Sommario:
- 1. Premessa.
- 2. Sintesi della recente pronunzia delle Sezioni Unite e della vicenda alla base del provvedimento.
- 3. L’evoluzione della nozione di ordine pubblico internazionale.
- 4. Maternità surrogata all’estero e trascrizione in Italia del provvedimento straniero (cenni).
- 5. Tutela del best interest of the child. Importanza dell’interesse del minore quale criterio di risoluzione di vicende complesse non specificamente regolamentate.
- 6. Rilievo delle fonti normative euro-unitarie e internazionali.
- 7. La posizione della Corte EDU.
- 8. Esiste un diritto soggettivo alla genitorialità?
1. Premessa.
L’emergenza Coronavirus, drammaticamente ancora in atto, ha certamente rivoluzionato la quotidianità di ciascuno di noi. Essa ha, al contempo, scosso le agende dei governi e della politica favorendo, inevitabilmente, l’anteposizione, anche rispetto ad ogni possibile problema pregresso, di tipo normativo/interpretativo, e rimasto oggi ancora irrisolto, delle questioni di impatto socio-economico, più o meno direttamente, connesse alla situazione emergenziale [1].
Con l’inizio di quella che, da più parti, prosaicamente, è stata definita la c.d. “fase due” si dovrà inevitabilmente provare a bilanciare il tentativo di risolvere definitivamente l’emergenza sanitaria con la ricerca di metodi e tecniche per favorire la ripartenza economica del Paese.
Le principali questioni che il legislatore e/o l’interprete dovranno affrontare saranno, pertanto, legate a tale complesso bilanciamento.
Gradualmente, ad ogni modo, si dovrà tentare di mettere mano - anche se, come da qualche parte è stato detto, niente sarà più come prima [2] - oltre che agli strascichi, inevitabili, che questa immane tragedia porterà con sé [3], anche, ad esempio, ad alcune questioni che l’evoluzione dei modelli etico-sociali di comportamento prospetta ad ogni ordinamento giuridico.
In quest’ultimo, precipuo contesto si colloca certamente la necessaria attenzione che la politica e, quindi, il legislatore dovranno prestare anche all’evoluzione del diritto di famiglia. .
2. Sintesi della recente pronunzia delle Sezioni Unite e della vicenda alla base del provvedimento.
Più in particolare può osservarsi - per quel che in questa sede interessa più da vicino - che il tema delle cc.dd. “famiglie transnazionali”, quale ulteriore, peculiare effetto della globalizzazione, da un po’ di tempo inizia ad essere frequentato dalla letteratura giuridica e principia ad essere contemporaneamente oggetto dell’attenzione del formante giurisprudenziale.
Tutto ciò in ragione, soprattutto, del progressivo e costante incremento della diffusione dei modelli di comportamento qui evocati [4].
All’interno di questa più ampia tematica, si colloca, per la rilevanza che assume per il giurista, il tema, più ristretto, evocato dal titolo di questo intervento, della trascrizione dell’atto di nascita da parte delle coppie same sex.
La trattazione di tale tematica presuppone, a sua volta, il riferimento a una serie di provvedimenti, non solo giurisprudenziali, intervenuti su una materia delicata e sulla quale non si è attestato, al momento, a parer di chi scrive, un adeguato intervento del legislatore.
Tale inerzia è evidentemente in parte dovuta al carattere prevalentemente extra-giuridico delle questioni alla base delle vicende che rappresentano il nucleo portante della tematica del rapporto di filiazione nelle coppie same sax.
Ciò non può ad ogni modo valere a giustificare atteggiamenti pilateschi da parte del legislatore.
Senza procedere con inutili digressioni, occorre, tuttavia, quanto meno osservare, in questa sede, che la tendenza evocata - vale a dire quella che vede il legislatore apparentemente inerte rispetto a questioni in cui la coscienza personale e/o sociale gioca evidentemente un ruolo preminente - trova conferma nel recente intervento, che potremmo definire anche qui “suppletivo”, della Corte Costituzionale sul tema dell’aiuto al suicidio [5].
