Note

Unione europea e diritti umani 14.05.2025

L'alterazione dei confini della responsabilità tra produttore e fornitore: il caso Ford Italia

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Corte giust. UE,

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Con il caso Ford Italia, la Corte di giustizia torna a pronunciarsi sul bilanciamento tra la tutela del consumatore e i diritti del professionista. Nel commento, si analizzano i profili critici dell'estensione della responsabilità del produttore in capo al fornitore e viene effettuata una riconsiderazione degli obblighi informativi di quest'ultimo.

LA MASSIMA – L'art. 3, § 1, della dir. 85/374/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1985, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi deve essere interpretato nel senso che il fornitore di un prodotto difettoso deve essere considerato una «persona che si presenta come produttore» di detto prodotto, ai sensi di tale disposizione, qualora tale fornitore non abbia materialmente apposto il suo nome, marchio o altro segno distintivo su siffatto prodotto, ma il marchio che il produttore ha apposto su quest'ultimo coincida, da un lato, con il nome di tale fornitore o con un elemento distintivo di quest'ultimo e, dall'altro, con il nome del produttore.

IL CASO FORD ITALIA – Il ricorrente acquistava un'autovettura a marchio Ford presso una concessionaria con sede in Italia. L'automobile era stata prodotta dalla Ford WAG, con sede in Germania, che l'aveva poi fornita alla concessionaria tramite la Ford Italia, distributore ufficiale dei prodotti Ford nel paese. 

Dopo qualche mese dall'acquisto, il proprietario della autovettura Ford Mondeo rimaneva coinvolto in un sinistro automobilistico, durante il quale l'airbag in dotazione non si era attivato correttamente; pertanto, agiva in giudizio contro la concessionaria e la Ford Italia, dinanzi al Tribunale di Bologna. 

Al termine del procedimento veniva dichiarata la responsabilità extracontrattuale di Ford Italia per il difetto del veicolo in questione. 

Nel corso del processo di primo grado, Ford Italia si era difesa dichiarando di avere chiaramente indicato che la casa produttrice del veicolo era la Ford WAG e che il giudice di primo grado aveva erroneamente ritenuto sussistente l'obbligo di chiamare in causa il produttore, mediante un intervento coatto, per essere estromessa. I rappresentanti legali di Ford Italia sostenevano, inoltre, che l'autorità giudicante avrebbe statuito ultra petita, considerando che era stata condannata in quanto fornitore, nonostante il ricorrente avesse chiesto la condanna in qualità di produttore. Su tali basi Ford Italia aveva presentato appello contro la decisione del Tribunale di Bologna.

Nonostante tale premessa, la Corte d'Appello di Bologna confermava la decisione del giudice di primo grado, affermando che Ford Italia, in quanto distributore del veicolo, “doveva essere sottoposta alla stessa responsabilità del produttore non evocato”.

La questione veniva portata all'attenzione della Corte Suprema di Cassazione, la quale sospendeva il procedimento per sottoporre alla Corte di giustizia il dubbio interpretativo sorto riguardo l'estensione di responsabilità del fornitore.

LA QUESTIONE GIURIDICA – L'estensione del dato letterale dell'art. 3, dir. 85/3747CEE

Se l'art. 3, § 1, della dir. 85/374 debba essere interpretato nel senso che il fornitore di un prodotto difettoso deve essere considerato una “persona che si presenta come produttore” di tale prodotto qualora tale fornitore non abbia materialmente apposto il suo nome, marchio o altro segno distintivo su detto prodotto, ma il marchio che il produttore ha apposto su quest'ultimo coincida, da un lato, con il nome di detto fornitore o con un elemento distintivo di quest'ultimo e, dall'altro, con il nome del produttore. 

