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Soggetti e nuove tecnologie 23.02.2018

Bitcoin e successione ereditaria: profili civili e fiscali

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1.   Il fenomeno bitcoin e criptovalute.

Il “sistema” delle criptovalute, di cui bitcoin è l'esempio più significativo, si fonda su registri di transazioni (blockchain) la cui copia è mantenuta e validata da migliaia di “nodi” in giro per il mondo. Il meccanismo, in pratica, non è troppo dissimile da quello che governa i conti in banca e le transazioni finanziarie tradizionali, ma il registro non è tenuto dalla banca, dalla borsa o da un emittente o controllore ma in modo “diffuso”. Per realizzare validamente una nuova transazione, e quindi “spendere” il valore relativo, è necessario prima “firmarla” con una chiave privata crittografica (di qui il prefisso “cripto”) e poi trasmetterla sulla rete, facendo quindi in modo che venga inserita (quasi istantaneamente, ad opera dei cosiddetti “minatori”) nella blockchain. L'essere titolare della chiave privata, e quindi della possibilità di trasferire i valori dal proprio ad un altro indirizzo (conto), non dà solitamente diritto a particolari benefici altri che la titolarità stessa; all'incirca come avviene per il possesso di oro, materiale inerte che non “serve” (quasi) a nulla ma la cui titolarità è universamente riconosciuta come ricchezza e la cui valorizzazione dipende da un diffuso mercato di scambi.

Negli ultimi mesi si è assistito ad una vera e propria “esplosione” dell'attenzione mediatica, e correlativamente (forse) del valore delle criptovalute: ormai non solo Bitcoin, ma anche Ethereum, Ripple, Bcash, Cardano, Litecoin, Stellar hanno una “capitalizzazione” di mercato superiore – ciascuna – ai dieci miliardi di dollari mentre il valore complessivo delle prime tre criptovalute supera i 300 miliardi di dollari; la valutazione dell'impatto sociale della novità, più che di giuristi, sarà compito di sociologi e filosofi, ma per farsi un'idea propria si può consultare un elenco dei principali “titoli” su, ad esempio, su www.cryptocompare.com, e, naturalmente, sbirciare i forum che si occupano del fenomeno (come www.reddit.com/r/Bitcoin) dove si trovano opinioni, guide e indicazioni, più o meno interessate, sulle procedure da seguire.

Gli investitori, i loro professionisti e in genere gli operatori, anche non del settore, sono sempre più stimolati ad affrontare gli aspetti giuridici della novità e si può immaginare che ben presto sarà richiesta competenza per la gestione del caso di morte del titolare o, con maggiore ottimismo, di programmazione della sua successione. Si tratta di un campo nel quale si riscontrano alcune interessanti criticità che si cercheranno qui di evidenziare.

È importante in primo luogo chiarire che le criptovalute, come peraltro anche la moneta legale più tradizionale, si prestano all'investimento, alla detenzione e all'uso, per così dire “a tre livelli”.

2.   La detenzione attraverso strumenti finanziari “ortodossi”.

In caso di detenzione attraverso fondi comuni di investimento, certificati, futures o altri strumenti finanziari “ortodossi” che speculino sul valore di una criptovaluta, la successione mortis causa crea pochi problemi nuovi; e anche, a dire il vero, poche potenzialità giuridiche interessanti. Dal punto di vista civilistico tali strumenti saranno beni dell'asse ereditario, da ripartirsi tra gli eredi, se non oggetto di specifico legato; dal punto di vista pratico e fiscale, nell'ambito delle posizioni che gli intermediari comunicheranno per la compilazione della dichiarazione di successione, ci saranno anche le relative attività finanziarie, da indicare nel quadro B2 del modello 4 e ora, dopo l'aggiornamento obbligatorio dal gennaio 2019, nel quadro EO; il valore sarà determinato ai sensi dell'art. 16 lett.c), d.lgs. n. 346 del 1990 e pertanto già indicato nei «prospetti redatti a norma di legge».

