Sommario:
- 1. Premessa.
- 2. Fondamento di una differenziazione della soluzione del problema della c.d. “usurarietà sopravvenuta”, a seconda che esso si ponga con riferimento ad operazioni di finanziamento “con piano di ammortamento predefinito” ovvero in operazioni di finanziamento “ad utilizzo flessibile”.
- 3. (Segue): il problema dell'usurarietà sopravvenuta nei finanziamenti ad utilizzo flessibile.
- 4. L'esclusione della rilevanza dell'usurarietà sopravvenuta (nei mutui a tasso fisso) secondo una (apparentemente) diversa spiegazione.
- 5. (Segue): l'incidenza dell'art. 1 della l. 28 febbraio 2001 n. 24 (di interpretazione autentica della l. n. 108 del 1996).
- 6. Qualche considerazione sui rimedi (generali) esperibili in presenza di un tasso-soglia divenuto inferiore al tasso (fisso) a suo tempo legittimamente pattuito tra le parti : a) cenni al rimedio della nullità e a quello l'eccessiva onerosità del tasso di interesse che superi il tasso-soglia vigente ratione temporis.
- 7. (Segue): b) il ricorso alla buona fede.
1. Premessa.
La recente pronuncia delle SS.UU. in materia di usurarietà sopravvenuta [1] sembra da ascrivere decisamente al novero di quelle che risolvono solo parzialmente il problema che affrontano, circostanza – va subito detto – che è in parte sicuramente da imputare anche alla delimitazione del thema decidendum imposto dall'oggetto della controversia che ha occasionato la sentenza.
La fattispecie esaminata era, infatti, quella di un mutuo decennale a tasso fisso (concluso nel 1990, e dunque anteriormente alla entrata in vigore della l. n. 108 del 1996 [2]), ossia una fattispecie rientrante nella categoria di quelle che la Banca d'Italia chiama “operazioni di finanziamento con piano di ammortamento prestabilito”(tra le quali rientrano – oltre ai mutui – il credito personale, il credito finalizzato, il leasing, i prestiti contro cessione del quinto e della pensione, e quelli che – con dizione generica – la Banca d'Italia indica come “altri finanziamenti”). E, stando almeno ad una delle tesi formatesi in questi anni [3] – tesi avallata dalla stessa Banca d'Italia [4], e sviluppata poi da una parte della dottrina [5] – è vero, sì, che in questo tipo di operazioni un problema di “usurarietà sopravvenuta” non potrebbe in linea di massima neanche porsi, ma è anche vero che all'opposto esso si può porre in quella diversa categoria di operazioni denominate (comprensivamente) come “finanziamenti ad utilizzo flessibile” (categoria nella quale rientrano le aperture di credito in conto corrente, gli anticipi su crediti, lo sconto di portafoglio commerciale, il factoring e il credito revolving).
Insomma, è verisimile (e questa è la prima osservazione che ci sembra utile svolgere, iniziando il commento della sentenza in esame) che le SS.UU. siano pervenute alla conclusione della irrilevanza (almeno in linea di massima) della usurarietà sopravvenuta solo limitatamente alla specifica fattispecie da esse esaminata [6], lasciando invece aperta (e, sostanzialmente, irrisolta) la questione della usurarietà sopravvenuta nelle operazioni di finanziamento ad utilizzo flessibile [7].
Conviene, allora, analizzare più approfonditamente la tesi, sin qui solo richiamata nei suoi termini generali, al fine di saggiarne il fondamento e per verificare se essa sia idonea a corroborare la decisione delle SS.UU. (almeno per la parte che ha formato oggetto, nel caso di specie, della decisione del Supremo collegio).
2. Fondamento di una differenziazione della soluzione del problema della c.d. “usurarietà sopravvenuta”, a seconda che esso si ponga con riferimento ad operazioni di finanziamento “con piano di ammortamento predefinito” ovvero in operazioni di finanziamento “ad utilizzo flessibile”.
La dottrina che sin qui ha, con maggiore ampiezza, cercato di argomentare la tesi cui si è accennato nel paragrafo precedente afferma che, nei finanziamenti con piano di ammortamento predeterminato, il problema dell'usurarietà sopravvenuta non si pone perché «l'obbligazione relativa al pagamento degli interessi sorge contestualmente alla stipulazione del contratto, ancorché le relative scadenze siano ovviamente successive, coincidendo esse con quelle del piano di ammortamento» [8].
All'obiezione [9] secondo cui anche in questi casi il diritto agli interessi si acquista (e, dunque, sorge) “giorno per giorno” – come recita l'art. 821, comma 3, c.c. –, la dottrina in esame replica che «se la regola dell'acquisto giorno per giorno condizionasse in radice la stessa nascita dell'obbligazione (di pagamento degli interessi), nei piani di ammortamento “alla francese”(nei quali la quota degli interessi iniziale è alta, e decresce progressivamente nelle rate successive), che sono quelli più frequentemente adottati, verrebbero ad essere corrisposti, in seno ai primi ratei, interessi rispetto ai quali la relativa obbligazione non sarebbe neppure sorta» [10].