Intendo precisare sin da subito (ma questo chiarimento è di carattere metodologico ed implica, pertanto, una precisa scelta in tal senso) che le questioni extra-giuridiche sopra evocate (e attinenti, pertanto, a valutazioni connesse a profili etici, sociologici, etc. etc.) rimarranno sullo sfondo dei ragionamenti che proporrò, in quanto le medesime, ritengo, possano essere di grande utilità, ma non rappresentano, ad ogni modo, elementi in grado di agevolare una lettura de iure condito delle vicende, complesse, alle quali faremo riferimento nel prosieguo di questa disamina.
In realtà ritengo che tale tipologia di valutazioni, condensando anche il progressivo stratificarsi e/o anche modificarsi di letture e sensibilità su alcuni degli aspetti che cercheremo di chiarire, possano essere di grande utilità soprattutto in una prospettiva de iure condendo.
A dispetto del titolo della relazione, tornando ai temi più squisitamente vicini al mio intervento, è mia intenzione soffermarmi, in particolare, sulla recente, ma già ampiamente nota, pronunzia delle Sezioni Unite e partire da questa per poi tentare di proporre delle valutazioni di carattere più ampio in grado di lambire differenti istituti giuridici.
Per inciso e per completezza, la Corte Costituzionale, poco tempo fa, ha deciso, rigettandolo per difetto di motivazione, sul ricorso presentato da due mamme, sposate secondo la legge dell’Illinois, ai fini del riconoscimento nell’atto di nascita, appunto della doppia maternità.
Partiamo, quindi, dalla pronunzia delle Sezioni Unite evocata e, così, dalla sentenza n. 12193 dell’8 maggio 2019.
In estrema sintesi, la pronuncia, dopo un complesso e articolato iter argomentativo, afferma la non conformità all’ordine pubblico internazionale del provvedimento dell’autorità canadese che aveva dichiarato il nato da maternità surrogata gratuita figlio di due genitori italiani dello stesso sesso.
Il caso, come è noto, era quello di una coppia omosessuale di sesso maschile che, dopo il matrimonio in Canada, aveva generato due bambini, facendo ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita eterologa, mediante seme di uno dei due partner e ovocita donato, impiantato nell’utero di un’altra donna, disposta a portare avanti la gravidanza.
Tale tipo di genitorialità era stata riconosciuta con provvedimento della Superior Court of Justice dell’Ontario del 12 gennaio 2011. Una volta rientrata in Italia la coppia richiedeva, alla competente Corte di appello di Trento, il riconoscimento del provvedimento straniero sopra menzionato.
Malgrado la Corte avesse accolto la richiesta e ordinato al sindaco di trascrivere l’atto di riconoscimento, l’ufficiale di stato civile ottemperava solo parzialmente all’ordine del giudice, procedendo alla trascrizione soltanto rispetto alla genitorialità del padre biologico dei minori.
Nessun riconoscimento formale e/o sostanziale viene, quindi, sancito per il c.d. “genitore intenzionale”, ovvero per quel genitore già di fatto privato di alcun rapporto genetico e/o biologico con il figlio.
In seguito al ricorso nuovamente proposto presso la Corte di Appello, l’ordinanza emessa accoglieva la domanda attraverso la motivazione per cui, in primo luogo, la violazione della legge n. 40 del 2014, relativa al ricorso alla tecnica della maternità surrogata, non costituendo contrarietà all’ordine pubblico internazionale, non rilevava ai fini del giudizio di compatibilità di cui all’art. 64 l. n. 218 del 1995.
In secondo luogo assume rilievo la motivazione per cui, sulla base della tutela del prevalente interesse del minore, a quest’ultimo sarebbe cagionato un pregiudizio nell’ipotesi in cui non venisse riconosciuto al minore medesimo il legame familiare con entrambi i ricorrenti.
3. L’evoluzione della nozione di ordine pubblico internazionale.
Sono certamente diverse le questioni che la pronunzia richiamata pone all’attenzione del giurista e alle quali potremo fare soltanto un rapido cenno nell’economia di questa trattazione.
Rispetto, in primo luogo, alla nozione di ordine pubblico internazionale [6], richiamando il formante interno più autorevole, possiamo limitarci ad evidenziare, in questa sede, come la Cassazione, con un provvedimento del 30 settembre 2016, il n. 19599, abbia circoscritto i cc.dd. limiti di ordine pubblico internazionale ai principi fondamentali vincolanti per il legislatore ordinario.
Questi ultimi sono sostanzialmente riferibili alle norme desumibili dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali.
