CASS. CIV. - sez. I - 12 luglio 2016, n. 14188
La Corte conferma l'orientamento, univoco, per cui i contratti stipulati dalla pubblica amministrazione non sono eseguibili in difetto della necessaria approvazione ministeriale ex R.d. n. 2440 del 1923.
Sulla base della riscontrata assenza di un atto negoziale efficace, si esprime sulla natura della responsabilità precontrattuale, ritenendo di discostarsi dalla tesi tradizionale per la quale tale tipologia di responsabilità sarebbe inquadrabile in quella aquiliana ex art. 2043 c.c., ed accedendo alla diversa impostazione per cui siffatta responsabilità sarebbe assimilabile a quella contrattuale.
Per giungere a tale conclusione, la Suprema Corte, attraverso un percorso argomentativo storico-giuridicosulle fonti delle obbligazioni, si orienta nella direzione del riconoscimento di obblighi ex lege non derivanti da contratto né da torto, fruttouna significativa evoluzionegiurisprudenziale in tema di contatto sociale qualificato quale fonte di obblighi e delle connesse responsabilità.
L'iter logico della pronuncia culmina con il riconoscimento della sussistenza di obbligazioni ex lege nascenti nella fase precontrattuale, non fondate su di un atto negoziale, e della configurabilità della responsabilità precontrattuale come contrattuale,con conseguente applicazione del termine di prescrizione decennale di cui all'art. 2946 c.c.
In senso conforme
Cass. civ., sez. I, 20 dicembre 2011, n. 27648
In senso difforme
Cass. civ., sez. un., 26 giugno 2003, n. 10160
Cass. civ., sez. un., 16 luglio 2001, n. 9645
Cass. civ., sez. III, 29 luglio 2011, n. 16735
IL CASO - L'aggiudicataria di un pubblico appalto conveniva in giudizio la Pubblica Amministrazione chiedendo il risarcimento dei danni subiti per la mancata approvazione, ex R.d. n. 2440 del 1923, del contratto già stipulato sette anni prima.
Il Tribunale adito – premessa la natura extracontrattuale della responsabilità fatta valere, non potendo considerarsi sorto alcun vincolo contrattuale, in difetto di approvazione ministeriale – riteneva il credito estinto per intervenuta prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c.
La Corte di Appelloconfermava la riconduzione, operata dal Tribunale, della responsabilità precontrattuale (derivante dalla mancata approvazione ministeriale del contratto, con conseguente mancato avveramento della necessaria condicio iuris) alla categoria della responsabilità di tipo extracontrattuale, con conseguente applicabilità della prescrizione quinquennale.
In sede di legittimità, l'attrice soccombente deduceva che la responsabilità avrebbe dovuto essere configurata come contrattuale; e ciò sia in ragione dell'intervenuta stipulazione del contratto, la cui efficacia sarebbe soltanto sospesa in pendenza dell'approvazione, sia in quanto il rapporto svoltosi in concreto con la pubblica amministrazione sarebbe qualificabile come contatto sociale qualificato, con la produzione di obblighi di protezione la cui violazione è idonea a dar luogo a responsabilità di natura contrattuale.
La Corte accoglie il ricorso.
In primis, osserva che i contratti conclusi con la P.A., quand'anche formalmente stipulati nelle forme prescritte dalla legge, non sono idonei a produrre effetti se non interviene l'approvazione ministeriale ai sensi del R.d. n. 2440 del 1923, cosicché ogni eventuale responsabilità della P.A., in carenza di approvazione, può essere configurata soltanto come precontrattuale.
Successivamente, preso atto della mancanza di un atto negoziale vincolante, esamina la responsabilità precontrattuale nel contesto di un rapporto qualificato (quale è quello instauratosi con la P.A. nel caso specifico).
Infine la S.C., sostenendo una tesi già conosciuta ed articolata da una recente giurisprudenza, nelle più diverse materie, in contrasto con l'orientamento tradizionale, riconduce la responsabilità precontrattuale, nella specie della P.A., alla responsabilità contrattuale da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni. Quindi, vertendosi in ipotesi di responsabilità contrattuale, dovrà applicarsi il termine decennale di prescrizione, ai sensi dell'art 2946 c.c.
