Editoriali

Banca finanza assicurazioni 16.12.2021

Aspettando le Sezioni Unite: le osservazioni del Procuratore Generale sulla sorte delle fideiussioni omnibus in contrasto con la normativa antimonopolistica

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1. Manca ormai poco alla decisione delle Sezioni Unite della Cassazione sulla questione della sorte delle fideiussioni bancarie omnibus aventi un contenuto negoziale conforme alla modulistica dell'ABI ritenuta dalla Banca d'Italia contraria alla disciplina antimonopolistica. La vicenda per quanto nota merita di essere brevemente riassunta.

Da oltre un trentennio l'Associazione bancaria italiana elabora e diffonde presso il sistema bancario modelli di garanzia diretti a rafforzare la posizione della banca creditrice nei rapporti con il garante. Nel 2005 la Banca d'Italia (provv. del 2-5-2005, n. 55) qualifica come intese restrittive della concorrenza, vietate dall'art. 2 l. n. 287 del 1990, alcune clausole dello schema contrattuale trasmessole dall'ABI l'11-7-2003. Di regola la procedura prevede che il vaglio dell'autorità di vigilanza preceda e all'occorrenza paralizzi la diffusione dello schema presso le banche. Senonché, le clausole in oggetto erano già ampiamente impiegate nella prassi bancaria, perché presenti con qualche lieve variante lessicale in schemi di garanzia divulgati dall'ABI a partire dal lontano 1987 (cfr. la Circ. ABI n. 20, Serie Tecnica O, del 17 giugno 1987). Pertanto, nonostante a seguito dell'intervento della Banca d'Italia l'ABI abbia prontamente elaborato un nuovo schema privo delle clausole de quibus, molte banche hanno continuato a sottoporre alla clientela la vecchia e ormai sedimentata modulistica contenente le clausole incriminate. Di qui l'emersione di un consistente contenzioso giurisprudenziale sulla validità delle garanzie bancarie riproducenti le medesime clausole di un modello ABI ritenuto parzialmente illecito dalla Banca d'Italia solo nel 2005, ma utilizzato dalle banche da molti anni addietro.

Di recente la Suprema Corte ha ritenuto opportuna sul punto una pronuncia delle Sezioni Unite (ord. 30 aprile 2021, n. 11486) e all'udienza del 23-11-2021 il Procuratore Generale ha formulato le sue conclusioni, auspicando l'affermazione del principio di diritto che l'illiceità della modulistica ABI, costituente intesa restrittiva della concorrenza nulla ex art. 2 l. n. 287 del 1990, non comporti la nullità dei singoli atti di garanzia ad essa conformi, poiché al consumatore garante è da riconoscere la sola tutela risarcitoria.

 

2. La valenza di tali conclusioni non va tuttavia enfatizzata, poiché in esse sembra mancare una riflessione particolarmente accurata sul tema. Dopo un cenno comparatistico alla dottrina tedesca contraria all'estensione della nullità ai contratti stipulati con terzi estranei all'intesa anticoncorrenziale invalida (a p. 6) – e qui sarebbe stato forse opportuno rilevare come di contro in Francia vi sia una norma espressamente estensiva della nullità dell'intesa anticoncorrenziale vietata ai cc.dd. contratti a valle (l'art. L420-3 Code de commerce: «Est nul tout engagement, convention ou clause contractuelle se rapportant à une pratique prohibée par les articles L. 420-1, L. 420-2, L. 420-2-1 et L. 420-2-2») – la Procura sostiene che la negazione della tutela reale al consumatore garante non sarebbe inedita nei recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità, perché sarebbe stata valorizzata da Cass., 26 settembre 2019, n. 24044, traendo spunti concreti da Cass., S.U., 20 febbraio 2005, n. 2207 (p. 6 s.).