Del resto la pronunzia de qua non può essere letta isolatamente. Essa sembra muoversi, infatti, su un ideale filo di continuità, ad esempio, con il provvedimento delle Sezioni Unite in tema di danni punitivi [7]. Tale pronunzia ha bene espresso infatti, come è noto, l’esigenza - per quel che in particolare interessa in questa sede - di misurare il limite dell’ordine pubblico, oltre che attraverso i principi e le regole della Costituzione, mediante quelle leggi che “inverano l’ordinamento costituzionale”.
Come è dato appurare anche solo attraverso i fugaci riferimenti sin qui fatti, sembra prendere piede un complessivo orientamento che in tema di ordine pubblico mostra una particolare sensibilità e attenzione per principi e regole facenti parte dell’ordinamento comunitario (ora euro-unitario) e anche internazionale.
Sulla base di questa “nuova”, peculiare prospettiva, il concetto subirebbe una coloritura differente e per certi versi più ampia da quella solitamente attribuitagli in forza dell’orientamento che potremmo definire tradizionale.
L’occasione dell’analisi della pronunzia richiamata rappresenta anche il pretesto per tornare su una distinzione, non sempre scontata nella ricostruzione della dottrina e della giurisprudenza: quella fra ordine pubblico internazionale e ordine pubblico interno [8].
Sul punto, alla luce, anche qui, di una recente pronunzia della Corte di Cassazione (cfr., in particolare, Cass. civ., 15 giugno 2017, n. 14178) il secondo concetto rappresenterebbe un complesso di norme e di principi inderogabili ad opera dei privati in grado di rappresentare, al contempo, un limite all’autonomia privata indicato dalle norme imperative di diritto interno.
Il primo, invece, rappresenta uno strumento capace di neutralizzare l’applicazione del diritto straniero laddove esso sia stato dichiarato applicabile dalla regola del conflitto di legge pertinente.
Una distinzione così netta e ben scolpita, oltre ad avere una specifica pregnanza da un punto di vista didascalico, contribuisce, inoltre, a favorire un ridimensionamento dei dubbi circa le ipotesi nelle quali possa o debba essere applicato l’uno piuttosto che l’altro concetto. Un tale sforzo ricostruttivo contribuisce, quindi, a soddisfare anche le istanze di certezza del diritto che permeano il nostro ordinamento giuridico.
4. Maternità surrogata all’estero e trascrizione in Italia del provvedimento straniero (cenni).
Anche il tema della maternità surrogata [9] è oggetto delle statuizioni della Suprema Corte. Sul punto, si osserva che la disposizione che, di fatto, impedisce il riconoscimento del provvedimento straniero è l’art. 12, comma 6, l. n. 40 del 2004.
Tale norma, in estrema sintesi, considera fattispecie di reato ogni forma di maternità surrogata, applicando la sanzione a tutti i soggetti coinvolti, ivi compresi i cc.dd. genitori intenzionali e la donna portante.
Occorre precisare, ad ogni modo – nonostante la riflessione sintetizzi in questi passaggi un’opinione personale e malgrado quanto preciserò subito nel prosieguo - che il tema della maternità surrogata, sebbene più o meno direttamente implicato nella vicenda in esame, non è alla base della questione della quale intendiamo occuparci più da vicino in questa occasione.
Essa coincide, infatti, con la verifica della soglia (più o meno ideale) sino alla quale si può spingere la tutela dell’interesse del minore nelle diversi tipologie di “famiglia” e coincide, ancora, con la ricerca dei mezzi di tutela di questo stesso interesse.
5. Tutela del best interest of the child. Importanza dell’interesse del minore quale criterio di risoluzione di vicende complesse non specificamente regolamentate.
La questione al centro dell’orientamento qui in esame – venendo al nucleo portante delle riflessioni che è mia intenzione proporre – coincide, quindi, con la delimitazione dei contorni del c.d. “miglior interesse del minore”.
Tale tema si traduce, più nel dettaglio, nella individuazione delle modalità attraverso le quali deve essere tutelato l’interesse del minore, di fatto instaurato con il partner di colui con il quale è stata costituita la filiazione su base genetica.
Da questa prospettiva di analisi, l’assenza di un rapporto genetico vale a escludere la costituzione di un rapporto filiale. Al contempo, si riflette [10], tuttavia, sul dato per cui la tutela dell’interesse pubblico, volto a disincentivare pratiche di maternità surrogata, non può giungere sino al punto di misconoscere alcun tipo di tutela alla relazione familiare con il figlio del partner.
