Editoriali

Soggetti e nuove tecnologie 29.04.2020

“Immuni” e la Costituzione

Visualizzazione ZEN
< > x

Molte perplessità accompagnano la App che dovrebbe consentirci un miglior controllo per spostamenti e contagi nella agognata “Fase 2”, anche se ufficialmente ancora sappiamo poco su come funzionerà “Immuni”.

Ci sono impegni, interviste, dichiarazioni, ma - come si dice - “verba volant scripta manent”. E di scritto, sulla Gazzetta ufficiale, abbiamo soltanto la ordinanza n. 10 del 16 aprile 2020 del Commissario COVID con cui si dispone di «procedere alla stipula del contratto di concessione gratuita della licenza d'uso sul software di contact tracing e di appalto di servizio gratuito con la società Bending Spoons S.p.a.».

In questa stessa ordinanza, assieme all'elenco di gruppi di lavoro, task force e ministeri che hanno fatto le valutazioni preliminari, viene chiarito lo scopo della App: la tracciatura dei contatti può “aiutare ad identificare individui potenzialmente infetti prima che emergano sintomi e, se condotto in modo sufficientemente rapido, può impedire la trasmissione successiva dai casi secondari».

Su questo punto non possiamo che essere d'accordo: come sappiamo l'art. 32 Cost. tutela la salute come “fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività», per cui ci sono tutti gli spazi per tutelare i singoli mediante interventi sulla collettività, trattandosi di un «diritto primario e assoluto, pienamente operante anche nei rapporti tra privati» (Corte cost., n. 202 del 1991, n. 559 del 1987, n. 184 del 1986, n. 88 del 1979).

Ma resta il problema delle limitazioni alla libertà costituzionali.

La tracciatura serve a seguire gli spostamenti e gli incontri, in maniera che se dopo si scopre che il titolare della App è positivo, si possano avvisare e controllare tutte le persone con cui è entrato in contatto nelle ultime due settimane.

Ecco il primo problema di compatibilità costituzionale. L'art. 16 Cost. consente limitazioni alla libertà di circolazione e soggiorno, ma soltanto quelle che «la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza» (cfr. Corte Cost., n. 2 del 1956 e n. 68 del 1964). In pratica, la limitazione della circolazione è coperta da riserva di legge rinforzata e sappiamo che non si tratta soltanto di una garanzia formale: ma serve ad assicurare che prima di limitare le libertà ci sia un intervento dei rappresentanti della sovranità popolare, in maniera da garantire il pieno il confronto pluralistico e democratico. E fino ad ora sulla App una legge non c'è.

Secondo problema la riservatezza.

La App tiene traccia comunque di tutta una serie di dati personali, sposamenti, incontri, toccando così il diritto alla riservatezza, aspetto fondamentale della libertà personale di cui all'art. 13 Cost (come rilevato già nella sent. n. 38 del 1973 della Corte costituzionale).

Pur non avendo ancora tutti i dettagli tecnici su chi, come e dove conserverà i dati, comunque dobbiamo ricordare che la riservatezza si tutela con il consenso informato del cittadino, con la piena trasparenza e diritto alla rettifica e all'oblio (cfr., da ultimo, Regolamento UE n. 679/2016 – c.d. GDPR). Cioè ogni cittadino prima di scaricare la App deve poter consapevolmente sapere quali dati verranno presi, dove e come saranno trattati e deve sempre poter sapere come accedere alla elaborazione dei propri dati, per poterli controllare, rettificare o anche cancellare (Corte giust. UE, sent. 13 maggio 2014, C−131/12, Google vs Spagna).

Ecco che sulla App diviene opportuno non solo un parere del Garante per la privacy, ma anche piena chiarezza sulle modalità operative, meglio ancora se in una legge.

Terzo punto, il divieto di discriminazioni e di “digital divide”, cioè del divario che sconta chi non ha o non può avere accesso alle tecnologie. E si tratta di un valore di rilievo costituzionale, in quanto la diffusione della cultura informatica “corrisponde a finalità di interesse generale, quale è lo sviluppo della cultura, nella specie attraverso l'uso dello strumento informatico, il cui perseguimento fa capo alla Repubblica in tutte le sue articolazioni (art. 9 della Costituzione)” (sent. n. 307 del 2004).

Abbiamo sentito che la App sarà volontaria e che non ci sarà alcuna penalizzazione per chi non la scaricherà. Ma abbiamo anche letto che potrà funzionare bene, soltanto se la attiverà almeno il 60 per cento della popolazione.

Questo è un punto molto delicato. Dobbiamo considerare che in Italia abbiamo circa il 20 per cento della popolazione che non hanno o non sanno gestire un telefonino adatto al funzionamento della App e che almeno una altra decina di milioni di persone risiedono in zone in cui il segnale di rete è scarso o inadeguato.

Pensare che chi non vuole o non può avere la App venga differenziato nella libertà personale e di circolazione implica una grave violazione della Costituzione, perché comporta una disparità di trattamento in base a “condizioni personali o sociali”, espressamente vietata dall'art. 3 Cost. ma anche dall'art. 16. Infatti, la clausola generale di sanità e sicurezza di cui all'art. 16 della Costituzione fa sì che «le autorità non possono porre limiti contro una determinata persona o contro determinate categorie, non nel senso che non si [possano] adottare provvedimenti contro singoli o contro gruppi, ma nel senso che non si [possano] stabilire illegittime discriminazioni contro singoli o contro gruppi» (Corte cost.,n. 68 del 1964), non rispondenti a criteri di razionalità (ad es., sent. n. 461 del 2000).

Insomma, mi pare che occorra ancora lavorare con attenzione agli aspetti di compatibilità costituzionale della App che dovrebbe aiutarci a gestire meglio la “fase 2”.

 

 

GRATIS PER 10 GIORNI

RESTA AGGIORNATO SUI
CONTENUTI DI GIUSTIZIACIVILE.COM

NEWSLETTER