Editoriali

Lavoro 20.04.2020

La sicurezza nei luoghi di lavoro tra disciplina dell'emergenza da Covid 19 e disciplina ordinaria

Visualizzazione ZEN
< > x

1. Nuove regole. Il 31 gennaio 2020, visto il d. lgs. 2 gennaio 2018, n. 1, ed in particolare gli artt. 7, comma 1, lett. c), e 24, comma 1, il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato d'emergenza nazionale connesso al rischio sanitario derivante dall'insorgere di patologie causate da agenti virali trasmissibili.

Da tale momento si è attivato un sistema di produzione di regole dai caratteri peculiari e destinato ad incidere sull'intero ordinamento, quindi anche sulla disciplina della sicurezza nello svolgimento dei rapporti di lavoro e, per necessaria conseguenza, sui possibili successivi effetti derivanti dalla inosservanza di tali regole.

La natura normativa di tale fonte può considerarsi dubbia, posto che, si è notato (Carlassare, Fonti del diritto (dir. cost.) [Annali II-2, 2008]), «la sintesi crisafulliana generalità - astrattezza» seppure utile nell'individuare ciò che può definirsi norma giuridica lascia incerte le situazioni nelle quali prevale la necessità di provvedere sul carattere generale ed astratto. Questa pare essere la condizione delle ordinanze emanate dall'autorità di protezione civile, caratterizzate dalla necessità di provvedere; esse non sarebbero fonti normative, pur potendo derogare temporaneamente, nel rispetto dei principi costituzionali, a disposizioni di grado legislativo per l'esigenza di provvedere.

Si è anche osservato che la ragion d'essere dell'amministrazione dell'emergenza (Giglioni, Amministrazione dell'emergenza [Annali VI, 2013]) sta nel prorompere dell'imprevedibilità del fatto ( per quanto qui di interesse, il contagio da virus) che, per il carattere catastrofico dei suoi effetti, sconvolge l'ordinario rapporto tra il fatto e la fattispecie astratta che costituisce la disciplina ordinaria della materia.

Nel contesto ordinario il rapporto tra fatto e disciplina poggia sul canone logico della certezza. Questa condizione consente di delineare con altrettale certezza i diritti e gli obblighi dei soggetti coinvolti.

Va però ricordato che quella attuale è in realtà una società soggetta a costanti rischi (la c.d. società dei rischi di Z. Bauman): da qui la previsione, da parte della legge ordinaria, dei presupposti di operatività dell'amministrazione dell'emergenza che, per forza di cose, trasfonde in sé aspetti normativi e di amministrazione e si caratterizza, per quanto riguarda il rischio sanitario, per l'essere governata dal principio di precauzione declinato sia in fase di reazione che in quella di prevenzione.

Abbiamo sotto i nostri occhi la profonda verità dell'affermazione che il fatto imprevisto (chissà quanto in effetti imprevedibile) genera incertezza. La possibilità di uscire realmente dall'emergenza, è evidente, va di pari passo rispetto al progresso delle conoscenze scientifiche, le quali consentono di conquistare un livello di certezza sugli strumenti di contrasto del rischio tale da consentire il rientro nella sfera ordinaria.

Durante il periodo dell'incertezza l'amministrazione dell'emergenza è tutta prevenzionale di tipo cautelare.

La complessiva gestione dell'emergenza (riconducibile normativamente al d.lgs. n. 1/2018) è affidata al sistema della protezione civile nazionale e prevede l'utilizzo di strumenti normativi tipici di tale stato (ordinanze emesse dai soggetti indicati, d.P.C.M. ma anche, come è previsto per i casi di necessità ed urgenza dall'art. 76 Cost., decreti-legge).

La gestione, ovviamente, è affidata ai titolari dei poteri speciali, che utilizzano procedimenti di formazione dei propri atti non conformi a quelli ordinari, ed anche la qualità è diversa, in quanto si tratta di organi che svolgono la propria attività in stretta relazione con organi tecnico-scientifici (in questo caso il Comitato tecnico scientifico) i quali, a loro volta, applicano canoni di condotta empirica e sperimentale.

Il modello di produzione delle regole è dunque diffuso tra diversi organi (centrali e locali) e talvolta, per raggiungere i propri scopi, l'amministrazione dell'emergenza deve integrare l'assetto ordinario con interventi di maggiori forza e spessore, con ciò realizzando una funzione additiva rispetto al sistema normativo preesistente.