Da questo punto di vista, come del resto già rilevato, le questioni maternità surrogata e interesse del minore andrebbero trattate separatamente e differentemente, senza che, in particolare, la risoluzione in senso negativo della prima (nel senso evidentemente di una sua illiceità [11]) possa influenzare la risoluzione della seconda.
Il legal vacuum di cui appena sopra ha indotto le Sezioni Unite a ricorrere allo strumento dell’adozione in casi speciali e di cui, più nel dettaglio, all’art. 44, comma 1 lett. d) della legge n. 184 del 1983; viene ripresa, in particolare, l’interpretazione – che non era stata comunque esente da critiche da parte soprattutto della letteratura giuridica – in forza della quale è possibile estendere la portata applicativa della disposizione anche oltre la c.d. impossibilità di fatto.
L’art. 44 prevede infatti l’ammissibilità dell’adozione anche nelle ipotesi in cui non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’art. 7 e, più precisamente, per ciò che interessa in particolare in questa sede, “quando vi sia la constata impossibilità di affidamento preadottivo”.
Rientrerebbe nel contenuto precettivo della disposizione richiamata anche il caso dell’impossibilità di diritto (o giuridica) di procedere all’affidamento preadottivo.
Una tale lettura – lo anticipiamo sin da ora – rappresenta, evidentemente, una forzatura del dato normativo e, al contempo, una operazione non propriamente corretta, da un punto di vista metodologico, in quanto realizzata in una materia nella quale la delicatezza degli interessi sottesi alla regolamentazione meriterebbe previsioni con valore precettivo specifico e dettagliato.
6. Rilievo delle fonti normative euro-unitarie e internazionali.
Proviamo a verificare, a questo punto della disamina, se e come alcune “fonti straniere” possano contribuire a restituire un quadro normativo ancora più ampio e variegato [12] all’interno del quale collocare ulteriori riflessioni sul tema oggetto di questa analisi e, in particolare, su come conciliare il vuoto normativo interno e la necessaria tutela dell’interesse del minore all’interno dei modelli familiari qui in esame.
Con riferimento alle “fonti non interne” evocate, occorre porre in evidenza, in primo luogo, che nella Dichiarazione ONU dei diritti del fanciullo si statuisce che quest’ultimo deve godere di una particolare protezione, così da svilupparsi in modo sano e normale, fisicamente, intellettualmente, moralmente, spiritualmente e socialmente, in condizioni di libertà e dignità (principio 2); che ha diritto a un nome e a una nazionalità (principio 3); all’affetto e alla comprensione, possibilmente nell’ambito della sua famiglia (principio 6); all’educazione, così da poter sviluppare le sue facoltà, il suo giudizio personale, il suo senso di responsabilità morale e sociale (principio 7).
Si può notare, in particolare, come il principio 6 appena sopra richiamato enfatizzi, evidentemente a ragione, la necessità di uno sviluppo relazionale del minore all’interno di un contesto familiare.
Passando a un’ulteriore fonte di rilievo internazionale, con una implicazione diretta sulla materia qui in esame, occorre puntualizzare che la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo afferma (cfr. art. 2) il principio di uguaglianza fra minore e minore, contro qualsiasi discriminazione, con una ulteriore precisazione - che traspare da molte delle disposizioni inserite all’interno della Convenzione - relativa alla necessaria tutela del preminente interesse del minore.
A ciò segue, nel medesimo contesto, l’enunciazione dei diritti del minore e, in particolare, di quelli alla vita, al nome, alla nazionalità, alle relazioni familiari, alla identità personale, all’educazione da parte dei genitori.
Qui rilevano, innegabilmente, il principio di non discriminazione fra le differenti tipologie di minori e il diritto del minore alle cc.dd. relazioni familiari; tutto ciò in perfetta sintonia con quanto appena sopra richiamato rispetto all’altra fonte normativa di rilievo internazionale presa in esame.
Passando ancora a un’ulteriore fonte, questa volta di rilievo europeo, è opportuno evidenziare che nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sono sanciti i diritti dei minori alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere; ad intrattenere regolarmente relazioni e contatti diretti con i genitori, salvo che ciò appaia contrario al loro interesse (art. 24) [13].
