Proprio in questi giorni segnati, tra le numerose ricorrenze, dalla “celebrazione” (termine usato non casualmente) della special on line edition del The State of the Union 2020 e dal Settantesimo anniversario della Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, che ha avviato il processo di integrazione europeo, si pone in termini ancor più forti l'esigenza di operare una ponderata riflessione che ci conduca a rimeditare a mente fredda sulla recentissima pronuncia della Bundesverfassungsgericht sul “Programma di acquisto di attività del settore pubblico sui mercati secondari” (PSPP) e le conseguenti competenze della Unione Europea e de relato della Banca centrale europea (BCE) (sentenza del 5 Maggio 2020 2 BvR 859/15, 2 BvR 980/16, 2 BvR 2006/15, 2 BvR 1651/15).
La intrinseca valenza della decisione non deriva solo dalla generale contestazione che la Corte costituzionale tedesca ha rivolto verso il PSPP della BCE, ma specialmente dalla più puntuale critica volta indirettamente alla decisione della Corte di Giustizia Europea dell'11 dicembre 2018 che ha espresso una valutazione favorevole alla politica monetaria adottata dal BCE grazie al PSPP, e direttamente al Governo federale tedesco e il Bundestag per l'aver violato il diritto dei ricorrenti alla stregua della previsione dell'art. 38, § 1, primo periodo («I deputati del Bundestag sono eletti a suffragio universale, diretto, libero, uguale e segreto»), da leggersi in combinato disposto con l'art. 20, §§ 1 e 2 («1. La Repubblica Federale di Germania è uno Stato federale democratico e sociale. 2. Tutto il potere statale emana dal popolo. Esso è esercitato dal popolo per mezzo di elezioni e di votazioni e attraverso organi speciali investiti dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario»), e l'art. 79, § 3 («Non è ammissibile alcuna modifica della presente Legge fondamentale che riguardi l'articolazione della Federazione in Länder, il principio della partecipazione dei Länder alla legislazione o i princìpi enunciati negli articoli 1 e 20»), della Grundgesetz (la Legge fondamentale per la repubblica federale tedesca del 1949), per non aver adottato le necessarie misure volte a contrastare l'adozione e l'attuazione del PSPP. Prima facie, si potrebbe ritenere, infatti, che un siffatto monito potrebbe condurre a una responsabilizzazione delle istituzioni federali non solo rispetto a quanto già verificatosi con il PSPP, ma anche pro futuro, assunto quest'ultimo che sarà, tuttavia, oggetto di verifica nel prosieguo.
È utile premettere che già al tempo del Trattato di Maastricht all'art. 104 si faceva menzione del divieto di acquisto diretto di titoli di Stato da parte delle banche centrali nazionali degli Stati membri e della BCE. Tale divieto viene ribadito oggi all'art. 123 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE) traducendosi nell'impossibilità di ogni banca centrale degli Stati membri di procedere all'acquisto di titoli di debito dello Stato sul mercato primario. Per tale motivo ogni acquisto di titoli di Stato da parte della BCE è avvenuto ed avviene esclusivamente sul mercato secondario come prescritto dai trattati.
Volgendoci alle premesse da cui muove la sentenza della Bundesverfassungsgericht, i ricorrenti – composti da un gruppo di accademici ed imprenditori – hanno contestato che il PSPP violi un divieto di finanziamento monetario ex art. 123 (TFUE) e il principio di attribuzione ex art. 5, § 1, del Trattato sull'Unione Europea (TUE) in combinato disposto con gli artt. 119, 127 ss. TFUE, e su queste basi ha trovato fondamento l'Ordine del 18 luglio 2017 con cui il Secondo Senato della Bundesverfassungsgericht ha rivolto una serie di questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia europea relative al mandato in materia di politica monetaria della BCE e a sue potenziali violazioni delle competenze e della sovranità in materia di bilancio degli Stati Membri. A seguito della pronuncia della CGE con cui il giudice comunitario ha ritenuto che il PSPP non eccedesse il mandato della BCE né violasse il divieto di finanziamento monetario, la Corte Costituzionale federale tedesca ha tenuto un'audizione orale il 30 e il 31 luglio 2019 press release (cfr. comunicato stampa n. 43/2019) che ha poi trovato sfogo nella decisione del 5 maggio 2020.