La replica non è corretta. In realtà, anche nel piano di ammortamento “alla francese” (una volta calcolato l'ammontare degli interessi che, secondo il tasso pattuito, matureranno complessivamente nel periodo di durata del mutuo, e una volta determinata conseguentemente la rata da pagare ad ogni singola scadenza) il calcolo degli interessi che maturano in ciascun periodo discende dall'applicazione del tasso convenuto (che è sempre lo stesso) rispetto al capitale residuo. È l'importo (degli interessi) in termini assoluti che diminuisce progressivamente nelle rate che si susseguono (mentre aumenta quello della quota capitale [11]), ma ciò semplicemente come riflesso del fatto che gli interessi si calcolano appunto sul capitale residuo (che nel frattempo sarà anch'esso diminuito) [12]. Non vi è, dunque, in ciascun periodo (anche in quelli iniziali) alcun pagamento di interessi che non siano maturati (facendo sorgere il relativo diritto) secondo la regola ordinaria [13].
Quel che c'è di vero (ma non viene, tuttavia, messo in risalto dalla dottrina in esame) nell'affermazione secondo cui nei finanziamenti con piano di ammortamento predeterminato «l'obbligazione relativa al pagamento degli interessi sorge contestualmente alla stipulazione del contratto», sta piuttosto nel fatto che in questi finanziamenti, essendo la somma (oggetto del finanziamento) erogata al soggetto finanziato al momento della conclusione del contratto, ed essendo noto l'arco temporale per il quale il mutuatario avrà il godimento della medesima somma [14], è possibile – scegliendo un tasso fisso – determinare sin dall'inizio il preciso ammontare degli interessi che saranno complessivamente dovuti nel corso del rapporto;ciò che, invece, non è possibile nei finanziamenti ad utilizzo variabile, in quanto per essi – al momento della conclusione del contratto – non sono (per definizione) disponibili gli elementi necessari a tal fine [15]: non si conosce, infatti, su quale somma precisamente decorreranno gli interessi, né si sa da quando e per quanto tempo i medesimi interessi si produrranno, né si conosce quale sarà (all'epoca) il livello ( generale) dei tassi.
Ora, ciò posto, deve aggiungersi che mentre la scelta di un tasso di interesse variabile è una scelta “neutra” rispetto all'andamento generale dei tassi [16], la scelta di un tasso fisso implica l'accettazione (da parte di entrambi i contraenti) del rischio che l'andamento generale dei tassi di interesse vari, senza che dell'(ipotetico) aumento degli stessi possa avvantaggiarsi il mutuante né della (ipotetica) diminuzione possa avvantaggiarsi il mutuatario [17].
Naturalmente, possono essere varie le “strategie” per fronteggiare tale rischio (strategie – va detto subito – che sono “governate” sostanzialmente dalle banche, alle quali spetta in definitiva la fissazione dell'entità del tasso di interesse, che generalmente non è oggetto di “trattativa” con il cliente). Mentre in periodi in cui i tassi generali di interesse risultano tendenzialmente stabili (e situati ad un livello – per così dire – ”normale”) è verisimile che le banche mantengano il livello dei tassi fissi, da esse praticati, (relativamente) poco al di sopra di un tasso “generale” ipoteticamente preso a riferimento (ad es. il tasso “euribor” – in una delle sue varianti –, sussistente in quel momento) [18], quando invece il livello dei tassi di interesse risulti abbastanza basso è verisimile che lo spread virtuale (rispetto a tale livello) dei tassi fissi di interesse praticati (mediamente) dal sistema bancario tenda ad aumentare (perché sconta una ragionevole previsione di rialzo dei tassi) [19]. Quanto appena rilevato comporta – come si sarà già compreso – un'ulteriore (significativa) conseguenza: e cioè che il livello dei “tassi fissi” (a differenza di quel che accade con i tassi variabili) non segue lo stesso andamento dei tassi generali di interesse, e tende a mantenersi tendenzialmente stabile (nel suo valore per così dire “assoluto”), nonostante l'oscillazione (in aumento o in diminuzione) che possa subire nel tempo un (ipotetico) “tasso generale di riferimento”[20]. E, siccome il tasso-soglia (usurario) dipende dal livello dei tassi medi (nel nostro caso: dei tassi fissi medi), è chiaro che rimanendo sostanzialmente stabile quest'ultimo livello è alquanto difficile che tassi di interesse pattuiti anche molto tempo prima (ad es.: 7-8-10 anni prima) superino – nel tempo – la soglia usuraria.
L'ipotesi potrebbe, astrattamente, verificarsi nel caso in cui una banca abbia fissato un tasso fisso convenzionale prossimo al tasso-soglia (e, quindi, alquanto distante dal “tasso medio”), ma – tenendo conto che il tasso soglia è oggi (dopo la modifica introdotta col c.d. “decreto Sviluppo” n. 70 del 2011) superiore di almeno quattro punti [21] rispetto al tasso “medio” – si comprende agevolmente come sia abbastanza improbabile (e, comunque, debba considerarsi un fatto episodico, se non anomalo) che una banca pratichi tassi di interesse così alti (prossimi al tasso-soglia) [22], non foss'altro perché un simile comportamento comporterebbe prima o poi (ma, comunque, immancabilmente) la perdita della (potenziale) clientela, che si rivolgerebbe ad altre banche, che pratichino tassi di interesse più bassi (grosso modo oscillanti intorno alla “media” di mercato) [23].