Anche qui il riferimento alle relazioni con i genitori non può che essere inteso come necessaria salvaguardia delle cc.dd. relazioni familiari e dello sviluppo del “soggetto debole” anche all’interno dei peculiari contesti familiari qui presi in esame.
Possiamo evidenziare, in ultimo, che l’art. 23 del Regolamento C.E. n. 2201 del 2003 [14] stabilisce, in modo esplicito e inequivocabile, che la valutazione dell’ordine pubblico deve effettuarsi tenendo in debito conto il prevalente interesse del minore.
Questo ultimo criterio appare di notevole importanza in quanto permette di evitare, nei differenti ambiti in cui il concetto può essere impiegato, il ricorso a soluzioni rigide, preconfezionate o, addirittura, preconcette.
Di certo, in estrema sintesi, malgrado la varietà delle sollecitazioni, da queste disposizioni, lette in maniera armonica e sistematica, sembra emergere l’autonoma valenza (anche interpretativa) della nozione di interesse del minore e, quindi, l’utilità ermeneutica di queste medesime disposizioni, anche al fine di gettare luce sulla questione qui in esame e di peculiare rilievo per l’ordinamento interno.
7. La posizione della Corte EDU.
Proviamo ad allargare ancora - anche qui geograficamente - lo spettro delle valutazioni, passando, tuttavia, dalla disamina delle fonti normative alla verifica del formante giurisprudenziale, anche qui non immediatamente interno.
È utile fare riferimento, al fine di avere un quadro il più possibile completo, alle pronunce della Corte EDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) e verificare come questo organismo abbia inteso trattare la tematica oggetto di queste riflessioni.
A riguardo può rammentarsi, in estrema sintesi, che a partire dai casi Mennesson e Labassee c. Francia, la Corte ha considerato il diritto del minore all’identità nei termini di elemento essenziale del rispetto della sua vita privata.
I margini di discrezionalità da riconoscersi in capo ai vari Stati appaino così molto limitati; se ne inferisce, pertanto, l’obbligo per gli stessi Stati di garantire forme di riconoscimento delle relazioni stabilite all’estero fra il bambino e la c.d. madre intenzionale [15].
Se sull’an del riconoscimento non c’è evidentemente molto da aggiungere, nemmeno in questa sede, maggiori precisazioni merita il quomodo di questo riconoscimento; da tale punto di vista, come già si è anticipato, è possibile utilizzare lo strumento dell’adozione, sempre che essa produca degli effetti che possano ritenersi analoghi a quelli prodotti dalla registrazione dell’atto di nascita.
Tale procedura deve, inoltre, sempre secondo la Corte richiamata, garantire una tutela adeguata del preminente interesse del bambino.
In termini ancora più generali può evidenziarsi come l’atteggiamento della Corte sia sempre stato quello di contrastare forme di discriminazione volte a conformare “categorie” di figli diversificate in ragione, meramente, della “diversità” della nascita.
Alcune disposizioni di rilievo internazionale alle quali abbiamo sopra fatto riferimento vanno, come si è avuto modo di appurare, nella medesima direzione; cioè si muovono nell’ottica del tentativo di eliminazione di ogni intento discriminatorio fra differenti “categorie” di figli.
Da quanto sin qui stilizzato, emerge come molta strada abbia certamente fatto la cultura giuridica europea (e non solo) a far data dall’esternazione attribuita a Napoleone il quale - al cospetto del Consiglio di Stato - tuonava, con riferimento ai figli nati fuori dal matrimonio [16], che «la società non ha alcun interesse che i bastardi vengano riconosciuti [17]».
I progressi fatti crediamo, tuttavia, non debbano arrestarsi e debbano anzi anche tradursi - e questo ragionamento vale, principalmente, rispetto all’ordinamento interno - nella predisposizione di una normativa centrale che prenda in debito conto anche delle situazioni di fatto generate dal modificarsi degli evocati modelli etico-sociali di comportamento e, inoltre, che recepisca il principio - sancito anche dalle fonti alle quali abbiamo fatto riferimento in questa parte della trattazione - in virtù del quale non è possibile (e non è nemmeno legittimo) ingenerare distinzioni di trattamento giuridico sulla base della diversità delle tecniche di procreazione di volta in volta utilizzate.