LE QUESTIONI GIURIDICHE E LA SOLUZIONE - La Corte di Cassazione è stata chiamata a risolvere un caso piuttosto complesso, nel quale è occorso affrontare preliminarmente la funzione dell'approvazione ministeriale prevista dal R.d. n. 2440 del 1923 al fine di stabilire se fosse valido ed efficace, tra l'impresa e la P.A., un vincolo negoziale derivante dall'intervenuta stipula di un contratto (in seguito, non approvato).
Tale parte della questione ha assunto, nell'economia della decisione, una rilevanza determinante nella configurazione della fattispecie concreta, in quanto una volta stabilito l'assenza di vincolo negoziale, è stato possibile un esame dei suoi aspetti rimediali. Infatti posta la base fattuale (assenza di contratto) si procede a una statuizione di notevole interesse in punto di configurabilità della responsabilità da contatto sociale qualificato.
Si ritiene comunque utile soffermarsi, brevemente, sulla prima parte della pronuncia, con cui la Corte ha sostanzialmente confermato il consolidato orientamento per cui, nei contratti pubblici, l'approvazione è tradizionalmente configurata come condicio iuris sospensiva dell'efficacia del contratto già stipulato, in pendenza della quale non sorgono vincoli negoziali.
Emerge, dunque, una significativa differenza rispetto ai rapporti fra privati, fra i quali il contratto stipulato, ancorché sottoposto a condizione, è vincolante per le parti, tanto che eventuali comportamenti volti ad impedire l'avveramento della condizione determinano la finzione di avveramento ex art. 1359 c.c., rendendo possibile l'azione di risoluzione per inadempimento.
Al contrario, il contratto pubblico non approvato (o non ancora registrato) non è sufficiente a far sorgere obblighi di esecuzione.
Ecco, dunque, che il rilievo dell'assenza di approvazione (con conseguente ineseguibilità del contratto) assume, nella pronuncia in commento, valenza fondamentale per allocare il thema decidendum nell'ambito della responsabilità precontrattuale, e della sua riconducibilità al tipo extracontrattuale, oppure contrattuale.
Una volta isolata la questione decisiva ai fini del giudizio (nel caso specifico, al fine della determinazione del termine di prescrizione applicabile), la Corte affronta dunque l'annosa e dibattutissima tematica della ravvisabilità di una responsabilità contrattuale in assenza di contratto.
La tesi della natura contrattuale della responsabilità precontrattuale muove da elaborazioni in tema di fonti di obbligazioni risalenti al diritto romano, che, nel periodo post-classico, annoverò nella categoria delle obligationes "quasi contractus", quegli atti o fatti, quali l'indebito e la negotiorum gestio, che non presentavano gli elementi propri dei contratti tipici, ma nei quali vi era comunque un contatto tra le parti che generava un'obbligazione in qualche modo assimilabile a quella contrattuale. Continua nella concettualizzazione della relazione biunivoca, che viene a porsi tra l'affidamento precontrattuale ed il rapporto obbligatorio, elaborata dalla dottrina tedesca degli anni trenta del secolo scorso, fino alla riflessione successiva, di un vero e proprio «rapporto obbligatorio senza obbligo di prestazione», pur in assenza di un formale contratto. Infine giunge a riferimenti alla dottrina italiana degli anni novanta che, consapevolmente sulla stessa scia di quella tedesca, prefigura una forma di responsabilità che si colloca «ai confini tra contratto e torto», in quanto radicata in un contatto sociale qualificato dall'obbligo di buona fede e dai correlati obblighi di informazione e protezione, in quanto dà adito ad un reciproco affidamento dei contraenti.
Ebbene, se si passa ad osservare la giurisprudenza di legittimità, si ravvisa un ampio recepimento dell'impostazione elaborata dalla succitata dottrinain tema di responsabilità contrattuale da contatto sociale qualificato, vista la molteplicità delle sentenze pronunciate in tema di incidentiscolastici (Cass. civ. n. 3695 del 2016), di attività sanitaria svolta in assenza di contratto (Cass. civ. n. 18610 del 2015), di attività bancaria per aver consentito l'incasso di un assegno bancario a soggetto diverso dal beneficiario (Cass. civ. n. 10534 del 2015), di violazione degli obblighi procedimentali incombenti sulla pubblica amministrazione (Cass. civ. n. 24382 del 2010).