Un approccio così “indiretto” alle criptovalute è una vera novità solo dal lato economico ma è il modo più facile per investire per chi ha una visione più tradizionale; la prevedibile maggiore facilità di accesso davvero diffuso accende il dibattito sulla possibile approvazione da parte della SEC di un ETF con sottostante bitcoin (che determinerebbe probabilmente una maggiore estensione del fenomeno anche tra i piccoli risparmiatori); d'altronde già oggi esistono derivati e strumenti negoziati OTC (quali GBTC grayscale.co/bitcoin-investment-trust); proprio il fondo indicato quotava qualche mese fa il doppio del valore del suo NAV e questa significativa anomalia , che non può essere spiegata solo con la particolare situazione che si è venuta a creare con l'“hard fork” di agosto 2017, è forse una spia di come ci sia ampio margine di guadagno a scapito degli investitori poco avveduti; ma è un discorso che porterebbe molto lontano.

3.   La detenzione attraverso intermediari centralizzati.

In secondo luogo, le criptovalute (o, meglio, le chiavi private che consentono la movimentazione delle stesse) possono essere detenute attraverso l'apertura di una posizione (account) presso banche (ad esempio la svizzera xapo.com) o altri intermediari (ad esempio www.coinbase.com) che si occupano della custodia, a vario titolo e offrendo diversi servizi, spesso in pool con gli altri utenti; a volte è addirittura la stessa “borsa” (ad esempio www.kraken.com) che, dopo l'acquisto, se ne occupa.

Questa situazione intermedia è simile a quella del normale conto acceso presso una banca e in ogni caso in dichiarazione di successione l'importo sarà da inserire nel quadro ER, qualunque sia la natura giuridica che si voglia attribuire alle criptovalute (l'argomento verrà affrontato infra). Gli intermediari saranno quindi tenuti al rispetto del terzo comma dell'art. 48 d.lgs. n. 346 del 1990 e non potranno “consegnare le somme” se non dopo la dimostrazione della presentazione all'autorità della dichiarazione di successione: dal punto di vista giuridico non sembra, infatti, si debba dare rilievo al fatto che la detenzione sia delle chiavi per la movimentazione e non, direttamente, delle criptovalute che, concettualmente, “rimangono” sulla blockchain e hanno valore proprio in quanto esistenti e movimentabili sulla stessa.

Per quanto riguarda il valore da inserire nel quadro si dovrebbe far riferimento, in questo caso, all'art. 19 d.lgs. n. 346 del 1990, indicando il «valore venale in comune commercio alla data di apertura della successione». Tuttavia tale valutazione può non essere così facile: non solo manca un listino “ufficiale” al quale attingere, ma, soprattutto a causa di alcuni “blocchi” legali o convenzionali al prelievo di bitcoin (o di valuta legale, in altri casi) le borse possono assumere (e in effetti hanno spesso assunto in passato) valori fantasiosi. A tal fine soccorrono appositi indici (tradeblock.com/markets/index/) che aggiornano periodicamente la media ponderata con particolari complessi meccanismi che dovrebbero eliminare le citate frequenti anomalie dei mercati.

Si sottolinea che le credenziali di accesso (userid, password ed eventualmente PIN) non costituiscono naturalmente la proprietà del bene: la stessa rimane invece legata al soggetto detentore che si legittima solo attraverso l'inserimento delle credenziali; si tratta di un sistema in qualche modo “nominativo” e coerentemente i contratti con gli intermediari vietano normalmente la cessione in uso delle credenziali. Dal punto di vista pratico i successori del defunto (che ne siano a conoscenza!) potranno quindi legittimarsi e prendere possesso dei fondi detenuti contattando l'intermediario o il depositario, esattamente come avviene per le banche depositarie di somme di denaro o titoli. L'idea ingenua di sfruttare il parziale anonimato – che si realizza nei fatti – è destinata a scontrarsi con la severa realtà giuridica di accesso illegittimo non appena le cifre in gioco diventano significative ed effettiva la presenza di controinteressati (tra cui, in primis, l'autorità fiscale).

