I bilanci della F.C. Juventus s.p.a. sono stati oggetto di controllo a seguito di un’iniziativa della Procura di Torino e, in sede sportiva, da parte della Procura della Federazione Italiana Gioco Calcio, aprendosi un procedimento attualmente conclusosi con la decisione della Corte Federale d’Appello a sezioni unite, che ha revocato il precedente provvedimento, sanzionando il club con la penalizzazione di 15 punti in campionato. Nel commento a tale decisione, in merito alle operazioni di scambio di prestazioni sportive c.d. a specchio, si richiamano i principi contabili da applicare ad operazioni del genere, evidenziando che gli stessi ben potevano essere richiamati anche nei precedenti provvedimenti di primo e secondo grado, conclusi con la mera aspettativa che si facesse chiarezza sulle regole da applicare al fenomeno delle plusvalenze, chiarendo in che misura le stesse possano considerarsi fittizie.
MASSIMA - È ammissibile la revocazione delle decisioni adottate dagli organi di giustizia sportiva, là dove i fatti dedotti come nuovi mostrino un’attitudine effettivamente sostitutiva del fondamento della decisione da revocare, interamente assorbendola in sé per effetto della propria intrinseca efficacia probatoria.
Alla società di calcio va applicata una sanzione proporzionata al mancato rispetto dei principi di corretta gestione che lo Statuto della Figc impone quale clausola di carattere generale in capo alle società sportive, in particolare quando sussistano i seguenti elementi: (a) la ripetizione, in più esercizi, del comportamento censurato e, dunque, la relativa effettiva qualificazione come sistematica; (b) la rilevanza del comportamento sulla ripetuta violazione dei principi di verità e correttezza dei bilanci, anche indipendentemente da una specifica quantificazione numerica della alterazione (comunque oggettivamente rilevante) ed anche indipendentemente dalla qualificazione di detti bilanci come falsi; (c) la particolare rilevanza che deve essere assegnata ad un tale comportamento di inattendibilità dei bilanci rispetto al grado specifico di lealtà che deve essere richiesto ad una società sportiva, a maggior ragione ove essa abbia deciso di quotarsi; (d) la consapevolezza a più livelli dirigenziali e societari di un comportamento non corretto (sul piano quanto meno sportivo); (e) le modalità specifiche con le quali il comportamento ha costantemente alterato il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, emergendo episodi di oggettiva opacità rispetto alla natura coeva e permutativa delle operazioni di scambio o addirittura episodi di modificazione delle fatturazioni al fine di non far emergere i fenomeni integralmente compensativi delle operazioni condotte.
IL CASO - La vicenda relativa alla penalizzazione della Juventus, nel corso del campionato di calcio di serie A 2022/2023, è ben nota agli appassionati di calcio e da un punto di vista della scienza giuridica l’interesse travalica il campo, già di per sé ampio, del diritto sportivo per aprirsi a quello societario. La Consob (Commissione nazionale per le società e la borsa), per le società sportive quotate in mercati regolamentati, e la Covisoc (Commissione di vigilanza sulle società di calcio professionistiche), organo interno alla FederazioneItaliana Giuoco Calcio (FIGC), hanno indagato su diverse operazioni di calciomercato ritenuteanomale nei campionati italiani, con il sospetto che i trasferimenti dei giocatori non fossero propriamente legati alla necessità di migliorare le performance sportive. A ciò si ricollega l’inchiesta denominata “Prisma” da parte della Procura di Torino. Attraverso un lungo iter di intrecci di controlli da parte di diverse autorità deputate, per ragioni diverse, a verificare la correttezza dei bilanci, si è giunti alla decisione in commento.
È bene, perciò, sintetizzare la vicenda giudiziaria. La Procura di Torino aveva cominciato ad indagare sui bilanci della FC Juventus s.p.a., perché secondo gli inquirenti gli ultimi bilanci della Juventus (2018-2019, 2019-2020 e 2020-2021) sarebbero stati falsati attraverso plusvalenze artefatte e altre manovre irregolari. A distanza di pochi mesi, sia la Consob – essendo la Juventus quotata in borsa – sia la Covisoc iniziarono ad analizzare i trasferimenti “a specchio”, ossia scambi di giocatori senza passaggio di denaro, ma con effetti positivi sui bilanci delle società coinvolte nelle operazioni, in quanto ciascun giocatore oggetto di negoziazione è formalmente ceduto per un corrispettivo maggiorato rispetto all’originaria valutazione.
A livello sportivo, dall’indagine della Covisoc si è poi passati a quella della Procura della FIGC, che in seguito ha deferito 11 club tra cui la Juventus ma anche Napoli, Sampdoria, Genoa, Empoli, Pro Vercelli, Parma, Pisa, Chievo, Novara e Pescara. Il processo sportivo, con due gradi di giudizio e relative decisioni, prima del Tribunale Federale Nazionale – sezione disciplinare (di seguito Tribunale FIGC) – e poi della Corte Federale d’Appello a sezioni unite (di seguito Corte d’Appello FIGC), si è concluso con l’assoluzione delle 11 società. Solo in sede di revocazione, la Corte d’Appello FIGC, sempre a sezioni unite, ha inflitto la sanzione alla Juventus con il provvedimento che si commenta, con decisione del 20 gennaio 2023, le cui motivazioni sono state pubblicate il 30 gennaio 2023.