Ma proprio nella specifica materia contrattuale, la tesi del contatto sociale, e dunque della responsabilità contrattuale trova importante conferma in alcune pronunce delle Sezioni Unite. Al riguardo, si è, invero, affermata una responsabilità contrattuale, non fondata su atto negoziale, anche nelle controversie di natura commerciale, nelle quali l'attore provi l'esistenza di una regola di condotta legata ad una «relazione assunta tra lui e l'altra parte» e ne lamenti la violazione da parte di quest'ultima (Cass. civ. n. 24906 del 2011). E, più di recente, nella nota decisione resa a Sezioni Unite con la quale si è riconosciuta meritevolezza giuridica, ai sensi dell'art. 1322 c.c., al cd. «preliminare di preliminare», in relazione alle c.d. “puntuazioni”, che producono responsabilità contrattuale (Cass. civ. n. 4628 del 2015).
Così ricostruite le coordinate dogmatiche e giurisprudenziali delle obbligazioni derivanti da contatto sociale qualificato, e in genere dalla legge, la Cassazione opta espressamente per il superamento dell'orientamento tradizionale, che riconosce natura extracontrattuale alla responsabilità ex artt. 1337 e 1338 c.c., ovvero della cd. culpa in contrahendo.
Infatti, la Suprema Corte ritiene di poter applicare al caso di specie quelle argomentazioni che giustificano la condivisibile riconduzione della responsabilità precontrattuale al genus della responsabilità contrattuale come già avvenne in un suo celebre precedente (Cass. civ. n.27648 del 2011).
In tali circostanze evidenzia chel'elemento qualificante della cd. culpa in contrahendo non è più la colpa, tale “solo di nome”, bensì la violazione della buona fede che, sulla base del legittimo affidamento creatosi in sede di trattative, fa sorgere obblighi di protezione reciproci tra le parti.
La culpa in contrahendo viene, per tal via, fondata sulla violazione della buona fede nelle trattative, ed il contatto realizzatosi nella fase precontrattuale è ritenuto idoneo a produrre obblighi, la cui violazione è retta dalle regole sulla responsabilità contrattuale.
OSSERVAZIONI - La sentenza in commento offre una ricostruzione del sistema delle fonti delle obbligazioni ex art. 1173 c.c., attraverso l'esame della tematica del contatto sociale qualificato quale fonte di obblighi, per poi esaminare la natura della responsabilità precontrattuale, ritenendola assimilabile al modello di quella contrattuale.
Sebbene si debba dar conto che la pronuncia offra, per la prima volta, un tentativo di ricostruzione sistematica di tale tipologia di responsabilità, non sembra che l'intento sia stato trasfuso in una visione di insieme particolarmente limpida, con riferimento alle particolarità della tematica, che involgono tanto le fonti delle obbligazioni, quanto i connessi modelli di responsabilità.
La Corte ha dapprima esaminato la casistica giurisprudenziale in cui è stata riconosciuta l'insorgenza di obblighi da contatto sociale, rinvenendovi i tratti essenziali di una responsabilità contrattuale non fondata su di un atto negoziale, bensì su una relazione di vita produttiva di obblighi.
Ha, poi, affrontato il profilo rimediale, ritenendo che la violazione di tali obblighi sia fonte di una responsabilità di natura contrattuale.
Infine, ha assunto anche la culpa in contrahendo nella categoria della responsabilità da contatto sociale qualificato, ritenendo dunque che il relativo modello di responsabilità sia quello contrattuale.
Diverse sono le questioni affrontate nella pronuncia:
La Corte si sofferma prima sull'inquadramento sistematico delle fonti delle obbligazioni, ed in particolare sul contatto sociale quale fonte di vincoli giuridicamente rilevanti, offrendone anche una ricostruzione storica; passa, poi, all'esame (invero, meno approfondito) della relazione sussistente tra le fonti ed i modelli di responsabilità e, infine, sulla scorta degli argomenti esposti, ascrive la responsabilità precontrattuale, ex artt. 1337-1338 c.c., alla terza, importante fonte delle obbligazioni, rappresentata, ai sensi dell'art. 1173 c.c., da «ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico».
Si tratta di aspetti che meritano separata attenzione.
La prima tematica riguarda le fonti delle obbligazioni, ed in particolare la concezione bipartita o tripartita delle stesse.
La sentenza in commento esibisce una ricostruzione storica della classificazione delle fonti, attraverso richiami risalenti al diritto romano, poi riconnessi alle elaborazioni dogmatiche della dottrina tedesca degli anni Trenta ed a quella italiana degli anni Novanta.
