Gli effetti della pandemia sull'economia. I possibili effetti del d.l. n. 23 del 2020 sulle imprese in crisi.
È universalmente noto come la pandemia generata dalla diffusione del virus Covid-19 abbia un impatto devastante sull’economia mondiale ed in particolare su quella del ns. Paese.
L’Istat prevede infatti una marcata contrazione del Pil nel 2020, con una caduta dell'8,3%, e una ripresa parziale nel 2021, stimando un rialzo del 4,6% (cfr. ISTAT, Le prospettive per l’economia italiana nel 2020-2021, comunicato stampa dell'8 giugno 2020), insufficiente a compensare lo schock economico derivante dal dilagare della pandemia.
Peraltro sulla base di una recente indagine condotta dal Cerved Industry Forecast, la diffusione del Covid-19 e le conseguenti misure volte al suo contenimento, potrebbe far perdere alle imprese italiane tra i 270 ed i 650 miliardi di euro di fatturato nel biennio 2020 – 2021.
La stessa indagine prevede che dal punto di vista settoriale gli impatti sarebbero molto diversificati: la previsione è di una perdita particolarmente consistente tra gli alberghi, le agenzie di viaggio, le strutture ricettive extra-alberghiere, i trasporti aerei, l’organizzazione di eventi, la produzione di rimorchi e allestimento di veicoli, i concessionari auto, che vedrebbero una riduzione di oltre un quarto dei propri ricavi. Viceversa, alcuni settori potrebbero invece beneficiare dell’emergenza: si prevede una crescita consistente per il commercio on line, per la distribuzione alimentare moderna e per gli apparecchi medicali.
A ciò si aggiunga che nel mese di marzo si è verificata una flessione della vendita di autovetture, pari all’85,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, e secondo le previsioni dell’ Unrae – associazione case automobilistiche estere - l’anno si potrebbe chiudere a 1,3 milioni di immatricolazioni, segnando una flessione del 60% circa, mettendo dunque a rischio l’intero settore che conta circa 160.000 addetti tra case automobilistiche e concessionarie e che rappresenta circa il 10% del prodotto interno lordo.
Anche il settore del turismo, rappresentato dal settore alberghiero e della ristorazione subirebbe, secondo i dati diffusi dalla CNA, una perdita di fatturato fino al 60% nella prima metà dell'anno. Giova ricordare che il settore del turismo genera circa il 12% del prodotto interno lordo con un giro d'affari che sfiora i 170 miliardi di euro.
La fase di contrazione economica alla quale il ns. Paese va incontro ha indotto il Governo ad emanare una serie di provvedimenti per il sostegno alle famiglie ed alle imprese per mitigare gli effetti della crisi.
Relativamente alle procedure concorsuali ed in particolare per quanto attiene al concordato preventivo ed agli accordi di ristrutturazione omologati, l’art. 9, primo comma, del d.l. n. 23 del 2020 dell’8 aprile 2020 così come convertito con modifiche dalla l. n. 40 del 5 giugno 2020 stabilisce che «i termini di adempimento dei concordati preventivi, degli accordi di ristrutturazione, degli accordi di composizione della crisi e dei piani del consumatore omologati aventi scadenza in data successiva al 23 febbraio 2020 sono prorogati di sei mesi».
Come è stato correttamente osservato “la misura è ragionevole solo se la situazione emergenziale dura pochissimo. Altrimenti la sola proroga per un semestre aumenta la possibilità che alcuni obblighi dei concordati omologati non siano adempiuti secondo le originarie scadenze e senza possibilità di porvi rimedio, se non gestendo il ritardo come inadempimento scusabile” (C.F. GIAMPAOLINO, Proroga di sei mesi per onorare i concordati, in IlSole24Ore, 2020).
Peraltro dette norme - che recano anche delle disposizioni in merito ai concordati preventivi “in bianco”, a quelli non ancora omologati, ed infine alle istanze di fallimento - non sono esenti da critiche laddove si è osservato che gli articoli attinenti le procedure concorsuali “sono destinate, per la loro connotazione anche ordinamentale, ad interferire sul funzionamento del servizio giustizia e dei processi, con qualche improvvida incertezza sovrappositiva e inutili costi di organizzazione. Si tratta di due disposizioni che, all’evidenza, raccolgono le sollecitazioni di quanti, coalizzati attorno ad uno specifico punto di vista (la salvaguardia dell’impresa dalle possibili conseguenze regolatorie ordinarie della sua insolvenza), muovono (o accettano di non prescindere) dal presupposto della indistinguibilità, fra le cause di una possibile crisi, del contributo della pandemia in atto rispetto ad altri fattori” (M. Ferro, Emergenza Coronavirus. La sopravvivenza della legge fallimentare al Coronavirus: il limbo della giustizia concorsuale dopo il d.l n. 23 del 2020, Quotidiano Giuridico). È stato altresì posto in evidenza come dette norme introducono “una disciplina, in apparenza temporanea, che in sostanza disattiva le principali norme del diritto della crisi, senza introdurre strumenti ad hoc e realmente funzionali all'affermato disegno del superamento della crisi; e ciò anche in assenza di una effettiva preoccupazione per l'esigenza di discriminare in modo efficace fra imprese realmente colpite dalla crisi CoVid 19, oppure semplicemente e storicamente inefficienti, ed ancora imprese sane, magari proprio perché più efficienti delle altre; né tantomeno per l'altra non meno importante esigenza che, nel non breve arco temporale di vigenza di tale disciplina, siano effettivamente adottate decisioni finalizzate a conseguire obiettivi di ristrutturazione, e non già anche di matrice solo opportunistica. Ciò darà prevedibilmente causa ad un massiccio fenomeno di “selezione avversa”, che danneggerà proprio le imprese più efficienti, ponendo così anche probabilmente le basi per la definitiva “archiviazione” del Codice della Crisi” (D. GALLETTI, Il diritto della crisi sospeso e la legislazione concorsuale in tempo di guerra, in Ilfallimentarista.it).