L'amministrazione dell'emergenza da contagio Covid 19, trattandosi di emergenza sanitaria, cura lo stesso interesse pubblico perseguito dalla disciplina ordinaria della sicurezza sul lavoro; la cura della salute pubblica coincide con quella dei cittadini – lavoratori, posto che la disciplina ordinaria si caratterizza per un poderoso sistema di norme a tutela della salute delle persone che prestano attività all'interno dei posti di lavoro.

Non si tratta quindi, ora più che mai, di bilanciare il diritto alla salute all'interno dei luoghi di lavoro con altri diritti riconosciuti a livello costituzionale e tanto meno con quelli meramente economici; la tutela della salute di tutti è l'unico obbiettivo prevalente.  

Se la funzione emergenziale in materia di salute pubblica cura il medesimo interesse della disciplina ordinaria della materia è evidente che, laddove si emanino disposizioni destinate a fronteggiare specifiche situazioni, le stesse andranno a potenziare la disciplina in senso precauzionale e protettivo.

Peraltro, il potere espresso dall'amministrazione dell'emergenza è straordinario non tanto perché in grado di derogare alla disciplina ordinaria ma perché certamente provvisorio: cessata l'incertezza dettata dall'emergere del fatto improvviso, attraverso il consolidarsi della evidenza scientifica, si esaurirà la stessa legittimazione dell'azione di emergenza.

Traendo una prima conseguenza, credo si debba affermare che il rapporto tra fonte emergenziale e disciplina ordinaria, in materia di sicurezza del lavoro, non corre in parallelo ma su un canale di integrazione reciproca, variamente modulata giacché la disciplina emergenziale, per la stretta connessione che deve mantenere con gli andamenti delle acquisizioni scientifiche, è un potere ampio e di mutevole intensità.

Su queste basi vanno esaminate le disposizioni emergenziali riguardanti il tema di queste riflessioni.

 

2. Il dettaglio delle nuove regole. Le specifiche disposizioni emergenziali sulle quali va ora diretto l'esame sono sparse nei vari provvedimenti ed al momento possono individuarsi, in dettaglio, in quelle contenute:

a)      nel d.l. n. 18 del 17 marzo 2020,all' art. 10 (che prevede il potenziamento delle funzioni sanitarie dell'INAIL, soggetto attuatore degli interventi di protezione civile ai sensi dell'articolo 1, comma 1, dell'Ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione civile n. 630 del 3 febbraio 2020); all'art. 42 ( che prevede, al secondo comma, «Nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all'INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell'infortunato. Le prestazioni INAIL nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell'infortunato con la conseguente astensione dal lavoro. I predetti eventi infortunistici gravano sulla gestione assicurativa e non sono computati ai fini della determinazione dell'oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico di cui agli articoli 19 e seguenti del Decreto Interministeriale 27 febbraio 2019.  La presente disposizione si applica ai datori di lavoro pubblici e privati»; all'art. 43 (che prevede contributi per 50 milioni di euro per gli acquisti da parte delle imprese di dispositivi di sicurezza ed altri dispositivi individuali di protezione); all'art. 64 (che prevede un credito d'imposta in relazione alle spese sostenute per la sanificazione degli ambienti di lavoro);

b)      nel d.l. n. 19 del 25 marzo 2020all' art. 1, comma 2, lett. z ( laddove si prevede una deroga rispetto alle sospensioni o limitazioni dell'attività d'impresa o professionale relativamente a servizi di pubblica necessità ma solo previa assunzione di protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non sia possibile rispettare la distanza di sicurezza interpersonale predeterminata e adeguata a prevenire o ridurre il rischio di contagio come principale misura di contenimento, con adozione di adeguati strumenti di protezione individuale;

c)      nel d.l. n. 23 dell'8 aprile 2020 agli artt. 30 (relativo ai crediti d'imposta per acquisto di d.p.i.) e 39 (relativo a procedure semplificate  per  le  pratiche  e  attrezzature medico-radiologiche);

d)      nel d.P.C.M. dell'11 marzo 2020all'art. 1, comma 1, n. 7) ( secondo il quale : «in ordine alle attività produttive e  alle  attività professionali si raccomanda che:   a) sia attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalita' di lavoro agile per le attivita' che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalita' a distanza; b) siano incentivate le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti nonchè gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva; c) siano sospese le attivita' dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione; d) assumano protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, con adozione di strumenti di protezione individuale; all'art. 4 n. 1, che prevede restino  garantiti,  nel  rispetto  delle   norme igienico-sanitarie, i servizi bancari, finanziari,  assicurativi nonché  l'attività  del  settore  agricolo,  zootecnico  di trasformazione agro-alimentare comprese le filiere che ne forniscono beni e servizi»;

e)      nel Protocollo del 14 marzo 2020 condiviso e stipulato tra le parti sociali, promosso ai sensi dell'art. 1, comma 1,n. 9 del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2020: tale documento contiene ulteriori specificazioni applicative delle regole contenute nel d.P.C.M. che lo ha previsto unitamente ad ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6.