Lo scopo della pronuncia, in tale parte, è di avvalorare l'affermazione iniziale per cui il tradizionale inquadramento della responsabilità pre-contrattuale come di tipo aquiliano sarebbe dovuta alla rigida «bipartizione fondamentale delle fonti delle obbligazioni»: da un lato le obbligazioni da contratto, dall'altro quelle da fatto illecito.
Da tale bipartizione, storicamente risalente, sarebbe risultata pretermessa la terza fonte di cui all'art. 1173 c.c. («ogni altro atto o fatto idoneo…»), di cui la Corte, per converso, sottolinea l'importanza.
In tale parte, la pronuncia appare innovativa nello svelare apertamente la rilevanza della “terza fonte” delle obbligazioni ex art. 1173 c.c., prendendo apertamente le distanze dalla tradizionale concezione bipartita delle stesse.
L'esame del diritto romano mostra la tensione tra la bipartizione fondamentale delle fonti (obligationes ex contractu, ex delicto), e gli sforzi tesi ad enucleare la sussistenza di una terza specie di obligationes da fatto lecito, che sfociarono infine nella categoria post classica dei “quasi contractus”.
L'esame del diritto nazionale evidenzia che il codice civile del 1865 aveva accolto la bipartizione giustinianea delle fonti delle obbligazioni (contratto e delitto), mentre, con il codice del 1942, il legislatore ha ritenuto di preferire la concezione tripartita delle fonti, attraverso l'art. 1173 c.c., laddove al contratto ed al torto ha aggiunto l'esplicito richiamo ad altri atti o fatti idonei a produrle secondo l'ordinamento giuridico.
La norma, che appare molto chiara nella rottura con il codice previgente, è restata a lungo trascurata, probabilmente per effetto del modello bipartito di responsabilità (contrattuale, extracontrattuale), pure accolto dal codice del 1942, cui appariva forse più consono (o comodo) un modello, parimenti bipartito, delle fonti delle obbligazioni.
È così accaduto che, a lungo, non sia stato dato risalto alla terza fonte delle obbligazioni, esplicitamente accolta dall'art. 1173 c.c.
In tal senso, pare, deve leggersi il passaggio della sentenza in commento, laddove dà atto che dalla «bipartizione fondamentale delle fonti delle obbligazioni» «è risultata pretermessa la terza, importante, fonte delle obbligazioni, rappresentata ai sensi dell'art. 1173 c.c.».
Pronuncia cui, dunque, è possibile attribuire l'intento, ed il merito, di avere dato esplicitamente conto della rilevanza dell'art. 1173 c.c. e della sua portata dirompente rispetto al modello bipartito delle fonti delle obbligazioni.
Poste tale basi, la Corte passa ad occuparsi dei contatti sociali qualificati, rinvenendovi un tipico modello attraverso il quale si conferisce rilievo alla “terza fonte” delle obbligazioni.
La rappresentazione della casistica, in tale parte, non sembra dar conto, specificamente, del riconoscimento della sopra sottolineata “terza fonte”, da un punto di vista generale.
La tematica del contatto sociale qualificato, invero, è stata trattata dalla giurisprudenza in relazione ad alcuni specifici settori, nei quali vengono in rilievo particolari obblighi derivanti dall'attività svolta dal danneggiante (tipico è il caso della responsabilità medica, laddove la qualificazione del sanitario e gli obblighi di legge su di esso gravanti determinanoil sussistere di un rapporto di obblighi, che prescindono dal contratto), essenzialmente connessa allo svolgimento di compiti o professioni cd. “protette”, con marcata incidenza su diritti costituzionalmente garantiti.
Ed infatti, la prima sentenza con cui la Cassazione ha fatto ricorso alla teorica in questione, la n. 589 del 1999, sottolineava che tra le fonti delle obbligazioni è possibile inserire «principi, soprattutto di rango costituzionale (tra cui può annoverarsi il diritto alla salute), che trascendono singole proposizioni legislative».
È comunque vero che, proprio attraverso l'elaborazione teorica del contatto sociale qualificato (e delle relative responsabilità), si è data evidenza al fatto che la legge ammette tra le fonti di obbligazioni fatti che non appartengono né al contratto né al torto.
