ad esempio, società quotate o con rilevanti dimensioni), con soglie minime legate alla specificità del settore o al rischio intrinseco.

Le discipline potrebbero incentivare l'uso di modelli societari più duttili, riducendo la centralità del capitale sociale. Al fine di ottimizzare i tempi di realizzazione di un impianto normativo funzionale e coerente con le esigenze sistemiche di celerità ed efficienza, risulta paradossalmente necessario incrementare il livello di stratificazione e complessità del tessuto regolatorio. Ciò comporta l'adozione di un modello regolatorio a densità normativa incrementale, in cui la moltiplicazione dei livelli di regolazione, lungi dal costituire un elemento di rigidità, si traduce in un'accelerazione funzionale derivante dalla capacità di anticipare e disciplinare ex ante i potenziali ostacoli interpretativi ed esecutivi, riducendo così il margine di incertezza applicativa e garantendo una maggiore prontezza attuativa dell'assetto giuridico risultante. Troppo complicato? Si pensi ai calcoli strutturali del cemento armato per rendere solide le costruzioni realizzate in tempi più brevi: è quanto accade al diritto societario. 

In tal senso, la disciplina della dematerializzazione delle quote di s.r.l., introdotta con la l. 5 marzo 2024, n. 21, è tesa a facilitare la raccolta di capitali, rendendo più agevole la circolazione delle partecipazioni sociali. Si assiste piano piano ad un fenomeno della ibridazione dei tipi, per cui l'affievolimento delle differenze – già in corso da tempo – culmina con la previsione di offrire al pubblico le quote di s.r.l. come stabilito dall'art. 100-ter, comma 1, del TUF. Del resto, già si era sviluppato un fenomeno di ibridazione di azioni e strumenti finanziari partecipativi, questi ultimi emessi anche a fronte di apporti patrimoniali – pure non oggetto di restituzione o di rimborso – il cui valore non è imputato a capitale sociale. Oramai può ritenersi pacifico che per gli apporti di beni in natura non bisogna osservare la rigida disciplina della stima dei conferimenti diversi da danaro, soluzione indicata in dottrina ad inizio secolo per quelli che sono stati definiti “apporti spontanei di patrimonio” (comunemente denominati quali versamenti in conto capitale), malgrado la preoccupazione fosse legata al rischio di una formazione di riserva (con apporti in natura sovrastimati) e successivo aumento gratuito del capitale; e ciò diversamente dagli apporti anticipati di capitale (versamenti in conto futuro aumento di capitale) destinati alla copertura, invece, di un (eventuale) aumento di capitale a pagamento.

La tendenza a ridimensionare la rilevanza della disciplina per la corretta formazione del capitale sociale ha evidenziano possibili criticità e alcune riflessioni:

a) in ordine alla garanzia per i creditori, il ridimensionamento della disciplina del capitale sociale potrebbe indebolire la posizione dei creditori, richiedendo discipline compensative (si veda la postergazione dei prestiti dei soci);

b) in ordine al rischio di abusi, le società con capitale simbolico potrebbero favorire l'uso improprio di forme societarie da parte di soggetti che non intendono garantire una reale solidità patrimoniale;

c) per quanto riguarda le differenze tra ordinamenti, la frammentazione normativa tra Paesi potrebbe creare asimmetrie competitive, in ambito internazionale.

 

4. I surrogati del capitale sociale per le garanzie creditorie

Il surrogato del capitale sociale per tutelare i creditori sociali in un contesto normativo che ne riduce l'importanza può essere individuato in una serie di strumenti e meccanismi volti a garantire la solvibilità e la trasparenza patrimoniale della società. 

Ecco le principali alternative.

Per garantire una gestione prudente, molti ordinamenti prevedono che gli amministratori rispondano personalmente in caso di violazione dei loro doveri (ad esempio, gestione negligente che comprometta la solvibilità della società). Tale è la situazione che si esplica in caso di bilancio falso e conseguente responsabilità ai sensi dell'art. 2395 c.c. nei confronti anche di terzi, perché abbiano fatto affidamento al bilancio nelle loro transazioni. L'inizio della decorrenza del termine di prescrizione avviene solo dalla data in cui il danno risulti percepibile, consentendo di agire in giudizio tempestivamente. Tuttavia, che avranno mai da perdere gli amministratori? Se esistono società con un euro di capitale, perché mai dovremmo avere amministratori con un bel patrimonio da aggredire? L'esperienza nelle azioni di responsabilità conduce a risposta negativa sulla tutela dei creditori sociali attraverso tali azioni.