4.   La detenzione diretta.

In terzo e ultimo luogo le chiavi private delle criptovalute possono essere detenute “direttamente”, e ciò in diversi modi:

- attraverso la generazione e la stampa su carta della chiave pubblica e della chiave privata attraverso la quale “spendere” (sic!) le transazioni che fanno capo a un indirizzo bitcoin (“paper wallet” come quelli generati da https://www.bitaddress.org/);

- attraverso la gestione dei portafogli con i vari indirizzi attraverso un apposito software (da installare sul proprio computer o sullo smartphone) nel quale sono in qualche modo criptate le proprie chiavi private (“software wallet”, quali https://jaxx.io);

- attraverso la generazione dei portafogli direttamente da un apparecchio USB specificamente costruito, da connettere ad un computer esclusivamente per la firma delle transazioni e la consultazione dei bilanci dei portafogli (“hardware wallet”, quali https://www.ledgerwallet.com/);

- attraverso uno specifico e segregato portafoglio “web” presso un intermediario (“web wallet”, offerti in genere dagli stessi soggetti che si offrono quali depositari): in quest'ultimo caso la distinzione con la figura e le soluzioni indicate nel paragrafo precedente, dove ci si è occupati di detenzione “indiretta”, è però piuttosto sfumata; si potrebbe tuttavia ritenere che se le chiavi private sono in possesso dell'intermediario, (come avviene su poloniex.com) si rientra nella seconda fattispecie, se invece non sono a questo accessibili (come avviene, ad esempio per i ripple, su gatehub.net) nella terza fattispecie; dovrebbe potersi ascrivere alla prima fattispecie (detenzione diretta) anche il caso di https://www.bitgo.com/, in cui il portafoglio può essere movimentato attraverso due chiavi delle tre disponibili, di cui una nella disponibilità del titolare, una del sito (che assume l'obbligo di firmare “per procura”, dopo alcune verifiche e con alcuni limiti) e una terza (di emergenza) depositata presso un terzo; non cambia quindi il principio il fatto che le chiavi private vengano custodite online, presso un intermediario che magari coincide con un gestore del servizio; non rileva che possano venire, in pratica, sostituite dalle credenziali di accesso al servizio; non rileva infine che, nella maggior parte dei casi, il titolare non le conoscerà mai (anche se deve poterne entrare in possesso).

La possibilità di detenzione diretta è la figura che consente le riflessioni più stimolanti sulle criptovalute, anche in materia di successione mortis causa; ed è anche il settore nel quale la regolamentazione può (e dovrebbe) essere differenziata rispetto ai fenomeni giuridici ed economici abituali.

5.   Spunti generali civilistici e successori.

Dal punto di vista civilistico alcune importanti considerazioni vanno ben oltre l'ambito successorio: in primo luogo l'anonimato (attenzione: entro certi limiti) degli indirizzi determina l'estrema difficoltà, se non l'impossibilità, in alcuni casi, di tracciare transazioni in criptovalute (getmonero.org in primis) per le quali gli utenti si sono determinati ad escluderla; in secondo luogo l'intrinseca natura di molte criptovalute (tra cui il bitcoin) ne determina in concreto l'intrinseca impignorabilità, insequestrabilità e inespropriabilità in quanto nessuna autorità è in grado di modificare a posteriori, né tantomeno di imporre, transazioni effettuate sulla blockchain, senza il possesso delle chiavi private o l'improbabile consenso della maggioranza dei “nodi”; questi due aspetti sono alla base del funzionamento stesso del sistema e diverse affermazioni, per quanto sbraitate in minacciose leggi e regolamenti di enti e autorità, sono destinate a restare sulla carta (ne sanno qualcosa le autorità bancarie cinesi che hanno negli anni passati infruttuosamente “combattuto” contro le criptovalute, per giungere, nel settembre 2017, alla (inefficace e temporanea) chiusura di alcune borse locali; il risultato più evidente è stato che la comunità internazionale ha felicemente constatato che i bitcoin possono benissimo fare a meno della Cina.

Si tratta, tra l'altro, di due principi simili a quelli che si riscontrano nelle tanto demonizzate transazioni in contanti, con l'importante differenza che la fiducia alla base è legata all'inespugnabilità e stabilità del protocollo invece che alla difficoltà di falsificazione delle banconote; inoltre sotto il profilo inflazionistico, in molte criptovalute (ma non in tutte), la promessa di ragionevole inflazione è lasciata alla progettazione iniziale invece che alle ubbie di una talvolta poco affidabile autorità emittente (si pensi a quanto è recentemente accaduto in Venezuela).