Dalle argomentazioni addotte dalla Bundesverfassungsgericht nella sua recentissima decisione emerge con evidenza come la Stella Polare del suo ragionare si identifichi con il principio di proporzionalità in una prospettiva che riconosce un significativo rilievo al principio di attribuzione, da leggersi, a sua volta, in una ottica di cooperazionedei Paesi membri che conferisce una natura multi-level alla Unione Europea perché basata su una interrelazione tra Stati sovrani, costituzioni, amministrazioni e tribunali (“Staaten-, Verfassungs-, Verwaltungs- und Rechtsprechungsverbund”). Il principio di proporzionalità così letto e inquadrato chiama, quindi, in causa il diverso ma attiguo concetto di competenza che la Corte costituzionale tedesca utilizza per qualificare come ultra vires la politica monetaria condotta dalla BCE, sì da renderne necessario una chiara comprensione per determinarne la effettiva portata e l'effettivo valore.
Il principio di proporzionalità a livello Europeo si traduce in una presunzione di favore per l'autonomia privata e un'ammissione di “intrusione” da parte dello Stato a condizione che tale azione sia giustificata e necessaria come previsto ai sensi dell'art. 5, § 4 (TUE) («4. In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell'azione dell'Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati»). Ad una prima lettura la effettiva portata del principio può apparire poco chiara e, invero, il suo significato è stato spesso precisato nella giurisprudenza della CGE (vedi il caso Fedesa), ma più specificamente, esso viene inteso, a livello comunitario, come il risultato che consegue a un duplice processo di bilanciamento tra interessi concorrenti: il primo riguarda la ricerca di un equilibro tra mezzi e fini, cosicché si cerca di stabilire se una misura sia appropriata a realizzare i fini che si prestabilisce tra i suoi obiettivi d'azione, ove il secondo riguarda l'onerosità della misura in questione al fine di valutare se i suoi effetti, che si dispiegano su interessi e valori siano eccessivi o meno.
Questo “test di bilanciamento” viene sostanzialmente condotto al fine di garantire i valori del pluralismo giuridico e della coerenza e semplificazione di potenziali conflitti di valori. Infatti, il principio di proporzionalità riconosce ai giudici una discrezione ampia, di modo che sarà relativamente molto semplice addurre che un atto dell'Unione Europea sia troppo oneroso ovvero inappropriato. Tuttavia, il margine consentito per tale bilanciamento è minore in settori in cui l'Unione Europea ha una competenza riservata o esclusiva. In tali casi si usa una formulazione differente in cui una misura o un atto dell'Unione viene riconosciuto contrario al principio di proporzionalità se risulta essere manifestatamente inappropriato rispetto agli obiettivi che si prefiggeva di perseguire (anche in questo caso vogliamo far notare come raramente un atto dell'Unione si dichiari contrario al principio di proporzionalità poiché anche qui la discrezionalità delle Istituzioni Europee resta ampia).
Date queste premesse e venendo al principio di proporzionalità con riferimento al PSPP si deve notare, come detto all'inizio del nostro articolo, che un acquisto diretto di titoli di Stato da parte della BCE andrebbe contro i trattati, però un acquisto sul mercato secondario, quindi un acquisto da terzi che non sono gli Stati emittenti si presenta perfettamente in linea con il divieto generale ex art. 123 (TFUE).
Eppure, proprio in questo caso si dovrebbe verificare scrupolosamente che il PSPP non sia un'abile invenzione per bypassare il suddetto divieto. La verifica dovrebbe essere posta in essere attraverso una valutazione del principio di proporzionalità rispetto agli obiettivi prefissati nel programma d'acquisto e della appropriatezza di tale programma. Infatti, già al tempo di stesura del Trattato di Maastricht si era stabilito che tale divieto d'acquisto di titoli di Stato dovesse servire per prevenire un eccessivo indebitamento degli Stati membri e quindi per disincentivare fenomeni di c.d. moral hazard in cui gli Stati membri potessero correre a stampare titoli obbligazionari solo perché sicuri di avere un acquirente, quale la BCE, che avrebbe agito come autentico underwriter, e di collocare tali titoli sul mercato finanziario. Tra l'altro, vi è anche un dato di fatto che vogliamo qui ricordare per cui la BCE non ha mai agito e non è ancora concepita quale banca centrale a tutti gli effetti sul modello americano della Federal Reserve eppur tuttavia sosteniamo che ciò non necessariamente debba tradursi in una impossibilità imposta alla BCE di acquistare titoli di debito nazionali sul mercato primario. Invero, il motivo originario del divieto europeo si basava – come detto – sulla constatazione per cui il fenomeno dell'eccessivo indebitamento degli Stati è estremamente negativo almeno da un punto di vista morale (c.d. moral hazard). Ne discende che gli Stati membri dell'Unione Europea soggiacciono al limite di acquisto dei titoli di altri Stati membri e di vendita diretta dei loro stessi titoli alla BCE, almeno sul mercato primario stando a una interpretazione letterale dei trattati. Eppure, tale interpretazione si basa anche – come già detto – su un valore fondato sulla “integrità morale” che lo Stato deve dimostrare nei suoi programmi di finanziamento. Entrambi gli argomenti ci sembrano deboli.