È allora opportuno ripercorrere i precedenti due gradi di giudizio per comprendere le ragioni del mutamento della decisione della Corte che si commenta, in sede di revocazione.
LE QUESTIONI GIURIDICHE E LA SOLUZIONE - Secondo il Tribunale FIGC (decisione n. 128/2021-2022 del 22 aprile 2022) solo poche delle cessioni esaminate dalla Procura Federale presentavano quelle caratteristiche dalla stessa individuate quali sintomi di operazioni “sviate” e finanziariamente “fittizie”.
In particolare, secondo il giudice sportivo di primo grado, il metodo di valutazione adottato dalla Procura Federale può essere ritenuto “un” metodo di valutazione, ma non “il” metodo di valutazione” e non si può pretendere di realizzare un «confronto con le valutazioni presenti nel sito “Transfermarkt” (per quanto utilizzate in talune perizie o richiamate in alcuni contratti per volontà convenzionale delle parti contraenti), atteso che trattasi di un sito privato (peraltro non unico), privo di riconoscimento ufficiale anche e soprattutto da parte degli organismi calcistici internazionali e nazionali, influenzato da valutazioni di soggetti privati meri utenti del sito stesso».
Al metodo di valutazione adottato dalla Procura Federale, secondo il Tribunale FIGC, potrebbero contrapporsi altri, ugualmente degni di apprezzamento, che magari tengano conto di “investimenti” su giovani calciatori ritenuti di prospettiva (con inerente “apprezzamento” del loro valore di acquisizione), della necessità di rinforzare la squadra in uno o più ruoli, che magari presentino una scarsità di offerta valida, con inerente lievitazione del corrispettivo di acquisizione.
Avverso tale decisione, ha proposto reclamo la Procura Federale ma la Corte d’Appello FIGC, con decisione n. 89/2021-2022 del 27 maggio 2022, ha rigettato il reclamo, in mancanza di una definizione di criteri cui fare riferimento in tema di valutazione del valore del corrispettivo di cessione/acquisizione delle prestazioni sportive di un calciatore, con particolare riguardo al trattamento delle plusvalenze e della valutazione del costo di acquisto del diritto negli anni successivi a quello di prima contabilizzazione.
La Corte federale è, perciò, giunta ad una duplice conclusione. Per un verso, l’esame delle operazioni (costituite da 59 compravendite) ha evidenziato indubbiamente l’esistenza di notevoli e diffuse criticità. Per altro verso, ha proposto l’invito ad un intervento normativo indispensabile, perché la tipologia di operazioni esaminate influenzano in misura determinante la qualità del bilancio e la sua finalità, cioè la rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale di una società sportiva.
Avverso la decisione della Corte d’Appello FIGC ha proposto ricorso per revocazione parziale la Procura Federale. A fondamento del ricorso per revocazione, e ai fini del giudizio rescindente, la Procura Federale ha allegato: (i) di avere ricevuto, solo in data 24 novembre 2022, dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, copia degli atti contenuti nel fascicolo del procedimento penale n. 12955/2021; (ii) che detta documentazione costituisce una «rilevantissima mole di atti e documenti, composta da circa di 14mila pagine, costituenti le risultanze istruttorie poste a base delle contestazioni di reato formulate nei confronti di 15 soggetti, tra dirigenti, legali rappresentanti, membri del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, revisori legali e consulenti della società FC Juventus S.P.A.», oltre che nei confronti della stessa Juventus quale ente responsabile delle condotte dei suoi dipendenti e soggetti apicali.
Nel corpo del ricorso, quindi, la Procura Federale ha rappresentato «che la predetta documentazione [aveva] consentito di conoscere elementi nuovi, sopravvenuti rispetto alla decisione della Corte federale di Appello a Sezioni Unite [impugnata], la cui conoscenza avrebbe certamente comportato una diversa pronuncia», sussistendo così tutti i presupposti di cui all’art. 63, comma 1, lett. d), del Codice di Giustizia Sportiva della FIGC (CGS).
Con il provvedimento che si commenta, la Corte federale, nel revocare la precedente decisione, ha sanzionato la Juventus con 15 punti di penalizzazione per l’esistenza di un sistema collaudato di scambi incrociati di calciatori con altre società sportive, finalizzati alla realizzazione di plusvalenze artificiali.