Sarebbero auspicabili interventi che evitino l'elusione, attraverso l'uso delle criptovalute, delle normative del diritto successorio italiano meno socialmente accettate, se si vogliono mantenere in vita. Caso tipico è quello della riserva di una quota di patrimonio ai legittimari, a dispetto delle disposizioni testamentarie (art. 457 c.c.): la Cassazione ha confermato, invocando l'art. 9, comma 3, d.lgs. n. 196 del 2003, che gli eredi non hanno diritto di accedere ai contenuti delle polizze vita stipulate dal de cuius (Cass. civ. n. 17790 del 2015); ma chi non si fida della stabilità della normativa o dell'orientamento giurisprudenziale e soprattutto della legittimità della sua applicazione al caso di riduzione di legittima, potrebbe cercare nell'uso delle criptovalute una strada alternativa; esattamente come il prelievo di contanti o l'acquisto di oro che poi non si rinvengono nell'attivo ereditario; con la differenza, oltre a quelle sopra viste, anche della più facile “gestione” del patrimonio sottratto ai legittimari “medio tempore”. Analoghe considerazioni, soprattutto in tema di “gestione”, possono essere svolte in relazione ai rischi di violazione del divieto dei patti successori (art. 458 c.c.) per i quali sulle blockchain, non solo di ethereum, potrebbero non tardare a proliferare smart contracts non pienamente conformi al nostro ordinamento giuridico, che sul punto è (ancora?) indiscutibilmente poco flessibile.

Un altro importante aspetto della successione delle criptovalute riguarda la concreta recuperabilità del bene all'esito della successione, nei casi in cui non ci sia un intermediario al quale rivolgersi. Gli eredi o legatari (o, meglio, i soggetti che sono destinatari delle disponibilità, anche se non sono eredi) per entrarne in possesso hanno bisogno di conoscere (o, meglio, di poter utilizzare, anche senza conoscere, come si è visto sopra) la chiave privata corrispondente all'indirizzo o la formula di generazione del portafoglio HD. Tuttavia questi elementi consentono di disporre a prescindere dalla verifica dell'identità del disponente e, addirittura, a prescindere dall'effettiva morte del dante causa; la cosa è particolarmente rilevante vista anche la scarsa possibilità di tutela che costituisce l'altro lato della medaglia della “libertà” della quale si è sopra discusso.

Per ovviare a questo aspetto si potrebbe suggerire di formare un “paper wallet” della somma da lasciare, custodito in un luogo accessibile, dopo la morte del disponente, solo al destinatario (cassaforte, nascondiglio, cassetta di sicurezza…); la detenzione delle chiavi private in paper wallet, se è comodo per la “tesaurizzazione”, consentendo anche successive aggiunte senza dover essere in possesso della chiave, non è certo il modo più pratico per “spenderle”; inoltre il grado di sicurezza è legato alla difficoltà di accesso al luogo di custodia. Le soluzioni che superano questi problemi sono fondate, in linea di principio, sulla mescolanza della figura dell'esecutore testamentario con il funzionamento dei wallet multisig e richiedono l'approfondimento con soggetti versati in entrambe le materie.

6.   Aspetti fiscali.

Passando, infine, agli aspetti fiscali si deve in primo luogo evidenziare che il bitcoin e le altre criptovalute, pur essendo “virtuali” fiscalmente sono tutt'altro che “non esistenti”; non solo, come è facile intuire, nel caso di detenzione attraverso fondi o intermediari soggetti a vari tipi di vigilanza e controllo, ma anche quando la detenzione sia diretta: il fatto che – alcune – transazioni siano opache non impedisce in concreto la difesa dell'imposizione fiscale, come spesso accade, “a valle” cioè al momento della spesa delle disponibilità ereditate, per così dire al “rientro” nel sistema, a prescindere dalla normativa ancora lacunosa e dalla natura giuridica delle criptovalute ancora discussa.

A quest'ultimo proposito il legislatore italiano ha espressamente previsto, con la modifica, in vigore da luglio 2017, al d.lgs. n. 231 del 2007, una prima regolamentazione delle criptovalute, in tema di antiriciclaggio, assimilandole nella sostanza a quelle aventi corso legale; l'ipotesi è peraltro coerente con quanto stabilito nella risoluzione 72/E del 2016; questo dovrebbe lasciar tramontare la tesi, anche sostenuta, della parificazione alla merce, con la conseguente applicazione dell'IVA, o a un titolo di credito, che era stata anche avanzata (per approfondimenti vedi https://coinlexit.wordpress.com); sotto questo profilo la “guerra fredda” tra USA e Russia sulla natura delle criptovalute vede l'Italia (e quasi tutta l'Europa) più ad est di quanto si immaginerebbe dalle alleanze politiche.

