Sommario:
1. Uno sguardo al di là del quadro normativo emergenziale.
Tra i molti profili del diritto del lavoro toccati dalla normativa emergenziale delle ultime settimane non rientrano i tentativi facoltativi di conciliazione.
Nonostante le misure disposte in materia di licenziamenti economici dall'art. 46 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, il c.d. “Cura Italia” (il divieto di avvio delle procedure di licenziamento collettivo di cui agli artt. 4, 5 e 24 l. 23 luglio 1991, n. 223; la sospensione delle procedure previste dalla citata legge, se ancora pendenti, purché avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020; il generale divieto di recesso per giustificato motivo oggettivo, indipendentemente dal numero dei dipendenti occupati nell'impresa), spazi significativi restano potenzialmente aperti a soluzioni stragiudiziali; ciò, sia per il carattere temporaneo di tali misure (vigenti per sessanta giorni dall'entrata in vigore del Decreto), sia perché molte altre sono le materie che potrebbero essere oggetto di un accordo conciliativo.
L'intento del legislatore di incentivare l'adozione di soluzioni alternative al licenziamento emerge tanto dal contenuto del citato art. 46, quanto dagli strumenti organizzativi e contrattuali attivati da altre disposizioni normative; si pensi, in particolare, al lavoro agile, alla fruizione delle ferie, ai permessi, agli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro. Proprio nella prospettiva di incoraggiare la scelta di strade diverse rispetto al licenziamento può essere valutato l'ampio margine di manovra offerto, in materia di mansioni, dall'art. 2103, sesto comma, c.c., che dispone: «Nelle sedi di cui all'articolo 2113, ultimo comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell'interesse del lavoratore alla conservazione dell'occupazione, all'acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita». Specie rispetto all'obiettivo della “conservazione dell'occupazione”, la valorizzazione dello strumento previsto dalla norma codicistica sarebbe comprensibile in una situazione di emergenza sanitaria, in quanto destinata ad avere inevitabili risvolti economici. Lo strumento, peraltro, costituirebbe una sponda contro la tentazione del datore di lavoro di invocare quell'orientamento giurisprudenziale che ritiene giustificata la sospensione unilaterale del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro ed esonera il medesimo dall'obbligazione retributiva, laddove la sospensione «non sia imputabile a fatto dello stesso, non sia prevedibile ed evitabile e non sia riferibile a carenze di programmazione o di organizzazione aziendale ovvero a contingenti difficoltà di mercato» (La legittimità della sospensione, in ogni caso, va verificata in riferimento alla specifica situazione di temporanea impossibilità della prestazione lavorativa e richiede il duplice profilo dell'impossibilità della prestazione lavorativa svolta dal lavoratore e dell'impossibilità di ogni altra prestazione lavorativa in mansioni equivalenti (così Cass. civ., sez. lav., 27 maggio 2019, n. 14419 ord.; si rinvia altresì a Cass. civ., sez. lav., 9 agosto 2004, n. 15372).
L'esigenza di soddisfare gli altri due obiettivi individuati dall'art. 2103 c.c., quello dell'“acquisizione di una nuova professionalità” e quello del “miglioramento delle condizioni di vita”, può evidenziarsi anche in un periodo di emergenza sanitaria. Ma, a ben guardare, molte altre sono le situazioni che, nonostante la fase emergenziale, potrebbero essere gestite sul piano stragiudiziale. A mero titolo esemplificativo, va ricordato che, ad oggi, le disposizioni governative di divieto e sospensione dei licenziamenti non intervengono in materia di licenziamento disciplinare e di recesso del datore dal contratto a termine. Inoltre, quale possibile oggetto di accordi conciliativi, vanno indubbiamente citate le controversie legate ai profili retributivi e, ancora, le dimissioni e le risoluzioni consensuali. Proprio nell'ambito degli accordi di risoluzione consensuale sono gestibili, tra l'altro, situazioni di accesso anticipato al trattamento pensionistico; si pensi, ad esempio, alla misura che va sotto il nome di “pensione quota 100”, modalità, temporanea e sperimentale che si differenzia dalle altre misure di accesso anticipato per la platea dei destinatari (dipendenti privati e pubblici), assolutamente indifferenziata, ferma restando la specifica condizione consistente nella rigida sommatoria del requisito anagrafico e di quello dell'anzianità contributiva, purché conseguiti entro
2. Dalla procedura telematica per dimissioni e risoluzioni consensuali…
Individuati, ancorché in modo sommario, i possibili margini di intervento per eventuali accordi da sottoscrivere in sede stragiudiziale, si tratta ora di entrare nel merito di “come” tali accordi possano essere materialmente sottoscritti quando la preminente esigenza di tutela della salute, individuale e collettiva, impone rigide misure di distanziamento sociale, limitando al contempo gli spostamenti. In altri termini, il problema è garantire, anche in una situazione di emergenza sanitaria, la gestione stragiudiziale di controversie legate allo svolgimento del rapporto di lavoro o alla sua conclusione, assecondando altresì la volontà delle parti di un rapporto di lavoro di disporre dei propri diritti, nei limiti e nelle forme stabiliti dalla legge. Fonte di ispirazione è senza dubbio la filosofia che anima molte delle recenti misure governative e che suggerisce l'uso della tecnologia e lo svolgimento da remoto di situazioni del vivere quotidiano normalmente gestite alla presenza fisica dei soggetti coinvolti.