8. Esiste un diritto soggettivo alla genitorialità?
Per provare a concludere questo breve itinerario e per tentare di tracciare un unico filo rosso, in grado di riannodare le differenti osservazioni relative al tema in esame, è opportuno a questo punto domandarsi: esiste un diritto (del genitore) ad avere figli?
Esiste in altri termini un diritto soggettivo alla genitorialità in capo alla coppia o in capo a ogni genitore individualmente? Ovvero: è forse più corretto metodologicamente porsi il problema del rilievo giuridico del desiderio di avere figli?
I limiti alle tecniche di procreazione medicalmente assistita importano che, come è stato di recente affermato, «la genitorialità disgiunta dal legame non può essere attribuita sulla base di un semplice accordo tra le parti» [18].
Se si guarda alla teorica dei cc.dd. diritti fondamentali sarebbe più corretto parlare di diritto del minore ad avere genitori, piuttosto che di diritto alla genitorialità inteso, “meramente”, come diritto ad essere genitori.
Questo è un passaggio fondamentale nella ricostruzione della tematica de qua e ai fini della impostazione che riteniamo si debba applicare per affrontare il vuoto normativo evidenziato anche in questa analisi.
Ragionando sulla base della teorica delle situazioni giuridiche soggettive, applicabile anche in questo contesto, deve parlarsi di un diritto del minore ad una relazione familiare complessiva, non di un diritto in capo ai genitori ad essere tali.
Quest’ultima posizione sembra porre al centro, quale situazione-presupposto, interessi, per così dire, in taluni casi, meramente egoistici, se non, addirittura, veri e propri capricci.
Un controllo di meritevolezza da parte dell’ordinamento su questa tipologia di interessi potrebbe ritenersi quanto meno opportuno. In questa prospettiva, occorre focalizzare l’attenzione su quale sia l’interesse ritenuto preminente in quanto meritevole di una maggiore protezione giuridica; su come si debbano bilanciare i differenti interessi eventualmente messi in gioco.
A tal proposito, in un recente parere sempre della Corte Edu (il parere è del 10.04.2019), è stato sancito il diritto del minore alla conservazione dei legami e della vita familiare; in senso più ampio, può dirsi esistente un diritto delle persone di formare una famiglia nel riconoscimento di quei vincoli giuridici che non sono ancora stati riconosciuti e supportati dalla legge.
In termini ancora più espliciti, nel predetto parere la Corte di Strasburgo ha affermato che l’art. 8 della Cedu [19] impone il riconoscimento anche rispetto al c.d. “genitore intenzionale” privo di rapporto genetico con il minore.
Si tratterebbe di una sorta di interpretazione estensiva del “diritto al rispetto della vita privata e familiare” di cui all’articolo da ultimo richiamato.
La questione poi che la l. n. 76 del 2016 (legge Cirinnà sulle Unioni civili) [20] non abbia di fatto disciplinato l’ipotesi dell’adozione del partner, evitando, così, di modificare fortemente o, forse addirittura, radicalmente, l’istituto dell’adozione, non porta, al momento, che a demandare, inevitabilmente, al giudice la funzione di rendere fattivo o, più correttamente, attuale e tutelato il diritto dei figli ad avere un rapporto stabile con chi effettivamente esercita la funzione genitoriale.
L’istituto della stepchild adoption (prevista a partire dal 1983, attraverso la l. n. 84) permetteva l’adozione del figlio del coniuge con il consenso del genitore biologico e nell’interesse del minore stesso.
Tale istituto è stato poi esteso, come è noto, alla luce di alcuni importanti arresti giurisprudenziali, durante il primo decennio del duemila, ai conviventi eterosessuali.
Di fatto può dirsi, più precisamente, che fino al 2007 tale tipologia di adozione era permessa esclusivamente per le coppie sposate; successivamente a tale data, il Tribunale per i minorenni di Milano, prima, e il Tribunale di Firenze, dopo, hanno esteso questa facoltà anche ai conviventi eterosessuali.
Si è ritenuto, infatti, in queste fattispecie, che fosse interesse del minore che al c.d. rapporto affettivo fattuale corrispondesse anche un rapporto giuridico fatto di diritti, ma soprattutto di doveri.