In primis, perché l'interpretazione letterale è solamente il primo dei criteri interpretativi da utilizzare e non è sicuramente il più importante nell'Unione Europea in cui soprattutto vige un principio di supremazia del diritto Europeo sul diritto nazionale e quindi, un principio secondo cui i rinvii pregiudiziali sono direttamente vincolanti per gli Stati membri, i quali hanno volontariamente deciso di aderire ai Trattati e, quindi, di sottostare alle “regole del gioco” tra cui vi è il principio del rinvio pregiudiziale. In secondo luogo, un bilanciamento di valori non dovrebbe essere eccessivamente condizionato da un giudizio di proporzionalità dal momento che, secondo la nomenclatura kantiana, i valori appartengono alla sfera dell'essere (Sein) e non a quella del dover essere (Sollen), come sicuramente noto ai giudici tedeschi. Quindi, qualora il giudizio di proporzionalità di un PSPP sia iniziato, quest'ultimo dovrà esclusivamente riferirsi a dati oggettivi, obiettivi concreti e risultati effettivi non basati su principi e valori che non possano e non debbano essere oggetto di valutazione legale diretta a evitare decisioni arbitrarie e discrezionali. Ne risulta che l'originario divieto di acquisto di titoli di Stato sul mercato primario possa essere derogato qualora il programma d'acquisto persegua fini adeguati e proporzionali basati su condizioni oggettive, come quella della stabilizzazione dei prezzi, e giustificate da una competenza esclusiva dell'Unione in materie di politica monetaria (art. 3 lett. c), TFUE).
Veniamo, quindi, a considerare quale sia l'effetto principale della stabilità dei prezzi, ossia di una politica che abbiamo descritta come fondamentale apporto della BCE nel quadro dell'Eurosistema (sistema composto dalla Banca Centrale Europea – BCE – e dalle Banche Centrali Nazionali degli Stati europei che hanno adottato l'euro), e quindi della intera economia dell'area euro. L'obiettivo principe che, attraverso tale mezzo si intende perseguire, è assicurare non un livello di inflazione che sia prossimo al 2 per cento (il Consiglio Direttivo della BCE ha ritenuto che una situazione di stabilità dei prezzi ricorra quando l'aumento sui dodici mesi dell'indice armonizzato dei prezzi al consumo per l'area dell'euro sia inferiore ma prossimo al 2 per cento) in applicazione di politiche monetarie adottate nelle segrete stanze della politica europea o come semplice esercizio matematico o speculativo diretto a una concreta ponderazione delle teorie macroeconomiche (da Keynes a Modigliani), ma come il frutto di una ponderata e condivisa scelta che riflette la indiscutibile esigenza primaria che è affidata per se alla Unione Europea e agli organismi che operano in maniera funzionale, anche se a un diverso grado di autonomia e indipendenza, alla realizzazione del progetto cui l'UE dà corpo: contribuire all'innalzamento delle capacità produttive di un'economia e al miglioramento delle prospettive di occupazione.
Questo è il risultato alla cui luce valutare, in maniera il più possibile oggettiva, l'operato della BCE nel momento in cui le viene richiesto di garantire la stabilità dei prezzi, e quindi, nel rispetto delle funzioni proprie e di quelle del Sistema europeo di banche centrali (SEBC) ai sensi dell'art. 127, § 1, TFUE («L'obiettivo principale del Sistema europeo di banche centrali […] è il mantenimento della stabilità dei prezzi»), si adoperi per la loro evoluzione passando attraverso l'agevolazione del credito all'economia e la modifica dei comportamenti degli operatori economici e dei privati in materia di investimento, di consumi e di risparmio (v. § 65 della sentenza della CGE dell'11 dicembre 2018).
