Sommario:
- 1. Valore sociale dell'impresa e finalità dell'amministrazione straordinaria
- 2. La conservazione delle attività imprenditoriali nella prospettiva conservativa o liquidatoria dell'impresa insolvente
- 3. La liquidazione dell'impresa insolvente in esercizio
- 4. Effetti giuslavoristici della circolazione dei patrimoni aziendali e specificità dell'amministrazione straordinaria
- 5. Prospettiva liquidatoria dell'AS e coesistenza di diversi regimi derogatori dell'art. 2112 c.c. (art. 56, comma 3-bis, d.lgs. n. 270/1999; art. 47, l. n. 428/1990)
- 6. (Segue): la disapplicazione dell'art. 2112 c.c. in presenza di un accordo sindacale (art. 47, comma 5-ter, l. n. 428/1990)
- 7. (Segue): la disapplicazione dell'art. 2112 c.c., senza accordo sindacale, nella più specifica ipotesi di cessione di complessi aziendali sulla base di un programma di prosecuzione provvisorio dell'esercizio dell'impresa (art. 27, comma 2, lett. a), e art. 56, comma 3-bis, d.lgs. n. 270/1999)
- 8. Ulteriori profili di specialità della disciplina applicabile alle cessioni di compendi aziendali da amministrazione straordinaria (d.l. n. 347/2003)
1. Valore sociale dell'impresa e finalità dell'amministrazione straordinaria
Per cogliere lo spirito della procedura di amministrazione straordinaria occorre, in primo luogo, considerare che il fattore occupazionale concorre alla qualificazione della fattispecie giacché, come è noto, lo strumento concorsuale di cui intendiamo qui occuparci è riservato alle imprese con più di duecento dipendenti (art. 2, d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270) [1] ed è destinatario di una normativa ulteriormente speciale (d.lgs. 23 dicembre 2003, n. 347, conv. in l. 18 febbraio 2004, n. 39) nel caso in cui il numero dei dipendenti sia superiore a cinquecento e l'impresa sottoposta alla procedura concorsuale eroghi servizi pubblici essenziali ovvero gestisca almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale (art. 2, comma 2 e art. 5, comma 2-ter, del d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, conv. in l. 18 febbraio 2004, n. 39, contenente misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza).
Se ne ricava, da subito, ed in modo inequivocabile, l'impressione che l'amministrazione straordinaria, proprio in ragione della rilevanza sociale dei patrimoni produttivi coinvolti [2], tende alla ricerca di specifichi punti di equilibrio tra gli interessi del ceto creditorio e l'interesse generale alla conservazione, in uno, sia della capacità produttiva dell'azienda che dei connessi livelli occupazionali. L'obiettivo di questo strumento, infatti, è quello di coniugare la finalità tipica di qualsiasi procedura concorsuale con la necessità di preservare il valore sociale dell'impresa quale luogo di produzione; il valore dell'iniziava economica intesa in senso oggettivo [3].
È questa, del resto, in modo del tutto coerente con gli elementi che definiscono la fattispecie qui appena ricordati, la prospettiva che sin da principio dichiara l'art. 1 del d.lgs. n. 270/1999 nella parte in cui definisce la natura e le finalità dell'amministrazione straordinaria chiarendo che essa è destinata alla “grande impresa commerciale insolvente” e persegue “finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali”.
Ond'è che è da subito messo in chiaro che, da un lato, c'è l'impresa commerciale insolvente e, cioè, l'imprenditore persona giuridica non più in grado di adempiere alle obbligazioni assunte e chiamato a rispondere al ceto creditorio. Dall'altro, però, anche il “patrimonio produttivo” da conservare, cioè il complesso di beni sino a quel momento organizzato dall'impresa insolvente per la produzione di beni e servizi che la legge si propone di tutelare, preservando la sua capacità di essere strumento di “attività imprenditoriali” da proseguire, riattivare o riconvertire (art. 1, d.lgs. n. 270/1999).
Del resto, lo si legge chiaramente nell'art. 55 del d.lgs. n. 270/1999 che il programma redatto dal commissario deve “salvaguardare l'unità operativa dei complessi aziendali, tenuto conto degli interessi dei creditori”.
2. La conservazione delle attività imprenditoriali nella prospettiva conservativa o liquidatoria dell'impresa insolvente
Solo nel caso in cui esistano “concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali” (art. 27, comma 1, d.lgs. n. 270/1999), il Giudice [4], valutata la relazione del commissario giudiziale, può decretare con motivazione l'ammissione della impresa insolvente alla procedura di amministrazione straordinaria (art. 30, d.lgs. n. 270/1999) in modo che, di conseguenza, sia proceda con la nomina del commissario straordinario cui spetta, sotto la vigilanza del Ministero dello sviluppo economico (oggi da intendersi Ministero delle Imprese e del Made in Italy), il compito di definire il programma di bilanciamento di tutti gli interessi coinvolti in una duplice possibile prospettiva. E cioè:
a) in “una prospettiva conservativa, non liquidatoria, tramite un piano di “ristrutturazione economica e finanziaria dell'impresa, sulla base di un programma di risanamento”(art. 27, comma 2, lett. b), di modo che le attività imprenditoriali proseguano per la soddisfazione del ceto creditorio e, sempre in questa prospettiva, continuino ad essere svolte dall'impresa insolvente risanata;
b) ovvero in una prospettiva liquidatoria, tramite la cessione universalistica di complessi aziendali o atomistica di singoli beni (art. 27, comma 2, lett. a) e b-bis), facendo in modo che la tutela dei creditori sia assecondata dalla loro cessione. E che, conseguentemente, le attività imprenditoriali siano proseguite da altri imprenditori avvalendosi di ciò che si può salvare dell'azienda dell'impresa insolvente.