In realtà, Cass., n. 24044/2019 trae spunto da Cass., S.U., n. 2207 del 2005 solo per ribadire l'opposto principio di diritto, mai smentito dalla giurisprudenza di legittimità dopo quest'ultima sentenza, secondo cui il consumatore finale danneggiato da un'intesa restrittiva della concorrenza ha a disposizione accanto alla tutela risarcitoria l'azione di nullità, ritenuta proponibile anche nei confronti del contratto stipulato a valle con una controparte aderente all'intesa illecita, perché al contratto «non si può attribuire un rilievo giuridico diverso da quello della intesa che va a strutturare, giacché il suo collegamento funzionale con la volontà anticompetitiva a monte lo rende rispetto ad essa non scindibile». Dopodiché, in relazione al problema dei confini della nullità, Cass., n. 24044 del 2019 osserva come dall'invalidità dell'intesa anticoncorrenziale «non discende automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all'intesa» e conferma la tesi della nullità parziale della garanzia, nei limiti delle clausole favorevoli alla banca derivanti dall'intesa illecita, sostenuta dalla Corte d'Appello in applicazione dell'art. 1419 c.c.

Lascia poi alquanto perplessi la soluzione proposta dalla Procura per salvaguardare sul piano risarcitorio il consumatore garante. In merito, la Procura postula «una sorta di responsabilità di natura precontrattuale da cui nascono obbligazioni risarcitorie (ai sensi dell'art. 1338 c.c.)» per «omessa comunicazione alla controparte delle cause di illiceità del contratto conosciute e conoscibili con l'ordinaria diligenza dall'istituto di credito» (p. 7 e 11). Al riguardo, va ricordato che l'art. 1338 c.c., nel porre a carico della parte a conoscenza del vizio d'invalidità del contratto l'obbligo di risarcire il danno cagionato all'altra per aver confidato senza colpa nella sua validità, prescrive una sanzione non sostitutiva della tutela reale, avente per presupposto la declaratoria di nullità del contratto e inapplicabile ove se ne ipotizzi di contro la validità.

Non è dato poi capire come possa conciliarsi secondo la Procura la sostenuta validità del contratto di garanzia con l'essere quest'ultimo affetto da “cause di illiceità”. Né la Procura appare aver considerato che quand'anche prima della stipula della garanzia la banca informi compiutamente l'aspirante garante della provenienza di talune gravose condizioni negoziali da un'intesa illecita, tale comportamento non fa venir meno lo sfruttamento del vantaggio contrattuale offerto dalla preesistenza dell'intesa, né il danno del garante e del debitore principale per non aver potuto spostare altrove l'operazione finanziaria, risolvendosi l'eventuale informativa della banca in un avvertimento circa l'insussistenza di valide alternative negoziali praticabili presso altre banche. In verità, in tale contesto la banca potrebbe evitare d'incorrere in violazione della correttezza e della buona fede in contrahendo solo accettando di eliminare dal regolamento negoziale le clausole riconducibili all'intesa illecita a monte; di talché è palese come la responsabilità della banca non possa essere ricondotta a un deficit informativo.

Nella parte finale delle osservazioni la Procura appare però correggere il tiro. La responsabilità della banca da contratto valido, ma sconveniente, non è più ricollegata alla violazione di doveri di carattere informativo, bensì all'aver concluso il contratto in una condizione d'insussistenza per il garante di valide alternative a causa dell'intesa illecita. In questa prospettiva, il garante subirebbe un «danno da “perdita di chance” per la mancata possibile scelta sul mercato, da parte del fideiussore, di un contratto di garanzia a condizioni più favorevoli» (p. 12), di entità pari allo scarto di convenienza tra il contratto stipulato e quello astrattamente stipulabile senza il condizionamento esterno dell'intesa restrittiva della concorrenza.

