Editoriali

Società e concorrenza 27.05.2020

È privilegiato il credito di regresso spettante Sace in caso di escussione delle imprese in difficoltà a seguito della pandemia?

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1. Si pone l'interrogativo se, avendo Sace garantito un credito derivante da finanziamento bancario concesso ad un'impresa in difficoltà per la situazione provocata dalla pandemia di coronavirus ed essendo stata escussa la garanzia per non avere l'impresa potuto adempiere il proprio obbligo restitutorio, il credito di Sace, surrogatasi alla banca finanziatrice, sia o meno munito del privilegio indicato dall'art. 9, comma 5, d.lgs. n. 123 del 1998.

Osserverei, anzitutto, che il citato d.lgs. n. 123 del 1998, pur se assai mal formulato, sembra voler dettare principi di portata generale, come si evince dalle espressioni adoperate nell'art. 1, comma 3, («I principi del presente decreto costituiscono principi generali dell'ordinamento dello Stato») e nell'art. 12, comma 2 («I principi desumibili dal presente decreto costituiscono principi generali dell'ordinamento giuridico») (Cass. civ. n. 2663 del 2019). Fermo perciò restando che altri successivi strumenti normativi ben possono ovviamente dettare singole disposizioni speciali volte a disciplinare aspetti degli interventi di sostegno pubblico all'economia in modo difforme da quanto stabilito nel d.lgs. n. 123 del 1998, non mi pare azzardato affermare che, ove non derogato da tali disposizioni speciali, quel che è stabilito in via generale dal predetto decreto possa continuare a trovare applicazione. E potrebbe essere, appunto, il caso del privilegio disciplinato dal comma 9 dell'art. 5, che quindi, in difetto di indicazioni specifiche di segno contrario, risulterebbe invocabile anche per crediti derivanti da forme di sostegno pubblico all'economia previste da disposizioni normative diverse (quali quelle di cui al d.l. n. 23 del 2020).

È vero che si parla di “principi generali” e che la previsione normativa del privilegio costituisce una “regola”, piuttosto che un “principio”, ma, come s'è accennato, la terminologia del legislatore appare qui quanto mai approssimativa, e sarebbe difficile individuare nel d.lgs. n. 123 del 1998 principi, anziché regole, onde sembra ragionevole concludere che anche regole come quella dettata dal comma 5 dell'art. 9 siano da intendere come aventi portata generale e, perciò, siano destinate a valere in presenza di qualsiasi ipotesi di intervento pubblico a sostegno dell'economia (trattandosi in questo caso, del resto, di una regola che presuppone un principio: quello di salvaguardia della finanza pubblica).

Perciò, contrariamente a quanto sostenuto da alcuni commentatori (A.A. Dolmetta, Prospettive e problemi del credito pandemico coperto da garanzia, in Riv. dir. banc., 2020, I, 270 ss.), mi sembra che il mancato espresso richiamo al d.lgs. n. 123 del 1998, nell'ambito della disciplina emergenziale dettata dal d.l. n. 23 del 2020 di per sé potrebbe non essere ostativo all'applicazione dell'art. 9 del primo decreto anche agli “interventi” previsti dal secondo.

 

2. Non credo che in questo contesto rilevi il disposto del comma 2 dell'art. del decreto liquidità, che prescrive un «concorso paritetico e proporzionale tra garante e garantito nelle perdite per mancato rimborso del finanziamento». Concordo pienamente con chi ha osservato che tale disposizione non è di immediata lettura (A.A. Dolmetta, Prospettive e problemi del credito pandemico coperto da garanziacit., 269). Già l'accostamento tra gli aggettivi paritetico e proporzionale crea qualche problema, perché un conto è dividere le perdite in pari misura altro è dividerle in proporzione ad un qualche parametro (verosimilmente l'entità dell'impegno finanziario assunto da garante e creditore garantito, quando la garanzia non abbia coperto l'intero finanziamento). A parte ciò, sarei comunque propenso a leggere questa infelice norma come volta unicamente a regolare il rapporto tra garante e creditore garantito, nel caso in cui l'insolvenza del debitore abbia provocato il mancato rimborso (in tutto o in parte) del finanziamento. Non ne trarrei invece conseguenze in ordine al regime privilegiato (o meno) del credito del finanziatore e/o di quello di regresso del garante che sia stato escusso, perché l'eventuale privilegio esplica i propri effetti nei confronti della massa di tutti i restanti creditori, mentre qui il legislatore sembra aver voluto interessarsi soltanto di come il peso dell'insolvenza del debitore si ripartisca tra creditore e garante.

In altri termini credo che, impregiudicata la questione se in caso di fallimento del debitore il creditore e/o il garante godano di un qualche privilegio, si porrà poi la necessità di ripartire tra costoro l'eventuale perdita nei termini indicati dal citato art. 2, comma 1.

