1. Il regime dell'obbligazione naturale
La disciplina dell'obbligazione naturale, per effetto della quale l'adempimento spontaneo di un dovere morale e sociale da parte di un soggetto capace preclude – pur in assenza di doverosità giuridica – la possibilità di un ripensamento e, quindi, di agire per la restituzione di quanto corrisposto in base alle norme sulla ripetizione dell'indebito, sta ormai da molti lustri polarizzando l'attenzione degli interpreti. La progressiva acquisizione di rilevanza del fenomeno delle convivenze more uxorio ha ridato nuova linfa al regime di cui all'art. 2034 c.c., al punto che ben può dirsi che esso – in assenza dell'esplicazione dell'autonomia contrattuale da parte dei conviventi, riconosciuta peraltro espressamente dalla legge sulle unioni civili, e ad eccezione di quanto oggi previsto dall'art. 230-bis c.c. per effetto del recente intervento della Corte costituzionale – sintetizzi «il regime patrimoniale (primario)» della convivenza more uxorio.
Tanto delineato in linea generale, conviene procedere con ordine, allo scopo di evidenziare sinteticamente i tasselli di un mosaico che si è venuto sempre più nitidamente affermando.
L'obbligazione naturale esprime una precipua posizione dell'ordinamento al cospetto dei doveri morali e sociali: semplice spettatore di ciò che fenomenicamente accade. L'intervento è solo eventuale ed è vòlto a confermare l'accaduto, nel senso di riconoscere un fondamento giustificativo all'attribuzione patrimoniale fatta in presenza di un dovere avente natura, non già giuridica, ma solo morale. Il perno attorno al quale ruota la rilevanza giuridica del fenomeno è la spontaneità del praestatum, nel senso che colui sul quale incombe uno dovere morale e sociale, nell'avvertire la coazione promanante dal dovere, si determina all'attuazione in modo comunque spontaneo e, dunque, senza pressioni esterne. La fattispecie, dal canto suo, si perfeziona solo in occasione dell'adempimento mediante una prestazione suscettibile di valutazione economica (deve dunque trattarsi di un dovere morale, quale può essere quello di assistenza materiale o quello di contribuzione, la cui attuazione sia possibile attraverso l'esecuzione di una prestazione ai sensi dell'art. 1174 c.c.). L'obbligazione naturale, dunque, per quel che concerne la rilevanza giuridica, non preesiste all'adempimento, il quale costituisce elemento perfezionativo della relativa fattispecie.
Ancora, occorre evidenziare che, al di là delle ipotesi tipizzate cui fa riferimento il comma 2 dell'art. 2034 c.c. (sui cui rapporti col comma 1 non è possibile in questa sede indugiare), i doveri morali e sociali sono da estrapolare, a cura dell'interprete, dal particolare contesto storico sociale in cui si collocano i fatti che ne costituiscono la fonte. Si tratta di doveri avvertiti come meno pressanti ai fini di un corretto svolgimento dei rapporti in seno alla società civile, onde vengono consapevolmente affidati – allo scopo di scongiurare un eccessivo appesantimento dei doveri giuridici cui consegue sempre una perdita in termini di intensità e di osservanza – alla spontanea adesione dei consociati.
2. …. nel contesto della convivenza more uxorio
Sul versante della convivenza more uxorio, il lettore avvertito ben conosce l'evoluzione che ha contraddistinto il fenomeno, il quale – al di là dell'esplicito riconoscimento in via generale avvenuto per il tramite della legge sulle unioni civili – è da tempo collocato, indipendentemente ormai dalla natura eterosessuale od omosessuale dell'unione, nell'alveo dell'art. 2 della Costituzione. Il che, se da un lato, vale a conferire alla convivenza more uxorio il rango di formazione sociale all'interno della quale ciascun componente sviluppa la propria personalità, dall'altro rende evidente come da essa si sprigionino una molteplicità di interessi meritevoli di protezione. Interessi di cui tener conto nell'àmbito dell'attività interpretativa/applicativa in sede giurisdizionale, nonché nel dibattito legislativo.
