Editoriali

Soggetti e nuove tecnologie 16.11.2021

L’espansione economica nel Metaverso: i Non Fungible Token (NFT)

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1. Alcuni giorni fa Mark Zuckerberg ha dichiarato di voler cambiare il nome della propria società, Facebook, in Meta Platforms Inc. (abbreviato in Meta): la società cambierà il suo nome per riflettere le opportunità di crescita oltre la piattaforma di social media, invadendo i regni digitali online noti come Metaverso. Con questa notizia, diffusa il 28 ottobre 2021, è esplosa l’attenzione per il Metaverso, un mondo completamente digitale nel quale si può interagire con altri utenti attraverso l’utilizzo di un avatar personale, collegandosi a questo spazio di realtà virtuale tramite smart glasses, caschi, visori, tute e guanti dotati di sensori tattili.

Per la verità, il termine Metaverso è stato coniato nel 1992 dallo scrittore Neal Stephenson, per indicare il mondo digitale in cui agiva il protagonista del suo romanzo, Snow Crash, per mezzo di un avatar. Second Life, il sito internet sviluppato nel 2003 e pensato per ospitare una seconda vita digitale, è stata la prima vera e propria piattaforma di realtà virtuale aperta al pubblico, che in brevissimo tempo ha attirato miliardi di utenti, permettendo loro di esplorare e vivere virtualmente una sorta di seconda vita. Il suo successo è venuto meno con l’avvento dei social network, che permettevano interazioni sociali molto più immediate ed agevoli per tutti.

Oggi, però, la tecnologia permetterebbe di trasferire nel Metaverso i cinque sensi e di sfruttarli attraverso il proprio “ego virtuale”. Si può sviluppare una vita del tutto virtuale senza gestori né proprietari, perché lo spazio resta libero e aperto (e non come in un videogioco). Questo consente di ottimizzare vari aspetti della vita quotidiana sia privata sia lavorativa, con l’apertura di nuovi mercati. Consumatori e imprese potranno infatti anche operare nei mercati (anche finanziari) presenti nel Metaverso, acquistando e vendendo beni e servizi in qualsiasi settore economico attualmente esistente e, probabilmente, creandone di nuovi. Alla domanda se nel Metaverso si possa mangiare, la risposta già proviene da una nota impresa di patatine, che ha diffuso un nuovo gusto delle sue famose chips in edizione limitata (e che mai potremo assaggiare, perché si tratta di un… sapore virtuale, esistendo esclusivamente sotto forma di NFT in tiratura limitata, su cui v. infra par. 3). La verità è che, proprio come era difficile immaginare negli anni ’80 cosa sarebbe stato internet, non si sa ancora oggi come descrivere il Metaverso. Un’applicazione interessante sarebbe quella di realizzare più mondi virtuali per diverse epoche storiche, ripromuovendo la propria vita e quella di altri (ad esempio, ex compagni di classe del liceo) in un periodo passato, ma alla fine non si avrebbe niente di più di un gioco, in cui modificare la propria vita trascorsa con la consapevolezza di oggi (ripercorrendo la trama della trilogia di film Ritorno al futuro di Robert Zemeckis). Ci si troverebbe solo dinanzi ad un’applicazione presente su internet. Il riferimento ad un videogioco può essere calzante solo nella misura in cui si rappresenta il sistema che funziona grazie a connessioni persistenti aggiornate in tempo reale e con altissimi gradi di precisione. Del resto, Fortnite, iniziato come un gioco, si è rapidamente evoluto in una “piazza sociale” ed i giocatori non accedono solo per giocare, ma anche per stare con amici conosciuti del mondo reale o virtuale. Solo che nei videogiochi esiste un limite di pochi utenti, superato il quale subentra la necessità di trasmettere in streaming a un gruppo di spettatori anziché condividere un insieme di connessioni in modo simultaneo e infinito.

2. Quello che si intende per Metaverso è ben diverso da un gioco e come idea si avvicina di più a quello che è l’intera rete internet, cresciuta con standard tecnologici e libero accesso.