Per la verità, nel settore del calcio professionistico, le società possono acquisire il diritto alle prestazioni sportive direttamente dal calciatore c.d. svincolato, alla scadenza del precedente rapporto con altra società nazionale o straniera, oppure mediante la cessione di un contratto con il club (italiano o straniero) titolare del diritto alle prestazioni. In assenza di principi-guida nelle valutazioni dei diritti che possano permettere di verificare se le scelte concrete delle società da essi si discostino, ciascuna operazione di trasferimento avviene al prezzo liberamente concordato, con conseguenze notevoli nei bilanci delle società di calcio, le cui entrate appaiono in gran parte costituite da tali cessioni. Già alla fine degli anni ’90 le società ricorrevano alla prassi delle plusvalenze fittizie, tanto da rendere necessario l’intervento del legislatore, con il “Decreto Spalmadebiti” o “Salva Calcio”, che dispose aiuti contabili e fiscali nei confronti dei club (d.l. 24 dicembre 2002, n. 282, convertito dalla l. 21 febbraio 2003, n. 27).
La questione principale, allora, si sposta sul perché, particolarmente nel settore del calcio professionistico, il fenomeno delle plusvalenze sia così diffuso.
La differenza tra il prezzo convenuto e il valore che potenzialmente avrebbe quel calciatore (rectius, i relativi diritti inerenti alla sua prestazione) sono in teoria riconducibili all’appetibilità strategica dell’oggetto della trattativa, in relazione ai processi d’acquisto in cui ciò che motiva l’acquirente non è la capacità di un calciatore in sé considerata, ma il suo collocamento in un modulo di gioco. Perché, però, si abusa del fatto che la prestazione del calciatore possa avere una variazione di valore così rilevante? La spiegazione è semplice e dipende dal c.d. fair play finanziario, voluto dall’Union of European Football Associations (UEFA) dopo la campagna acquisti del Real Madrid nel 2009. Durante gli anni 2000, infatti, molte squadre di calcio avevano sperperato ingenti somme di denaro, con un aumento esponenziale del loro debito. In tal modo, l’UEFA ha cercato di porre un freno, imponendo regole dirette a ridurre le passività delle società calcistiche, con la finalità di garantire una corretta competitività delle squadre nelle competizioni europee: ogni società calcistica non deve avere debiti con i dipendenti, deve valorizzare i propri settori giovanili, mirare all’autofinanziamento, espandere i ricavi, controllare le spese.
Si tratta di regole finalizzate ad aumentare la trasparenza nell’informativa esterna dei club e la credibilità finanziaria agli occhi degli stakeholders aziendali ed a tutelare i creditori (calciatori, Fisco, organi previdenziali, fornitori, banche), così da consentire, da un lato, l’autosostenibilità dei club e, dall’altro, il raggiungimento di una redditività positiva per gli investitori, mantenendo i costi ad un livello accettabile e parametrato ai ricavi. Lo scopo è anche quello della diversificazione dei ricavi, soprattutto per evitare un’eccessiva dipendenza dalle imprese televisive; non solo, ma anche quello di favorire la crescita dei settori giovanili, considerati la risorsa più preziosa delle società per via della duplice importanza sportiva ed economica.
Da più parti, però, si è affermato che la pressione nel raggiungere target economico-finanziari avrebbe messo i club nelle condizioni di ricorrere a politiche di bilancio illecite, poiché alcuni di essi rischiano di restare fuori dalle competizioni.
La questione giuridica da affrontare riguarda allora come circoscrivere il perimetro del fenomeno delle operazioni di vendita oltre al quale si commette un illecito.
OSSERVAZIONI
1. La prima questione affrontata nella decisione che si commenta riguarda un profilo processuale, ossia la revocazione, diretta a rimuovere dall’ordinamento decisioni per uno dei tassativi casi prestabiliti.
La revocazione è istituto regolato dall’art. 395 c.p.c., secondo cui le sentenze pronunciate in grado d’appello o in un unico grado possono essere impugnate per revocazione in determinati e tassativi casi, e cioè:
1) se sono l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra;
2) se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza;
3) se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario;
4) se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa;
5) se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione;
6) se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.
L’art. 63 CGS della FIGC dispone in modo solo apparentemente speculare, con formulazione in parte diversa da quella del codice di procedura civile, mancando l’ipotesi di dolo del giudice. Secondo tale disposizione, tutte le decisioni adottate dagli organi di giustizia sportiva, inappellabili o divenute irrevocabili, possono essere impugnate per revocazione innanzi alla Corte federale di appello, entro trenta giorni dalla scoperta del fatto o dal rinvenimento dei documenti, se ricorre una delle seguenti ipotesi:
a) se sono l’effetto del dolo di una delle parti in danno all’altra;
b) se si è giudicato in base a prove riconosciute false dopo la decisione;
c) se, a causa di forza maggiore o per fatto altrui, la parte non ha potuto presentare nel precedente procedimento documenti influenti ai fini del decidere;
d) se è stato omesso l’esame di un fatto decisivo che non si è potuto conoscere nel precedente procedimento, oppure sono sopravvenuti, dopo che la decisione è divenuta inappellabile, fatti nuovi la cui conoscenza avrebbe comportato una diversa pronuncia;
e) se nel precedente procedimento è stato commesso dall’organo giudicante un errore di fatto risultante dagli atti e documenti della causa.