La dir. n. 85/374/CEE si propone di uniformare le normative degli Stati membri relative alla responsabilità per danni derivanti da prodotti difettosi. Di conseguenza, il margine di azione dei singoli Stati è precisamente delineato dalla direttiva stessa. I soggetti contro cui il consumatore può rivalersi sono specificatamente indicati dagli articoli 1 e 3 della direttiva. L'art. 1 attribuisce la responsabilità al produttore per i danni causati da prodotti difettosi. L'art. 3, § 1, definisce il “produttore” come il fabbricante del prodotto finito, il produttore della materia prima o di una parte componente. L'art. 3 precisa che, tra i vari soggetti coinvolti nella produzione e commercializzazione, possono essere chiamati a rispondere anche altri operatori. Difatti se l'art. 3, § 1, nella prima parte identifica come produttore chi è coinvolto, anche solo parzialmente, nella fabbricazione; la seconda parte chiarisce che produttore è, anche, chi si presenta come tale apponendo sul prodotto il proprio nome, marchio o altro segno distintivo. È importante notare che, secondo il testo dell'art. 3, § 1, la partecipazione al processo di fabbricazione non è necessaria per essere considerati “produttori”. In sostanza, chi si presenta come produttore, apponendo il proprio marchio, dà l'impressione di essere coinvolto nella produzione o di assumersene la responsabilità. Tale utilizzo del proprio nome o marchio per rendere il prodotto più appetibile agli occhi dei consumatori giustifica l'estensione della responsabilità di cui all'art. 3 della direttiva.

LA SOLUZIONE GIURIDICA – Responsabilità del fornitore: chiarimenti dalla Corte di giustizia Europea

La Corte, nell'analizzare la questione, sottolinea come l'art. 3, § 1, della dir. 85/374 miri a semplificare l'identificazione del vero produttore. Infatti, come si evince dalla relazione introduttiva dell'art. 2 (poi divenuto, senza modifiche sostanziali, l'art. 3 della direttiva), il legislatore europeo ha ritenuto che la tutela del consumatore sarebbe insufficiente se il distributore potesse semplicemente rimandarlo al produttore, il quale potrebbe non essere noto al consumatore (si veda il punto 33 della sentenza C-264/21). Di conseguenza, l'art. 3, § 1, della dir. 85/374 deve essere interpretato, alla luce del contesto in cui si inserisce tale disposizione e dell'obiettivo perseguito dalla normativa di cui essa fa parte, nel senso che la nozione di «persona che si presenta come produttore» non può riguardare esclusivamente la persona che ha materialmente apposto il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto. Decidere diversamente porterebbe a restringere la portata della nozione di «produttore» e a compromettere in tal modo la tutela del consumatore. Tuttavia, conformemente all'art. 5 della dir. 85/374, considerato che la persona che si presenta come produttore e il fabbricante del prodotto difettoso sono responsabili in solido, il fatto che il consumatore faccia valere la responsabilità di tale prima persona lascia impregiudicate le disposizioni di diritto nazionale relative al diritto di rivalsa, in particolare le disposizione che consentono a detta persona di far valere, a sua volta, la responsabilità del fabbricante del prodotto difettoso. Occorre, pertanto, rispondere alla questione sollevata dalla Corte di Cassazione dichiarando che l'art. 3, § 1, della dir. 85/374 deve essere interpretato nel senso che il fornitore di un prodotto difettoso deve essere considerato una «persona che si presenta come produttore» di detto prodotto, ai sensi di tale disposizione, qualora tale fornitore non abbia materialmente apposto il suo nome marchio o altro segno distintivo, ma il marchio che il produttore ha apposto coincida, da un lato, con il nome di tale fornitore o con un elemento distintivo di quest'ultimo e, dall'altro, con il nome del produttore. 

OSSERVAZIONI – La Corte di giustizia e i prodotti difettosi: una nuova interpretazione della responsabilità del fornitore