Da quanto sin qui detto risulta evidente che il problema della c.d. usurarietà sopravvenuta – almeno nel tipo di operazioni di cui ci stiamo occupando (finanziamenti con piano di ammortamento predeterminato) – non solo ha un'evidenza concettuale alquanto discutibile (per le ragioni sopra illustrate), ma anche sul terreno pratico non sembra idoneo ad acquisire (almeno oggi; in passato può essere stato diverso [24]) una rilevanza significativa.
3. (Segue): il problema dell'usurarietà sopravvenuta nei finanziamenti ad utilizzo flessibile.
Il problema dell'“usurarietà sopravvenuta” (ma anche qui – come vedremo – la formula si presenta come imprecisa ed impropria) può prospettarsi invece – nei termini e per le ragioni che avremo modo di chiarire – nei finanziamenti “ad utilizzo flessibile” (ad es.: contratti di factoring, aperture di credito, etc.).
Come abbiamo già osservato, a differenza che nei finanziamenti “con piano di ammortamento predeterminato” (che sono, per definizione, contratti a tempo determinato), nei quali è possibile conoscere sin dal momento della conclusione del contratto l'entità della somma mutuata e la durata del godimento, in quelli “ad utilizzo flessibile” nessuno di questi dati è inizialmente disponibile. Ad es., in un contratto di factoring, non è possibile conoscere (se non approssimativamente e in via previsionale) l'ammontare dei crediti che saranno “ceduti” al factor di volta in volta, e, di conseguenza, non si potrà stabilire a priori neanche l'importo del “finanziamento” (cioè degli “anticipi” che il factor si sia impegnato a corrispondere, e sui quali decorreranno gli interessi), né si potrà stabilire per quanto tempo saranno dovuti gli interessi in questione (atteso che, se è nota la scadenza dei singoli crediti, non è noto invece se e quando i singoli debitori ceduti pagheranno il loro debito).
Stando così le cose, se da un lato è ben possibile (anche qui) che il tasso degli interessi sia stabilito in misura fissa(anziché in misura variabile in correlazione con le variazioni di un parametro di riferimento: ad es., uno dei tassi euribor), è anche vero che – ove ciò avvenga – resta inteso tra le parti che il tasso fissato è valido “sino a nuovo avviso” o “sino a nuova comunicazione” (il che viene solitamente detto espressamente nel contratto, ma comunque discende oggi sulla base di quanto dispone – con regola di default – l'art. 118 TUB, applicabile quando il rapporto sia, come normalmente accade in questi casi, a tempo indeterminato).
In realtà – dunque – il tasso di interesse non è mai, in questo caso, “fisso”, nel significato abituale del termine (cioè, quello di un tasso invariabile sino alla fine del rapporto), perché si tratta a ben vedere di un tasso che è destinato a valere sino a quando esso non sarà modificato dalla banca, nell'esercizio del suo ius variandi.
Detto altrimenti, il tasso (nell'ammontare originario, o in quello già eventualmente variato dalla banca) è destinato a valere di periodo in periodo (e i vari periodi saranno scanditi dalla scelta della banca circa l'an e il quando – oltre che il quantum – dell'esercizio dello ius variandi).
Possiamo, ad es., immaginare un contratto di factoring (ma lo stesso varrebbe per un'apertura di credito) in cui il tasso di interesse (iniziale) sia stato fissato nella misura del 12,5 % annuo, e successivamente venga variato dalla Banca e portato, ad es., al 13,5 %, e poi al 15%. Supponiamo che il tasso di interesse fosse originariamente un tasso “infra-soglia” usuraria, mentre i tassi successivamente “fissati” dalla banca (13,5% e 15%) superino la soglia vigente nel trimestre in cui è stato esercitato lo ius variandi. È evidente che la banca non potrà – in questo caso – sostenere che, siccome il tasso fissato al momento della conclusione del contratto era conforme alla legge sull'usura, nonrileva il superamento successivo (da parte di tale tasso) della soglia usuraria. Questa regola sarebbe valsa se il tasso di interesse originario fosse rimasto effettivamente “fisso” (ossia “invariato”), e dunque fosse rimasto al 12,5%, ma non vale evidentemente più per i “nuovi” tassi che la banca ha determinato nell'esercizio del suo potere unilaterale di variazione dei tassi. Non solo questi nuovi tassi sono subordinati all'accettazione (almeno tacita) dell'altro contraente (che ha, difatti, il potere di recedere dal contratto), ma inoltre essi sono sottoposti al controllo di “usurarietà”, che naturalmente dovrà essere effettuato in base ai valori del tasso-soglia vigenti nel trimestre in cui è diventato operativo il nuovo tasso di interesse.