Il solco che l'art. 127, § 1 TFUE traccia è, allora, nel segno di funzionalizzare gli obiettivi economici della UE a realizzare uno sviluppo sostenibile della Europa che si basi su una crescita economica equilibrata che, attraverso una economia sociale di mercato competitiva, conduca alla piena occupazione e al progresso sociale. Il perseguimento degli obiettivi dell'Unione definiti nell'art. 3 TUE guida, pertanto, l'operato della BCE che, intervenendo sul sistema economico da autentico protagonista e stimolo, può contribuire più efficacemente di altri organismi alla loro concretizzazione, sostenendo le politiche economiche generali dell'UE. Se quanto precede è vero, ne discende, allora, in termini anche di pura logica che stria con tali assunti il sostenere, come è stato fatto dal Bundesverfassungsgericht, che la decisione adottata dalla Corte di Giustizia Europea l'11 dicembre 2018 in cui si nega il carattere ultra vires della PSPP, come programma di acquisto dei titoli degli Stati Membri, violi l'art. 5, § 1, secondo periodo, TUE («L'esercizio delle competenze dell'Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità») e l'art. 5, § 4, TUE («Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di proporzionalità conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità»), in quanto eccede i limiti della politica monetaria affidata alla BCE. In realtà, è proprio la necessità di rispettare tali principi e in specie quello di proporzionalità che ha indotto la BCE ad adottare una politica che, nel rispetto dei principi regolanti l'Eurosistema ha consentito di fronteggiare una crisi i cui tratti stavano impattando fortemente l'economia europea e lo avrebbe fatto ancor di più in assenza di una politica di ripristino di una stabilità che sempre più si stava perdendo. Cosa sarebbe, infatti, questa scelta se non la chiara e piena applicazione del principio assiomatico “Extremitates, aequalitates”, dove il concetto di aequalitas coincide proprio con quello di reazione proporzionale ed equilibrata a situazioni contingenti non comuni nel pieno rispetto di quanto previsto dall'art. 3, § 6 (TUE) («L'Unione persegue i suoi obiettivi con i mezzi appropriati, in ragione delle competenze che le sono attribuite nei trattati»). È indubbio, infatti, che, in condizioni di incertezza, specie di particolare gravità come quelle conseguenti alla forte contrazione economica conseguente alla crisi dei subprime, l'efficacia di aggregati monetari e creditizi alternativi, come obiettivi intermedi per la politica monetaria, nella stabilizzazione del livello dei prezzi e della produzione reale si lega strettamente a una pluralità di fattori, come l'origine e l'entità relativa degli shocks, la struttura finanziaria dell'economia e le caratteristiche comportamentali e istituzionali (L. Papademos).
In questa prospettiva trova piena luce il § 39 della decisione della Corte di Giustizia Europea dell'11 dicembre 2018 in cui si legge che «il presidente della BCE ha chiarito, in occasione di successive conferenze stampa, che sono stati i tassi di inflazione eccezionalmente bassi, paragonati all'obiettivo del mantenimento della stabilità dei prezzi mediante un ritorno a tassi annuali di inflazione più vicini al 2%, a giustificare l'introduzione del PSPP e gli aggiustamenti a cadenze regolari apportati a tale programma. Infatti, prima dell'adozione delle decisioni 2015/774, 2015/2464,2016/702 e 2017/100, il tasso annuale di inflazione era rispettivamente di ‐0,2%, 0,1%, 0,3% e 0,6%. Soltanto nella sua conferenza stampa del 7 settembre 2017, il presidente della BCE ha annunciato che il tasso annuale di inflazione aveva raggiunto l'1,5%, avvicinandosi così all'obiettivo perseguito».