Il fenomeno della circolazione di prodotti difettosi è uno degli aspetti più inquietanti delle società a capitalismo avanzato: lo documenta l'esperienza quotidiana, che registra sempre più spesso eventi dannosi che colpiscono i consumatori (Alpa, op. cit., 54). Da ultimo, il caso degli airbag “Takata”, che ha obbligato Ford a emettere un avviso “a non guidare” rivolto ai proprietari di diverse migliaia di veicoli. Attualmente, il difetto conclamato ha comportato un totale di 27 morti e oltre 400 feriti, secondo le stime della National Highway Traffic Safety Administration. Un'ammissione di responsabilità che ha costretto la nota società automobilistica a risarcire i soggetti danneggiati per un totale di quasi 300 milioni di dollari. La recente pronuncia della Corte di giustizia in commento affronta nuovamente la questione dei prodotti difettosi, concentrandosi in questo caso su un difetto dell'airbag di una Ford Mondeo. Per comprendere la portata, rivoluzionaria o meno, della sentenza in questione, è fondamentale analizzare i presupposti applicativi delineati dalla dir. 85/374/CEE. Dall'analisi complessiva dei considerando emerge chiaramente che «l'obiettivo primario d'intervento della direttiva è quello della protezione della salute e della sicurezza del consumatore» (Cafaggi, op. cit., 1002). Un obiettivo possibile solo attraverso il rispetto di un complesso sistema di regole e comportamenti: «questo è, appunto, l'ambiente in cui può sorgere un affidamento dell'uno sulla condotta dell'altro, ed in particolare sulle informazioni che siano somministrate dall'una all'altra parte, nella prospettiva della buona fede, a sua volta destinata a vivificare, per così dire, il rapporto obbligatorio» (Scognamiglio, 118). Regole che si differenziano sempre più laddove le parti non godano di equivalente forza contrattuale; difatti, «la tutela del contraente più debole – in primo luogo, in quanto privo di informazioni effettive e dunque incapace di affrontare la contrattazione ‘alla pari' con il contraente professionale, si è gradualmente estesa, con le forme di tutela ‘consumeristiche'» (Macario, op. cit., 103), basti pensare alla normativa europea quando «impone nelle contrattazioni b2c ampi e dettagliati obblighi informativi in capo al professionista, al fine sia di riequilibrare le asimmetrie di informazione e di potere contrattuale, sia di potenziare, anche per tal via, l'efficiente funzionamento del mercato» (Valentino, op. cit.,129).