Ancorché emanato per ragioni comprensibilmente diverse, già l'art. 26 d.lgs. 14 settembre 2015, n. 151, integrato dal successivo decreto ministeriale attuativo (d.m. 15 dicembre 2015), ha previsto che le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro siano comunicate dal lavoratore, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche, grazie all'utilizzo di un apposito modulo, valido su tutto il territorio nazionale e dotato delle necessarie caratteristiche di non contraffabilità e non falsificabilità.
Il lavoratore potrà comunicare il recesso dal rapporto di lavoro senza ricorrere a soggetti abilitati dalla norma, oppure scegliendo di rivolgersi ad essi. Per accedere al sistema e compilare il modello, nel primo caso avrà bisogno del codice personale INPS (PIN INPS) o dell'identità digitale (SPID). Nel caso di comunicazione resa per il tramite di uno dei soggetti abilitati dalla norma, invece, il sistema permette l'accesso anche in assenza del codice personale, con le sole credenziali che tali soggetti possiedono per l'accesso all'apposito portale del Ministero del lavoro. Soggetti “intermediari” abilitati sono i patronati, le organizzazioni sindacali, i consulenti del lavoro, le sedi territoriali dell'Ispettorato nazionale del lavoro, gli enti bilaterali e le commissioni di certificazione (art. 2 d.m. 15 dicembre 2015; art. 26, comma 4, d.lgs. 14 settembre 2015, n. 151).
Tra le ipotesi in cui la disciplina telematica non trova applicazione vi sono le dimissioni e le risoluzioni consensuali intervenute nelle sedi di cui all'art. 2113, comma 4, c.c., o presso le commissioni di certificazione. Le parti, peraltro, ricorrono frequentemente a queste sedi, a prescindere dalla modalità con cui avviene l'uscita del lavoratore (dimissioni o risoluzione consensuale), per disciplinare anche aspetti ulteriori, come ad esempio, a mero titolo esemplificativo, rinunce reciproche, riconoscimento al lavoratore di somme a titolo di transazione generale e novativa, patti di non concorrenza, ecc.
In tempi di emergenza sanitaria potrebbe però essere utile individuare un meccanismo che, sulla falsariga di quello telematico di cui all'art. 26 d.lgs. n. 151 del 2015, e grazie al supporto della tecnologia, consenta alle sedi competenti di espletare una procedura idonea a gestire in via stragiudiziale e da remoto specifiche situazioni connesse allo svolgimento o alla conclusione del rapporto di lavoro.
3. …ad una piattaforma conciliativa gestita dalle Commissioni di certificazione.
A ben vedere, il ricorso a procedure telematiche a distanza per l'espletamento dell'attività conciliativa è contemplato nei Regolamenti di talune Commissioni di certificazione. Normalmente esse si avvalgono di applicazioni informatiche che permettono collegamenti a distanza audio-video e la contestuale condivisione di un verbale che dovrà poi essere sottoscritto dai soggetti coinvolti: il commissario-conciliatore, che certificherà la volontà delle parti, datore di lavoro e lavoratore. Quelle procedure telematiche consentono, in tempi di rarefazione sociale in cui risulta prioritario evitare le occasioni di contagio, di raggiungere lo stesso risultato che verrebbe ottenuto “in presenza”. Ipotizzando che commissario, datore e lavoratore siano collegati da tre diverse postazioni, si dovrà procedere alla sottoscrizione manuale del verbale. Pertanto, una delle parti dovrà dapprima apporre sigle e/o firme su ciascun foglio del verbale precedentemente stampato e successivamente trasmetterne la scansione via e-mail alla controparte; quest'ultima, a sua volta, procederà a siglare e firmare il documento ricevuto per poi inviarlo al Commissario per l'espletamento delle medesime operazioni. Seguendo lo stesso ordine, dovranno essere recapitati a mezzo posta gli originali del verbale che, inevitabilmente, saranno siglati e firmati in momenti differenti; gli originali cartacei completi saranno poi recapitati dalla Commissione a ciascuna delle parti. Nel complesso, la procedura risulterebbe più articolata, tanto nel corso dell'audizione, quanto nella fase successiva di circolazione del cartaceo, nell'ipotesi di partecipazione a distanza di professionisti abilitati, rappresentanti delle associazioni datoriali o delle organizzazioni sindacali, se collegati da un luogo fisico diverso da quello dei propri assistiti. Tuttavia, il ricorso al cartaceo, che presuppone la disponibilità di scanner e/o fotocopiatrici, potrebbe essere evitato attraverso l'impiego della firma digitale.