Siffatta distinzione delle diverse prospettive della procedura di amministrazione straordinaria è in piena sintonia sistematica con la disposizione che chiarisce che la natura non liquidatoria del concordato in continuità, anche indiretta, consiste nel fatto che il ceto creditorio è destinato ad essere soddisfatto per mezzo dell'esercizio in continuità dell'azienda, non importa se ad opera del debitore o del terzo cessionario (art. 84, commi 2 e 3, d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14) [5]. Deducendoci da ciò, a contrario, che il concordato è invece liquidatorio quando la soddisfazione del ceto creditorio è perseguita per effetto della mera vendita dell'azienda (art. 84, comma 4, d.lgs. n. 14/2019) [6] e non anche per il tramite del suo esercizio direttamente, o indirettamente, imputabile all'impresa insolvente.
Ond'è che, per dirla in altri termini, ogni procedura concorsuale, ivi compresa l'amministrazione straordinaria, ha natura liquidatoria quando è orientata al definitivo spossessamento dei compendi aziendali (sotto forma di azienda o di cessione atomistica di singoli beni) sino a quel momento gestiti dall'impresa insolvente perché tramite tale cessione la procedura intende, allo stesso tempo, soddisfare collettivamente il ceto creditorio [7] e offrire una possibilità di conservazione del patrimonio produttivo e dei livelli occupazionali connessi.
Il che, a ben vedere, sta a significare che l'amministrazione straordinaria ha natura non liquidatoria se la gestione dell'impresa dichiarata insolvente tende al risanamento e, quindi, a soddisfare i creditori mediante l'esercizio di un'attività che, se pur condotta dalla gestione commissariale, tende al ripristino dell'equilibrio economico dell'impresa insolvente. Ha, invece, natura liquidatoria quando la soddisfazione dei creditori è perseguita mediante la valorizzazione economica della cessione di beni e/o complessi aziendali, nell'ambito di programmi che prevedono l'esercizio transitorio dell'impresa anche in funzione dell'incremento del prezzo della futura cessione. Ove la procedura abbia una finalità liquidatoria l'obiettivo non è mai quello di riportare in equilibrio l'impresa insolvente ma solo di salvaguardare la prosecuzione, da parte di altri, delle attività imprenditoriali. La finalità, in questo caso, è quella di salvaguardare l'impresa intesa nella sua dimensione oggettiva, costituzionalmente tutelata, di luogo di produzione che concorre (prioritariamente tramite l'occupazione) al benessere generale [8].
3. La liquidazione dell'impresa insolvente in esercizio
Restano due precisazioni importanti per superare i dubbi di chi fa concettualmente fatica a coniugare la dimensione liquidatoria della procedura concorsuale con l'esistenza di un'impresa ancora transitoriamente in esercizio [9].
La prima, e più banale, è che anche la liquidazione giudiziale o la liquidazione coatta amministrativa, che pacificamente non possono che avere una finalità liquidatoria, ben possono contemplare l'esercizio provvisorio dell'impresa e, nel suo corso, la cessione di un complesso aziendale attivo.
La seconda, ancora più dirimente, è la consapevolezza del nuovo indirizzo assunto dalla giurisprudenza della CGUE [10]. E infatti, premesso che la liquidazione mira a massimizzare la soddisfazione collettiva dei creditori [11], superando un indirizzo in un primo momento ambiguo e piuttosto restrittivo [12], la Corte ha poi correttamente puntualizzato che la dimensione liquidatoria della procedura sussiste anche nel caso di liquidazione dell'impresa in attività che soddisfi al meglio l'insieme dei creditori e che mantenga, per quanto possibile, l'occupazione [13]. Per la CGUE, infatti, con ciò superando ogni possibile dubbio interpretativo, l'art. 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 nella parte in cui fa riferimento alle procedure concorsuali liquidatorie per autorizzare la derogabilità dell'art. 2112 c.c. non può intendersi “limitato alle imprese, agli stabilimenti o alle parti di imprese o di stabilimenti la cui attività sia stata definitivamente interrotta prima della cessione o successivamente a quest'ultima” (par. 49, ma si vedano anche i nn. 50 e 53 della motivazione).
4. Effetti giuslavoristici della circolazione dei patrimoni aziendali e specificità dell'amministrazione straordinaria
Piuttosto complesse, soprattutto in ragione di una storica difficoltà di raccordo tra ordinamento interno e ordinamento comunitario [14], restano le questioni che attengono alla circolazione dei patrimoni aziendali nell'ambito di una procedura di amministrazione straordinaria.