La direttiva europea stabilisce, infatti, in modo chiaro chi è responsabile quando un prodotto causa un danno. In generale, il produttore è tenuto a risarcire i danni causati da un difetto del suo prodotto. Sebbene il metodo per attribuire la responsabilità sia ben definito, le successive analisi metteranno in discussione i criteri stessi che definiscono chi sia il produttore. L'art. 3 della dir. 85/374 definisce il produttore come il «fabbricante di un prodotto finito o il produttore di una materia prima o il fabbricante di una parte componente». Tuttavia, la definizione si estende anche ad «ogni persona, che apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto, si presenta come produttore dello stesso». Quindi, per identificare un soggetto come produttore, anche se di fatto non lo è, è necessario che questi abbia attivamente apposto il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto. A tal riguardo, un'importante sentenza della Corte di giustizia, relativa alla causa C-264/21 (ECJ Case Fennia contro Koninklijke Philips N.V.), ha chiarito alcuni aspetti fondamentali riguardanti la responsabilità del produttore. Il caso trae origine da una azione intentata dalla compagnia assicurativa Keskinäinen Vakuutusyhtiö Fennia contro Koninklijke Philips N.V. per ottenere il risarcimento dei danni causati dall'esplosione di una macchina da caffè. La macchina era stata fabbricata in Romania da Saeco International Group SA, parte del gruppo Koninklijke Philips, e sia sul prodotto che sulla confezione erano stati apposti i marchi di entrambi i produttori. In attuazione della direttiva europea, la legge finlandese 694/1990 (“Tuotevastuulaki”) prevede che la responsabilità del risarcimento spetti primariamente al produttore o fabbricante del prodotto difettoso e, in via secondaria, a chi commercializza il prodotto sotto il proprio nome, utilizzando il proprio marchio o segno distintivo. La Suprema Corte finlandese, chiamata a decidere sulla questione, ha sospeso il procedimento, per sottoporre alla Corte di giustizia un dubbio interpretativo sull'art. 3, § 1, della dir. 85/374/CEE. La corte in quel caso basò la sua decisione sull'aspetto che tale disposizione, «non richiede che la persona che ha apposto il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto, o che ha autorizzato tale apposizione, si presenti anche come il produttore dello stesso in qualsiasi altro modo» per poter essere considerato responsabile del danno provocato da un difetto del medesimo; infatti, «apponendo sul prodotto (…) il proprio nome, marchio o altro segno distintivo, la persona che si presenta come produttore dà l'impressione di essere implicata nel processo di produzione o di assumerne la responsabilità. Pertanto, l'utilizzo di tali menzioni equivale, per detta persona, ad utilizzare la sua notorietà al fine di rendere tale prodotto più attraente agli occhi dei consumatori, il che giustifica che, in cambio, la sua responsabilità possa sorgere a titolo di tale utilizzo» (si veda il punto 34 della sentenza C-264/21). Chiariti i dubbi sulla portata letterale dell'art. 3 della dir. 85/374, è stato possibile, quindi, ammettere pacificamente l'estensione di responsabilità in caso di comportamento attivo. Resta da chiarire se tale principio si applichi anche in caso di inerzia o silenzio, questione già dibattuta in passato con esiti differenti rispetto al caso Ford Italia. Il “silenzio”, che «rappresenta l'assenza di informazione e la sua negazione, ha assunto nella terminologia giuridica un significato polisemico, descrivendo fenomeni tra loro distinti, riconducibili essenzialmente alla responsabilità nello svolgimento delle trattative, alla manifestazione tacita di consenso, all'inerzia e, infine, alla mancata opposizione all'altrui comportamento di inadempienza» (Morotti, op. cit., 164). L'area tematica rimane quella dei prodotti difettosi nel mercato automobilistico. La sentenza n. 21841/2019 della Corte di Cassazione, nella sua terza sezione, ha, infatti, assunto una importanza notevole nel settore. Il caso riguardava le gravi lesioni subite dalle persone a bordo di una Opel Tigra, a seguito di un sinistro automobilistico. Le indagini avevano rivelato un difetto di funzionamento degli airbag e delle cinture di sicurezza. I ricorrenti, di conseguenza, avevano richiesto un risarcimento danni al fornitore dell'autovettura, il quale, tuttavia, si era difeso dichiarando di non essere il titolare del marchio, bensì un mero distributore. La Corte di Cassazione ha, pertanto, dovuto decidere se attribuire la proprietà del marchio e, quindi, estendere la disciplina in materia di responsabilità del produttore a chi, pur non essendo effettivamente proprietario, lo utilizzi nella propria denominazione. La Corte Suprema ha stabilito che l'adozione del marchio “Opel” nella denominazione sociale di una società consociata di un gruppo internazionale non prova di per sé la “proprietà” del marchio. Questo perché i marchi sono registrati a livello internazionale dalla società capogruppo e vengono utilizzati da tutte le società del gruppo che commercializzano i prodotti. Lo stesso vale per l'utilizzo del marchio nella documentazione commerciale. Dopo aver esposto le premesse necessarie, è opportuno concentrarsi sulla pronuncia relativa alla causa 157/23. A differenza del caso finlandese, ma in linea con quello italiano, Ford Italia ha mostrato un atteggiamento per certi versi “accondiscendente”. Mentre nella prima ipotesi era stato semplice inquadrare la situazione nell'ambito dell'art. 3, data la condotta