I concordati preventivi omologati: una possibile soluzione.
Come è noto i piani di ristrutturazione delle procedure concorsuali in continuità aziendale prevedono delle marginalità quantomeno costanti e, normalmente, in crescita nel corso del tempo; ciò al fine di poter procedere non solo alla copertura dei costi correnti, ma anche alla generazione dei flussi finanziari necessari al pagamento dei debiti concorsuali.
Appare di tutta evidenza che nei settori colpiti dalla crisi il recupero della marginalità non potrà generalmente avvenire in soli 6 mesi, poiché gli effetti del sostanziale blocco economico si rifletteranno inevitabilmente per un periodo sicuramente più lungo come emerge dalla tabella seguente.
La tabella evidenzia come la marginalità reddituale subisca delle evidenti variazioni sia a livello di risultati economici attesi che a livello di termini di adempimento e, quindi, di allungamento delle tempistiche di risanamento ed adempimento che non può essere aprioristicamente stabilito in soli 6 mesi ma che risentirà inevitabilmente delle dinamiche di settore ove opera la singola impresa.
Una possibile soluzione potrebbe essere quella di trarre spunto, nell’emanazione dei prossimi provvedimenti di natura emergenziale che il Ns. legislatore si appresta a varare, da quanto previsto dall’art. 58,, comma 2, c.c.i., laddove si stabilisce che, qualora dopo l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione – ampliandone l'applicazione anche alle procedure di concordato preventivo in continuità aziendale omologate prima del 23 febbraio 2020 e per i quali i termini di adempimento della proposta non siano ancora spirati – si rendano necessarie modifiche sostanziali del piano, l'imprenditore vi apporta le modifiche idonee ad assicurare l'esecuzione degli accordi, richiedendo al professionista il rinnovo dell'attestazione, prevedendo altresì che:
a) il piano modificato e l'attestazione siano pubblicati nel registro delle imprese;
b) ne sia dato avviso ai creditori a mezzo lettera raccomandata o posta elettronica certificata i quali entro 30 giorni possono presentare opposizione avanti al Tribunale.
In tale modo si contemperano equamente sia gli interessi dell'imprenditore, il quale si è trovato a dover far fronte ad una crisi imprevedibile quanto grave che non gli consente di portare a compimento nei termini previsti nel piano il risanamento dell'impresa ed il pagamento dei debiti, che quelli dei creditori i quali potranno presentare opposizione al Tribunale nel caso in cui ritengano non adeguatamente documentate le ragioni di una revisione del piano suddetto e pertanto tutelare le proprie ragioni. Si potrebbe altresì evitare che la probabile mancata esecuzione dei piani di concordato e l’inadempimento degli accordi di ristrutturazione già omologati nel maggior termine di sei mesi attualmente concessi dal legislatore, vada incontro a richieste risolutorie da parte dei creditori con conseguente sovraccarico dei ruoli dei tribunali.
Peraltro nel caso in cui l'impresa dovesse essere invece dichiarata fallita, si potrebbe presentare anche al fine di non disperdere il know how, una proposta di concordato fallimentare c.d. “del giorno dopo” che «può essere assistita da quel nuovo sistema di garanzie pubbliche introdotte dalla decretazione d'urgenza di questi giorni. Ed il varco è nel comma 8 dell'art. 49 del decreto in cui si prevede che il MEF può emanare provvedimenti di natura non regolamentare con i quali individuare nuove misure a favore delle imprese come finanziamenti agevolati alle stesse e garanzie “primarie” anche a favore di banche per l'erogazione di nuova finanza» (F. FIMMANÒ, Crisi di Impresa e resilienza nell'era del Coronavirus: il tempo dei concordati fallimentari del giorno dopo a garanzia pubblica, in Giustiziacivile, 2020).