 

3. Ritornando al quesito iniziale, si tratta allora di comprendere bene quale sia davvero la portata del privilegio enunciato in via generale dal comma 5 dell'art. 9 d.lg. n. 123 del 1998 e come eventualmente esso possa operare in favore di Sace per la garanzia da quest'ultima prestata in base alla normativa emergenziale.

E qui sorge subito un primo problema: il privilegio è testualmente riferito ai “crediti nascenti dai finanziamenti erogati ai sensi del presente decreto”. Ho già detto perché il riferimento al “presente decreto” potrebbe non ostare all'applicazione del privilegio anche a crediti da finanziamenti pubblici erogati in base a decreti diversi, qualora ci si trovi nella medesima situazione di sostegno pubblico all'economia, ma la norma specifica che deve trattarsi di crediti derivanti da “finanziamenti”. È sorto perciò il dubbio se il credito di Sace, derivante dall'escussione della garanzia prestata per i finanziamenti bancari alle imprese in difficoltà, rientri o meno in tale definizione. Ovviamente si tratta di un credito per restituzione di un finanziamento, ma all'origine il finanziamento non è operato con denaro pubblico: pubblica è solo la garanzia di Sace.

Qui, purtroppo, di nuovo la terminologia del legislatore appare ambigua, perché la medesima disposizione che si sta esaminando fa anche espresso riferimento alle “restituzioni di cui al comma 4”, e quest'ultimo non parla di crediti da restituzione di finanziamenti, bensì di “restituzione dell'intervento”.

Tenuto conto sia dell'ampia formulazione dell'art. 1, comma 1, sia del modo in cui l'art. 7, comma 1, individua le forme dei “benefici determinati dagli interventi”, non par dubbio che anche la concessione di garanzie pubbliche rientri nella nozione di intervento di sostegno all'economia cui si riferiscono i “principi” dettati dal medesimo decreto. La ratio sottesa alla concessione del privilegio, pertanto, indurrebbe a sciogliere l'ambiguità terminologica del testo normativo in favore della soluzione più ampia: ossia ritenendo che il privilegio assista non solo i crediti per restituzione di finanziamenti direttamente erogati da un ente pubblico, ma anche quelli conseguenti all'escussione di garanzie rilasciate dall'ente pubblico per effetto delle quali il medesimo ente pubblico si sia surrogato nel credito da restituzione originariamente spettante al finanziatore garantito.

L'obiezione (Obiezione sollevata da S. DELLE MONACHE, Garanzie rilasciate da SACE s.p.a. e privilegio ex art. 9 d. lgs. 123 del 1998, in questa Rivista) secondo cui una tale soluzione sarebbe asistematica, non potendo un credito divenire privilegiato se tale non è da principio (Infatti il privilegio in esame compete solo ai crediti per la restituzione delle erogazioni pubbliche e non si estende al mutuo concesso dalla banca all'impresa (Cass. civ. n. 17111 del 2015)) e sol perché la sua titolarità è passata in capo ad un soggetto diverso, senza che ciò incida sulla causa del credito, mi pare molto concettuale e potrebbe non reggere al vaglio della “giurisprudenza degli interessi”. È l'escussione della garanzia che mette in gioco il denaro pubblico ed è questo che giustifica l'attribuzione del privilegio (Cass. civ. n. 2664 del 2019 evidenzia la valenza sistematica del termine “finanziamento” nel quadro normativo generale e sottolinea la necessità di dare risposte omogenee ad analoghe esigenze di tutela del pubblico denaro; soluzione approvata da A. BOLOGNESE, Il privilegio dei crediti nascenti dalla revoca del finanziamento pubblico per il sostegno alle imprese: il caso della revoca della garanzia, in Fall., 2019, 897 ss.).

 