Finalità essenziale di questo istituto è stata quella di rendere possibile la formalizzazione del rapporto genitore-figlio nei casi in cui non fosse possibile un’adozione piena; si è così tentato di garantire al bambino un ambiente familiare da ritenersi idoneo al suo sviluppo, nel suo esclusivo interesse e tenendo conto della sua specifica situazione esistenziale.
Sulla stessa linea interpretativa - venendo, nuovamente, alla pronunzia oggetto di questo intervento - la configurazione dell’applicabilità dell’adozione in casi particolari quale strumento per conferire rilevanza al rapporto di fatto fra il partner omosessuale e il genitore biologico ha dato un punto saldo al tema della omogenitorialità, rinvigorendo un istituto oramai quasi del tutto sopito, in ragione della irrilevanza del legame biologico fra genitore c.d. intenzionale e figlio [21].
Rimane sullo sfondo, ad ogni modo, una questione da trattare e che certamente non può essere affrontata compiutamente in questa sede. Si tratta della “incognita” giuridica del “c.d. genitore intenzionale” (che rappresenta, evidentemente, al momento una mera situazione di fatto): le soluzioni riprese anche in questa sede tentano, infatti, solamente, di ovviare a un vuoto legislativo, ancora oggi drammaticamente in essere all’interno del nostro ordinamento giuridico.
Occorre in altri termini, per essere ancora più espliciti, che il legislatore interno si preoccupi del tema dello statuto giuridico del “genitore intenzionale”, disponendo precisamente come questo vuoto debba essere colmato e, in particolare, se lo debba essere attraverso lo scioglimento del dubbio interpretativo/applicativo circa la trascrivibilità dell’atto di nascita da parte di coppie same sex, la previsione di una disciplina organica ad hoc, ovvero attraverso il rinvio e, pertanto, l’applicazione di normative già vigenti all’interno del nostro ordinamento, possibilmente rimodulate e integrate anche sulla base del progressivo modificarsi delle situazioni di fatto [22].
Di certo se il ricorso all’istituto dell’adozione in casi particolari pare rappresentare un’efficace rattoppo in periodi, come questi, dominati dalla “emergenza normativa” in certi settori e dalla inerzia legislativa in certi altri, tale rattoppo non può valere per sempre: sia in quanto il tema affrontato necessita di soluzioni normative autonome e di automatica applicazione, sia poiché una prospettiva come quella paventata dalla pronunzia in esame, anche se attivata nella fattispecie concreta, non faciliterebbe, in ogni caso, la garanzia dell’applicazione di una disciplina organica ed esaustiva.
Concludendo: la tematica della quale ci siamo occupati, terminata la fase emergenziale che purtroppo stiamo drammaticamente attraversando, dovrà diventare una questione, fra le tante, che non potrà che tornare sul tavolo. Solo così si raggiungerà anche l’obiettivo della uniformità di soluzioni nei diversi ambiti territoriali.
Riferimenti bibliografici:
L’Autore è componente del Comitato degli esperti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. La posizione e le opinioni espresse in questo scritto hanno carattere personale.
Il testo a seguire, integrato e corredato di note, condensa, nella sostanza, il contenuto della relazione tenuta presso l’Università di Trento, Dipartimento di Giurisprudenza, in data 24 ottobre 2019, in occasione del Convegno Modelli di famiglie e Convivenze. Esperienze sociali e giuridiche a confronto.
[1] Fabrizio Di Marzio sottolinea limpidamente la peculiarità, ma al contempo l’essenzialità della “regola” nell’emergenza pandemica che stiamo vivendo: cfr. il lavoro dell’A., Comunità. Affrontiamo la nostra prova, in Giustiziacivile.com, 2020, 1 ss.
[2] Di necessità di ridiscutere, anche a seguito dei recenti eventi, le premesse e la logica interna del sistema parla, fra gli altri, R. DI RAIMO, Le discontinuità che seguono i grandi traumi: pensando al credito (e al debito), mentre la notte è ancora fonda, in Giustiziacivile.com, 2020, 1 ss.
[3] Si pensi al richiamo fatto, di recente, da parte di attenta dottrina, proprio alla necessità di un intervento del legislatore volto al fine di “circoscrivere quanto possibile il contenzioso”: così C. SCOGNAMIGLIO, L’emergenza Covid 19: quale ruolo per il civilista? in Giustiziacivile.com, 2020, 1 ss.