attiva nel porre il proprio marchio sul prodotto, qui la situazione è differente, poiché non è stata compiuta alcuna azione positiva, come richiesto dal dato letterale. La Corte di Cassazione, nel solco della sua costante attenzione alla tutela del consumatore, ha sollevato una questione pregiudiziale emblematica. In altre parole, per la Cassazione, la circostanza che i segni e gli elementi distintivi del reale produttore, da un lato, e del fornitore/distributore, dall'altro, siano a tal punto sovrapponibili da ingenerare nel consumatore «confusione», relativamente alla reale identità del fabbricante, potrebbe essere sufficiente per giustificare, in un'ottica di favor consumatoris, «l'estensione della responsabilità̀ del produttore a chi produttore non è» (Cass. 6 marzo 2023, n. 6568). Tuttavia, i giudici, consci che il dato testuale della norma richiede un contegno attivo da parte del soggetto che vuole apparire come produttore, si interrogano, e di conseguenza interpellano la Corte di giustizia, in merito alla possibilità di interpretare espansivamente il concetto di «apposizione», dilatando i confini della previsione al punto da poter considerare il fornitore responsabile per il solo fatto che costui «abbia una denominazione, un marchio o un altro segno distintivo in tutto o in parte coincidenti con quello del produttore». Sul punto, la Corte di giustizia è stata precisa sin dall'inizio, affermando che è «indifferente che abbia materialmente apposto essa stessa una siffatta menzione su detto prodotto o che il suo nome contenga la menzione che è stata apposta su di esso dal fabbricante e che corrisponde al nome di quest'ultimo. Infatti, in entrambe le ipotesi, il fornitore sfrutta la coincidenza tra la menzione di cui trattasi e la propria denominazione sociale per presentarsi al consumatore come responsabile della qualità del prodotto e suscitare in tale consumatore una fiducia paragonabile a quella che questi nutrirebbe se il prodotto fosse venduto direttamente dal suo produttore. In entrambi i casi il fornitore deve quindi essere considerato una persona che si presenta come produttore, ai sensi dell'art. 3, § 1, della dir. 85/374» (si veda il punto 41 della sentenza C-157/23). Pertanto, pur essendo, anche negli atti di causa, pacifico che Ford Italia S.p.A. non fosse il materiale fabbricante del prodotto difettoso, sussisterebbero non dimeno i margini per cui la stessa possa essere considerata come il produttore apparente del veicolo. Questa possibilità deriverebbe dalla fattuale «coincidenza, in tutto o nella parte prevalente per il percipiente, del marchio o della ragione sociale del produttore stricto sensu rispetto al marchio o alla ragione sociale del soggetto distributore/fornitore» (Cass., 6 marzo 2023, n. 6568). Pacifico è che al ricorrente non poteva, in nessun caso, essere addossato l'onere di comprendere se colui che gli aveva fornito l'autovettura non era allo stesso tempo produttore; era compito del fornitore dimostrare il contrario. Infatti, «il fornitore deve essere considerato alla stregua di “produttore” se non ha indicato al danneggiato entro un termine ragionevole l'identità del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto» (si veda il punto 66 delle conclusioni dell'avvocato generale). Un obbligo di informazione che non si limita unicamente alla indicazione di non essere produttore; infatti, «il semplice fatto che il fornitore del prodotto di cui trattasi neghi di esserne il produttore, qualora esso non abbia corredato tale diniego con l'indicazione dell'identità del produttore (…), non può bastare a far ritenere che tale fornitore abbia comunicato al danneggiato l'indicazione prevista all'art. 3, n. 3, della dir. 85/374, né, pertanto, ad escludere che il fornitore possa essere considerato “produttore” ai sensi di detta disposizione» (si veda il punto 66 delle conclusioni dell'avvocato generale). Di conseguenza, deve essere «liberato dall'onere di dover determinare il vero produttore al fine di proporre la sua domanda di risarcimento del danno» (si veda il punto 45 delle conclusioni dell'avvocato generale). Far ricadere l'obbligo di individuare il reale produttore in capo al consumatore risulterebbe quanto mai gravoso, potendo in queste ipotesi verificarsi anche il caso in cui ciò non sia possibile. La direttiva, sul punto, cerca di dare una risposta al problema, prevedendo un'ipotesi di responsabilità strettamente sussidiaria — e non solidale — del fornitore del prodotto difettoso (Cioni, op. cit., 1164). L'inclusione della responsabilità sussidiaria tra gli strumenti di protezione sottolinea l'importanza di un altro tema, la «messa in circolazione del prodotto». Attribuire tale responsabilità al fornitore, in caso di irreperibilità del produttore, dovrebbe incentivare, in linea di principio, una più prudente verifica degli standard di sicurezza richiesti per l'immissione sul mercato dei prodotti. Parallelamente, in questo modo, si garantirebbe ai consumatori una tutela legale concreta; difatti, se da un lato si aggrava la posizione degli intermediari, con ulteriori e specifici compiti di controllo, dall'altro, si assicura che vi sia sempre un soggetto “esistente” su cui rivalersi in caso di danni, anche e soprattutto quando il produttore non sia facilmente individuabile. È di questo avviso la Corte di giustizia quando afferma che «l'art. 3, § 1, della dir. 85/374 ha lo scopo di facilitare l'onere di dover determinare il vero produttore del prodotto difettoso di cui trattasi. A tale riguardo (…) il legislatore dell'Unione