Né si tratta – lo abbiamo già accennato – di un fenomeno di usurarietà “sopravvenuta” (in senso proprio): questo si sarebbe potuto dire solo se il superamento del tasso-soglia fosse avvenuto ad opera del tasso originario (quello del 12,5 %) [25], tasso che però stiamo supponendo sia stato “abbandonato” per essere sostituito da un “nuovo” tasso (determinato nell'esercizio dello ius variandi della banca), che naturalmente dovrà essere conforme ai requisiti di liceità vigenti al momento in cui esso viene introdotto nel rapporto. Nel caso che stiamo ipotizzando, dunque, l'usurarietà è originaria, e dipende dal fatto che il nuovo tasso è, sin dall'inizio del suo operare, non conforme al criterio di validità rappresentato dal “non superamento” del tasso-soglia vigente pro-tempore [26].
In un certo senso è come se le operazioni di finanziamento “ad utilizzo flessibile” si debbano ricostruire come “accordi-quadro”, nell'ambito dei quali si innestano poi (le) singole operazioni, ciascuna delle quali è retta da regole che sono quelle vigenti al momento in cui è posta in essere. E così ad es., in un'apertura di credito si possono distinguere ed isolare singoli atti di utilizzo della “disponibilità” accordata dalla banca, ognuno dei quali concreta un “finanziamento” (autonomo) che può soggiacere a limiti (legali) di contenuto diversi rispetto a quelli operanti per i precedenti utilizzi del finanziamento (per es., appunto, qualora sia cambiato il tasso-soglia usurario); analogamente, in un contratto di factoring , si possono distinguere, in relazione alle varie cessioni dei crediti che vengono poste in essere (sia pure nel quadro dell'accordo generale stipulato), distinti atti di finanziamento (con riferimento agli “anticipi” accordati dal factor in corrispondenza delle varie cessioni del credito che si sono concretizzate); e così via.
4. L'esclusione della rilevanza dell'usurarietà sopravvenuta (nei mutui a tasso fisso) secondo una (apparentemente) diversa spiegazione.
Riprendendo, adesso, il ragionamento sull'ipotesi che specificamente era all'esame delle Sezioni Unite (e, dunque, sulla fattispecie di un'operazione di finanziamento con piano di ammortamento predeterminato), deve accennarsi ad un'altra tesi che sostiene l'irrilevanza della c.d. usurarietà sopravvenuta nei mutui a tasso fisso, e che – secondo un'idea alquanto diffusa [27] – si baserebbe su una giustificazione di tale assunto diversa da quella precedentemente esaminata nel par. 2.
Secondo questa (ulteriore, ma – in realtà – tale solo apparentemente) spiegazione, l'irrilevanza della “usurarietà sopravvenuta” discenderebbe dalla circostanza che, nelle operazioni in questione, la variazione futura del tasso rientra nell'alea normale del contratto, con conseguente esclusione di una (ipotetica) risolubilità del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, ma con esclusione altresì di qualsiasi altro rimedio che conduca (surrettiziamente) ad un risultato analogo a quella correzione (recte: reductio ad aequitatem) del contratto che non sarebbe possibile conseguire applicando il rimedio della eccessiva onerosità (di cui mancherebbero – in ipotesi – i presupposti) [28].
Non c'è necessità di scendere nel dettaglio della tesi così sinteticamente riassunta, anche perché – come già accennato – essa (ci) sembra ben poco distante da quella che abbiamo illustrato nel paragrafo 2. E, invero, il richiamo all'alea normale del contratto, evidenzia come la ragione per la quale si ritiene incongruo applicare i tassi-soglia sopravvenuti (rispetto al momento della conclusione del contratto) risiede essenzialmente nel fatto che la scelta del tasso fisso “sconta” evidentemente l'evenienza che l'andamento generale dei tassi possa variare (in aumento o in diminuzione rispetto al livello esistente all'epoca dell'accordo tra le parti), e si basa proprio su un calcolo di convenienza che entrambe le parti hanno effettuato, preferendo alfine la pattuizione di un tasso che sia destinato a rimanere invariato per tutta la durata del rapporto (piuttosto che di un tasso variabile) [29]. Rimettere in discussione tale accordo (e il punto di equilibrio che esso rappresenta rispetto agli interessi e alla percezione dei rischi di ciascuna delle parti) significherebbe negare radicalmente questa forma di esplicazione dell'autonomia privata, e – di fatto – ne sancirebbe la scomparsa (o, comunque, la rarefazione) sul mercato delle operazioni di mutuo, con nocumento non solo per le banche, ma anche (e, forse, soprattutto) per gli aspiranti mutuatari (che sarebbero costretti a stipulare esclusivamente mutui a tasso variabile) [30].
5. (Segue): l'incidenza dell'art. 1 della l. 28 febbraio 2001 n. 24 (di interpretazione autentica della l. n. 108 del 1996).
Non varrebbe replicare agli argomenti (e alle conclusioni) richiamati nel paragrafo precedente, che nelle vicende oggetto di esame si tratta – in ultima analisi – di non far gravare sul mutuatario un tasso di interesse che è, nel frattempo, divenuto “usurario” (e, dunque, illecito).
Occorre invero – rispetto ad una tale prospettazione – dissipare subito un equivoco: “usurario” (e illecito), il tasso di interesse che si considera, è – certamente – qualora si pretenda di pattuirlo in un contratto nuovo. Ma, rispetto al contratto concluso (prevedendo del tutto lecitamente quel tasso, magari 2-3-7-10 anni prima), il tasso – lecito in origine – non può diventare “usurario”.