Tale disposizione si conclude, però, con ipotesi di revisione, che colmano le ipotesi precedenti di revocazione e in parte si sovrappongono ad esse, e cioè:
a) sopravvengano o si scoprano nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrino
che il sanzionato doveva essere prosciolto;
b) vi sia inconciliabilità dei fatti posti a fondamento della decisione con quelli di altra decisione irrevocabile;
c) venga acclarata falsità in atti o in giudizio.
Diverso ancora è il codice CONI, richiamato dai difensori della Juventus, secondo cui la revocazione di una decisione è possibile solo quando dipende da un errore di fatto risultante incontrovertibilmente da documenti acquisiti successivamente per causa non imputabile all’istante.
In sede di revocazione, i giudici, nella decisione in esame, fanno riferimento a fatti dedotti come nuovi, ai sensi dell’art. 63, lett. d), CGS, che in concreto mostrano un’attitudine sostitutiva del fondamento della decisione da revocare. Nella decisione in commento – a fronte delle deduzioni dei legali della Juventus – si precisa che non vi è alcun contrasto normativo con il codice CONI – né tanto meno con il codice di procedura civile che pure prevede l’ipotesi di nuova documentazione che non era possibile allegare, ma solo per forza maggiore nel processo che si è tenuto – che possa limitare le specifiche ipotesi previste dal CGS. Alle singole federazioni, infatti, sono concessi spazi di importante autonomia e per tale via il “legislatore federale” (la FIGC) ha, in modo coerente ed esente dalle censure prospettate, operato un’estensione delle ipotesi di possibilità di ricorso alla revocazione. Del resto, tale specifica ipotesi di revocazione prevista dall’attuale CGS (ossia quello approvato con deliberazione CONI n. 258 dell’11 giugno 2019) risponde a principi consolidati in ambito federale, tanto è vero che essa era prevista – nei medesimi termini – nelle precedenti versioni del CGS (v. art. 39, comma 1, lett. d) del CGS, adottato con decreto del Commissario ad acta del 30 luglio 2014 ed approvato con deliberazione del Presidente del CONI n. 112/52 del 31 luglio 2014; v. anche art. 28 del CGS di cui al Comunicato Ufficiale FIGC 9 agosto 2001 n. 28).
Invero, la stessa Corte, nella precedente decisione del 27 maggio 2022, aveva inizialmente escluso un illecito, per l’attuale assenza di adeguate disposizioni sul tema della valutazione del valore del corrispettivo di cessione/acquisizione delle prestazioni sportive dei calciatori, essendo «indispensabile la definizione di principi-guida nelle valutazioni che possano permettere di verificare se le scelte concrete delle società da essi si discostino, individuando una serie di elementi di riferimento». La Corte, tuttavia, afferma che «dall’analisi della documentazione in atti vi è la diffusa percezione che alcuni valori si siano formati in modo totalmente slegato da una regolare transazione di mercato ma non è possibile verificare se le modalità della loro formazione rispettino delle regole codificate perché non esistenti».
Da più parti, invero, si riteneva da tempo necessario un intervento regolatore relativamente alla definizione del valore e del prezzo di scambio, al trattamento delle plusvalenze, alla valutazione del costo di acquisto del diritto negli anni successivi a quello di prima contabilizzazione. Si è affermato che l’intervento normativo era tanto più indispensabile, se si considera che le operazioni in oggetto influenzano in misura determinante la rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale di una società sportiva.
Le ragioni per cui le indicazioni dei valori delle prestazioni sportive sono spesso fuorvianti dipendono dal mercato di tali diritti, che si presenta imperfetto per i caratteri che possiede: a) scarsa fungibilità, presentando ogni calciatore caratteristiche proprie tali da renderlo distinto e diverso da altri; b) occasionalità delle negoziazioni e limitata validità temporale dei prezzi; c) limitata trasparenza della fase delle trattative; d) forte influenza di fenomeni esterni (mass-media) nonché di fattori soggettivi direttamente connessi alle caratteristiche (interesse alla negoziazione a volte per escludere un giocatore da un’altra squadra e forza contrattuale) delle parti coinvolte nella transazione.