ha ritenuto che la tutela del consumatore non sarebbe sufficiente se il distributore potesse «rinviare» il consumatore al produttore, il quale può non essere conosciuto dal consumatore» (si veda il punto 33 della sentenza C-264/21). Si potrebbe obiettare che la suddetta interpretazione sia eccessivamente ampia e vada oltre l'obiettivo dell'art. 3, § 1, della dir. 85/374, che concentra la responsabilità del prodotto difettoso in capo al produttore e non sul distributore. Tuttavia, nella prassi «si è costantemente adottato un approccio estensivo, volto a tutelare primariamente il contraente debole del rapporto e ad addebitare al professionista ogni eventuale omissione informativa» (Valentino, op. cit., 130). Sebbene le argomentazioni contrarie non siano del tutto infondate, è condivisibile la decisione nella misura in cui estende la limitazione letterale dell'art. 3 fino a includere anche situazioni in cui tale qualità «può risultare anche da una semplice corrispondenza tra il nome del fornitore e il nome del prodotto, soprattutto quando, come nel caso di specie, tale corrispondenza non è fortuita, ma deriva dal fatto che il fornitore rivende in Italia i veicoli del marchio Ford che egli stesso acquista dal produttore Ford WAG». A maggior ragione il consumatore che vede lo stesso nome (Ford) sia sul veicolo sia nella ragione sociale del fornitore non può essere ritenuto negligente; è plausibile che la possibilità di interfacciarsi direttamente con un produttore, che per nome e fama risulti più affidabile, incrementi drasticamente le possibilità di concludere il contratto. Oltre a ciò, il consumatore, a parità di prezzo, sarà portato a scegliere il prodotto accompagnato dalla garanzia commerciale più ampia (Cherti, op. cit., 147) e, di conseguenza, anche il soggetto che gli sembra più idoneo a garantirla durante l'esecuzione del contratto. Riecheggiano le parole di Larry Light, eminente analista di mercato, il quale durante una intervista fatta al Journal of Advertising Research, segnalò l'importanza del marchio per il professionista e, di conseguenza, anche per il consumatore: «la battaglia del marketing sarà una battaglia tra marche, una competizione per il predominio. Le aziende e gli investitori vedranno nella marca l'asset più prezioso in assoluto. Questo è un concetto fondamentale; è una visione sul modo di sviluppare, di rafforzare, di difendere e di gestire un business… Conterà di più avere dei mercati, che delle fabbriche. L'unico modo per possedere dei mercati è possedere le marche che dominano il mercato.» Utilizzare commercialmente un marchio, anche in modo non intenzionale, offre l'opportunità di consolidare la propria posizione come soggetto affidabile nel mercato, «è avvenuto e avviene anche nel campo dell'informazione e in quella particolare categoria di informazione che prende il nome di informazione pubblicitaria. In via di prima approssimazione con quest'ultima locuzione si intende quella forma di comunicazione di massa usata dalle imprese per creare consenso intorno alla propria immagine, con lo scopo di conseguire i propri obiettivi di marketing» (Cherti, op. cit., 135). Tuttavia, questa strategia comporta un aumento significativo delle responsabilità legali. Per quanto sia vero che la fattispecie in oggetto e, più in generale, l'intera disciplina in esame siano chiaramente improntate alla tutela del danneggiato, il favor consumatoris non può certamente trasformarsi in una formula utile a giustificare interpretazioni creative della legge (Pagliatini, op. cit., 291). Difatti, se, da un lato, il consumatore può far valere la responsabilità del fornitore/produttore, dall'altro, nell'ottica del bilanciamento di interessi, si fanno, comunque, salve le disposizioni di diritto nazionale relative al diritto di rivalsa, in particolare le disposizioni che consentono a detta persona di far valere, a sua volta, la responsabilità del fabbricante del prodotto difettoso. Sotto questo profilo riveste particolare interesse la distinzione tra «la posizione del fornitore del prodotto – che ponendosi quale trait de union tra il processo produttivo ed il consumatore risponde solamente nell'ipotesi in cui non sia in grado di fornire al danneggiato l'indicazione dell'identità del fabbricante del prodotto difettoso che abbia cagionato il sinistro (art. 116 cod. cons.) – e quella del produttore di un componente o di una materia prima che, incorporandosi nel prodotto finale, abbiano concorso a determinarne l'insicurezza (art. 121 cod. cons.)» (Al Mureden, op. cit., 519). Nel delicato equilibrio appena delineato, si è preferito tutelare il consumatore, estendendo ancora una volta la sua tutela, senza, però, tralasciare i diritti dei professionisti. La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, chiarito che il regime di responsabilità solidale contemplato dall'art. 121 cod. cons. «opera solo tra i produttori che collaborano nella destinazione del prodotto finito alla circolazione», ma non riguarda il fornitore, che, «in quanto estraneo alla catena produttiva», è gravato dalla diversa forma di responsabilità contemplata dall'art. 116 cod. cons. La responsabilità del fornitore scaturisce esclusivamente dalla mancata comunicazione al danneggiato entro il termine di tre mesi dell'identità e del domicilio del produttore. Essa, pertanto, risulta nettamente distinta rispetto alla responsabilità imputabile al produttore finale o a quella che quest'ultimo condivide con altri soggetti, parte integrante della filiera produttiva (Cass., 13 dicembre 2018, n. 32226).