Il Metaverso, infatti, deve essere “persistente”, senza soluzioni di continuità nel tempo e senza possibilità di annullamento o ripristino; deve essere “sincrono”, nel senso che esisterà costantemente per tutti e in tempo reale; sarà “a libero accesso”, senza limite al numero di utenti che possono essere contemporaneamente presenti senza essere sospesi o bannati (Matthew Ball, The Metaverse: what it is, where to find it, and who will build it, in  www.matthewball.vc). Il Metaverso sottintende una piattaforma decentralizzata e costruita principalmente su standard e protocolli riconosciuti dalla comunità (come quelli dell’open web), sviluppata in formato aperto (open source). Quindi un “vero Metaverso” è in diretta contrapposizione con quello che oggi pensa di realizzare Zuckerberg, anche se quanto descritto non escluderebbe comunque la possibilità che all’interno del Metaverso siano poi presenti piattaforme chiuse dominanti. Il Metaverso richiede, quindi, una tecnologia che attualmente non esiste, perché internet non fu realizzato per sostenere la possibilità persistente che miliardi di persone partecipino a una stessa esperienza simultaneamente, bensì per condividere dati da un computer a un altro. E questo ha determinato il modello di architettura di comunicazione sottostante, strutturato attorno a singoli server che comunicano tra loro. Il Metaverso richiederebbe l’eliminazione di molti standard attuali e un’integrazione e convergenza di nuovi algoritmi, eventualità rispetto alla quale le grandi imprese che operano su internet – pur utilizzando tecnologie simili – avrebbero timore di perdere centralità e potere (Matthew Ball, Framework for the Metaverse, in www.matthewball.vc: «the Metaverse will not fundamentally replace the internet, but instead build upon and iteratively transform it»).

Allo stato attuale il Metaverso è, dunque, una di quelle previsioni di realizzazione che potrebbe anche rivelarsi clamorosamente errata, ma di cui comunque occuparsi da un punto di vista economico e giuridico, unitamente agli esperti di tecnologie, con la stessa fantasia di questi ultimi. Nel Metaverso, infatti, vigerà un’economia perfettamente funzionante e ciascun utente sarà in grado di realizzare beni e servizi, acquistare e vendere, essere ricompensato per una gamma incredibilmente ampia di “lavoro” che produce “valore” riconosciuto dagli altri ed investire. E nel Metaverso si potrebbe continuare a vivere virtualmente anche dopo la morte reale: i sopravvissuti nel mondo reale potrebbero continuare ad avere esperienze con chi non vi è più, se la chiave di accesso venisse usata dagli eredi o se si trasferisse in un algoritmo tutta la conoscenza di una persona prima che realmente muoia, ma in tal caso finirebbe la corrispondenza tra reale e virtuale.

 

3. Da un punto di vista economico-giuridico un primo problema da porsi è quello delle regole completamente nuove riguardo alla censura ed al controllo delle comunicazioni e quindi all’applicazione di discipline su cui è difficile trovare approcci condivisi. E tanto più ampia sarà l’interoperabilità del Metaverso, tanto più difficile sarà stabilire un consenso su argomenti di fondamentale importanza, come la sicurezza o la conservazione dei dati. Se si costruisce, infatti, uno spazio a libero ingresso, sia pure virtuale, ci si deve porre un problema della sua governance. E anche se un domani fosse nelle mani di un’unica impresa, occorrerebbe chiedersi fino a che punto le regole imposte dai sistemi giuridici reali vadano estese al Metaverso. Nella vita virtuale possono essere consentiti omicidi e rapine, almeno come accade nei videogiochi, senza che ciò faccia del male a nessuno. Si potrebbe allora ripercorrere i ragionamenti di John Rawls (Una teoria della giustizia) e ripensare a quali principi daremmo il nostro assenso trovandoci in una situazione iniziale di totale uguaglianza, sia pure in un nuovo mondo virtuale. Ci si porrebbero i problemi di lealtà e correttezza all’interno di Metaverso non meno importanti delle questioni di fondo su cosa sia giusto nella vita reale, ripercorrendo, ad esempio, le riflessioni Michael Sandel (Giustizia). È probabile che anche un teorico accordo sui modi con cui comportarsi possa solo dipendere dalla capacità di alcuni di imporsi su altri, quindi l’iniziale uguaglianza verrebbe contraddetta sul nascere. Tuttavia, non si può banalizzare il problema e ritenere semplicisticamente che non ci si trovi dinanzi a nulla di più di quello che da anni chiamiamo World Wide Web ossia una rete di comunicazioni con accesso pubblico ad ampiezza mondiale (in sintesi, il web). Il Metaverso ne rappresenta un’enorme e profonda evoluzione.