Per inquadrare il contesto normativo di riferimento va ricordato che l'evoluzione della giurisprudenza comunitaria ha imposto un profondo aggiornamento delle previsioni dell'ordinamento interno che modulano le deroghe alle tutele applicabili in caso di trasferimento di azienda, ai sensi dell'art. 2112 c.c., alle cessioni effettuate da imprese in bonis [15]. Ne deriva che, oggi, almeno in apparenza, con l'ultima riformulazione dell'art. 47, commi 4-bis, 5, 5-ter, della l. 29 dicembre 1990, n. 428 il Codice della crisi d'impresa (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14) delinea un apparato derogatorio all'art. 2112 c.c. strutturato in tre livelli [16].
Il primo riguarda tutte le procedure non liquidatorie e, cioè, come detto, finalizzate ad assicurare la prosecuzione dell'impresa insolvente; rientrano in tale categoria di procedure anche le procedure di amministrazione straordinaria disposte, ai sensi del d.lgs.n. 270/1999, “in caso di continuazione o di mancata cessazione dell'attività”. La cessione di azienda, o di un suo ramo, effettuata nell'ambito di questo tipo di procedura non consente, come noto, una deroga al principio della continuità dei rapporti di lavoro (art. 2112 comma 1, c.c.) ma solo la rimodulazione delle condizioni di lavoro [17].
Il secondo apparato, caratterizzato dalla derogabilità convenzionale estesa anche al principio della continuità dei rapporti di lavoro, riguarda la liquidazione giudiziale, la liquidazione coatta amministrativa ed il concordato preventivo liquidatorio, “nel caso in cui la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata” [18] (art. 47, comma 5, l. n. 428/1990).
Il terzo, infine, è riservato alle sole imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria ed opera, anche in questa ipotesi come in quella che precede, “nel caso in cui la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata” (art. 47, comma 5-ter, d.lgs. n. 270/1999, introdotto dall'art. 368, comma 4, lett. d), d.lgs. n. 14/2019). In tale fattispecie è previsto che in presenza di un accordo collettivo circa il mantenimento anche parziale dell'occupazione ai lavoratori il cui rapporto di lavoro prosegue con il cessionario non trova applicazione l'art. 2112 c.c., salvo che dall'accordo risultino condizioni di miglior favore [19]. L'impianto derogatorio di cui al comma 5-ter risulta, in buona sostanza, capovolto rispetto a quello di cui al comma 5: l'art. 2112 c.c. non si applica in presenza di un accordo collettivo. Ond'è che in presenza di un accordo collettivo la disposizione codicistica opera solo se, e nella misura in cui, le parti lo abbiano specificato espressamente [20].
La diversificazione del regime applicabile alla procedura di amministrazione straordinaria è certamente da ricondurre alla specifica finalità di questo tipo di procedura, di cui si è dato conto (vedi paragrafi 2 e 3), ed anche all'esigenza tecnica di raccordare il contenuto dell'art. 47 della l. n. 428/1990 con le previsioni del d.lgs. n. 270/1999 che, in taluni casi, come ora si dirà, anche a fronte di una circolazione del patrimonio aziendale che si possa qualificare come trasferimento di azienda, escludono la applicazione dell'art. 2112 c.c. – come del resto la direttiva comunitaria ben consente (art. 5 direttiva 23/2001) [21] – senza la necessità di un accordo sindacale.
Ne deriva, in buona sostanza, che per l'amministrazione straordinaria il regime tripartito da considerare quando si affronta la questione della rimodulazione dei diritti dei lavoratori nelle vicende circolatorie dei patrimoni delle imprese insolventi risulta, in verità, ben più articolato e complesso.
Ciò dipende, essenzialmente, dal fatto che, in questo specifico contesto concorsuale, più che altrove, e quale conseguenza della coesistenza di una regolamentazione che è al tempo stesso giuslavoristica (l. n. 428/1990) e concorsuale (d.lgs. n. 270/1999), il regime degli effetti del trasferimento di azienda è caratterizzato da molteplici sfumature inestricabilmente connesse alla struttura e natura di questo tipo di procedura.
5. Prospettiva liquidatoria dell'AS e coesistenza di diversi regimi derogatori dell'art. 2112 c.c. (art. 56, comma 3-bis, d.lgs. n. 270/1999; art. 47, l. n. 428/1990)
La questione da mettere in evidenza è quella che attiene al rapporto tra, da un lato, l'art. 47, comma 5-ter, l. n. 428/1990 e, dall'altro, l'art. 56, comma 3-bis, d.lgs. n. 270/1999. Entrambe le disposizioni sono infatti destinate a disciplinare gli effetti di un trasferimento di azienda disposto nell'ambito di una prospettiva liquidatoria e, dunque, prevedendo effetti diversi, è particolarmente importante capire il perimetro di applicazione di ciascuna di esse [22].
Nell'art. 56, comma 3-bis, d.lgs. n. 270/1999 è stabilito che le operazioni di cessione effettuate dal commissario in vista della liquidazione dei beni, se disposte in attuazione dei programmi di cui all'art. 27, comma 2 lett. a) e b-bis) del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, non comportano l'applicazione degli effetti previsti dall'art. 2112 c.c. Dunque, in questi casi la legge non subordina la deroga all'art. 2112 c.c. all'esistenza di un accordo sindacale da raggiungere nell'ambito della procedura di informazione e consultazione di cui all'art. 47, commi 1-4, della legge n. 428 del 1990.