Come si dirà appresso, appare criticabile la decisione di riservare alla teorica del contatto sociale qualificato un ruolo fondamentale nel riconoscimento della “terza fonte” delle obbligazioni ex art. 1173 c.c.
Tuttavia, occorre prendere atto che il riconoscimento di obblighi scaturenti da contatto sociale qualificato, nell'economia della decisione della Corte (come appare chiaro anche dall'ampio spazio riservato), è stato inteso come un fondamentale passaggio verso il riconoscimento della “terza” fonte di obbligazioni di cui all'art. 1173 c.c. («ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento»).
Volendo sintetizzare il pensiero della Corte, si può dire che il contatto sociale qualificato individua una ampia casistica di fattispecie connotate dalla sussistenza di vincoli, derivanti dal contatto, che presiedono alla nascita di un'obbligazione, a prescindere da un rapporto negoziale.
La seconda tematica meritevole di particolare attenzione riguarda la bipartizione dei modelli di responsabilità, e l'applicabilità del modello contrattuale alla violazioni di obblighi derivanti dalla legge.
Come osservato, la Corte ha inteso, innanzi tutto, riconoscere la sussistenza di obbligazioni derivanti da «altri atti o fatti idonei in conformità dell'ordinamento giuridico», ovvero da una fonte terza rispetto al contratto ed al torto.
A fronte di tale tripartizione delle fonti, permane la bipartizione dei modelli di responsabilità.
È perciò necessario andare alla ricerca del modello di responsabilità da applicare alla violazione degli obblighi del “terzo tipo” di cui all'art. 1173 c.c.
Come noto, l'ordinamento contempla due modelli di responsabilità, ovvero contrattuale ed extracontrattuale, concepito come speculare alla bipartizione (come si è visto, superata) delle fonti.
La difficoltà, discendente dal riconoscimento della tripartizione delle fonti, consiste nel dover separare gli aspetti genetici delle obbligazioni (tripartizione delle fonti) da quelli attinenti ai modelli di responsabilità, plasmati sulla tradizionale bipartizione tra contratto e delitto.
In tale contesto, è tradizionale la concezione per cui la prima afferirebbe soltanto alle obbligazioni derivanti ad un contratto, mentre la responsabilità extracontrattuale regolerebbe (si potrebbe dire, in via residuale) ogni altra obbligazione.
In seguito, si è fatta strada l'idea per cui la responsabilità contrattuale si attaglierebbe meglio a tutti i casi in cui vi sia una relazione già instaurata tra debitore e creditore, fonte di obblighi.
Si tratterebbe, sia nel caso di obbligazioni da contratto, che da contatto sociale, dell'inadempimento di specifici obblighi a carico delle parti; mentre la responsabilità extracontrattuale regolerebbe i differenti casi in cui il fatto dannoso prescinde da precedenti relazioni, ponendosi quale fonte dell'obbligazione risarcitoria.
In pratica, la responsabilità contrattuale regolerebbe le violazioni di obbligazioni preesistenti e non adempiute, sia che la loro fonte sia da rinvenire in un contratto, sia che la fonte risieda in una relazione qualificata tra le parti.
Ed appunto in tale contesto si inquadra la casistica, richiamata dalla sentenza in commento, in cui è stata riconosciuta una responsabilità di tipo contrattuale in assenza di vincolo negoziale, con riferimento alla violazione dell'affidamento instauratosi tra le parti delle relazioni sociali che sono fonti di obblighi ex lege.
Tra tali relazioni di vita, produttive di obblighi, la Cassazione richiama – nell'ambito della materia contrattuale – i precedenti che hanno riguardato rapporti di natura commerciale (Cass. civ. n. 24906 del 2011), nonché la nota pronuncia delle Sezioni Unite sulla validità del cd. “preliminare di preliminare” (Cass. civ. n. 4628 del 2015).
Con ciò, la Corte estende l'ambito di estensione dei contatti sociali qualificati alla materia contrattuale, e in particolare alle fattispecie in cui si verificano fatti e relazioni che precedono il contratto, idonei a produrre obbligazioni che prescindono dal successivo ed eventuale contratto.