Affermare il contrario significherebbe privare di qualsiasi significato la legge di interpretazione autentica emanata nel 2000/2001 [31], o affermare che tale norma ha valore solo per i contratti pendenti alla data di entrata in vigore della l. n. 108 del 1996, e non anche per i contratti “nuovi” (ossia conclusi successivamente a detta entrata in vigore).
Né varrebbe – come in qualche autore si legge [32] – sostenere che la suddetta disposizione di interpretazione autentica (si noti: “della legge 7 marzo1996 n. 108” [33]) non avrebbe inteso escludere il fenomeno della “usurarietà sopravvenuta” (perché non avrebbe abrogato – né avrebbe potuto farlo – la previsione del 1° comma dell'art. 644 c.p. novellato, secondo cui commette il reato di usura chiunque «si fa dare o promettere…» interessi o altri vantaggi usurari), e che ciò che la norma avrebbe in realtà inteso escludere [34] è solo la punibilità ai sensi dell'art. 644 c.p. (oltre che la sanzione civilistica prevista dal 2° comma dell'art. 1815 c.c.) di un comportamento che sarebbe rimasto comunque “illecito” [35]. La verità, è che non esistono altre sanzioni – oltre quelle dei citati art. 644 c.p. e art. 1815, comma 2, c.c. – che colpiscano il fenomeno dell'usura in quanto tale, ed escludere che a determinate fattispecie si applichino dette sanzioni (anzi: escludere che in determinate situazioni ricorra la “fattispecie” alla quale sono ricollegate quelle sanzioni), significa né più e né meno che in quelle fattispecie il legislatore non ravvisa il ricorrere del fenomeno usurario [36].
Dopodiché, potrà anche darsi che il comportamento di cui si parla (ossia, il continuare a pretendere e/o a riscuotere un tasso di interesse, originariamente “infra-soglia”, ma che – in prosieguo di svolgimento del rapporto – ha superato la soglia usuraria determinata sulla base delle rilevazioni trimestrali della Banca d''Italia) sia suscettibile di altre qualificazioni (ad es.: di costituire una pretesa relativa a una prestazione da considerarsi divenuta eccessivamente onerosa ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 1467 ss. c.c.; oppure di integrare una violazione del dovere di buona fede in executivis, di cui all'art. 1375 c.c.; etc. etc.), ma occorrerà allora – appunto – dimostrare che ricorrono tutti i presupposti perché possano trovare applicazione questi altri istituti (e rimedi) di carattere generale, ed aver chiaro altresì che si tratta di (istituti e) rimedi comunque diversi da quello che la legge ha previsto specificamente per l'ipotesi dell'usura [37].
Possiamo concludere su questo punto, formulando dunque un'ultima notazione, e cioè quella secondo cui la formula “usurarietà sopravvenuta” è imprecisa ed ambigua (come già dovrebbe essere emerso), perché porta a supporre che ricorra effettivamente un fenomeno “usurario” in ipotesi in cui invece non sussistono affatto gli estremi dell'usura (tant'è che non si applicano le relative sanzioni, anche se possono – astrattamente almeno – operare rimedi diversi), onde si farebbe meglio a sostituirla con altra locuzione, che eviti i suddetti equivoci [38].
6. Qualche considerazione sui rimedi (generali) esperibili in presenza di un tasso-soglia divenuto inferiore al tasso (fisso) a suo tempo legittimamente pattuito tra le parti : a) cenni al rimedio della nullità e a quello l'eccessiva onerosità del tasso di interesse che superi il tasso-soglia vigente ratione temporis.
Chiarito che, nel caso in cui il tasso soglia sia (nel corso del tempo) diminuito al punto da divenire più basso del tasso (fisso) di interesse a suo tempo pattuito tra le parti, quest'ultimo tasso non può essere qualificato come illecito perché (divenuto) usurario [39], si tratta di verificare (secondo le indicazioni ricavabili dalla sentenza della Corte Costituzionale [40], e che le SS.UU. fanno sostanzialmente proprie) quali possano essere i rimedi eventualmente esperibili in base al “diritto generale dei contratti”.
Quanto al rimedio della nullità ex art. 1418 c.c. [41] bisognerebbe anzitutto stabilire se si ritiene di applicare la norma con riferimento al suo primo comma, ovvero al secondo [42]. Ma – a parte questo preliminare (ma dirimente) profilo – c'è da osservare che si avrebbe – nel caso di specie – una variante sin qui inedita della nullità (figura che pure, negli ultimi anni, ha conosciuto tante “declinazioni”): ossia quella di una nullitàche si potrebbe definire intermittente [43]. Nulla esclude infatti che il tasso-soglia risalga, sì che il tasso convenzionale torni ad essere inferiore ad esso [44], e, in questo caso – a meno di non ritenere che gli interessi siano ormai dovuti nella misura del tasso soglia [45] – si dovrebbe ammettere che “riviva” la clausola di determinazione degli interessi convenzionali (tornati ad essere leciti) [46].