In conclusione, si può affermare che la pronuncia in esame non segna, come inizialmente ipotizzato, una espansione indiscriminata della protezione del consumatore, il quale risulta già tutelato dalla dir. 85/374. Essa, invece, determina una rilevante e ulteriore specificazione in merito ai rapporti tra produttore e fornitore, con particolare riguardo agli obblighi informativi.

Vincenzo Cuffaro scriveva, ponendosi il dubbio sul futuro del diritto all'informazione, che «il presumibilmente prossimo intervento legislativo, nell'aggiungere un'altra tessera al mosaico recante la disciplina dei mezzi di comunicazione di massa, non potrà mutarne il disegno di fondo che proprio nel riconoscimento di un autonomo diritto del destinatario ad un'informazione corretta trova uno dei tratti essenziali» (CUFFARO, 35). Del resto, si è più volte sottolineato in dottrina e giurisprudenza che il consumatore è tutelato perché egli è «sovrano», per questo deve essere soggetto consapevole. In questa prospettiva, si è evidenziato che il diritto del mercato è il diritto dell'autoresponsabilità: il consumatore sceglie il prodotto o il servizio, quindi «decide» (Irti, op. cit., 75). Di conseguenza, chi decide assume il rischio della propria preferenza, ma deve assumerlo consapevolmente (Plaia, op. cit., 340). Una “autoresponsabilità” che, a prescindere da quanto sia ampia «la capacità soggettiva del consumatore non elimina la situazione di inferiorità rispetto alla potenzialità di trattare il contenuto negoziale e anche un bagaglio di conoscenze tecniche non elimina la presunzione di disparità di posizione contrattuale». (Valentino, op. cit., 130).

Con questa sentenza, la Corte non intende deresponsabilizzare il consumatore, ma neanche legittimare pratiche scorrette dei professionisti. 

Non si dubita della possibilità di risarcire il danno, ma di chi sia tenuto a farlo e, in questo senso, si è offerto un ulteriore importante tassello nella scia di pronunce di “iper protezione” del consumatore. 

La Corte di giustizia, infatti, estendendo la responsabilità del produttore anche al fornitore, ha inteso lanciare un monito agli operatori del mercato ad operare nel più alto grado di trasparenza possibile, garantendo, al contempo, una ulteriore estensione – seppur indiretta – con alcune precisazioni della tutela del consumatore. 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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