La malattia del nuovo coronavirus continua a spargersi nel mondo.
La reazione dei governi è di stabilire ricorsivamente regole emergenziali, nella speranza di limitare il contagio che non si arresta. Negli ordinamenti democratici il diritto dell’emergenza è continuamente messo in discussione. Nessun provvedimento scampa alla protesta; nello scontro si misurano soprattutto i sostenitori delle esigenze dell’economia con i difensori del diritto alla salute. Ma non manca chi è preoccupato della mortificazione subita dalle relazioni culturali affettive e genericamente sociali. In fatto è che le regole di contenimento dell’infezione hanno per obiettivo di spezzare le catene di trasmissione del virus; ma ci si può provare soltanto limitando le relazioni umane: affettive, amicali, culturali, ricreative sportive ed economiche. La società umana è colpita al cuore nel suo divenire. Le reazioni sono perciò inevitabili e da mettere nel conto.
È questo il tempo indeciso della regola. Forse mai, prima d’ora, leggi, decreti e provvedimenti amministrativi di ogni tipo, in questo caso dettati in nome della salute pubblica, sono stati sottoposti a un vaglio critico più severo. Si dubita che l’intenzione del legislatore corrisponda alla regola nella formulazione finale. Prima ancora, si discute dell’estensione che la regola dovrebbe avere e delle diverse ipotesi di verbalizzazione. Non di rado, i provvedimenti emergenziali girano in bozze sui quotidiani e vengono vagliati nei programmi televisivi prima ancora di esser adottati. Intere nazioni si scoprono come assemblee deliberanti in funzione. Gli interessi in conflitto organizzano e animano il confronto in tutti i luoghi della socialità.
Ma la regola va dettata sempre con urgenza. È perciò, inevitabilmente, approssimativa, precaria, caduca. Un diritto fragile più di ogni altro finora conosciuto. Infatti, i provvedimenti si rincorrono nel tentativo di rincorrere la diffusione della malattia.
Vaste fasce della popolazione si misurano nello sforzo interpretativo di disposizioni che non riescono ad esser chiare, perché devono fissare limiti e condizioni allo svolgimento delle relazioni interpersonali più varie. Spesso queste discipline sono derise sui quotidiani, in una reazione legittima di frustrazione. Cova la tentazione della disobbedienza civile.
Ma, allo stesso tempo, sperimentiamo la verità profonda del diritto legislativo che si inserisce, con la violenza dettata dalla urgente necessità, nel vasto corpo del diritto spontaneo che pratichiamo tutti i giorni quando ci rechiamo al bar, al teatro, al ristorante e consumiamo beni e servizi mettendo in pratica una moltitudine di regole di condotta assorbite nel nostro inconscio, e anche per questo familiari nella loro giuridicità.
Il diritto emergenziale è un ottimo esempio di diritto regolatore; di norme dettate alla ricerca di fini specifici. Le persone sono richiamate al rispetto di una regola che non riconoscono nell’ordinario svolgersi della socialità (a differenza di quanto capita se ci è chiesto di pagare il conto al ristorante); e che per questo fatto è vissuta come estranea ed artificiale: letteralmente intrusiva. Ecco, dunque, la difficoltà di tutto questo, manifestata nei modi più diversi: dalle perplessità esposte nei libri e nei convegni ai moti di protesta nelle strade e nelle piazze.
Ma la rozza disciplina, in se stessa, è necessaria. Si può discutere infinitamente dei fini: tutelare la salute, l’economia, bilanciare queste diverse prospettive in un equilibrio variabile. Così come delle opzioni migliori per realizzare l’obiettivo selezionato: tutelare la salute, ma come? Si può argomentare fondatamente su questa o quell’altra interpretazione di una regola vigente, che pretenderebbe di essere rispettata senza essere prima condivisa. Si può dubitare inesaustamente della corretta applicazione di quella regola nei vari casi che si presentano.
Tutto questo fanno, ordinariamente, i giuristi: nelle aule di università e nelle aule di tribunale. Un diritto positivo ben più saldo di quello prodotto dai provvedimenti dell’emergenza è dibattuto con una intensità non di certo inferiore.
Ma in questi tempi difficili, l’esperienza del diritto si allarga e viene sperimentata da chi non ne avrebbe mai avuto, altrimenti, l’occasione. È una buona notizia.