Orbene, se ciò è del tutto ovvio per il caso in cui la cessione abbia ad oggetto solo beni e contratti (art. 27, comma 2, lett. b-bis) – perché in questo caso non risulta integrata, a monte, la fattispecie di cui all'art. 2112, comma 4, c.c. e, quindi, neanche si pone un problema di deroga dei suoi effetti – altrettanto non può dirsi per l'ipotesi in cui la cessione abbia, invece, ad oggetto un complesso aziendale (art. 27, comma 2, lett. a).
E infatti, proprio in tale ipotesi:
a) l'art. 56, comma 3-bis, del d.lgs. n. 270/1999 prevede che l'art. 2112 c.c. non trova applicazione in quanto la cessione avviene “sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa” denominato “programma di cessione dei complessi aziendali” (art. 27, comma 2, lett. a);
b) l'art. 47, commi 5-ter, l. n. 428/1990 prevede che solo la presenza di un accordo circa il mantenimento anche parziale dell'occupazione produce l'effetto della disapplicazione dell'art. 2112 c.c. ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continui con l'acquirente. E ciò vale, per doverosa puntualizzazione, nell'ipotesi di cessione di azienda effettuata da una procedura di amministrazione straordinaria“nel caso in cui la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata”.
Coordinare le due disposizioni non è semplice. Ma ritenere che le modifiche nel tempo apportate all'art. 47 della l. n. 428/1990 abbiano implicitamente abrogato l'art. 56, comma 3-bis, del d.lgs. n. 270/1999 non è corretto, né possibile, per il semplice fatto che la seconda disposizione (art. 56, comma 3-bis), a ben vedere, è stata introdotta quando la prima (art. 47) già condizionava la derogabilità dell'art. 2112 c.c. all'esistenza di un accordo sindacale nella ipotesi di amministrazione straordinaria “in cui la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata”.
Anzi, le modifiche cui è stato sottoposto nel corso degli anni l'art. 47della l. n. 428/1990 confermano, all'opposto, avendo tra l'altro il legislatore sempre preservato la formulazione dell'art. 56 del d.lgs. 270/1999, la volontà di attribuire alle due disposizioni una portata ben distinta perché diverse sono le fattispecie in esse rappresentate e, di conseguenza, diversi devono essere anche gli effetti [23].
6. (Segue): la disapplicazione dell'art. 2112 c.c. in presenza di un accordo sindacale (art. 47, comma 5-ter, l. n. 428/1990)
Per capire la differenza tra le due fattispecie va in primo luogo considerato che l'art. 47, comma 5-ter, della l. n. 428/1990 fa riferimento ad una cessione effettuata dalla amministrazione straordinaria quando è avvenuta la “cessazione dell'attività” o, comunque, in caso di assenza di disposizioni sulla “continuazione dell'attività”.
Si tratta di una terminologia che non riguarda solo l'amministrazione straordinaria e che, a ben vedere, sempre nell'ambito dell'art. 47 della l. n. 428/1990, è utilizzata per qualificare tutte le procedure concorsuali di natura liquidatoria (nel comma 5 dell'art. 47, ad esempio, qualifica anche la liquidazione giudiziale e la liquidazione coatta amministrativa).
Ciò accade per un motivo ben preciso. Quando la legge qualifica una procedura concorsuale alla stregua di una procedura nella quale “la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata” intende semplicemente qualificarla come una procedura di tipo liquidatorio. Una procedura che, ai sensi delle fonti comunitarie, consente la deroga all'art. 2112 c.c., in quanto il suo obiettivo ultimo non è la prosecuzione dell'attività in capo all'impresa insolvente ma, all'opposto, la liquidazione del suo patrimonio.
Ma escludere che l'obiettivo finale delle procedure di questo tipo possa essere quello della prosecuzione dell'impresa insolvente certamente non vuol dire precludere l'esercizio provvisorio dell'impresa in vista della possibile prosecuzione, da parte di altro imprenditore, previo spossessamento dell'impresa insolvente, delle “attività imprenditoriali” in passato esercitate da quest'ultima. Giacché, rinviando sul punto ai par. n. 1-3, lo scopo dell'amministrazione straordinaria, e lo stesso può dirsi per la liquidazione giudiziale per la quale è stato concesso l'esercizio provvisorio, ben può essere quello di salvaguardare il patrimonio produttivo mediante la cessione, liquidatoria, dell'azienda e la ripresa, da parte di terzi, delle attività imprenditoriali.
7. (Segue): la disapplicazione dell'art. 2112 c.c., senza accordo sindacale, nella più specifica ipotesi di cessione di complessi aziendali sulla base di un programma di prosecuzione provvisorio dell'esercizio dell'impresa (art. 27, comma 2, lett. a), e art. 56, comma 3-bis, d.lgs. n. 270/1999)
Chiarita la effettiva portata della formulazione legislativa che nell'art. 47 della l. n. 428/1990 consente, previo accordo sindacale, la modulazione delle tutele di cui all'art. 2112 c.c. quando la continuazione dell'attività dell'impresa insolvente “non sia stata disposta o sia cessata”, dovrebbe, ora, risultare più agevole distinguere questa fattispecie, assai ampia perché orientata in modo generico ad indentificare la natura liquidatoria della procedura, da quella, ben più specifica, perché riferita ad una particolare modalità di realizzazione del programma liquidatorio, posta alla base della operatività dell'art. 56, comma 3-bis, del d.lgs. n. 270/1999.