 

3. Sintesi del nuovo quadro normativo: a) la delimitazione del credito di sicurezza del lavoratore nei confronti del rischio di contagio. Da tale quadro si trae con evidenza il fine precauzionale di cui sopra si è detto e, inevitabilmente, la convergenza della funzione preventiva e precauzionale svolta dalle disposizioni emergenziali rispetto a quella svolta dalla normativa ordinaria di cui al d.lgs. n. 81 del 2008.

È vero anche che il tipo di intervento non è univoco, nel senso che la gestione del rischio contagio da Covid 19 all'interno dei luoghi di lavoro non è affidata puramente e semplicemente al sistema prevenzionale ordinario.

Si è infatti realizzato un prototipo di amministrazione emergenziale che tenta di sfruttare il consenso e la partecipazione per rendere più efficaci le dure misure di contenimento obbligatoriamente imposte alle attività produttive. Accanto, poi, alle imposizioni - seppure mediate dall'accordo sui contenuti delle stesse - vi sono le misure incentivanti di tipo economico (contributi e crediti d'imposta per favorire l'impresa che intende conformarsi all'obbligo ulteriore di sicurezza) ed un potenziamento dell'azione dell'Inail e dell'intero campo di azione della gestione dell'assicurazione obbligatoria in materia di infortuni e malattie.

Il meccanismo di coordinamento tra le due discipline è di tipo integrativo perché il rischio da contagio è sì un rischio comune a tutti i cittadini ma esso penetra necessariamente anche l'ambiente di lavoro, quello ovviamente che già non era esposto per le proprie caratteristiche (ad es. ambienti ospedalieri, laboratori etc..) al rischio biologico.

In altre parole, la procedura del protocollo non è classificabile quale atto negoziale collettivo destinato a regolare aspetti patrimoniali relativi al rapporto di lavoro, né tanto meno appare accostabile alle ipotesi dei protocolli in materia sociale stipulati negli anni '90, ove la concertazione tripolare, nelle varie espressioni, si poneva non già perché prevista dalla legge ma, semmai, secondo logica inversa, come una sorta di fonte politica di produzione normativa.

Dunque, le regole contenute nel Protocollo condiviso del 14 marzo scorso costituiscono specificazioni e conferme dell'obbligo di sicurezza incombente sul datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c. e delle disposizioni che tale obbligo specificano. In particolare, l'art. 3, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2008 espressamente prevede che il medesimo testo si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio. Tutti i rischi, poi, vanno considerati nell'elaborazione del documento di valutazione di cui all'art. 17 lett. a) seguendo le modalità indicate negli artt. 28 e 29, comprendenti anche le rielaborazioni in ipotesi di situazioni che inducano alla necessità di rivedere le valutazioni fatte. Inoltre, il Titolo X si occupa proprio del rischio derivante da agenti biologici.

Peraltro, come si legge nel testo del medesimo Protocollo, la predisposizione dei dispositivi individuali di sicurezza e le altre misure riguardano quegli ambienti di lavoro diversi da quelli ospedalieri, giacché - deve ritenersi - quegli ambienti già da prima avrebbero dovuto prevedere il rischio biologico e, quindi, si sarebbero dovuti dotare di misure idonee di contrasto e prevenzione.

È lecito, a questo punto, interrogarsi sui parametri da seguire nella individuazione delle misure appropriate di prevenzione, al fine di contrastare il rischio di contagio da Covid 19 negli ambienti di lavoro per i quali tale rischio non fosse presente prima dello scoppiare dell'epidemia.