Un altro profilo di indagine riguarda l’estensione delle proprietà intellettuali nel Metaverso, dato che vi sarà una trasposizione di beni di consumo della vita reale in quella virtuale (si pensi a quanto accaduto nel “Gucci Garden Experience” con la vendita di una borsa virtuale il cui prezzo supera di gran lunga quello della sua controparte reale). In questo scenario, che solo a tratti appare fantascientifico, si inseriscono i “Non Fungible Token” o NFT, che sfruttano la tecnologia blockchain, inizialmente sviluppata nel settore criptovalute, con alcune peculiarità di base, tali che la distribuzione della ricchezza nel mondo reale porta ad uguale discriminazione nel mondo virtuale, distinguendo possidenti e nullatenenti.

La “non fungibilità” si riferisce all’unicità e indivisibilità dei nuovi gettoni digitali, differenziandosi gli NFT dalle altre fattispecie in cui vige il principio opposto di fungibilità. L’artista americano Mike Winkelmann (conosciuto con lo pseudonimo Beeple) attraverso la famosa casa d'aste Christie's, ha venduto un collage di 5.000 immagini come NFT per la cifra record di 69,3 milioni di dollari. Un evento storico, non solo per l'oggetto messo all'incanto, ma anche perché la famosa casa d'aste, fondata nel 1766, ha consentito per la prima volta di pagare l'acquisto anche con moneta virtuale.

Con gli NFT avviene una rivoluzione nel web marketing, perché si può vendere qualsiasi bene prodotto digitalmente, associando un certificato di proprietà e autenticità della fonte: meme, foto, video, note vocali, post social o avatar. In questo modo è nato il collezionismo digitale (Crypto Art). Gli NFT “tocchi” (token) crittografici o certificati digitali, unici nel loro genere, consentono di dimostrare la proprietà di una risorsa digitale. In sostanza, avere un NFT significa avere un originale di una determinata risorsa digitale. Sebbene l'asset digitale possa essere replicato più volte da chiunque, chi è titolare dell'NFT ne è il "vero e unico" proprietario. L'autenticità di ogni NFT è verificata dal meccanismo del registro Blockchain, con cui viene conservata la traccia del creatore originale, di quanti soggetti hanno scambiato quel determinato NFT e a quanto è stato venduto in ogni operazione, il che evita l’acquisto di falsi NFT da truffatori che, ad esempio, salvano i JPEG (creato da altri) e lo rivendono come "originale" ad acquirenti inconsapevoli. La commercializzazione di un certificato di autenticità, d’altronde, non è una novità per il mondo dell’arte contemporanea, alle prese con la necessità di dover tutelare non solo quadri o sculture, ma anche performance live, video su supporti analogici e digitali, fotografie e stampe riproducibili. In tali casi, essendo l’opera non più riproducibile od estremamente riproducibile, ciò che diviene oggetto della compravendita è proprio il certificato di autenticità (Neil Macleod, Il Boom degli NFT tra arte, proprietà intellettuale e diritti all’asta, in www.altalex.com).  Di una stessa opera, potenzialmente, potranno essere venduti indefiniti NFT a soggetti diversi, tutti allo stesso modo proprietari di un singolo certificato, ma non ovviamente dell’originale. Quest’ultimo rimarrà di esclusiva proprietà dell’autore, in forza appunto della normativa sul diritto d’autore, il quale avrà la possibilità di sfruttare economicamente un numero indefinito di volte la propria opera, venendo remunerato per l’acquisto di un token ad essa collegato. È chiaro che il prezzo di mercato di ciascun NFT per la medesima opera dipende, però, dal numero degli stessi (con singole impronte digitali), per cui ad una serie limitata non può seguirne altra analoga.

Nel campo dello sport, è nato NBA Top Shot, che si basa sulla compravendita di “moments”, ossia NFT che raffigurano gli highlights delle migliori giocate dei protagonisti della lega. Si tratta di una fattispecie del tutto simile al mercato delle figurine sportive, ma invece dell’immagine di un giocatore, si collezionano video di una giocata specifica rappresentati su di un cubo, le cui facce contengono tutti i dati e le statistiche relativi a quel moment.