Dal momento che la firma digitale non ha ancora un'ampia diffusione, specie tra i lavoratori, e sempre nell'ottica del superamento della versione cartacea del verbale, la riflessione dovrebbe spingersi verso l'individuazione di altre soluzioni. Nel pieno rispetto della privacy dei soggetti coinvolti e di ogni precauzione necessaria contro il rischio di contraffabilità, si potrebbe prevedere una comunicazione inviata dal Commissario all'indirizzo di posta elettronica delle parti, con l'invito ad accedere ad un link. Esse, una volta collegate, procederanno all'inserimento dei propri dati identificativi, all'esito del quale riceveranno sia le credenziali per accedere alla piattaforma nel giorno e all'orario stabiliti per l'audizione, sia un codice PIN, dotato di marcatura temporale e di validità limitata al giorno della conciliazione, da utilizzare per la firma del verbale.
Il Commissario e le parti accederanno, ciascuno utilizzando le proprie credenziali, ad un luogo virtualmente configurato per lo svolgimento dell'audizione (“stanza virtuale”). Dopo aver identificato i partecipanti, il Commissario procederà alla lettura del verbale che le parti visualizzeranno su una sorta di “lavagna virtuale”, potendo suggerire eventuali modifiche che solo il Commissario sarà abilitato ad apportare. Sulla versione definitiva e non modificabile dello stesso prima le parti e, infine, il Commissario apporranno il proprio PIN personale, ottenuto in fase di registrazione. La versione del verbale così firmata potrà essere trasmessa dal Commissario agli indirizzi di posta elettronica delle parti e ai soggetti pubblici competenti, per ragioni strettamente correlate alle finalità della transazione. Con le stesse modalità appena illustrate potranno partecipare all'audizione da remoto anche gli eventuali rappresentanti di ciascuna parte.
Orbene, qualche riflessione può meritare la possibilità che una procedura ispirata al modello proposto venga messa a punto dalla singola Commissione, in virtù della propria autonomia regolamentare, anche in assenza di un intervento legislativo al riguardo. In qualche misura significativo è il fatto, già richiamato, che la procedura telematica per le dimissioni e la risoluzione consensuale non trovi applicazione proprio quando esse intervengano, ad esempio, presso una Commissione di certificazione. Ciò conferma la fiducia accordata dal legislatore nei confronti di quei soggetti che, nella veste di commissari-conciliatori, sono nelle condizioni di fornire alle parti esaustiva informazione rispetto al contenuto dell'accordo che si accingono a sottoscrivere, al significato delle clausole e alle espressioni in esso contenute, nonché agli effetti derivanti dalla sottoscrizione dello stesso. Inoltre, essi sono nelle condizioni di valutare la capacità ed il potere delle parti di conciliare una specifica controversia.
Ammesso che in futuro il legislatore possa manifestare interesse nei confronti di un sistema uniforme di sottoscrizione elettronica di un accordo conciliativo, allo stato attuale, qualora una Commissione di certificazione volesse attivare una procedura simile a quella proposta, sarebbe comunque opportuna una previa condivisione della stessa con i competenti organi pubblici, se non altro al fine di rendere conoscibili, in un'ottica di trasparenza, le proprie modalità di funzionamento. Del resto, se si pensa alle Commissioni istituite presso un Ateneo e sempre in un'ottica di condivisione delle prassi seguite, sono già previste delle comunicazioni periodiche nei confronti del Ministero del lavoro (art. 76, c. 2, d.lgs. n. 276/2003). Nel caso concreto, l'esigenza di condivisione si apprezza in quanto, con ogni probabilità, tali organi non hanno esplicitato la procedura applicabile alle conciliazioni da remoto all'interno del proprio Regolamento istitutivo. L'auspicabile omogeneità delle prassi seguite deve altresì tenere in debita considerazione che la competenza delle Commissioni istituite presso un Ateneo si estende a tutto il territorio nazionale. Essa, inoltre, può stimolare l'elaborazione di codici di buone pratiche per l'attività conciliativa, andando ad integrare le indicazioni già fornite in tal senso dal legislatore in materia di certificazione (artt. 78, comma 4, e 84, comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003; art. 4 d.m. 14 giugno 2004).
Indubbiamente, la straordinarietà di una determinata fase storica può operare come una sorta di vettore di comportamenti virtuosi da implementare anche in contesti diversi da quelli nei quali hanno visto la luce, contesti in cui la necessità di garantire il distanziamento sociale, auspicabilmente, cede il passo ad una “normalità” più consapevole ed attenta ad assecondare altre esigenze come la tutela dell'ambiente che può trarre beneficio tanto dall'eliminazione del supporto cartaceo, quanto dalla riduzione degli agenti inquinanti immessi nell'atmosfera dai soggetti costretti a spostarsi per poter raggiungere fisicamente la sede istituzionale dell'ente presso il quale intendono sottoscrivere una transazione.
4. Riferimenti bibliografici.
O. DESSÌ, La nuova disciplina sulle dimissioni e sulla risoluzione consensuale del contratto di lavoro, in Dir. lav. rel. ind., 2016, 641; C. DI CARLUCCIO, Dimissioni: problemi esegetici e soluzioni interpretative. Nuove prospettive schiuse dal d.lgs. n. 151/2015, in Arg. dir. lav., 2016, 189; G. PROIA, La nuova disciplina delle dimissioni e della risoluzione consensuale, in Riv. it. dir. lav. 2017, I, 3.