È evidente, a parere di chi scrive (di diverso avviso P. Pascucci, Sistema di prevenzione aziendale, emergenza coronavirus ed effettività, 17 marzo 2020, in Giustiziacivile.com), che le misure indicate nei provvedimenti emergenziali adottati dalle autorità preposte ed anche quelle alle stesse correlate, contenute nel Protocollo del 14 marzo, costituiscono misure minime necessarie da seguire che integrano gli obblighi di valutazione. Si ricordi, infatti, che la misura del blocco delle attività economiche non essenziali è generalizzata e, dunque, l'essere ammessi all'esercizio dell'attività economica espone di per sé a maggior rischio, rispetto al normale cittadino, chi alla stessa si dedichi.

Le regole fissate nel Protocollo del 14 marzo costituiscono il riflesso delle indicazioni generali diffuse dalle autorità sanitarie e sostanzialmente si risolvono nell'obbligo del distanziamento sociale (ponendo almeno un metro di distanza tra le persone) e nell'utilizzo di dispositivi di protezione individuale, alias mascherine o anche tute, guanti, occhiali, nonché, ovviamente, nel mantenimento dell'igiene degli ambienti e delle mani e nelle altre previsioni riguardanti anche le procedure di accesso dei lavoratori e dei terzi autorizzati nell'ambiente di lavoro. A queste regole, per la lettura integrata che la ricostruzione sistematica qui adottata impone, vanno affiancate quelle previste dal titolo X d.lgs. n. 81 del 2008 nella parte in cui esse risultano adeguate alla concreta ipotesi che ora si deve affrontare e cioè il rischio di contagio da agente biologico derivante da cause esterne alla attività tipica svolta dall'impresa.    

La giurisprudenza di legittimità, peraltro, ha costantemente affermato il diritto del lavoratore ad esigere il proprio credito di sicurezza nei riguardi del datore di lavoro, anche se riconducibile all'adozione di misure di prevenzione innominate (ad es.,  Cass. civ. n. 34 del 2016).

Altra tutela spettante al lavoratore, certo decisamente meno rilevante in tempo di crisi economica ed occupazionale, è la possibilità riconosciuta dall'art. 1460 c.c., di eccepire l'inadempimento datoriale e ciò in applicazione del principio secondo il quale, in caso di violazione da parte del datore di lavoro dell'obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 cod. civ., è legittimo, a fronte dell'inadempimento altrui, il rifiuto del lavoratore di eseguire la propria prestazione, conservando, al contempo, il diritto alla retribuzione in quanto non possono derivargli conseguenze sfavorevoli in ragione della condotta inadempiente del datore ( Cass. civ. n. 6631 del 2015; Cass. civ. n. 10533 del 2013).

Piuttosto, nella situazione emergenziale in cui si opera, pare problematica la definizione dei termini di rispetto del cd. principio di massima sicurezza esigibile da parte dell'impresa.

In proposito, di una certa utilità può essere il richiamo alla giurisprudenza di legittimità formatasi in tema di rischio da inalazione di polveri contenenti asbesto e correlata alla necessità di individuare il parametro di sicurezza da esigere dal datore di lavoro nell'epoca precedente all'imposizione del divieto assoluto di produzione e lavorazione dell'amianto.

Si è detto (Cass. civ. n. 15082 del 2014) che dal dovere di prevenzione imposto al datore di lavoro dall'art. 2087 c.c. (che non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva) non possa desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile e innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che un danno si sia comunque verificato, occorrendo invece che l'evento sia pur sempre riferibile a sua colpa, per violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale o suggeriti dalla tecnica, ma concretamente individuati (Cass. civ., 1° giugno 2004, n. 10510).

Dunque, se non è possibile enucleare la condotta esigibile e non osservata, seppure almeno idonea quanto meno a ridurre significativamente il rischio di contagio, non può ipotizzarsi alcuna violazione dell'obbligo di sicurezza.

La giurisprudenza consolidata assegna all'art. 2087 c.c., il ruolo di norma di chiusura del sistema di prevenzione, operante cioè anche in assenza di specifiche regole d'esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma riconosce che tale norma sanziona l'omessa predisposizione di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e di indagare sull'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico (v., tra le tante, Cass. civ., 14 gennaio 2005, n. 644; Cass. civ., 1° febbraio 2008, n. 2491; Cass. civ, 3 agosto 2012, n. 13956; Cass. civ., 8 ottobre 2018, n. 24742; Cass. civ., 11 febbraio 2020, n.3282).