In realtà l'argomento è più complesso di quanto appaia a una primo approccio sotto almeno due profili: in primo luogo non tutte le criptovalute sono uguali e ne esistono, ad esempio, di “legate” a specifici beni sottostanti (quali http://www.xaurum.org/ legata al valore dell'oro fisico o https://tether.to/ legata al valore del dollaro statunitense), o che danno diritto a particolari vantaggi (quali le numerose ICO assimilabili spesso a vere e proprie azioni di società “deregolamentate”); in secondo luogo il fenomeno è talmente rivoluzionario, sul fronte ad esempio dell'”ubiquità”, che una parificazione a una fattispecie già conosciuta e regolamentata potrebbe non essere sempre possibile e pare più opportuna una valutazione caso per caso.

Si segnala anche che alcuni cantoni svizzeri hanno recentemente promesso di accettare bitcoin in pagamento di (poche) imposte e che sono in corso studi, da parte di molti stati, per l'adozione del nuovo sistema come standard per l'emissione della valuta ufficiale: è, ad esempio, in dirittura d'arrivo il “Petro” venezuelano, da un lato criptovaluta, fondata sull'uso delle chiavi crittografiche asimmetriche per la sua movimentazione, dall'altro emessa da uno stato sovrano che la dovrebbe accettare come legale modo di estinzione delle obbligazioni pecuniarie. Si immagina che essendo il senso dell'evoluzione ormai tracciato, la parificazione delle criptovalute con la valuta avente corso legale possa essere prudentemente tentata, con le precisazioni sopra indicate, in tema di successioni.

7.   L'imposta di successione italiana sulle critptovalute.

Tornando quindi all'argomento in esame, potrebbe essere applicabile il secondo comma dell'art. 9 d.lgs. n. 346 del 1990 alle criptovalute detenute direttamente: secondo tale norma infatti «si considerano compresi nell'attivo ereditario denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al dieci per cento del valore globale netto imponibile dell'asse ereditario anche se non dichiarati o dichiarati per un importo minore»; nell'interpretazione data da Cass. civ. n. 4751 del 2008 ciò comporterebbe la sostanziale esclusione dall'obbligo di dichiarazione e dal pagamento delle relative imposte: la sentenza stabilisce infatti che «è indiscutibile l'incremento dell'imponibile nella misura del dieci per cento, quale che sia il valore effettivo di denaro, gioielli e mobilia esistenti nell'asse. Infatti, neppure l'amministrazione sarebbe ammessa, come in passato (Cass. civ. n. 5773 del 2000), a provare un valore di tali beni superiore a quello presunto».

Nel caso in cui si ritenga invece inapplicabile l'art. 9, almeno per le criptovalute che non hanno (per il momento) corso legale in alcuno stato, la mancata indicazione in dichiarazione comporta (solo) l'applicazione delle sanzioni previste dagli artt. 50 o 51 d.lgs. n. 346 del 1990; è invece inapplicabile il terzo comma dell'art. 48 d.lgs. n. 346 del 1990, non riscontrandosi “debitori” o “detentori” di beni del defunto (quali le banche o altri soggetti vigilati) che possano essere tenuti ad esigere la prova dell'avvenuta presentazione della dichiarazione di successione: i destinatari dei lasciti di criptovalute detenute direttamente potranno quindi entrare comunque legittimamente in possesso delle stesse a prescindere dal pagamento dell'eventuale imposta di successione relativa, ammesso che sia dovuta.