Forse è da chiedersi perché nella conclusione del Tribunale prima e della Corte poi – precedentemente alla decisione che si commenta – ci si soffermasse principalmente sulla impossibilità di stabilire criteri valutativi che individuino un “range” di valore, all’interno del quale vada fissato il corrispettivo della cessione/acquisizione, quando poi bastava giungere alla medesima conclusione nel provvedimento in esame in sede di revocazione, secondo cui si prescinde da una quantificazione dell’alterazione contabile (determinazione numerica delle plusvalenze fittizie), essendo sufficiente una plurima condotta riferita a più operazioni per più annualità. L’elemento nuovo nel giudizio di revocazione, infatti, è costituto dalle intercettazioni (ritenute utilizzabili dalla Corte superando il divieto di utilizzo ex art. 270 c.p.c. non applicabile al procedimento disciplinare), che hanno confermato i fatti, ossia l’inattendibilità dei bilanci della Juventus, che, però, nella sua rilevanza emergeva già nel precedente procedimento conclusosi con un nulla di fatto, solo con un invito agli organi preposti (a livello internazionale, e quindi alla FIFA) a redigere norme contabili precise in tema di plusvalenze. Oltretutto, è la stessa Corte, nella decisione che si commenta, ad aver escluso la necessità che, ai fini dell’applicazione della sanzione sportiva, occorra l’accertamento del dolo, chiaramente emerso dalle intercettazioni.
È, poi, ovvio che, una volta affermata la revocabilità della precedente decisione, si possa giungere a conclusione opposta a quella precedente, anche con un iter logico-giuridico ben diverso. È utile richiamare l’orientamento della Cassazione, secondo cui la revocazione travolge completamente i capi della sentenza revocata, sicché il giudice della fase rescissoria, chiamato nuovamente a decidere, deve procedere ad un nuovo esame prescindendo dalle rationes decidendi della sentenza revocata. Infatti, il giudizio ex art. 402 c.p.c. è nuovo e non consiste nella mera correzione di quello precedente, per cui la nuova decisione sul merito è del tutto autonoma e non può certo essere la risultante di singoli elementi correttivi nell’iter logico-giuridico espresso dalla decisione revocata.
Sono allora utili alcune riflessioni per confermare che ad una conclusione del genere poteva giungersi anche nelle decisioni che hanno preceduto quella che si commenta.
2. Appare utile delineare le operazioni di cessione, oggetto di esame da parte della Corte, distinguendo due momenti: dal lato del cedente e da quello del cessionario, per ciascuna operazione avente per oggetto un diverso calciatore.
La società cedente il diritto prima della scadenza del contratto rileva una plusvalenza se il valore di cessione è superiore a quello contabile, con impatto positivo sulla propria contabilità. A livello finanziario ogni singola operazione di compravendita genera un credito e una successiva entrata per il cedente e un debito con successiva uscita, per il cessionario. Di fatto, tali operazioni a valori economicamente non congrui o giustificati comporta la sovrastima del prezzo dello scambio, con effetti diversi sui due contraenti: a) il cedente ottiene una maggiore plusvalenza, in parte o totalmente fittizia, con miglioramento del patrimonio netto; b) il cessionario iscrive nell’attivo patrimoniale un valore sovrastimato con maggiori costi nel futuro, cioè un maggiore impatto negativo (minori utili o maggiori perdite) sul periodo di durata del contratto. Al di là di qualsiasi considerazione sulla congruità del prezzo, i sintomi che si manifestano nel futuro, ad esempio per un calciatore senza prospettiva o con impiego ben al di sotto delle attese, dovrebbero portare alla svalutazione, per evitare un “annacquamento” del capitale.
La società cessionaria registra, pertanto, un maggiore valore rispetto a quello economico con maggiori costi futuri. Vi è, però, un secondo momento dell’operazione ed è quello di segno opposto che genera di nuovo una plusvalenza, questa volta per l’originaria cessionaria, che diventa a sua volta cedente per un altro contratto di cessione inerente al diritto su un proprio giocatore. In tal modo, entrambe le società di fatto aumentano l’utile (o riducono la perdita).
Perciò, da un lato, è corretto che, nel caso di cessione del rapporto contrattuale con un calciatore, la società di appartenenza di quest’ultimo realizzi una plusvalenza, là dove l’ammontare riconosciuto dall’acquirente sia maggiore del valore iscritto in bilancio. Dall’altro, vanno correttamente considerate le operazioni incrociate (c.d. a specchio) tra club sulla base di accordi di scambio tra calciatori (spesso giovani del vivaio), essendo illecito sopravvalutarli, così da realizzare per ciascuna società plusvalenze fittiziesenza (o con minimi) movimenti finanziari. Queste operazioni, al di là delle implicazioni fiscali, alterano il bilancio, che dovrebbe rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale, determinando apparenti miglioramenti – almeno nel breve periodo – della contabilità.