La teorica del contatto sociale qualificato diviene, nella visione della Corte, assorbente, in grado di racchiudere anche fattispecie appartenenti alla specifica materia contrattuale, ove la giurisprudenza aveva riconosciuto la sussistenza di obbligazioni «riconducibili alla terza delle categorie considerate nell'art. 1173 c.c.» ( Cass. civ., sez.un., n. 4628 del 2015), senza però richiamare la figura del contatto sociale qualificato.
Soprattutto, la Corte assume il contatto sociale qualificato quale fonte di obblighi la cui violazione è ricondotta al modello di responsabilità contrattuale.
La presenza di una “struttura obbligatoria”, che discende sia dal contratto che dal contatto sociale qualificato, segna, secondo la Corte, la differenza con la responsabilità aquiliana, caratterizzata dal “non rapporto”.
Il terzo aspetto su cui soffermarsi riguarda l'insorgenza di obblighi nella fase precontrattuale e la loro assunzione tra le obbligazioni ex lege, nonché la relativa culpa in contrahendo e la sua riconduzione nell'ambito della responsabilità contrattuale.
Una volta osservata la «diffusività ormai assunta dalla teorica della responsabilità da contatto sociale qualificato» la Corte compie l'ultimo passaggio, decisivo per dirimere il caso di specie, includendo in tale teorica anche la responsabilità precontrattuale ex artt. 1337 e 1338 c.c.
Nella visione offerta, anche la cd. culpa in contrahendo viene a configurare una fattispecie tipica di contatto qualificato, valorizzata dal legislatore con gli artt. 1337 e 1338 c.c., ovvero con la previsione di obblighi ex lege estranei al contratto.
Nel momento in cui ci si affida alla buona fede del (futuro) contraente, viene ad instaurarsi un contatto sociale che produce obbligazioni ex art. 1173 c.c., e che è fonte di responsabilità in caso di inadempimento.
Si giunge così ad affermare che nella cd. culpa in contrahendo l'elemento qualificante consiste (non già nella colpa, tale “solo di nome”), bensì nella violazione della buona fede che fa sorgere obblighi di protezione reciproca fra le parti.
Ecco, dunque, che la Corte può completare l'iter motivazionale affermando che la responsabilità precontrattuale costituisce una figura normativamente qualificata di responsabilità da contatto sociale, attratta – sotto il profilo rimediale – all'ambito della responsabilità contrattuale.
OSSERVAZIONI - Appare meritevole di positiva considerazione il riconoscimento della tripartizione delle fonti delle obbligazioni ex art. 1173 c.c., nonché l'inquadramento sistematico della responsabilità da contatto sociale qualificato in tale ambito.
Al contrario, l'estensione della teorica del “contatto sociale qualificato”, in senso assorbente e generalizzato, a tutti i casi in cui sono riscontrabili obbligazioni ex lege (ovvero del “terzo tipo” ex art. 1173 c.c.), sino a ricomprendervi anche la cd. culpa in contrahendo, appare in parte slegata dalle basi dottrinali e giurisprudenziali richiamate, ed in fondo non necessaria al fine dell'emersione di una responsabilità di tipo contrattuale.
L'impressione è che la Corte si sia profusa nell'esposizione delle radici dogmatiche della responsabilità da contatto sociale qualificato, nonché dei casi specifici nei quali questa è stata riscontrata, per poi operarne un'estensione totalizzante a tutte le relazioni, ivi incluse quelle da “contatto precontrattuale”.
Eppure, mancano, nel caso della responsabilità per culpa in contrahendo, quegli elementi specifici sui quali la stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione aveva inizialmente fondato la responsabilità da contatto sociale (cfr. sentenza n. 589 del 1999): ovvero la nascita di un rapporto in regime di una professione protetta (come quella sanitaria), che abbia ad oggetto beni costituzionalmente garantiti (come il diritto alla salute), ovvero aspetti pubblicistici che informano il rapporto, ponendo a carico di un soggetto obblighi che prescindono da un contratto.
L'estensione della responsabilità di tipo contrattuale da contatto sociale implica la perdita della specificità della teorica, mentre va a definire un modello di contatto sociale qualificato in cui si fa rientrare qualsiasi relazione, che si è instaurata tra le parti, nonché lo stesso “contatto negoziale”.
Anche in relazione alla sentenza in commento, perciò, appare conferente la critica che era stata già mossa alla precedente n. 27648 del 2011, di aver perso un'occasione per rinvenire il fondamento di una responsabilità contrattuale, da colpa in contraendo, su indici normativi (artt. 1337 e 1338 c.c.), anziché sul “contatto sociale qualificato”.