[4] Sul punto un recente lavoro (precisamente del settembre 2019) a cura di Elisabetta Bergamini e Chiara Ragni, dal titolo Fundamental Rights and the Bests Interests of the Child in Transnational Families, affronta, in particolare, la tematica dei diritti umani e della loro protezione in quelle famiglie che si “dispiegano” in differenti realtà giuridiche statuali.
[5] Cfr. Corte Cost., 24 novembre 2019, n. 242.
[6] Tema richiamato anche dalla pronunzia della Cassazione oggetto di queste notazioni.
[7] Cfr. Cass, sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601, in Danno e resp., 2017, 419, con nota di M. LA TORRE-G. CORSI-G. PONZANELLI-P. G. MONATERI; in Corr. giur., 2017, 1042, con nota di C. CONSOLO.
[8] Di recente sul tema il lavoro di G. PERLINGIERI-G. ZARRA, Ordine pubblico interno e internazionale tra caso concreto e sistema ordinamentale, Napoli, 2019, passim.
[9] In arg., fra gli altri, S. ALBANO, Maternità surrogata e tutela del rapporto di filiazione, in Quest. giust., 2019, 1 ss.
[10] Cfr., in particolare, U. SALANITRO, Ordine pubblico internazionale, filiazione omosessuale e surrogazione di maternità, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 737 ss.
[11] O, più generalmente, nel senso di una valutazione nei termini di disvalore da parte dell’ordinamento nei confronti di tale pratica.
[12] Sui riflessi, ad esempio, del diritto euro-unitario sull’ordinamento interno, fra gli altri, E. NAVARRETTA, Costituzione, Europa e diritto privato. Effettività e Drittwirkung ripensando la complessità giuridica, Torino, 2017, passim; D. GALLO, L’efficacia diretta del diritto dell’Unione Europea negli ordinamenti nazionali. Evoluzione di una dottrina ancora controversa, Milano, 2018, passim.
[13] Il secondo comma dell’articolo richiamato statuisce espressamente che «in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato superiore».
[14] Tale articolo è rubricato “Motivi di non riconoscimento delle decisioni relative alla responsabilità genitoriale”.
[15] In tema, in particolare, nella letteratura interna, G. FERRANDO, Maternità per sostituzione all’estero: le Sezioni Unite dichiarano inammissibile la trascrizione dell’atto di nascita. Un primo commento, in Fam. e dir., 2019, 653 ss.
[16] Sul punto anche D. Carusi, La filiazione fuori dal matrimonio nel diritto italiano (1865-2013), in P. MOROZZO DELLA ROCCA (a cura di), La nuova disciplina della filiazione, Santarcangelo di Romagna, 2014, p. 1 e ss.
[17] L’evoluzione della tendenza culturale evocata nel testo è stata ampiamente ratificata in Italia dove la riforma della filiazione (quella, in altre parole, realizzatasi negli anni 2012-2013) ha unificato lo status di figlio (cfr. art. 315 c.c.) e ha rimosso gli ostacoli, prima presenti, al suo accertamento. In arg, ex multis, con diversità di sfumature, M. SESTA, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam. e dir., 2013, 231 ss.; M. Trimarchi, Il cognome dei figli: un’occasione perduta dalla riforma, in Fam. e dir., 2013, 243 e ss.; F. DELFINI, Riforma della filiazione e diritto successorio, in Corr. giur., 2013, 545 ss.; M. BIANCA (a cura di), Filiazione: commento al decreto attuativo, Milano, 2014, passim; M. Dogliotti, Nuova filiazione: la delega al governo, in Fam. e dir., 2013, 279 ss.; M. Mantovani, Questioni in tema di accertamento della maternità e sistema dello stato civile, in NGCC, 2013, 323 ss.
[18] S. VICIANI, Diritto ad essere genitori o interesse del minore ad avere dei genitori?, in Giustcivile.com, 2019, 1 ss.
[19] Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
[20] Sul tema, per una trattazione sistematica, fra gli altri, M. SESTA (a cura di), Codice delle unioni civili e delle convivenze, Milano, 2017, passim.
[21] S. Viciani, Diritto ad essere genitori o interesse del minore ad avere dei genitori?, cit., ss.
[22] Cfr., ad es., come del resto già chiarito nel corso di questa disamina, la disciplina dell’adozione in casi particolari.