La Procura non ritiene rilevanti gli inconvenienti pratici della soluzione proposta, i quali non sono tuttavia marginali. Mentre in caso di pagamento da parte del consumatore di un premio assicurativo più elevato di quello che sarebbe stato pattuito in condizioni di libero mercato a causa di un cartello tra le compagnie assicuratrici sui prezzi delle polizze lo scarto di convenienza è agevolmente identificabile nel maggior premio pagato, nel caso di specie occorre considerare che la funzione delle clausole in oggetto è essenzialmente quella di ampliare le possibilità di escussione della garanzia, prevedendo la sopravvivenza della fideiussione anche in caso d'invalidità dell'obbligazione principale, d'inefficacia dei pagamenti effettuati alla banca e di omesso avvio delle istanze contro il debitore principale nei termini previsti dall'art. 1957 c.c. Pertanto, lo scarto di convenienza è pari a zero quando risulti che la garanzia è escutibile anche al netto delle clausole incriminate, di talché la loro presenza è inidonea a recare danno al garante, mentre tenderà a coincidere con l'intero importo escusso ove risulti che senza le clausole in oggetto la garanzia sarebbe stata invalida per la nullità dell'obbligazione principale, oppure si sarebbe estinta, sicché nessuna escussione vi sarebbe stata.

 

3.  Spostando ora l'attenzione sull'attuale orientamento della giurisprudenza di legittimità, può osservarsi che da Cass., sez. un., n. 2207 del 2005 ad oggi l'impostazione data al problema dalla Suprema Corte si è mantenuta costante. La Cassazione pone l'intesa anticoncorrenziale illecita e il contratto a valle sullo stesso piano e assoggetta entrambi ai rimedi specifici della nullità e dell'azione risarcitoria previsti dagli artt. 2, comma 3 e 33, l. n. 287 del 1990, sul presupposto che per intesa illecita debba intendersi non solo l'accordo tra le imprese restrittivo della concorrenza, ma «tutta la più complessiva situazione – anche successiva al negozio originario la quale – in quanto tale – realizzi un ostacolo al gioco della concorrenza» (così, Cass., 12 dicembre 2017, n. 29810).

Quest'assimilazione tra l'intesa e il contratto condizionato dalla sua preesistenza ha tuttavia generato alcune perplessità. Com'è stato osservato, se per verso la stipula di vantaggiosi contratti con terzi estranei rappresenta l'obiettivo ultimo dell'intesa illecita ed è pertanto l'elemento su cui si appunta l'interesse degli aderenti all'accordo anticompetitivo, per altro verso equipararne il trattamento giuridico e riconoscere nella stipula del contratto a valle una diretta violazione del divieto di intese anticompetitive urta contro le difficoltà d'inquadramento del contratto a valle nella nozione d'intesa illecita, posto che esso ha un contenuto negoziale in sé oggettivamente lecito e non svolge la funzione tipica dell'intesa di omologare le condizioni contrattuali sul mercato, essendo piuttosto la conseguenza di un'omologazione preesistente (in tal senso, si v. E CAMILLERI, Validità della fideiussione omnibus conforme a schema-tipo dell'ABI e invocabilità della sola tutela riparatoria in chiave correttiva, in Nuova giust. civ. comm., 2020, 402; G. Guizzi, I contratti a valle delle intese restrittive della concorrenza: qualche riflessione vingt ans après, aspettando le Sezioni Unite, in Corr. giur., 2021, 1176; e già ID., Mercato concorrenziale e teoria del contratto, in Riv. dir. comm., 1999, I, 97 ss.; M. LIBERTINI, Gli effetti delle intese restrittive della concorrenza sui c.d. contratti “a valle “. Un commento sullo stato della giurisprudenza in Italia, in Nuova giust. civ. comm., 2020, 391 ss.). In altri termini, anche il contratto a valle racchiude in sé un disvalore, ma questo non è nell'ostacolare il gioco della concorrenza, bensì nel permettere al programma negoziale illecito stilato con l'intesa di realizzare i suoi deplorevoli obiettivi.

