Sommario:
- 1. La fattispecie.
- 2. Nullità della donazione di cosa altrui per difetto di causa: luci ed ombre.
- 3. I beni ricadenti nella piu' ampia massa comune quali “beni eventualmente altrui”: ragioni esplicite ed implicite di adesione alla teoria tradizionale.
- 4. L'opinione avversa e le sue ragioni.
- 5. Effetti ordinari ed effetti “collaterali” della decisione delle Sezioni Unite.
- 6. Il consenso dei comproprietari.
La Suprema Corte di Cassazione, con l'autorevolezza delle Sezioni Unite [1], aderendo alla tesi dottrinale e giurisprudenziale più rigorosa, stabilisce il principio per il quale i beni ricadenti in una più ampia massa comune sono beni insuscettibili di essere oggetto di atti di disposizione pro quota, trattandosi, secondo l'espressione utilizzata dal Supremo Collegio, di beni “eventualmente altrui”. Ne consegue che gli atti di disposizione di quote su singoli beni facenti parte della più ampia massa comune, se non preceduti da una divisione o da altro atto idoneo ad attribuirne la proprietà esclusivamente al disponente, scontano, a seconda che siano disposti a titolo oneroso o gratuito, rispettivamente l'inefficacia traslativa immediata, e la nullità per mancanza di causa donandi. Ci si domanda allora quali effetti possa esplicare su tali atti il consenso congiunto di tutti i comunisti, e come si debba inquadrare dogmaticamente tale consenso congiunto: si ritiene che tale consenso non integri una assegnazione in conto della futura divisione a vantaggio del comproprietario disponente, bensì un atto avente natura divisoria col quale i comunisti incidono sulla composizione oggettiva della massa comune, scindendola in più comunioni autonome; delle comunioni generate dalla scissione fa parte il solo bene del quale si intende consentire l'atto di disposizione pro quota, immediatamente efficace sotto il profilo traslativo in quanto disposto ai sensi dell'art. 1103 c.c..