In generale, tutte le cessioni di complessi aziendali effettuate nell'ambito di un programma liquidatorio di amministrazione straordinaria rientrano nel campo di applicazione dell'art. 47, comma 5-ter, della l. n. 428/1990. Quando, però, la cessione costituisce, in modo specifico, proprio l'obiettivo del programma di prosecuzione provvisoria dell'esercizio dell'impresa adottato dal Commissario ai sensi dell'art. 27, comma 2, lett. a), trova applicazione la più flessibile disciplina derogatoria dettata dall'art. 56, comma 3-bis, d.lgs. n. 270/1999 che non subordina la disapplicazione dell'art. 2112 c.c. all'esistenza di un accordo sindacale. Ciò avviene in virtù di un evidente criterio di specialità che impone all'art. 47, comma 5-ter, l. n. 428/1990 di farsi cedevole dinanzi all'art. 56, comma 3-bis, d.lgs. n. 270/1999.
Ai sensi dell'art. 47, comma 5-ter, la derogabilità dell'art. 2112 c.c. è condizionata all'esistenza di un accordo sindacale allorquando la cessione non è, in senso stretto, l'oggetto del programma di cessione adottato dal commissario. È quello che accade, ad esempio, quando detta cessione riguardi complessi aziendali che il commissario ha ritenuto di dismettere nel corso della fase di esercizio provvisorio cessando le relative attività imprenditoriali (art. 56, comma 1, lett. a) oppure, per altro verso, per effetto della prevista liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa (art. 56, comma 1, lett. b). Ma ulteriori cessioni non riconducibili al programma di cessione di complessi aziendali potrebbero essere quelle che riguardano complessi aziendali residuati all'esito della finalizzazione del programma di esercizio provvisorio orientato alla vendita, ad esempio a causa di una vendita solo parzialmente riuscita o, peggio, del fallimento del progetto di vendita.
Ciò che si vuole dire, in altri termini, e che l'operatività dell'art. 47, comma 5-ter, della l. n. 428/1990 è circoscritta alla sola ipotesi in cui la cessione non riguardi i complessi aziendali per i quali è stato specificatamente programmato l'esercizio provvisorio in vista della loro cessione e, proprio in ragione della situazione di maggiore complessità ed incertezza che questa possibile situazione comporta, è richiesto l'accordo con le organizzazioni sindacali per modulare eventuali deroghe all'art. 2112 c.c.
Diversamente, l'art. 56, comma 3-bis, d.lgs. n. 270/1999, con l'obiettivo di sostenere il progetto di liquidazione del complesso aziendale cui è dedicato l'esercizio provvisorio, e quindi di preservare il patrimonio in una prospettiva liquidatoria che tende allo spossessamento dell'impresa insolvente, contempla la disapplicazione dell'art. 2112 c.c. senza necessità di accordo collettivo. L'obiettivo della legge, in questo caso, è quello di tutelare i creditori ma anche di agevolare il più possibile la temporanea prosecuzione dell'attività produttiva in vista della cessione di un patrimonio produttivo ancora funzionante e, quindi, in grado di concorrere all'interesse generale nella prospettiva di tutelare il valore sociale dell'impresa [24] o, per dirla diversamente, dell'iniziativa economica privata in senso oggettivo.
A conferma della ricostruzione qui prospettata si può notare che l'ambito di operatività ora attribuito all'art. 47, comma 5-ter tende, in modo del tutto naturale, a riannodare la disciplina della amministrazione straordinaria a quella della liquidazione giudiziale proprio quando, a ben vedere, si fa concreta la prospettiva di dover convertire l'amministrazione straordinaria in liquidazione giudiziale e, cioè, quando, ai sensi dell'art. 70, comma 1, lett. a), essendo stato autorizzato un programma di cessione dei complessi aziendali, tale cessione non sia ancora avvenuta, in tutto o in parte, alla scadenza del programma [25].
Da ricordare, inoltre, tanto l'art. 191 del Codice della crisi quanto l'art. 63, d.lgs. n. 270/1999. Nel richiamare l'applicazione dell'art. 47 alle ipotesi di trasferimento d'azienda che avvengono nell'ambito delle procedure concorsuali, l'art. 191 del Codice non menziona l'amministrazione straordinaria a conferma della specialità della procedura in esame. Per altro verso, l'art. 63 [26] d.lgs. n. 270/1999, nel disciplinare la vendita di aziende in esercizio, richiama la procedura di informazione e consultazione delle rappresentanze sindacali contenuta nell'art. 47 proprio al fine di ribadire che la procedura sindacale – anche nel caso in cui trovi applicazione l'art. 56, comma 3-ter, che esclude l'applicabilità dell'art. 2112 c.c. – deve essere comunque attivata (sebbene, come detto, il raggiungimento di un accordo non sia necessariamente condicio sine qua non per disapplicare l'art. 2112 c.c.).
8. Ulteriori profili di specialità della disciplina applicabile alle cessioni di compendi aziendali da amministrazione straordinaria (d.l. n. 347/2003)
È da segnalare, piuttosto, l'esistenza di una regolamentazione ancora più specifica e, per questo, destinata a sovrascrivere le altre secondo un criterio di specialità, nella quale la derogabilità dell'art. 2112 c.c. risulta esplicitamente e senza riserve demandata alla sola autonomia negoziale di cedente e cessionario (senza necessità, dunque, di un preventivo accordo con le rappresentanze dei lavoratori).