Orbene, nella vicenda in esame, anche rispetto alla precedente decisione, oggetto di revocazione con il provvedimento che si commenta, poteva richiamarsi il principio secondo cui, nel caso delle operazioni a specchio esaminate dai giudici, non è possibile camuffare le permute, ritenendo autonome le singole operazioni di cessione, quando sono tra loro collegate. I principi cardine in tema di bilancio, cui anche le società di calcio sono sottoposte, implicano una rappresentazione veritiera e corretta, nonché prudenza e continuità nei criteri di valutazione; inoltre, la possibilità di deroga agli stessi criteri in base alla disciplina del codice e dei principi contabili, se la loro applicazione finisse per essere incompatibile con una rappresentazione veritiera e corretta (art. 2423, comma 5, c.c.). La disciplina in materia di bilancio privilegia, poi, il rilievo da dare alla sostanza dell’operazione rispetto alla forma (art. 2423-bis c.c.). Dunque, era necessario applicare tali regole fondamentali, in quanto lo stesso CGS stabilisce che, «anche in assenza di specifiche disposizioni del Codice e di norme federali, gli organi di giustizia sportiva adottano le proprie decisioni in conformità ai principi generali di diritto applicabili nell’ordinamento sportivo nazionale e internazionale nonché a quelli di equità e correttezza sportiva» (art. 3, comma 4, CGS). Va tenuto anche presente che per le società quotate, quale è la Juventus, è obbligatorio l’impiego dei principi contabili non solo nazionali, stabiliti dall’Organismo Italiano Contabilità (OIC), ma anche internazionali, emanati dall’International Accounting Standard Board (IASB).
Più in particolare, occorre richiamare le Raccomandazioni contabili federali e le Norme organizzative interne della FIGC (NOIF), che stabiliscono controlli sulla gestione economico-finanziaria delle società. Le NOIF contengono regole sull’attività della CoViSoc, che impone la predisposizione di ulteriori documenti rispetto a quelli stabiliti dalla legge per tutte le altre società. Per quanto qui specificamente interessa, la Raccomandazione contabile federale n. 1 prevede che il diritto alle prestazioni di un calciatore professionista «configura, per la società acquirente del diritto, una posta patrimoniale attiva a carattere pluriennale e di natura immateriale, poiché il relativo valore corrisponde ad una situazione di vantaggio della società che detiene il diritto, rispetto alle altre società, destinata a durare nel tempo». Il costo de quo deve essere iscritto alla voce “B.I.8 – Diritti pluriennali alle prestazioni sportive dei calciatori”e sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione alla sua residua possibilità di utilizzazione (art. 2426, n. 2, c.c.). Il criterio di ammortamento raccomandato «è quello della ripartizione del costo del diritto […] in quote costanti per l’intera durata del contratto che vincola il calciatore alla società cessionaria e comunque per un tempo non superiore a cinque anni», che è la durata massima prevista dall’ordinamento. La voce non rientra fra quelle espressamente previste nello schema di stato patrimoniale contemplato dall’art. 2424 c.c., ma è stata aggiunta a norma dell’art. 2423-ter, comma 3, c.c. secondo cui, «se le informazioni richieste da specifiche disposizioni di legge non sono sufficienti a dare una rappresentazione veritiera e corretta, si devono fornire le informazioni complementari necessarie allo scopo».
Ed era in base a questa precisa regola, che oltretutto si ricollega all’art. 2423-bis c.c. prima richiamato, che poteva giungersi all’inattendibilità dei bilanci analizzati.
Una volta accertata la violazione delle regole di redazione dei bilanci imposte alle società di calcio per poter esercitare le loro prerogative per la partecipazione alle competizioni e al mercato dei calciatori, si pone il problema di delineare precisamente gli effetti che siffatte violazioni hanno sul bilancio una volta depurato da quei vizi. Ciò che qui interessa, ai fini sportivi, è solo stabilire l’esistenza di vantaggi in termini competitivi che conseguono dall’alterazione delle voci di bilancio (anche per operazioni sussistenti ma i cui valori sono gonfiati ovvero i prezzi simulati). Tali alterazioni implicano senza dubbio una maggiore forza contrattuale delle società, la loro partecipazione a competizioni dalle quali probabilmente sarebbero escluse e, quindi, una correlata alterazione anche dei risultati sportivi, che la penalizzazione non è sufficiente ad eliminare per competizioni per le quali il titolo è stato già assegnato, tanto che si deve ritenere possibile un’azione risarcitoria ex art. 2498 c.c.
3. Alcune ultime annotazioni meritano due ulteriori fattispecie non considerate nella decisione de qua, di cui, però, ha parlato molto la stampa. Una riguarda il mancato pagamento degli stipendi dei calciatori e l’altra l’ambiguità con cui avvengono le negoziazioni tra le società, tanto da essere apparsa una dichiarazione all’acquisto di una prestazione di un calciatore senza indicazione dello stesso, quasi a precisare che i trasferimenti avvengono – come esposto all’inizio – in modo indipendente dalle performance sportive da realizzare ma al solo fine di appostare voci di comodo in bilancio. Anche se nella motivazione non si riscontra il riferimento, è apparsa la notizia sul web, proprio mentre si attendeva la decisione che si commenta, rispetto ad un’operazione Juventus/Atalanta, con una dichiarazione scritta proveniente dall’amministratore delegato di quest’ultimo club.