Delle chiare esigenze di ricostituzione di una stabilità dei prezzi hanno mosso la BCE che, nel chiaro rispetto delle prerogative che le sono state conferite dal Trattato sull'Unione europea, l'hanno indotta all'adozione di una politica monetaria che potesse favorire un evidente impatto sulla economia comunitaria e, di conseguenza, di consentirle, attraverso la ricostituzione di un equilibrio perduto, il raggiungimento degli indici monetari fissati e da perseguire. È in questa prospettiva che si inserisce il PSPP che, per raggiungere l'obiettivo di tassi di inflazione inferiori, ma prossimi, al 2%, ha previsto un allentamento delle condizioni monetarie e finanziarie, comprese quelle delle società non finanziarie e delle famiglie, per sostenere i consumi aggregati e le spese per investimenti nella zona euro e per contribuire, per tal via, a un ritorno nel medio termine ai tassi di inflazione preventivati (v. decisione 2015/774). Come si può vedere si tratta di dati concreti e di giustificazioni oggettive che non appartengono al mondo dei valori. Inoltre, in previsione futura, la crisi economica, che sta nascendo e che nascerà riguarderà soprattutto questioni di competizione della stessa Unione Europea a livello internazionale con special riguardo alla competizione della BCE con altre banche centrali quali la Federal Reserve e la Bank of England, che già sono predisposte a misure analoghe al Quantitive Easing. Questo contesto può finalmente creare l'opportunità per la BCE di agire come banca centrale che le consenta di attuare una politica monetaria di stabilizzazione dei prezzi quale istituzione europea dotata di competenze esclusive in materia di politica monetaria ex art. 3, lett. c), TFEU. Per tali motivi non è comprensibile come un programma d'acquisto di titoli di debito da parte della BCE possa essere considerato contrario allo spirito dei Trattati e anzi una tale possibilità deve essere incoraggiata legittimando il compimento di operazioni anche e soprattutto sul mercato primario purché nel rispetto del principio di proporzionalità e purché l'azione sia necessaria all'esercizio di competenze esclusive.
Proprio oggi, allora, la Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 risulta essere quanto mai attuale e foriera della luce che l'Europa necessita per fronteggiare probabilmente una delle più grandi crisi umanitarie ed economiche della recente storia umana. Ci piace ricordare come l'Europa fu creata come unione economica, ed in prospettiva politica tra gli Stati al fine di superare le storiche rivalità tra la Francia e la Germania legate anche alla produzione di carbone ed acciaio. Fin da quel momento l'Europa non è semplicemente un ideale ma una coesione di ideali e principi unificanti tali da far coesistere culture, lingue, religioni e tradizioni diverse all'interno di un medesimo continente e di una stessa Unione. Dalle tragedie della seconda guerra mondiale al terrorismo, fino alle problematiche ambientali, l'Europa ha da sempre costituito l'unica risposta e l'unica realtà capace di fronteggiare sfide internazionali e globali. A problemi globali si devono infatti accompagnare soluzioni globali e condivise, ed è per questo motivo che si deve oggi auspicare che questa Unione di fronte alle sfide poste dalla pandemia abbia fin da subito una “U” più forte capace di superare le ostilità e le differenze, consapevole che le pronunce conseguenti ai rinvii pregiudiziali alla CGE costituiscono una interpretazione pressoché autentica del diritto europeo e che sono direttamente vincolanti per i giudici nazionali, i quali a loro volta non possono più interpretare secondo logiche nazionalistiche e sovraniste le proprie carte costituzionali o le proprie leggi ordinarie. Per tale motivo un programma d'acquisto di titoli di debito nazionali sul mercato secondario e soprattutto su quello primario da parte della BCE risponde esattamente alle esigenze che quella “U” richiede per rafforzarsi e per far progredire, di conseguenza, in un cammino di creazione di un'«Unione sempre più stretta fra i popoli dell'Europa» (art. A, secondo periodo) come già dichiarato nel Trattato sull'Unione Europea, e come ribadito dalla Presidente della BCE Lagarde che proprio nello State of the Union 2020 ha concluso il proprio intervento, riferendosi alla dichiarazione di Schuman, affermando che «siamo chiamati ad agire come hanno fatto quelli prima di noi, rispondendo alla crisi rendendo l'Europa più forte».
In questa prospettiva, che non trascura la considerazione della ampie e mai prima sperimentate conseguenze economiche che la emergenza pandemica ancora in corso sta creando e ancora più creerà in un prossimo futuro, il rafforzamento della politica monetaria comunitaria attraverso una centralità da rinsaldare in capo alla BCE rappresenta l'unico baluardo che può essere stagliato contro i marosi che ostacoleranno il raggiungimento di una normalizzazione socio-economico-finanziaria che al momento appare come una lontana isola. Una speranza, in tal senso, trapela, d'altronde, dalla stessa sentenza della Bundesverfassungsgericht che per sua esplicita affermazione non si riferisce ad alcuna forma di assistenza finanziaria adottata dalla Unione Europea o dalla BCE nell'attuale crisi ingenerata dal coronavirus.