 

4. Il rilievo porta a domandarsi se messa da parte la disciplina antitrust, alla nullità dei contratti a valle non debba pervenirsi sulla base della disciplina generale dell'invalidità del negozio giuridico. In merito, occorre muovere dalla constatazione che una fideiussione omnibus corrispondente al modello ABI incriminato è un contratto autonomo di garanzia. Il nucleo essenziale dell'autonomia della garanzia è nell'art. 8 dello schema ABI il quale, in deroga all'art. 1939 c.c., ne stabilisce la sopravvivenza in caso d'invalidità dell'obbligazione principale. Ma anche le altre due clausole giudicate dalla Banca d'Italia in contrasto con il divieto di intese restrittive della concorrenza, accanto al predetto art. 8 dello schema, sono espressive del distacco della garanzia dal rapporto principale. L'art. 2 prevede la permanenza dell'obbligazione fideiussoria ogni qualvolta, per qualunque motivo, anche riconducibile a vizi del rapporto principale, il debitore ha pagato ma la banca è tenuta alla restituzione di quanto ricevuto. Mentre la deroga all'art. 1957 c.c., prevista dall'art. 6 del modello ABI, rafforza l'indipendenza della garanzia sotto il profilo della sua insensibilità alle vicende del rapporto principale successive alla scadenza dell'obbligazione rimasta inadempiuta, tant'è che la deroga all'art. 1957 c.c. è ritenuta implicita nella volontà di stipulare una garanzia autonoma (in tal senso, si v. Cass., sez. un., 18 febbraio 2010, n. 3947).

È pacifico che siccome l'accessorietà rispetto al rapporto principale è un connotato essenziale della fideiussione codicistica (artt. 1939 e 1945 c.c.), il contratto autonomo di garanzia si discosta a tal punto dallo schema tipico della fideiussione di diritto comune da dar vita a un contratto atipico, espressione dell'autonomia negoziale riconosciuta dall'art. 1322 c.c. (v. Cass., sez. un., n. 3947 del 2010; Cass., n. 7883 del 2017; Cass., n. 30509/2019; e già G.B. PORTALE, Fideiussione e Garantievertrag nella prassi bancaria, in Le garanzie bancarie internazionali, Milano, 1989, 3 ss.).

Occorre quindi domandarsi – qui è il punto – se l'interesse sotteso a una garanzia autonoma continui a essere meritevole di tutela e suscettibile di superare il vaglio dell'art. 1322 c.c. anche quando l'autonomia della garanzia è stata pattuita con il condizionamento esterno esercitato da una preesistente lesione dell'equilibrio concorrenziale del mercato e permette inoltre a uno degli autori di tale lesione di trarre concreto vantaggio dall'intesa illecita per il particolare favore che l'autonomia comporta per il creditore. Più precisamente, per rispondere alla domanda bisogna chiedersi se nel giudizio di meritevolezza sia da valutare solo il regolamento negoziale in sé integrante la garanzia autonoma, il quale rimane lecito e meritevole di tutela dato che la presenza dell'intesa non ne modifica il contenuto oggettivo, oppure anche il contesto complessivo entro cui il negozio si cala e, in particolare, il disvalore espresso dalla situazione antecedente e successiva alla stipula della garanzia. Antecedente perché la matrice dell'autonomia è nella standardizzazione resa possibile dall'intesa illecita, sicché la garanzia viene in essere in un contesto di disparità negoziale, dove la libertà di autodeterminazione del garante è limitata dall'assenza di reperimento di valide alternative praticabili presso altre banche. Successiva perché il risultato ultimo della stipula della garanzia è di dare concreta attuazione all'obiettivo programmato con l'intesa illecita, permettendo a quest'ultima di raggiungere il suo scopo.

 

5. Così impostato il problema, deve osservarsi che se si assume come punto di riferimento esclusivo l'interpretazione dell'art. 1322 c.c. elaborata dalla Cassazione dovrebbe pervenirsi a considerare la garanzia in oggetto invalida e/o inefficace, perché non meritevole di tutela.