Venendo, poi, al rimedio della eccessiva onerosità, già da quanto detto nelle pagine che precedono risulta che ben limitati appaiono i margini di ricorso ad esso. A meno di non partire dall'idea che il superamento del tasso-soglia vigente di tempo in tempo equivalga di per sé ad una eccessiva onerosità della prestazione (assunto che non solo si risolverebbe in un'affermazione meramente apodittica, ma che sarebbe altresì irragionevole, se solo si pensa che l'eccessiva onerosità potrebbe risolversi anche in uno scarto di qualche decimo di punto [47]); e a meno di non pensare che il calo di 5-6 punti dei tassi generali di interesse (nell'arco – poniamo – di 8-9 anni) costituisca un evento “straordinario” e imprevedibile, anche l'applicazione del rimedio della eccessiva onerosità può apparire problematica (non foss'altro perché dovrebbe aversi solo nella forma della reductio ad aequitatem [48], non anche in quella della risoluzione del contratto).
Ma c'è un'ulteriore osservazione che va fatta (e che conferma le considerazioni da ultimo svolte). In sede di conversione in legge del d.l. n. 394 del 2000 (recante, al comma 1 dell'art. 1, la già ricordata “interpretazione autentica della l. n. 108 del 1996) venne inserito – cosa che non viene solitamente ricordata – un 2° comma del cit. art. 1, il quale così recitava: «(omissis) 2. In considerazione dell'eccezionale caduta dei tassi di interesse verificatasi in Europa e in Italia nel biennio 1998-1999, avente carattere strutturale, il tasso degli interessi pattuito nei finanziamenti non agevolati, stipulati nella forma di mutui a tasso fisso rientranti nella categoria dei mutui, individuata con il decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica previsto dall'articolo 2, comma 2, della legge 7 marzo 1996, n. 108, in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto, e' sostituito, salvo diversa pattuizione più favorevole per il debitore, dal tasso indicato al comma 3. Il tasso di sostituzione è altresì ridotto all'8 per cento con riferimento ai mutui ovvero a quote di mutuo di importo originario non superiore a 150 milioni di lire, o all'equivalente importo in valuta al cambio vigente al momento della stipulazione del contratto, accesi per l'acquisto o la costruzione di abitazioni, diverse da quelle rientranti nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, per i quali spettano le detrazioni di cui alla lettera b) del comma 1 e al comma 1-ter dell'articolo 13-bis del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni. La sostituzione di cui al presente comma non ha efficacia novativa, non comporta spese a carico del mutuatario e si applica alle rate che scadono successivamente al 2 gennaio 2001».
La disposizione citata è significativa sotto molteplici profili, ma soprattutto perché essa – in definitiva – conferma che una riduzione della misura dei tassi convenzionali di interesse, in quanto divenuti nel tempo superiori ai tassi correnti di mercato (e ai tassi-soglia rilevanti ai fini dell'usura), non è (stata ritenuta) possibile se non con un intervento – eccezionale – dello stesso legislatore (in particolare per venire incontro alla situazione di mutuatari che avevano fatto ricorso al credito per finalità di particolare rilievo sociale, quale l'acquisto o la costruzione di abitazioni).
Non è, pertanto, plausibile (e, comunque è fortemente problematico) pensare di (poter) conseguire il medesimo risultato facendo applicazione delle ordinarie norme appartenenti alla disciplina generale dei contratti, in particolare alle norme che disciplinano le c.d. sopravvenienze.
7. (Segue): b) il ricorso alla buona fede.
Anche con riferimento al secondo dei rimedi (appartenenti al diritto generale dei contratti) cui si potrebbe pensare – e si è spesso pensato – per risolvere il problema della c.d. “usurarietà sopravvenuta” [49], ossia la clausola di buona fede in executivis, sono non poche le ragioni di perplessità che possono allinearsi. In parte, queste ragioni sono lucidamente indicate nella stessa sentenza delle SS.UU. che stiamo commentando.
In particolare, nel § 3.4.2 della motivazione della sentenza – sottraendosi (opportunamente) alla suggestione negativa che è indotta (di per sé) dall'espressione “usurarietà sopravvenuta” – i giudici del Supremo Collegio osservano giustamente che «va escluso che sia da qualificare scorretta la pretesa in sé di quegli interessi, corrispondente ad un diritto validamente riconosciuto dal contratto».
È un'affermazione certamente condivisibile [50], alla quale i giudici fanno seguire il corollario secondo cui a poter determinare la contrarietà a buona fede non è il fatto in sé di pretendere interessi divenuti “sovra-soglia”, bensì l'esistenza di “particolari circostanze” o di “particolari modalità” che accompagnino tale pretesa [51].
Le SS.UU. non precisano quali possano essere queste particolari modalità o circostanze, e l'impressione è che sia tutt'altro che semplice individuarle [52]. Si potrebbe forse pensare al caso in cui la Banca abbia dissuaso il cliente (mutuatario) dall'intento, da lui manifestato, di esercitare il diritto alla “portabilità del mutuo” [53], e poi abbia però continuato a pretendere il pagamento degli interessi previsti originariamente dal contratto (rifiutandosi di rinegoziare il tasso, come il suo precedente comportamento lasciava intendere fosse sua intenzione fare). Ma, comunque, è evidente che si tratterebbe di ipotesi marginali, che non mettono in discussione la soluzione di fondo data al problema dai giudici del Supremo Collegio.