 

4. Gli effetti nell'ambito della responsabilità civile del datore di lavoro. Quanto, poi, al profilo, ulteriore ed evidentemente eventuale e successivo, dei presupposti di operatività della responsabilità civile derivante dall'eventuale contagio, è chiaro che, una volta fissati i contorni dell'obbligo di sicurezza nei termini sopra indicati, la fattispecie risarcitoria trova nel medesimo inadempimento il suo presupposto principale.

Secondo i comuni canoni, dunque, al lavoratore spetterà l'onere di allegare e provare i fatti costitutivi della propria pretesa e cioè l'inosservanza degli obblighi cautelari da parte del datore di lavoro, che il contagio sia avvenuto nell'espletamento dell'attività lavorativa e l'entità del danno. 

In tale contesto, la giurisprudenza della Corte di cassazione (vd. Cass. 15082/2014 cit. ) quanto all'onere della prova distingue tra la violazione di obblighi specifici previsti dalla legge (o da fonti equiparate), in ordine alle quali il datore di lavoro per non incorrere in responsabilità deve negare quanto dedotto dall'attore, e violazioni scaturenti dal generico obbligo di sicurezza imposto dall'art. 2087 c.c., ove occorre calcolare la diligenza ritenuta esigibile secondo misure di sicurezza normalmente osservate o che fanno riferimento ad altri ambiti analoghi.

Data la particolare rilevanza della condotta individuale emergente dalla disciplina precauzionale in fatto di contagio, assume rilievo anche la condotta del lavoratore. In tale prospettiva, posto che non vi è deroga ma potenziamento degli obblighi datoriali, deve ritenersi valido il principio secondo il quale al di fuori dei casi di rischio elettivo, nei quali la responsabilità datoriale è esclusa, qualora ricorrano comportamenti colposi del lavoratore trova applicazione l'art. 1227, comma 1, c.c.; tuttavia, la condotta incauta del lavoratore non comporta un concorso idoneo a ridurre la misura del risarcimento ogniqualvolta la violazione di un obbligo di prevenzione da parte del datore di lavoro sia munita di incidenza esclusiva rispetto alla determinazione dell'evento dannoso ( da ultimo si vd. Cass. civ., 25 novembre 2019, n.30679).

Del resto, il concreto ambito dell'obbligazione risarcitoria del datore di lavoro in ipotesi di contagio da Covid 19, visto il tenore dell'art. 42 d.l. n. 18 del 2020, sarà quello teso alla copertura del c.d. danno differenziale e complementare rispetto alla copertura assicurativa prestata dall'Inail, tema questo dai toni mai sufficientemente sopiti e recentemente ravvivatosi anche per l'intervento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione in materia di compensatio lucri cum damno (Cass.civ.,22 maggio 2018, n. 12565.

 

5. Gli effetti sull'assicurazione obbligatoria Inail. Quanto al rapporto configurabile tra l'ipotesi di contagio da Covid 19 e la disciplina assicurativa obbligatoria gestita dall'INAIL, come si è visto, è lo stesso art. 42 del d.l. n. 18 del 2020 che indica tale contagio come infortunio, laddove lo stesso si sia verificato in occasione di lavoro, prevedendo la relativa copertura assicurativa anche durante la malattia e la quarantena.

La disciplina emergenziale, ai fini dell'operatività della misura, si applica ai soggetti già rientranti nell'obbligo assicurativo presso l'Inail in quanto impiegati in attività protette (art. 1 d.P.R. n. 1124 del 1965), ovvero in quanto persone assicurate (art. 4 stesso testo) od ancora in quanto dipendenti da datori di lavoro obbligati ad assicurare i propri dipendenti (art. 9 stesso testo). Inoltre, la stessa disciplina si dirige agli altri soggetti previsti dal d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38 (lavoratori parasubordinati, sportivi professionisti dipendenti e lavoratori appartenenti all'area dirigenziale) e dalle altre norme speciali in tema di obbligo e tutela assicurativa Inail.

Il presupposto è il solo accadimento di un contagio avvenuto in occasione di lavoro, con estensione temporale della copertura assicurativa all'intera durata della malattia e della quarantena.

Della occasione di lavoro, la giurisprudenza ha accolto una nozione ampia, facendo applicazione del principio secondo il quale rileva solo che l'attività lavorativa sia svolta secondo il contratto di lavoro, rientrando nella protezione assicurativa qualsiasi attività riconducibile funzionalmente a questa (Cass. civ., 26 novembre 2019, n. 30874; Cas. civ., 6 febbraio 2018, n. 2838).