4. Riprendendo però in esame il citato art. 9, comma 5, balza subito all'occhio che il privilegio ivi previsto (privilegio che, per sua natura, non tollera applicazioni analogiche e mal si presta anche ad interpretazioni estensive collocandosi al di fuori del codice civile (Cfr. Cass., sez. un., n. 11930 del 2010)) non afferisce ai crediti nascenti dal mero fatto della mancata restituzione del finanziamento (o dello “intervento”) da parte dell'impresa beneficiaria, con conseguente escussione della garanzia rilasciata da Sace ed insinuazione di quest'ultima nel passivo dell'impresa finanziata (in surroga del credito vantato dalla banca finanziatrice), ma sembra riguardare unicamente i crediti derivanti dalla mancata restituzione di finanziamenti che siano stati revocati, ai sensi dei commi precedenti del medesimo art. 9. Ora è vero che la revoca può dipendere non soltanto da patologie inerenti alla fase dell'erogazione della sovvenzione ma anche da eventi che riguardano la fase successiva di gestione del rapporto, ivi compresi “azioni o fatti addebitati all'impresa beneficiaria” (art. cit. comma 4), e tuttavia non sembra facile condividere l'orientamento giurisprudenziale che fa rientrare tra questi “fatti addebitabili” pure l'inadempimento del debitore (Cass. civ. n. 2663 del 2019, cit.) (di per sé idoneo a far escutere la garanzia). Anche a prescindere dal rilievo che la revoca parrebbe pur sempre dover implicare il venir meno della ragione per la quale il finanziamento è stato concesso e che ciò poco ha a che fare col mancato adempimento dell'obbligo di restituzione (che può dipendere anche da insolvenza incolpevole e, comunque, non denota di per sé un uso improprio del denaro erogato), occorre notare che la norma istitutiva del privilegio sembra chiaramente richiedere che l'obbligo di restituzione (inadempiuto) derivi da uno specifico provvedimento amministrativo di revoca della sovvenzione. Il mero fatto che il beneficiario non sia in condizione di restituire alla banca quanto ha ricevuto, e che sia stata conseguentemente escussa la garanzia prestata da Sace, non pare perciò sufficiente ad integrare la condizione cui il legislatore ha subordinato l'attribuzione del privilegio, qualora non sia prima intervenuta la revoca (per qualsiasi ragione) del beneficio (In tal senso, oltre a S. DELLE MONACHE, op. e loc. cit., C. TRENTINI, Privilegio dei crediti di restituzione derivante da risoluzione dei finanziamenti di sostegno pubblico alle attività produttive, in Fall., 2019, 606 ss., e M. MANCINI-T. STANGHELLINI, L'ambito di applicazione del privilegio di cui all'art. 9, comma 5, d.leg. n. 123/1998: le garanzie rilasciate da Sace spa, in www.ilcaso.it, 2015).

L'orientamento assunto su questo punto dalla più recente giurisprudenza di legittimità (quella di merito è più variegata), pur se ispirato al lodevole intento di tutelare la finanza pubblica in ragione del pubblico interesse, sembra dunque discutibile.

5. Se è vero, però, che l'interpretazione letterale del testo normativo avalla la conclusione secondo la quale non basta il mero inadempimento dell'obbligo di restituzione del finanziamento a rendere privilegiato il credito di Sace la cui garanzia sia stata escussa, potrebbe sorgere un dubbio circa la razionalità del sistema così delineato.

Non è facile comprendere perché il privilegio operi per i crediti restitutori conseguenti ad un comportamento del debitore che implica un uso improprio delle risorse pubbliche (o garantite da un ente pubblico), determinando così la revoca del beneficio, e non anche per ogni altra situazione (ivi compresa l'insolvenza incolpevole del medesimo del debitore) in cui la mancata restituzione generi ugualmente un credito restitutorio in capo al soggetto pubblico che quelle risorse ha erogato (Che la ratio del privilegio risieda nell'esigenza di assicurare alle risorse pubbliche adeguata protezione per poter garantire una continuità ai finanziamenti pubblici e, quindi, una più sicura e certa soddisfazione, è sottolineato anche da Cass. civ. n. 21841 del 2017, che ha riconosciuto detto privilegio anche in caso di contributi pubblici erogati a fondo perduto). Lo si potrebbe capire se il privilegio costituisse una sorta di sanzione per il finanziato che ha provocato (o concorso a provocare) la situazione patologica sfociata nella revoca, ma così non è. Il privilegio, infatti, non tocca la posizione del debitore, bensì regola il concorso tra i creditori. Se la ratio del citato art. 9, comma 5, come più volte ricordato, consiste nel rafforzare il credito dell'ente pubblico in considerazione delle finalità di interesse generale che quest'ultimo persegue nel sovvenzionare in vario modo le imprese che lo necessitano, può apparire poco ragionevole instaurare una diversa graduazione di preferenza del credito restitutorio, rispetto agli altri creditori concorrenti, a seconda che quel credito derivi o meno da vicende che afferiscono sì al debitore ma risultano del tutto indifferenti dal punto di vista dell'ente pubblico finanziatore (o garante) e del ristoro delle risorse pubbliche da quest'ultimo erogate .

Mi chiedo se un tale rilievo, qualora non bastasse a giustificare l'interpretazione “sostanzialistica” della Cassazione, discutibile per le ragioni sopra indicate e censurata dalla dottrina, non possa quindi ingenerare un dubbio di costituzionalità della normativa in esame (nella parte in cui non prevede che […]).

6. Un'ultima osservazione.

Al richiamo operato nei modelli concordati tra Abi e Sace al comma 5 del citato art. 9 non credo si debba dare eccessivo peso. Se ne può trarre solo la conclusione che quei soggetti intendono conformare i loro comportamenti all'indirizzo (pur forse discutibile, per quanto appena detto) della Cassazione, ma non di più. Infatti, di regola, i privilegi debbono avere sempre fonte legale ed anche quelli convenzionali sono ammessi solo quando la legge lo preveda (art. 2475 c.c.); e non è questo il caso. Se perciò la corretta interpretazione del dato normativo dovesse escludere la spettanza del privilegio, non credo che basterebbe l'eventuale consenso delle parti interessate a dargli invece fondamento giuridico.

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