Una soluzione – come abbiamo avvertito sin dall'esordio – che “chiude” solo parzialmente la questione riassunta nella formula della “usurarietà sopravvenuta”, perché la risolve (negativamente) [54] con riferimento alle “operazioni di finanziamento con piano di ammortamento predeterminato”, ma non anche con riferimento ai “finanziamenti ad utilizzo flessibile”.
È probabile che proprio da qui riparta la discussione sul tema. Sia consentito – al riguardo – esprimere l'auspicio finale che quest'ulteriore (prevedibile) seguito della vicenda della c.d. “usurarietà sopravvenuta” si sviluppi senza il condizionamento di “suggestioni” poco aderenti ai dati reali del problema, come in fondo si ha l'impressione sia avvenuto sinora.
Riferimenti bibliografici:
[1] Cass., sez. un., 19 ottobre 2017, n. 24675 (Pres. Rordorf, est. De Chiara). Sulla pronuncia delle SS.UU. si veda, sin da ora, il Commento di S. PAGLIANTINI, L'usurarietà sopravvenuta e il canone delle sezioni unite: ultimo atto ?, in corso di pubblicazione su Corr. giur., 2017, che è stato possibile leggere in anteprima grazie alla cortesia dell'A.
[2] Segnaliamo la circostanza, avvertendo subito tuttavia che essa non ha influito sulla decisione. Come emerge, infatti, dal § 3.3. della motivazione, le SS.UU. ritengono (seguendo un orientamento largamente diffuso) che «la questione della configurabilità di una “usura sopravvenuta” si pone non soltanto con riferimento ai contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della legge n. 108 del 1996, come nel caso in esame, ma anche con riferimento ai contratti successivi all'entrata in vigore della legge recanti tassi inferiori alla soglia dell'usura, superata poi nel corso del rapporto per effetto della caduta dei tassi di mercato …».
La Corte ritiene altresì, con tutta evidenza, che la norma di interpretazione autentica di cui all'art. 1, comma 1, d.l. n. 394 del 2000 (ai sensi del quale «Ai fini dell'applicazione dell'art. 644 del codice penale e dell'art. 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento») non abbia risolto semplicemente un problema di diritto intertemporale (riferito cioè ai contratti pendenti al momento dell'entrata in vigore della l. n. 108 del 1996), bensì abbia dettato un criterio interpretativo della legge sull'usura, valevole anche per i contratti “nuovi” (ossia stipulati successivamente all'entrata in vigore della l. n. 108 del 1996).
[3] Questa tesi è – di solito – contrapposta a (o, quanto meno, distinta da) un'altra tesi, che motiva la irrilevanza della usurarietà sopravvenuta (nei mutui a tasso fisso) con la circostanza che il superamento del tasso soglia (da parte del tasso convenzionale previsto nel rapporto) sarebbe bensì un evento che può rendere eccessivamente onerosa la prestazione del mutuatario, ma costituirebbe comunque un evento rientrante nell'alea normale del contratto (recte: dello specifico contratto considerato, ossia un mutuo a tasso fisso), onde dar rilievo ad una “usurarietà sopravvenuta” significherebbe operare (surrettiziamente) una reductio ad aequitatem, in mancanza di uno dei presupposti previsti dalla legge (così G. GUIZZI, Tentazioni pericolose: il miraggio dell'usura sopravvenuta, in Corr. giur., 2017, 601 ss., commentando l'ordinanza interloc. 31 gennaio 2017, n. 2484 con la quale la I sez. civ. della Cassazione aveva rimesso al Primo presidente per l'assegnazione alle SS.UU. la questione dell'usurarietà sopravvenuta nei mutui a tasso fisso); e, già prima, ID. , L'Abf, il problema della “usura sopravvenuta” e il sistema dei rimedi: in cauda venenum, in Riv. dir. comm., 2014, II, 275 ss. Come vedremo, le due tesi (questa, appena richiamata, e quella di cui parliamo nel testo) – se pur formalmente distinte – sono basate, in definitiva, su argomenti “sostanziali” alquanto simili.
[4] Cfr. BANCA D'ITALIA, Chiarimenti in materia di applicazione della legge anti-usura (3 luglio 2013), in www.bancaditalia.it. Al § 3 del suddetto documento – premessa, appunto, la distinzione tra “finanziamenti ad utilizzo flessibile” e “finanziamenti con piano di ammortamento predefinito”, si legge che nei primi «i TEG applicati … sono sensibili alle variazioni di mercato » e pertanto «la Banca d'Italia ha dato indicazione agli intermediari di condurre una verifica trimestrale sul rispetto delle soglie vigenti in ciascun periodo per tutti i finanziamenti di tale tipo in corso », mentre nei secondi « viene rilevato il TEG relativo ai nuovi contratti stipulati nel trimestre . Per questa tipologia di crediti la verifica sul rispetto delle soglie è compiuta solo al momento della stipula del contratto, in cui la misura degli interessi è stabilita». Per un Commento ai Chiarimenti della Banca d'Italia, prevalentemente dedicato proprio alla questione dell'usurarietà sopravvenuta),cfr. U. MALVAGNA, A Commento Della Comunicazione Banca D'italia 3 Luglio 2013: Sull'usura Sopravvenuta, in www.ilcaso.it del 8 luglio 2013, il quale critica la posizione della Banca d'Italia nella parte in cui esclude il fenomeno dell'usurarietà sopravvenuta con riguardo ai finanziamenti con piano di ammortamento predeterminato, riprendendo in particolare alcuni spunti contenuti in A. QUARANTA, Usura sopravvenuta e principio di proporzionalità, in Banca, borsa, tit. cred., 2013, 491-497.
