Editoriali

Soggetti e nuove tecnologie 16.11.2020

Riflessioni sugli smart contract e sull’intelligenza artificiale

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È ormai divenuta una frase corrente quella secondo la quale gli smart contract non sono né smartcontract. Naturalmente con questa sintesi efficace si veicolano alcuni importanti concetti: il primo, che si tratta di programmi informatici, con la conseguenza che applicare il concetto di intelligenza ad essi è problematico e richiede l’assunzione di ulteriori cautele, e il secondo, che la natura di contratto o meno va verificata caso per caso.

Gli smart contract possono essere definiti programmi informatici auto-eseguibili.

Sotto il profilo giuridico, possono essere qualificati in alternativa come contratti o come atti di esecuzione di un contratto. In altri termini, la volontà contrattuale può esprimersi negli smart contract o con gli smart contract  può essere eseguita una volontà altrove dichiarata.

Nel caso in cui essi siano qualificabili come contratti, gli aspetti giuridicamente più rilevanti della vicenda contrattuale o addirittura i requisiti del contratto previsti dal codice civile non paiono riflettere criticità a causa della natura tecnologica dello strumento utilizzato. Al contrario, risultano applicabili principi generali e disposizioni normative specifiche. Innanzitutto, l’identificazione dei contraenti potrà giovarsi del Regolamento (UE) 2014/910 (e-IDAS). Inoltre, come è noto, le tecniche di imputazione della volontà nei contratti on line sono ormai consolidate. Ancora, il requisito della forma, ove la forma sia richiesta dalla legge, non solleva particolari problematicità e un ricco strumentario giuridico è reso disponibile dal legislatore italiano ed europeo. Infine, occorre considerare che l’oggetto del contratto in questo caso certamente non è determinato, ma è determinabile, anche se non sempre prevedibile. Da questa considerazione sorge la domanda se di volontà in senso stretto si tratti, anticipatamente dichiarata, rispetto all’effettivo formarsi delle condizioni contrattuali e quindi del contenuto negoziale, almeno in parte, oppure se non sia invece più adeguato alla natura del fenomeno rappresentare tutto ciò nei termini di un sistema di assunzione del rischio.

Queste ultime riflessioni possono applicarsi anche al tema della responsabilità, che certamente è uno dei temi che oggi richiedono la formulazione di un nuovo modello, mentre al contrario, come si è accennato sopra, nel caso in cui il contratto sia uno smart contract, pare che non sia richiesto al giurista di superare le categorie consolidate né di inventarne di nuove.

Proprio con riguardo al tema della responsabilità, ritengo che abbia senso interrogarsi sulla soggettività giuridica negli smart contract e, più in generale, dei programmi di intelligenza artificiale, solo nel caso in cui il discorso giuridico sia strettamente collegato alla formulazione di un nuovo modello di responsabilità. Altrimenti, rischia di ridursi un esercizio di grande fascino intellettuale, spesso condotto con sapiente retorica e fortemente evocativo, al quale tuttavia non è riconducibile una chiara funzione nell’ambito dell’ordinamento giuridico.

In altri termini, come spesso accade, la risposta è insita nella formulazione della domanda. Ritengo che in questo caso la domanda non debba essere: “esiste una soggettività del programma informatico”, ma piuttosto “serve costruire giuridicamente la soggettività del programma informatico”?

Certamente riferirsi alla soggettività del programma informatico può essere una utile sintesi o una nuova metafora, secondo l’insegnamento di Galgano, ma occorre prima essere certi che della metafora ci sia bisogno e che la metafora sia, appunto, la “utile sintesi” di un modello nuovo di responsabilità e non sia, invece, fine a se stessa.

 

 

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