Per quanto riguarda la vicenda attinente alla simulata rinunzia da parte dei calciatori allo stipendio, finalizzata a ripianare passività e sul presupposto che non sia possibile per la disciplina sportiva dilazionare il pagamento degli stipendi ai calciatori, il problema è alquanto delicato, perché è sicuramente ammessa la remissione del debito, così come è lecito il pagamento di debiti aziendali da parte di terzi al pari dei versamenti in conto capitale effettuabili da parte di soci ma anche di terzi interessati ai risultati sportivi (uno sponsor, ad esempio). Si tratta di apporti di patrimonio che possono operare sia incrementando l’attivo sia diminuendo il passivo, estinguendo determinati debiti della società.
La seconda vicenda, relativa a dichiarazioni generiche di acquisto di prestazioni sportive a un determinato prezzo, appare a primo acchito del tutto paradossale. Nessuno si impegnerebbe ad acquistare un bene o un servizio se non fosse determinato, o quanto meno determinabile, in misura tale da tutelare l’acquirente: nel caso di specie, acquistando la prestazione sportiva di un giocatore di nessun interesse per il modulo di gioco del club acquirente. Nella dichiarazione scritta, derivante evidentemente non da impegni morali ma da negoziazioni non interamente rese pubbliche, l’amministratore delegato dell’Atalanta espressamente si impegnava ad acquistare a titolo definitivo un giocatore della Juventus (rectius, la sua prestazione sportiva), suggerito dalla stessa società bianconera, per il valore di 3 milioni di euro. L’impegno è datato 30 dicembre 2019 e di fatto poi l’Atalanta acquistò nel giugno 2020 la prestazione sportiva di un giocatore, determinando a favore della Juventus la rilevazione di una plusvalenza ingente.
La dichiarazione apparirebbe riferita ad altra operazione intercorsa tra le parti (quindi, può esservi collegamento negoziale). Però, l’obbligo in questione ha per oggetto il futuro trasferimento di un diritto ad una prestazione sportiva determinata tipologicamente (quella di un giocatore di calcio), tuttavia senza identificare il calciatore e senza che possa essere determinabile. È valida una negoziazione del genere?
Il parametro di determinazione starebbe nel valore indicato riferibile ad uno dei giocatori del club venditore. Tuttavia, in considerazione del fatto che il corrispettivo per la prestazione sportiva è rimessa alla autonomia privata, può trattarsi di ‘qualsiasi prestatore’ (basta che sia tesserato FIGC), per cui potrebbe ritenersi ammessa la scelta del giocatore di cui “liberarsi” a favore dell’acquirente, rispetto alla rosa dei giocatori esistenti al momento dell’accordo o della mera proposta (o anche promessa) di acquisto (potrebbe però considerarsi anche l’ipotesi di un calciatore attualmente di un altro club, la cui prestazione sia successivamente negoziata). Nel calcio, oltretutto, abbiamo – rispetto ad altri settori – una peculiarità relativa al credito per un’obbligazione di fare: ciascun giocatore non è pienamente sostituibile ad un altro per il ruolo che occupa nella squadra (un portiere o un attaccante e tra gli attaccanti bisogna distinguere le fasce in cui giocano e altre modalità di impiego in campo).
In sintesi, si pone l’interessante problema della determinazione dell’oggetto (la prestazione è determinata, ma non il suo autore), anche se nel caso concreto la soluzione con ogni probabilità può essere connessa ad altre dichiarazioni e, quindi, trovata nell’ambito della ‘operazione base’ (nel contenuto di quel contratto) cui si fa riferimento nella dichiarazione qui richiamata dell’amministratore delegato della società acquirente. Di qui, l’espressione usata satiricamente nel titolo del presente commento, cioè “contratti U.F.O.”(Unidentified Footballer Object), visto che in tali fattispecie, paradossalmente, nessun interesse riveste l’autore della prestazione (il calciatore) – quando di regola l’interesse alla prestazione sportiva dipende da chi la effettua, anche per il richiamo dei tifosi – ma solo l’operazione in sé, per la collocazione in bilancio di una plusvalenza.
Ed è in fondo questo il fulcro della decisione che si commenta, che supera le affermazioni di quelle precedenti che giravano intorno al problema della quantificazione dell’alterazione contabile. La questione, ai fini della giustizia sportiva, sta nella mera finalità con cui le plusvalenze vengono realizzate, attraverso operazioni che hanno il solo scopo di migliorare apparentemente la situazione patrimoniale della società per ottenere dei vantaggi in termini sportivi. Inutile è in sede di giustizia sportiva determinare l’entità precisa dell’alterazione contabile, data la rapidità richiesta per le relative decisioni. Altro è capire gli effetti dell’appostazione contabile, sulla base di valutazioni attinenti al nesso di causalità rispetto alla falsità in bilancio, stabilendo in che misura le plusvalenze fittizie abbiano consentito l’iscrizione ad una competizione o l’acquisto di determinate prestazioni sportive a tutto svantaggio di altre società che non si sono potute permettere certe operazioni sul mercato dei calciatori. In tal caso diventa assai difficile stabilire l’entità del risarcimento (anche per lucro cessante), se lo stesso fosse richiesto dalla società pregiudicata dalle operazioni illecite, dovendosi rimettere alla decisione anche equitativa del giudice ordinario.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E GIURISPRUDENZIALI
Si allega, in calce, il provvedimento oggetto del presente commento, reso in sede di revocazione.