Mi riferisco al caso di amministrazione straordinaria di imprese qualificate in ragione di specifici requisiti soggettivi e/o oggettivi perché operanti nei servizi pubblici essenziali o che, per altro verso, gestiscono stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale. Per queste tipologie di imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria è previsto che, esaurite infruttuosamente le procedure di consultazione sindacale di cui all'art. 63, comma 4, d.lgs. n. 270/1999, il commissario e il cessionario possano concordare il trasferimento solo parziale di complessi aziendali e attività in precedenza unitarie, “con individuazione dei lavoratori che passano alle dipendenze del cessionario” (art. 5, d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, conv. in l. 18 febbraio 2004, n. 39, come modificato dal d.l. 28 agosto 2008, n. 134, recante disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi, convertito con modificazioni in l. 27 ottobre 2008, n. 166).
Il presente contributo non è stato sottoposto a referaggio.
Riferimenti bibliografici:
[1] Sulla specificità della procedura di amministrazione straordinaria si rinvia, tra gli altri, ai contributi di G. ALESSI, L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, Milano, 2000; M.T. CIRENEI, L'amministrazione straordinaria tra diritto commerciale e diritto della concorrenza, in Eur. dir. priv., 2000, 317 ss.; V. DI FUSCO-F. DI PACE, La nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, Padova, 2001.
[2] G. OPPO, L'iniziativa economica, in Riv. dir. civ., 1988, 323; M. PERSIANI, Diritto del lavoro e razionalità, in Arg. dir. lav., 1995, 1 ss.; M. MARAZZA, Il diritto del lavoro per la sostenibilità del valore sociale dell'impresa, in Il diritto del lavoro per una ripresa sostenibile xx congresso nazionale AIDLaSS Taranto 28-29-30 ottobre 2021, Milano-Piacenza, 2022, 191.
[3] Per una ricostruzione del valore sociale dell'impresa, e quindi per la valorizzazione della concezione oggettiva della libertà di iniziativa economica, si rinvia a M. MARAZZA, ult. op. cit. Sull'utilità sociale del “patrimonio produttivo”(art. 1, d.lgs. n. 270/1999) si veda A. BALDASSARRE, Iniziativa economica privata, in Enc. dir.,XXI, Milano, 1971, 604.
[4] Per effetto delle modifiche introdotte dall'art. 350, d.lgs. n. 14/2019, all'art. 3, d.lgs. n. 270/1999 e all'art. 2, d.l. n. 347/2003, la dichiarazione dello stato di insolvenza spetta al tribunale competente ai sensi dell'art. 27, d.lgs. n. 14/2019. Stando alla versione (in vigore dal 15 luglio 2022) dell'art. 27, quando si tratti di imprese in amministrazione straordinaria e di gruppi di imprese di rilevante dimensione, sia per i procedimenti di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza o a una procedura di insolvenza, sia per le controversie che ne derivano, è competente il tribunale sede delle sezioni specializzate in materia di imprese ex art. 1, d.lgs. n. 168/2003 avuto riguardo al luogo in cui il debitore ha il centro degli interessi principali.
[5] In particolare, per comodità di valutazione si ricorda che ai sensi del comma 2: “La continuità aziendale tutela l'interesse dei creditori e preserva, nella misura possibile, i posti di lavoro. La continuità aziendale può essere diretta, con prosecuzione dell'attività d'impresa da parte dell'imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, ovvero indiretta, se è prevista dal piano la gestione dell'azienda in esercizio o la ripresa dell'attività da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, conferimento dell'azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, ovvero in forza di affitto, anche stipulato anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso, o a qualunque altro titolo”. Il successivo comma 3 dispone: “Nel concordato in continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura anche non prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta. La proposta di concordato prevede per ciascun creditore un'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile, che può consistere anche nella prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa.”
[6] Ai sensi del comma 4: “Nel concordato con liquidazione del patrimonio la proposta prevede un apporto di risorse esterne che incrementi di almeno il 10 per cento l'attivo disponibile al momento della presentazione della domanda e assicuri il soddisfacimento dei creditori chirografari e dei creditori privilegiati degradati per incapienza in misura non inferiore al 20 per cento del loro ammontare complessivo. Le risorse esterne possono essere distribuite in deroga agli articoli 2740 e 2741 del codice civile purché sia rispettato il requisito del 20 per cento. Si considerano esterne le risorse apportate a qualunque titolo dai soci senza obbligo di restituzione o con vincolo di postergazione, di cui il piano prevede la diretta destinazione a vantaggio dei creditori concorsuali”.
[7] Già M. MARAZZA-V. ANIBALLI, Contratto e rapporto di lavoro nell'impresa dichiarata insolvente, Contratto e rapporto di lavoro nell'impresa dichiarata insolvente, Tratt. CP, Vol. IV (Contratto di lavoro ed organizzazione), Padova, 2012, 2233 ss.; V. ANIBALLI, Il trasferimento di «ramo d'azienda» nel fallimento e nell'amministrazione straordinaria: compatibilità della disciplina italiana con la normativa europea, in Riv. it. dir. lav., 2012, 2, 374.
[8] M. MARAZZA, Il diritto del lavoro per la sostenibilità del valore sociale dell'impresa, cit.