Si parla allora di obblighi di disclosure, con un sistema di pubblicazione obbligatoria dei bilanci accurato e trasparente che consente ai creditori di valutare autonomamente la solidità della società, con l'aggiunta di controlli periodici, per cui attenti revisori possono monitorare la salute finanziaria della società. Un sistema, questo, complicato ma affidabile? Sicuramente l'intelligenza artificiale può aiutare a dare risposte efficaci alla domanda sulla affidabilità della società, sempre, però, che i dati immessi siano… affidabili. Ma sarà affidabile davvero la stessa intelligenza artificiale, senza darci risposte fallaci?

È lo stesso problema che si pone per i test di solvibilità. Si può prevedere che, prima di determinati atti (ad esempio, prima della distribuzione di utili), la società debba dimostrare di essere in grado di soddisfare le proprie obbligazioni per un certo periodo. Anche qui potrebbe sovvenire l'aiuto dell'intelligenza artificiale.

Più in generale, in un sistema di controlli incrociati sulla verità aziendale, viene da chiedersi chi fornirà i mezzi finanziari effettivamente occorrenti per avviare l'attività d'impresa. Poiché le banche, a tutela alla loro stessa solidità, sono tenute a valutare preliminarmente il merito del credito che sono richieste di concedere, queste non potrebbero finanziare società manifestamente sottocapitalizzate senza pretendere adeguate garanzie di soci o di terzi, così frustrando il principio stesso della responsabilità limitata. E il focus si sposta allora sul più classico dei problemi, malgrado la modernità che si vorrebbe trovare nelle soluzioni, ossia sulle garanzie.

La stipula di fideiussioni e polizze a tutela di specifici creditori o per particolari attività può sostituire il capitale sociale come garanzia patrimoniale. D'altronde, il nostro codice civile già da tempo ha considerato tale meccanismo di garanzia in caso di conferimento di opere o servizi nelle società a responsabilità limitata (art. 2464 c.c.). In alcuni settori (ad esempio, si veda l'art. 103 del Codice dei contratti pubblici), è già richiesta la fornitura di garanzie fideiussorie per coprire eventuali inadempienze. Tuttavia, a pagare le conseguenze sono i creditori involontari oppure quelli più deboli che non hanno ottenuto specifiche garanzie in loro favore.

 

5. Un possibile riforma e il quasi-capitale

Da queste snelle considerazioni, emerge che il capitale sociale, pur essendo ancora presente in molti ordinamenti, non sarà più considerato uno strumento per tutelare i creditori neanche nelle società di capitali. Come il latte senza lattosio, il caffè senza caffeina, è allora vero che ci saranno società di capitali senza capitale? Il ruolo del capitale resta ma verrà ancor più affiancato (o sostituito) da un insieme di meccanismi basati non solo e non tanto sulla responsabilità degli amministratori, ma soprattutto su elementi la cui disciplina legale va implementata, quali trasparenza, solvibilità effettiva; e da specifiche garanzie, molto spesso fornite dagli stessi soci. 

Pertanto, mentre le società di persone perderanno con il tempo (ma questo è un altro discorso) la peculiarità della responsabilità illimitata, il regime di responsabilità limitata dei soci nelle società di capitali sarà affiancato sempre di più da meccanismo di garanzie sostitutive del capitale sociale, che non muore, concettualmente, in quanto serve per dare la misura dei conferimenti inziali e di quelli che verranno con successivi aumenti, sempre meno utilizzati perché sostituti da apporti spontanei dei soci. 

Il capitale sociale, più si affievolisce come utilità, più fa aumentare gli interessi degli operatori, non solo degli studiosi, sul regime delle poste in bilancio costituite dagli apporti spontanei dei soci. In tal modo si realizzano riserve che oggi ci sono ma domani potrebbero essere oggetto – non certo di restituzione (salvo il caso degli apporti anticipati di capitale restituibili agli autori dei versamenti, qualora non si completi la fattispecie a formazione progressiva con la delibera di aumento) – ma di distribuzione a favore dei soci attuali (ossia a favore di coloro che sono soci al momento della distribuzione). Perciò, una disciplina che potrebbe essere adottata sarebbe quella di attribuire a tali riserve – solo perché formate non da utili, ma da versamenti dei soci sostitutivi del capitale – un regime di quasi-capitale (o semi-capitale).

Quale sarebbe un effettivo regime di quasi-capitale per le poste costituite da versamenti dei soci? Può immaginarsi un regime per cui si continui a prevedere che le riserve formate da apporti spontanei siano aggredibili da perdite, senza che si attuino regole su erosione del capitale, e siano ovviamente imputabili gratuitamente a capitale; ma deve aggiungersi un regime legale per cui tali riserve non siano distribuibili al pari degli utili. La distribuzione dovrebbe avvenire con le stesse regole della riduzione del capitale reale. Dove starebbe la differenza con i conferimenti? Nella disapplicazione delle regole sulla copertura di quote di capitale, sulla valutazione e sui limiti di conferibilità, lasciando al capitale sociale l'effettiva funzione organizzativa per cui è nato.

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