In merito al primo grado di giudizio, la decisione del Tribunale Federale Nazionale, sezione disciplinare, del 22 aprile 2022, poi oggetto di impugnazione, è consultabile qui: https://www.figc.it/media/188921/sez-unite-decisione-n-0063-cfa-del-30-gennaio-2023.pdf
La decisione della Corte Federale d’Appello, a sezioni unite, del 27 maggio 2022, che ha confermato la decisione di primo grado, per poi essere oggetto di revocazione, è consultabile qui: https://figc.it/media/166881/sez-unite-decisione-n-0089-cfa-del-27-maggio-2022.pdf
Sul principio secondo cui, in sede di revocazione, la nuova decisione sul merito è del tutto autonoma e non può essere la risultante di singoli elementi correttivi nell’iter logico-giuridico espresso dalla decisione revocata, v. Cass., 20 giugno 2016, n.12721, dettata in materia di errore revocatorio ma applicabile all’art. 63, comma 1, lett. d), CGS. Sul principio secondo cui il “legislatore federale” (FIGC) ha operato un’estensione delle ipotesi di possibilità di ricorso alla revocazione in piena autonomia rispetto alla disciplina del CONI, v. Corte App. FIGC, SS.UU., n. 46/2015-2016.
Sulle plusvalenze fittizie a commento della decisione della Corte Federale d’Appello, a sezioni unite, del 27 maggio 2022, v. F.R. FIMMANÒ, L’abuso di player trading: il caso delle “plusvalenze fittizie” nelle società di calcio professionistico, in Riv. corte conti, 2022, I, 83 ss. ed ivi riferimenti bibliografici sul tema trattato, cui adde MORENO, Il bilancio delle società sportive professionistiche, Padova, 2009, 126 ss., e in part., per la permuta, 179 ss. e 279 ss. In generale, sui criteri di valutazione e la generazione di plusvalenze, PALMA, Le valutazioni, in Il bilancio di esercizio. Profili aziendali, giuridici e principi contabili, VI ed., a cura di Palma, Milano, 2022, p. 65 ss.
Sul default di società di calcio professionistico, v. F. FIMMANÒ, La crisi delle società di calcio all’esito delle riforme tra NOIF, diritto comune e casi giurisprudenziali, in Dir. fall., 2022, I, 1081 ss.
Sul problema, invece, della violazione della disciplina della concorrenza ai danni dei club che rispettano i principii in tema di formazione dei bilanci, avendo legittimazione attiva per ottenere un risarcimento (ad esempio, per mancato incasso di diritti audiovisivi a fronte dell’esclusione da una determinata competizione, non avendo potuto completare – come altri club hanno fatto falsando le poste dei propri bilanci – la rosa della propria squadra, decimata da infortuni), v. Rubino De Ritis Alterazione del bilancio, vantaggi nelle competizioni sportive e violazione delle regole della concorrenza, in questa Rivista ed ivi anche riferimenti alle regole UEFA, a seguito dell’emergenza per gli effetti del Covid-19 e a quelle introdotte nel 2022. Sul fair play finanziario, fra molti, Tita, Draft, salary cap, financial fair play. Uguaglianza competitiva e sostenibilità finanziaria dello sport professionistico, in La giustizia nello sport, a cura di P. Del Vecchio, L. Giacomardo, M. Sferrazza, R. Stincardini, Luiss University Press, Roma, 2022, 297 ss., in part. 298 ss. Per l’edizione 2022 del Manuale delle licenze UEFA, v. https://www.figc.it/media/186764/manuale-delle-licenze-uefa-edizione-2022-maschile.pdf
Sulla peculiarità del mercato del calcio, costituita dalla necessaria partecipazione alle competizioni nazionali, ed eventualmente a quelle internazionali, onde ottenere i ricavi atti a proseguire l’attività, con particolari caratteristiche determinate dal regime di concorrenza funzionale allo spettacolo in modo da attrarre maggiori spettatori possibili, v. RUBINO DE RITIS, Globalizzazione e “soccerizzazione” dell’economia post mondiale (di calcio): il caso European Super League, in questa Rivista.
Sul caso Juventus, si segnala che – mentre si scrive – la dirigenza della Juventus ha annunciato di proporre ricorsoal Collegio di Garanzia dello Sport ai sensi dell’art. 54 del CGS e dell’art. 12-bis dello Statuto del CONI, che costituisce l’organo di giustizia sportiva di ultimo grado (art. 3, comma 2, CGS e art. 12-bis, comma 1, dello Statuto del CONI). Nel contempo, l’UEFA potrebbe ulteriormente procedere con altre iniziative rispetto a quelle già attuate sino ad ora.