8.   Riferimenti bibliografici.

I primi contributi risalgono al 2012 e negli ultimi tempi si è registrato un notevole incremento di interesse per questo argomento. Senza pretesa di completezza, si segnalano i più importanti lavori consultati ai fini del presente scritto: I. BIXIO, I nuovi obblighi antiriciclaggio relativi alle valute virtuali, in Corr. Trib., 2017, 2593 ss; G. VARRASI, Bitcoin e Criptomonete, in Dir. ed Econ. dell'Impresa, 2017, 284 ss; G. COSTA, Profili fiscali delle operazioni di acquisto e vendita di bitcoin, in Riv. dott. comm., 2017, 467 ss; R. BOCCHINI, Lo sviluppo della moneta virtuale: primi tentativi di inquadramento e disciplina tra prospettive economiche e giuridiche, in Dir. inf. e inf., 2017, 27 ss.; P. CUCCURU, “Blockchain” ed automazione contrattuale. Riflessioni sugli “smart contract”, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 2, 107 ss.; C. TRENTA, “Bitcoin” e valute virtuali. Alcune riflessioni alla luce della decisione della Corte di Giustizia UE sul regime IVA applicabile ai “bitcoin”, in Riv. trim. dir. trib., 2016, 949 ss.; N. BUSTO, Bitcoin tra “disintermediazione” e “iper-intermediazione”, in Ciberspazio e diritto, 2016, 309 ss.; P. CLAPS-M. PIGNATELLI, L'acquisto e la vendita per conto terzi di “bitcoin” non sconta l'IVA ma rileva ai fini IRES ed IRAP, in Corr. trib., 2016, 3073 ss.; N. MANCINI, “Bitcoin”: rischi e difficoltà normative, in Banca impr. soc., 2016, 111 ss.; G. PALUMBO, Il trattamento tributario dei “bitcoin”, in Dir. prat. trib., 2016, 2, 286 ss.; M. PIACENTE, Esenzione IVA per i “bitcoin”: la strada indicata dalla Corte UE interpretando la nozione “divise”, in Corr. trib., 2016, 141 ss.; E. SIMONCINI, Il “cyberlaundering”: la “nuova frontiera” del riciclaggio, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2015, 897 ss.; G. GASPARRI, Timidi tentativi giuridici di messa a fuoco del “bitcoin”: miraggio monetario crittoanarchico o soluzione tecnologica in cerca di un problema?, in Dir. inf. e inf., 2015, 415 ss.; N. VARDI, “Criptovalute” e dintorni: alcune considerazioni sulla natura giuridica del “bitcoin”, ibidem, 2015, 443 ss.; M. MANCINI, Valute virtuali e “bitcoin”, in Analisi Giuridica dell'Economia, 2015, 117 ss.; R. SCALCIONE, Gli interventi delle autorità di vigilanza in materia di schemi di valute virtuali, ibidem, 139 ss; E. M. TRIPODI, L'evoluzione delle forme di pagamento su “Internet”, in Disc. comm. serv., 2015, 19 ss.; D. CANDILORO, La sicurezza informatica di bitcoin, in Ciberspazio e diritto, 2015, 331 ss.; R. RAZZANTE, “Bitcoin” e monete digitali. Problematiche giuridiche, in Gnosis, 2014, 106 ss.; V. AMENTA, I sistemi di pagamento di “Quarta generazione”: i “Bitcoins”, in Ciberspazio e diritto, 2014, 11 ss.; A. TETI, Bitcoin la moneta del cyberspazio, in Gnosis, 2012, 10 ss.; infine il sito www.coinlex.it curato da S. CAPACCIOLI, contiene i riferimenti ai preziosi articoli dell'Autore e links a ulteriore materiale.

La corsa al rialzo nelle quotazioni registratasi nel corso del 2017 ha trovato anche eco nella stampa (N. MAGNANI, Il Bitcoin sfonda il tetto dei 4.300 dollari, in Il Sole-24 ore, 15 agosto 2017; P. SOLDAVINI, Dall'oro digitale ora nascono anche «unicorni», ivi, 2 settembre 2017), sollevando comprensibili interrogativi sia sui rischi speculativi sia sulla possibilità che alle criptovalute si ricorra per operazioni illecite (A. GALIMBERTI-V. VALLEFUOCO, In campo l'Ocse sul caso bitcoin, ivi, 2 settembre 2017; A. SHENG, Criptovalute, le autorità devono alzare la guardia, ivi, 8 settembre 2017; GENNAI, Investire in criptovalute tra rischi e speculazione, ivi, 9 settembre 2017; P. SOLDAVINI, Quell'«oro digitale» sempre in odor di bufala, ibidem; ELLI, Quei soldi virtuali non tutti virtuosi, ibidem).

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