Sul punto, va innanzitutto considerato che secondo la Cassazione «la “meritevolezza” di cui all'art. 1322, comma 2, c.c., non si esaurisce nella liceità del contratto, del suo oggetto o della sua causa» (così, Cass., n. 1465 del 2018), in quanto l'identificazione tra meritevolezza e liceità «ne produrrebbe la sostanziale abrogazione» (Cass., n. 22950 del 2015). Al riguardo è a volte citata la Relazione al codice civile (n. 603), là dove afferma che il giudizio di meritevolezza travalica i confini della liceità, poiché investe valutazioni attinenti alla coscienza civile e politica e all'economia nazionale.

Ritenuta la meritevolezza un filtro più severo della liceità, resta da stabilire – sempre con riguardo alle posizioni espresse dalla giurisprudenza di legittimità – se tale maggior rigore si risolva in un ampliamento dei parametri di giudizio rispetto alla liceità, oppure anche in un'estensione dell'oggetto del giudizio al di là del mero regolamento contrattuale in sé e per sé considerato. Un argomento in quest'ultimo senso è dato dall'abbandono del criterio dell'utilità sociale come elemento di valutazione della meritevolezza «reputata retaggio di tendenze autoritarie» (così, Cass., n. 22950 del 2015). Se l'autonomia negoziale può legittimamente esplicarsi anche quando non sia socialmente utile, purché non si svolga in contrasto con l'utilità sociale, in aderenza all'art. 41, comma 2, Cost., è ragionevole ritenere che il giudizio di meritevolezza non sia ristretto al contenuto oggettivo del regolamento negoziale, in quanto è ben difficile rinvenire regolamenti negoziali in sé leciti, ma connotati da un disvalore sociale intrinseco tale da renderli immeritevoli di tutela (in tal senso, si v. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato16, Napoli, 2013, 822). Ne consegue che una reale autonomia concettuale della meritevolezza rispetto alla liceità si apprezza a condizione di estendere il giudizio di meritevolezza ad elementi esterni al contratto, ossia alle ragioni che hanno portato alla stipula di quel dato regolamento di privati interessi e all'effetto ultimo che esso produce nella realtà esterna.

In tale duplice direzione appare orientata la giurisprudenza più recente. Si è infatti affermata – quanto al primo aspetto – l'immeritevolezza di tutela di un contratto atipico d'investimento in titoli particolarmente favorevole alla banca non solo e non tanto per l'oggettivo squilibrio dell'assetto contrattuale, posto che «i soggetti dell'ordinamento sono tendenzialmente liberi di concludere anche patti per sé rovinosi», quanto per le ragioni a monte che ne avevano determinato la stipula, espressive della menomazione della libertà contrattuale di una parte a causa della «minorata difesa di uno dei contraenti per la preoccupazione previdenziale e la non esperienza nel settore e dalla particolare aggressività dell'altro quale professionale intermediario nella raccolta del risparmio» [così, Cass. (ord.), n. 19559 del 2015; nello stesso senso, Cass., n. 2900 del 2016]. Com'è agevole avvedersi, notevoli sono le affinità con il caso di specie, dove parimenti si assiste a una lesione della libertà di autodeterminazione negoziale di una delle parti – il garante – dovuta al condizionamento esterno indotto dall'intesa restrittiva della concorrenza volta a omologare le condizioni di garanzia praticate nel settore bancario.

Ancor più significativa – venendo al secondo aspetto – è la recente presa di posizione della Cassazione sulla necessità di verificare ai fini del giudizio di meritevolezza anche il risultato ultimo prodotto dal contratto nel mondo esterno. In merito, si è affermato che il giudizio di meritevolezza ex art. 1322 c.c. «deve investire non il contratto in sé, ma il risultato con esso perseguito» e che l'immeritevolezza è data «dalla contrarietà (non del patto, ma) del risultato che il patto atipico intende perseguire con i principi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati» (Cass., n. 10509 del 2017, ripresa nei medesimi termini da Cass., n. 1465 del 2018). Che una definizione di tal fatta dell'immeritevolezza di tutela non si attagli al caso di specie sembra invero difficile da sostenere.

 

 

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