La esplicita applicazione della disciplina dell'infortunio al caso di contagio in occasione di lavoro è coerente con la finalità di provvedere rapidamente alla liquidazione degli indennizzi dovuti.    

Lo stesso Istituto, con la circolare esplicativa n. 13 del 3 aprile scorso, fornisce indicazioni sulle prestazioni garantite in caso di contagio di origine professionale e ciò fa nell'ottica della conferma che è necessario ampliare la platea degli assicurati nei cui confronti far scattare la piena tutela dell'Inail, come per gli altri infortuni o malattie, già a partire dal periodo di quarantena.

L'ipotesi del contagio da agente biologico è stata già qualificata quale infortunio dalla giurisprudenza della Corte di cassazione. In particolare, si è affermato che può costituire causa violenta anche l'azione di fattori microbici o virali che penetrando nell'organismo umano determinano l'alterazione dell'equilibrio anatomo - fisiologico, sempreché tale azione, pur se i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo, sia in rapporto con lo svolgimento dell'attività lavorativa. Tale dimostrazione può essere fornita in giudizio anche mediante presunzioni semplici (Cass. civ.,12 maggio 2005, n. 9968).

Secondo la circolare Inail sopra citata, «[…] in base alle istruzioni per la trattazione dei casi di malattie infettive e parassitarie, la tutela assicurativa si estende, infatti, anche alle ipotesi in cui l'identificazione delle precise cause e modalità lavorative del contagio si presenti problematica.

Ne discende che, ove l'episodio che ha determinato il contagio non sia noto o non possa essere provato dal lavoratore, né si può comunque presumere che il contagio si sia verificato in considerazione delle mansioni/lavorazioni e di ogni altro elemento che in tal senso deponga, l'accertamento medico-legale seguirà l'ordinaria procedura privilegiando essenzialmente i seguenti elementi: epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale».     

Alcuni profili di una certa criticità sono legati alla possibile azione di rivalsa conseguente alla erogazione della rendita per il caso di contagio da Covid 19, ai sensi degli artt. 10 ed 11 d.P.R.. n. 1124 del 1965 che consentono all'Istituto di agire in rivalsa nei confronti del datore di lavoro, nei limiti della responsabilità civile dello stesso.

Non pare che la previsione contenuta nell'art. 42 d.l. n. 18, secondo la quale il riconoscimento dell'indennità per l'infortunio non incide ai fini della determinazione dell'oscillazione del tasso medio per l'andamento infortunistico (ai sensi dell'art. 19 e ss. d.m. del 27 febbraio 2019), sia significativa dell'intenzione di allontanarsi dallo schema ordinario del testo unico.

Infatti, tale previsione costituisce chiaramente un mezzo teso a neutralizzare l'incidenza sul costo del lavoro, gravante sulla categoria produttiva in questione, degli effetti del contagio/infortunio che si accosta alla concessione di contributi per l'acquisto di dispositivi di protezione individuale o altri mezzi di prevenzione ed al credito d'imposta in caso di sanificazioni degli ambienti di lavoro.

Si tratta di leve economiche che lo Stato gestisce secondo canoni di discrezionalità con la finalità di modificare, nell'ambito assicurativo obbligatorio, il tipo di rapporto economico e finanziario intercorrente con il sistema produttivo già delineato dal d.P.R. n. 1124 del 1965.

Del resto tali strumenti rispondono alla medesima logica sottesa all'intervento sull'art. 11 d.P.R. 1124 del 1965 operato dal d.l. 30 aprile 2019, n. 34, convertito con modificazioni dalla l. 28 giugno 2019, n. 58, nel modificare l'art. 1, comma 1126, lett. d) ed e), l. 30 dicembre 2018, n. 145, secondo il quale il giudice, nel liquidare l'importo dovuto ai sensi dei commi precedenti, può procedere alla riduzione della somma tenendo conto della condotta precedente e successiva al verificarsi dell'evento lesivo e dell'adozione di efficaci misure per il miglioramento dei livelli di salute e sicurezza sul lavoro.

In conclusione, pare potersi affermare che le disposizioni emergenziali, anche per gli aspetti più legati alla disciplina assicurativa, pur tenendo conto di talune specificità, vadano complessivamente ricondotte ai canoni applicativi ordinari. 

GRATIS PER 10 GIORNI

RESTA AGGIORNATO SUI
CONTENUTI DI GIUSTIZIACIVILE.COM

NEWSLETTER