Gli NFT (o almeno alcuni di questi) seguiranno probabilmente le tipiche cinque fasi delle bolle finanziarie, dipendenti dagli effetti di uno spiccato ottimismo nei processi decisionali (Daniel Kahneman, Pensieri lenti e veloci), che gli economisti hanno così riassunto: a) spiazzamento (appena la nuove circostanze mostrano opportunità redditizie); b) euforia (overtrading); c) mania (o bolla) a causa della prospettiva di guadagni facili; d) allarme, quando gli esperti si rendono conto che si cominciano a monetizzare i guadagni vendendo i titoli; e) fuga (o sfiducia), con la caduta dei prezzi, provocando lo scoppio della bolla (Niall Ferguson, Ascesa e declino del danaro. Una storia finanziaria del mondo).

Tornando all’esempio di Fortnite, si tratta di uno dei luoghi virtuali in cui la proprietà intellettuale di chi gestisce il sistema si interseca con altri, per cui mentre si interagisce si possono indossare uniformi NFL con licenza ufficiale. Questa situazione sarà generalmente presente per il Metaverso. A questo punto, si può prevedere la possibilità di acquistare un bene sia nella vita reale che virtuale, ad esempio un’auto da corsa con connesso NFT da utilizzare virtualmente, potendo cedere poi entrambi o solo uno di essi. Nel Metaverso la distinzione tra pochi ricchi e molti nullatenenti potrebbe essere ben maggiore di quella del mondo reale, già nel momento dell’ingresso. D’altronde, è possibile acquistare beni immobili virtuali, malgrado lo spazio digitale sia infinito e, dunque, non vi sia bisogno di accaparrarsi terre coltivabili ed estendere i propri possessi quasi come nella conquista dell’America. E mentre è stato il lavoro ad istituire all’inizio il diritto di proprietà sui beni inizialmente comuni (John Locke, Il secondo trattato sul governo, secondo cui «it was useless, as well as dishonest, to carve himself too much, or take more than he needed»), nel Metaverso si avrebbe una rapida “trasfusione” delle situazioni di potere dal mondo reale anche nel corrispondente mondo virtuale.

 

4. In conclusione, da un punto di vista economico, il Metaverso è un mercato ad espansione infinita, apparentemente senza problemi di inquinamento ambientale per beni e servizi virtuali realizzati, senza alcuna necessità di provvedere alla rottamazione, salvo il consumo di energia, soprattutto elettrica, nella formazione e gestione di utilità digitali. In tal senso, oltre che virtuale, il modello potrebbe essere virtuoso, non generando rifiuti e non ponendosi problemi di necessaria decrescita, in mancanza di limiti di sostenibilità, più volte rappresentati da Serge Latouche (La scommessa della decrescita).

Non vanno trascurati, però, danni psicologici e sociali, perché si realizza un benessere del tutto illusorio: al miglioramento della vita a livello virtuale non corrisponderebbe un miglioramento della felicità a livello reale, salvo restare collegati nel mondo virtuale in modo pressoché costante (come nel film Ready player one di Steven Spielberg). Si tratta, in definitiva, di riorganizzare la vita sempre intorno al consumo (sia pure virtuale), trasformando i lussi di oggi in bisogni di domani e implicando un’esigenza di salute e fitness del tutto virtuale. Si moltiplica un’insaziabile “fame di cambiamento” (costante aggiornamento del prodotto, con sforzi per associarlo ad uno status sociale) e anche nel mondo virtuale le persone finiscono per riconoscersi sulla base di quello che hanno, trovano la loro “anima” nella loro automobile, casa a due livelli, nelle attrezzatture che possiedono (Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione), pure nella dimensione virtuale. Alla fine, continua nel mondo virtuale la società sinottica di malati di shopping e spettacoli, come descritto da Zygmunt Bauman (Modernità liquida): maggiore è la libertà mostrata sullo schermo e più seduttive sono le tentazioni in mostra rispetto alle vetrine dei negozi, con la conseguenza che più profondo appare il senso di una realtà fisica completamente impoverita di interessi. La conseguenza sugli individui è quella di non avere tempo per il mondo reale, con gravi forme di patologia sociale legate al rapporto con il tempo e lo spazio, persone e cose, azioni e reazioni che avvengono nella vita reale, evidenziate da Hartmut Rosa (Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella tarda modernità). La tecnologia è gratificante quando coinvolge l’interazione nel mondo reale e migliora l’esperienza umana, non quando esiste per il gusto di esistere. Oltretutto, nel Metaverso, non si realizza minimamente alcuna eguaglianza, perché – a fronte della libertà di accesso – alcuni resteranno più ricchi di altri, senza alcuna necessità di dover affrontare le ragioni storiche correlate al clima, all’ambiente, all’estinzioni di massa rappresentate da Jared Diamond (Armi, acciaio e malattie): nel Metaverso non esistono pandemie, non vi sono differenze climatiche e ambientali, a meno che non lo decida un programma elettronico sulla base di un algoritmo. L’uomo nel Metaverso finirà per riprodurre, anzi moltiplicare, le proprie aspettative, che possono gonfiarsi a dismisura nel mondo virtuale. Questo perché i grandiosi miglioramenti nelle condizioni obiettive che il genere umano ha sperimentato negli ultimi decenni si sono tradotti in aspettative ancor più elevate piuttosto che in un soddisfacimento più completo (Yuval Noah Harari, Homo deus. Breve storia del futuro), tanto che, in luogo di aumentare i giorni di vacanza per stare all’aria aperta (convertendo parti del reddito in tempo libero), si trovano nuove occupazioni e nuovi beni da possedere nel mondo virtuale.