[9] In tal senso, per quanto non condivisibile in ragione delle argomentazioni esposte nel testo, e per il contrasto con gli orientamenti della CGUE, si richiama un precedente della giurisprudenza di merito che parrebbe escludere il carattere liquidatorio della procedura di amministrazione straordinaria qualora vi sia la prosecuzione dell'attività fino al momento del trasferimento di azienda o di un suo ramo (v. App. Milano del 26 gennaio 2023, n. 86).
[10] CGUE, Sez. III, 28 aprile 2022, C-237/20.
[11] CGUE, 22 giugno 2017, C-126/2016, punto 48.
[12] CGUE, 22 giugno 2017, C-126/2016, punto 47; CGUE, 25 luglio 1991, C-362/1989; CGUE, 7 dicembre 1995, C-482/1993.
[13] In questo senso, CGUE, Sez. III, 28 aprile 2022, C-237/20, per la quale il requisito liquidatorio è soddisfatto anche qualora il trasferimento di un'impresa, in tutto o in parte, sia addirittura predisposto anteriormente all'apertura della procedura fallimentare diretta alla liquidazione dei beni del cedente e nel corso della quale detto trasferimento viene realizzato, nell'ambito di una procedura di pre-pack (disciplinata da disposizioni legislative o regolamentari), con l'obiettivo principale di consentire, nell'ambito della procedura fallimentare, una liquidazione dell'impresa in attività che soddisfi al meglio l'insieme dei creditori e che mantenga, per quanto possibile, l'occupazione.
[14] In relazione al difficile raccordo tra normativa comunitaria e interna in materia di trasferimento di azienda in crisi, si segnalano, tra gli altri: A. CAIAFA, Crisi di impresa, trasferimento d'azienda, diritti dei lavoratori e normativa comunitaria, in Dir. fall., 2010, n. 2, 153; R. COSIO, La Corte di Giustizia censura la normativa nazionale in materia di trasferimento di impresa in crisi, in Lav. giur., 2009, 1125 ss.; R. DE LUCA TAMAJO-M.T. SALIMBENI, Il trasferimento d'azienda, in A. VALLEBONA (a cura di), I contratti di lavoro, Torino, 2009; A. PIZZOFERRATO, La disciplina lavoristica del trasferimento d'azienda in crisi nel nuovo scenario interpretativo, in Lav. giur., 2001; R. ROMEI, Il trasferimento dell'azienda in crisi dinanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, in Mass. giur. lav., 1995, 489.
[15] Per un approfondimento complessivo, R. ROMEI, Il rapporto di lavoro nel trasferimento dell'azienda, Milano, 2021, 239 ss.
[16] Così anche A. PRETEROTI, Il trasferimento d'azienda nel Codice della crisi d'impresa: prove di assestamento euro-unitario, in Mass. giur. lav., 2020, 3, 649 ss.
[17] All'accordo con le organizzazioni sindacali, non necessariamente quelle comparativamente più rappresentative (art. 47, comma 4-bis, l. 29 dicembre 1990, n. 428 e art. 51 d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81), è consentito regolamentare gli effetti della continuazione del rapporto in modo diverso da quanto prevede l'art. 2112 c.c. per ciò che attiene alle condizioni di lavoro (art. 2112, commi 2, 3 e 4, c.c.) e, quindi, non anche alla disponibilità degli elementi qualificanti della fattispecie del trasferimento di azienda o di un suo ramo (art. 2112, comma 5, c.c.). Il nuovo comma 4-bis dell'art. 47, dunque, sancisce espressamente il trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro, mentre permette solo una modifica alle condizioni di lavoro, nei termini e con le limitazioni previste dall'accordo collettivo.
[18] Ove la cessione venga effettuata nell'ambito di una di queste procedure liquidatorie (art. 47, comma 5, l. 29 dicembre 1990, n. 428) i rapporti di lavoro continuano con il cessionario ma, in ogni caso, non trova applicazione il principio della responsabilità solidale di cui all'art. 2112, comma 2, c.c. (art. 47, comma 5-bis, l. n. 428/1990). All'eventuale accordo raggiunto nel corso della procedura di informazione e consultazione sindacale con le organizzazioni sindacali qualificate ai sensi dell'art. 51 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 è demandata la facoltà, per finalità di tutela dell'occupazione, di derogare i commi 1, 3 e 4 dell'art. 2112 c.c. Ne deriva che l'autonomia privata collettiva è pienamente investita della facoltà di disporre di tutte le tutele lavoristiche previste dalla legge in caso di trasferimento di azienda, a partire da quella della continuità dei rapporti di lavoro.
[19] La formulazione dell'art. 47, comma 5-ter, l. n. 428/1990 ricorda quella contenuta nella versione del comma 5 “ante Codice” e relativa a tutte le procedure con finalità liquidatoria e non solo all'ipotesi dell'amministrazione straordinaria.
[20] La disposizione non contempla il riferimento ai contratti collettivi ex art. 51, d.lgs. n. 81/2015, limitandosi a precisare che l'accordo vada raggiunto nel corso della consultazione sindacale. Ne deriva che i soggetti abilitati a stipulare gli accordi in questione sono “solo” quelli richiedenti l'esame congiunto ex art. 47, comma 2, con tutto ciò che ne consegue in ordine alla questione dell'efficacia soggettiva.
