Corte cost., 30 ottobre 2025, n. 156
Sommario:
- 1. La contraddizione tra Corte cost. n. 244/1996 e n. 231/2013
- 2. Le conseguenze di Corte cost. n. 231/2013
- 3. Corte cost. n. 156/2025: l’equivoco, ancora, del “sindacato comparativamente più rappresentativo”
- 4. Le conseguenze della sentenza n. 156/2025
- 5. Riferimenti bibliografici
Il contributo ripercorre le tappe della giurisprudenza costituzionale dell’ultimo trentennio in tema di r.s.a. Osserva la contraddizione della Consulta nel 2013 rispetto al precedente del 1996. Evidenzia i limiti intrinseci alla sentenza n. 231/2013, come le incertezze conseguenti. Questa pronuncia costituisce già un frutto della rottura del patto costituzionale tra i poteri legislativo e giudiziario. L’articolo procede poi alla disamina dell’intervento più recente, che ha mutato di nuovo orientamento. Col che, nelle tre decisioni, si è passati dalla valorizzazione della firma, all’enfasi sulla partecipazione alle trattative, infine al criterio della maggiore rappresentatività comparativa a livello nazionale. Tuttavia, quest’ultimo è concepito dall’ordinamento per la selezione dei prodotti dell’autonomia collettiva abilitati a esercitare i rinvii legali. È strutturalmente inidoneo ad essere applicato alla valutazione della rappresentatività dei soggetti sindacali. In definitiva, la sentenza n. 156/2025 riesuma il criterio del sindacato maggiormente rappresentativo a livello nazionale, sebbene di categoria e non sul piano confederale. Ciò rischia di condurre a riaprire il contenzioso sugli indici di maggiore rappresentatività tout court, settore per settore, soggetto per soggetto, in assenza di dati certificati e di perimetri oggettivi su cui effettuare la misurazione. Le aporie generate da una giurisprudenza creativa potranno essere risolte dal legislatore unicamente attuando la seconda parte dell’art. 39 Cost.