Da un punto di vista giuridico, tutto ruota intorno alle norme sulla proprietà intellettuale, con applicazione della disciplina del diritto d’autore e della proprietà industriale, dovendosi porre i problemi dell’individuazione dell’ordinamento di riferimento e della giurisdizione al fine di ottenere protezione. Il sistema degli NFT, in particolare, sembra impedire la contraffazione, ma il problema a monte è evitare che i gli stessi creatori di NFT siano i primi a violare i diritti degli altri (sul nome, sull’immagine, sul segno distintivo, sulla creazione intellettuale) con la necessità di dover individuare il soggetto, autore della violazione, e l’autorità competente a giudicare l’illecito (Corte di giustizia UE, sentenza 17 giugno 2021, causa C-800/19, Mittelbayerischer Verlag KG c. SM; Cass., 27 febbraio 2020, n. 5309), anche per ottenere l’inibitoria e il risarcimento del danno. Si pensi al caso dell’artista russo Weird Undead, che ha visto all’asta su OpenSea una sua opera in NFT, ma senza il suo consenso (James Purtill, Artists report discovering their work is being stolen and sold as NFTs, in www.abc.net.au). Va anche considerata l’ipotesi di una doppia registrazione della stessa opera su piattaforme differenti? Un sistema di “firts to file” favorirebbe chi registra per primo e non il reale autore. Quello che potrebbe apparire un nuovo mercato, può diventare, perciò, una giungla (virtuale) per arricchire alcuni (anche nel mondo reale) in modo illecito, almeno secondo ciò che è previsto nei moderni sistemi giuridici (Paul Donoughue, NFTs are setting the creative world alight. Are they also bad for the planet? in www.abc.net.au).

Compare di nuovo la contraddizione intorno alla quale ruota l’intero Metaverso. Storicamente il World Wide Web è nato grazie a studi e programmi provenienti da persone che operavano in università che avevano compreso il potenziale di quanto si andava a realizzare, per cui si è sviluppato in modo relativamente disordinato, in parallelo con servizi chiusi, ma orientati ai consumatori della rete. Diversamente, oggi, per il Metaverso, sono le imprese private (Facebook, Microsoft, Amazon, Google, Apple) ad avere la piena consapevolezza del potenziale del Metaverso e ad esserne maggiormente convinta. E da ciò appare evidente la contraddizione, qui esposta, tra ciò che dovrebbe essere completamente libero per tutti (come nella vita reale, rispettando le regole imposte dall’ordinamento cui si appartiene) e potrebbe, invece, diventare una prerogativa organizzata da una o più imprese private, che impongono le loro regole (e la loro etica aziendale) agli utenti. È difficile, cioè, immaginare che una delle attuali grandi imprese di internet resti del tutto estranea dalla “costruzione” e diffusione del Metaverso. Nel contempo, un freno potrebbe derivare dalla legislazione antitrust, limitando la capacità delle grandi imprese, già presenti su internet, di effettuare acquisizioni in futuro o offrire nuovi servizi collegati ai loro prodotti.

 

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