Da un punto di vista processuale, si osserva che l'unico precedente richiamato, esplicito in tema di colpa in contrahendo come fattispecie di responsabilità da contatto sociale qualificato, è costituito dalla pronuncia della I sez. della Cassazione n. 27648 del 2011.
Invece, non viene ricordata la coeva sentenza della II sez. n. 16735 del 2011, per la quale la responsabilità ex art. 1337 c.c. “costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale”, né la consolidata giurisprudenza, univoca nel riscontrare una responsabilità extracontrattuale, delle Sezioni Unite (n. 10160 del 2003, n. 9645 del 2001).
Tale ultimo aspetto appare meritevole di considerazione, dal momento che una pronuncia contraria alla qualificazione della responsabilità precontrattuale in termini extracontrattuali avrebbe dovuto essere adottata soltanto a Sezioni Unite, ex art. 374 c.p.c., nel testo modificato dal d.l. n. 40 del 2006 ed applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate dopo il 2 marzo 2006.
La pronuncia in commento, invece, si è discostata chiaramente dai precedenti a Sezioni Unite, invero neanche rammentati, richiamando esclusivamente la sentenza n. 27648 del 2011 della II Sezione, che già se ne era discostata (non avendo però l'obbligo ex art. 374 c.p.c. di rimettere la decisione alle Sezioni Unite, trattandosi, in quella occasione, di un ricorso proposto avverso una sentenza del 2004).
RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI E BIBLIOGRAFICI - Per una interessante riflessione sulla figura del contratto come prevista dal cod. civ. e sulle caratteristiche della contrattazione della P.A., vd. R. DI RAIMO, Il “diritto privato” delle funzioni pubbliche: note sui più recenti sviluppi di una tendenza, in Studi in memoria di V. E. Cantelmo, Napoli, 2003;
Sulla configurazione dell'approvazione ministeriale ex R.d. n. 2440 del 123 come condicio iuris sospensiva dell'efficacia del contratto già stipulato tra P.A. e privato aggiudicatario, vd. Consiglio di Stato n. 3064 del 2009.
Sulla teorizzazione della responsabilità da contatto sociale qualificato nella dottrina tedesca, vd. D. MEMMO, Il nuovo modello tedesco della responsabilità per inadempimento delle obbligazioni, in Cont. Imp., 2004, 797 ss.; v. A. ZACCARIA Der Aufhaltsame aufstieg des sozialen Kontakts (la resistibile ascesa
“del contratto sociale”), in Riv. dir. civ., 2013, 78 e ss.
Sulla importazione di tale teorizzazione in Italia, v. C. CASTRONOVO, L'obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, in Scritti in onore di Mengoni, Milano, 1995, 147 ss., nonché La relazione come categoria essenziale dell'obbligazione e della responsabilità contrattuale, in Eur. dir. priv., 2011, 55 ss.
Sulla categoria degli obblighi di protezione, v. A. THIENE, Inadempimento alle obbligazioni senza protezione, in G. VISINTINI (a cura di) Trattato della responsabilità contrattuale, Padova, 2009, 316 ss. V. C. TENELLA SILLANI, Culpa in contrahendo, contatto sociale e “incoerenze” della Suprema Corte, in Rass. dir. civ., 2015,1266 e ss. V. A. DI MAJO, L'obbligazione “protettiva”, in Eur. e dir. priv., 2015, 1 e ss.;
Per una sintesi della casistica giurisprudenziale in cui si è fatto uso della categoria del contatto sociale qualificato, v. V. MONTANI, Tra responsabilità civile e contrattuale: il contatto sociale, in Nuova giur. civ. comm. 2012, 172 ss.
Infine, per la critica all'idea per cui la responsabilità per culpa in contrahendo avrebbe natura contrattuale, in quanto fattispecie di contatto negoziale che integra un contatto sociale qualificato, v. A. ZACCARIA, La natura della responsabilità per culpa in contrahendo secondo il punto di vista del gambero, in Riv. dir. civ. 2, 2015.
Più in generale sul tema oggetto della sentenza in commento v., E. NAVARRETTA, L'ingiustizia del danno e i problemi di confine tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in N. LIPARI-P. RESCIGNO (diretto da), Diritto civile, IV, 3, Milano, 2009, 236.