In uno scenario di questo genere, la disciplina dell'obbligazione naturale – intesa, per l'appunto, quale dovere morale e sociale adempiuto mediante una prestazione valutabile economicamente – ha finito col rappresentare la normativa per eccellenza delle attribuzioni patrimoniali nel contesto delle relazioni sentimentali. Il rapporto affettivo funge invero sovente da substrato (fondamentale) in cui si possono innestarsi, oltre ad elargizioni effettuate a titolo di liberalità (nelle loro differenti declinazioni tipologiche), spostamenti patrimoniali giustificati dalla volontà di far fronte al dovere di contribuzione ovvero di assistenza materiale. Ciò in quanto la convivenza more uxorio, dal punto di vista contenutistico, si alimenta degli stessi contenuti del rapporto di coniugio, rinvenibili essenzialmente nei doveri di cui all'art. 143 c.c., i quali, nondimeno, si collocano in una dimensione non giuridica, appunto morale e, come tali, sono sforniti di pretesa giuridicamente azionabile.
Beninteso, affinché si possa parlare di obbligazione naturale occorre che la prestazione presenti altresì i caratteri della proporzionalità e dell'adeguatezza, da rapportarsi alle condizioni patrimoniali dei conviventi e alle specifiche peculiarità dell'unione affettiva. Quelli della proporzionalità e dell'adeguatezza sono requisiti che, quantunque non sanciti esplicitamente (un riferimento lo si rinviene nello specifico contesto dell'insolvenza d'impresa: art. 163 c.c.i.i.) possono dirsi comunemente acquisiti. Ogniqualvolta si invochi in un tale contesto l'applicabilità dell'art. 2034 c.c., si rende quindi necessario analizzare e comporre una pluralità di elementi i quali, nel loro insieme, danno la misura di ciò che è coerente in termini di adempimento.
Nel solco di questo quadro d'insieme si colloca da ultimo un'ordinanza della Cassazione (2 gennaio 2025, n. 28), la quale – nel pronunciarsi per la prima volta sulla specifica questione – ha confermato la decisione della Corte di appello con cui erano state ricondotte nell'àmbito dell'art. 2034 c.c. le attribuzioni patrimoniali effettuate alla cessazione della convivenza, ponendo in luce come anche in tale contesto venga in rilievo il dovere morale di assistenza materiale. Ed invero, nel ribadire sulla scorta di orientamenti consolidati sia la rilevanza acquisita dalla convivenza more uxorio quale fenomeno sociale rilevante ex art. 2 Cost., sia l'applicabilità della disciplina delle obbligazioni naturali ogniqualvolta risultino riscontrabili i requisiti di proporzionalità, di spontaneità e di adeguatezza, i giudici delle leggi hanno stabilito che, una volta cessata la convivenza, può permanere un dovere di assistenza materiale idoneo a giustificare l'applicazione dell'art. 2034 c.c.
Si tratta di una presa di posizione sicuramente condivisibile, non potendosi dubitare dell'esistenza di doveri morali anche in caso di rottura della convivenza, soprattutto allorquando si sia in presenza di rapporti duraturi; ancor più – può dirsi – quando nel contesto dei medesimi sia state effettuate scelte di natura rinunciativa che abbiano comportato decrementi ovvero mancati incrementi patrimoniali.
Quel che comunque viene in evidenza è la necessità di ricostruire in concreto – sulla base della specifica situazione assunta a fonte della doverosità morale – non solo l'esistenza del dovere, ma altresì la sua portata, anche sotto il profilo dell'individuazione dell'ammontare della prestazione idoneo ad attuarlo. Si tratta di un compito, in termini di ricostruzione fattuale, complesso, di cui deve darsi tendenzialmente carico il soggetto che, nell'àmbito di un procedimento che lo veda nella veste di convenuto in un'azione restitutoria di quanto ricevuto (sulla scorta dell'asserita carenza di un titolo idoneo), pretenda di neutralizzarla assumendo che lo spostamento patrimoniale è avvenuto in adempimento di un dovere morale e sociale scaturente dalla convivenza more uxorio. In questa direzione, la Cassazione ha recentemente chiarito che la deduzione della sussistenza di un'obbligazione naturale, a fronte di un'azione intentata di arricchimento senza causa, costituisce una mera difesa, e non già un'eccezione; di modo che, essa non è soggetta al regime delle preclusioni contemplate per quest'ultima (Cass., 2 settembre 2024, n. 23471).