[21] La Direttiva comunitaria individua le condizioni in presenza delle quali è consentita la disapplicazione del trasferimento automatico dei contratti di lavoro, in assenza di un accordo sindacale: l'impresa deve essere oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza; tale procedura è volta alla liquidazione dei beni; la liquidazione dei beni si svolge sotto il controllo di un'autorità pubblica competente (art. 5, n. 1).
[22] Sui problemi di conformità dell'art. 56, comma 3-bis, d.lgs. n. 270/1999, con il diritto euro-unitario, laddove il primo non sia animato da una effettiva finalità liquidatoria, bensì dallo scopo di garantire la prosecuzione dell'attività di impresa, come testimonia il rinvio all'art. 27 e al recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali, A. PRETEROTI, Il trasferimento d'azienda nel Codice della crisi d'impresa, cit., 677, nt. 57. Cfr. le posizioni di F. SANTONI, La tutela dei lavoratori nella crisi dell'Alitalia, in ID. (a cura di), Vicende dell'impresa e tutela dei lavoratori nella crisi dell'Alitalia, in Quad. dir. merc. lav., 2009, 19; L. VENDITTI, Riduzione di personale e dimensioni dell'impresa: il caso Alitalia, in F. Santoni (a cura di), Vicende dell'impresa, cit., 185; F.V. PONTE, La disciplina italiana sul trasferimento dell'azienda in crisi non supera il vaglio della Corte di Giustizia, in Dir. merc. lav., 2009, 1-2, 358 ss.; M. MARAZZA-V. ANIBALLI, Contratto e rapporto di lavoro nell'impresa dichiarata insolvente, cit., 2303. L'attuale formulazione dell'art. 47, l. n. 428/1990, è frutto, ad ultimo, delle modifiche apportate dall'art. 368, comma 4, d.lgs. n. 14/2019.
[23] Per effetto dell'art. 19-quater, comma 1, lett. a), d.l. 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, nella l. 20 novembre 2009, n. 166, è stato inserito l'art. 47, comma 4-bis, l. n. 428/1990, se il trasferimento riguarda un'azienda nei cui confronti “sia stata disposta l'amministrazione straordinaria, ai sensi del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell'attività”, il raggiungimento di un accordo trilatero circa il mantenimento, anche parziale, dell'occupazione consente l'applicazione dell'art. 2112 c.c. nei termini e con le limitazioni previste dall'accordo medesimo (art. 47, comma 4-bis, l. n. 428/1990); quando invece “la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata”, non troverà applicazione la norma codicistica, “salvo che dall'accordo non risultino condizioni di miglior favore” (art. 47, comma 5, l. n. 428/1990). Da ultimo, v. art. 368, comma 4, lett. d), d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, a decorrere dal 15 luglio 2022, ai sensi di quanto disposto dall'art. 389, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 14/2019, come sostituito dall'art. 5, comma 1, d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito, con modificazioni, dalla l. 5 giugno 2020, n. 40, e dall'art. 1, comma 1, lett. a), d.l. 24 agosto 2021, n. 118, convertito, con modificazioni, dalla l. 21 ottobre 2021, n. 147, e modificato dall'art. 42, comma 1, lett. a), d.l. 30 aprile 2022, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla l. 29 giugno 2022, n. 79.
[24] In questi casi la continuazione dell'attività è possibile sulla base di programmi di prosecuzione provvisoria dell'esercizio di impresa giacché, proprio tramite la cessione cui è orientato il programma, si intende soddisfare collettivamente il ceto creditorio e, allo stesso tempo, offrire una prospettiva di tutela anche alla capacità produttiva del complesso aziendale. Già M. MARAZZA-V. ANIBALLI, Contratto e rapporto di lavoro nell'impresa dichiarata insolvente, cit.; V. ANIBALLI, Il trasferimento di «ramo d'azienda» nel fallimento e nell'amministrazione straordinaria, cit., 374.
[25] La conversione al termine della procedura essa viene è disposta dal tribunale, su richiesta del commissario straordinario anche quando, essendo stato autorizzato un programma di ristrutturazione, l'imprenditore non abbia recuperato la capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni alla scadenza del programma (art. 70, comma 1, lett. b, d.lgs. n. 270/1999). Per completezza, si segnala che la conversione dell'amministrazione straordinaria in liquidazione giudiziale può avvenire in qualsiasi momento nel corso della procedura di amministrazione straordinaria. Quando risulta che la stessa non può essere utilmente proseguita, il tribunale, su richiesta del commissario straordinario o d'ufficio, dispone la conversione della procedura in fallimento (art. 69, comma 1, d.lgs. n. 270/1999).
[26] Trattandosi di aziende e rami di azienda in esercizio la valutazione del valore dei beni, tiene conto della redditività, anche se negativa, all'epoca della stima e nel biennio successivo. L'acquirente deve obbligarsi a proseguire per almeno un biennio le attività imprenditoriali e a mantenere per il medesimo periodo i livelli occupazionali stabiliti all'atto della vendita. In generale, la scelta dell'acquirente è effettuata tenendo conto, oltre che dell'ammontare del prezzo offerto, dell'affidabilità dell'offerente e del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali da questi presentato, anche con riguardo alla garanzia di mantenimento dei livelli occupazionali (commi 1-3).