[5] Cfr. C. COLOMBO, Gli interessi nei contratti bancari, in E. CAPOBIANCO (a cura di), I contratti bancari, Torino, 2016, 522 ss.; e v. anche V. TAVORMINA, Banche e tassi usurari: il diritto rovesciato, in Contratti, 2014, 85 ss.
[6] E non importa (almeno per il momento) stabilire se in adesione o meno alla distinzione (suggerita dalla Banca d'Italia) che abbiamo richiamato nel testo.
[7] Supposto che – come cercheremo di dimostrare – la questione si ponga in termini diversi nelle due categorie di operazioni.
[8] Così C. COLOMBO, Gli interessi nei contratti bancari, cit., 524.
[9] Per la quale v. (implicitamente) A.A. DOLMETTA, L'usura sopravvenuta in Cassazione, in www.cortedicassazione.it, poi pubblicato (con qualche piccola variante) col titolo Al vaglio delle Sezioni unite l'usura sopravvenuta, in www.ilcaso.it, 28 febbraio 2017.
[10] Così C. COLOMBO, Gli interessi nei contratti bancari, cit., 524-25, ed ivi la nt. 242, dove si fa il seguente esempio: « … supponiamo per semplicità di avere un mutuo di durata decennale, dell'importo di € 100.000, al tasso effettivo (tenuto conto cioè del principio dell'interesse composto) del 10% annuo, da restituirsi in dieci rate annuali di € 20.000 ciascuna. Com'è noto, nel piano di ammortamento c.d. alla francese le prime rate sono composte per la maggior parte di interessi. Ebbene gli interessi riferibili al primo anno sarebbero pari a € 10.000, ma la prima rata di 20.000 comprenderà certamente una quota parte di interessi superiore a detto importo». In realtà – se si assumono i “dati” dell'esempio proposto da Colombo (capitale mutuato: 100.000 euro; durata del mutuo: 10 anni; n. rate di rimborso: 10; tasso di interesse: 10% annuo), la somma complessiva che dovrà essere stata restituita alla scadenza del mutuo sarà pari (non a 200.000 euro, come indicato da Colombo, bensì) a € 162.745,39, e l'importo (costante) di ciascuna delle rate annuali di rimborso sarà quindi pari a € 16.274,54. Sul calcolo degli interessi, inoltre, si veda quanto precisiamo subito infra (testo e note).
[11] Il che dipende dal fatto che l'importo della rata deve essere costante.
[12] Per restare all'esempio precedente, il piano di ammortamento del mutuo sarà il seguente:
Anno | Rata | Quota interesse | Quota capitale | Cap. residuo |
-- | -- |
|
| 100.000,00 |
1 | 1 | 10.000,00 | 6.274,54 | 93.725,46 |
2 | 2 | 9.372,55 | 6.901,99 | 86.823,47 |
3 | 3 | 8.682,35 | 7.592,19 | 79.231,27 |
4 | 4 | 7.923,13 | 8.351,41 | 70.879,86 |
5 | 5 | 7.087,99 | 9.186,55 | 61.693,31 |
6 | 6 | 6.169,33 | 10.105,21 | 51.588,10 |
7 | 7 | 5.158,81 | 11.115,73 | 40.472,37 |
8 | 8 | 4.047,24 | 12.227,30 | 28.245,07 |
9 | 9 | 2.824,51 | 13.450,03 | 14.795,04 |
10 | 10 | 1.479,50 | 14.795,04 | 0,00 |
Orbene – come risulta abbastanza chiaramente dalla Tabella sopra riportata, l'ammontare degli interessi che maturano anno per anno è esattamente rapportato al capitale residuo a quella data (e così, gli interessi che maturano al 4° anno, per l'importo di € 7.923,13, sono pari al 10% del capitale residuo, che ammonta a € 79.231,27; gli interessi di € 1.479,50, che maturano nel corso del 10° anno, sono pari al 10% del capitale residuo, che – a quella data – sarà diventato pari a € 14.795,04; e così via).
[13] La controprova di questa affermazione è data dalla considerazione che, se il contratto che stiamo prendendo in esame a titolo esemplificativo dovesse risolversi dopo il primo anno (ad es. perché – dopo aver pagato la prima rata – il mutuatario rimanga inadempiente al pagamento della seconda rata, facendo divenire operativa una clausola risolutiva espressa), il mutuante avrebbe diritto – a quel punto – alla restituzione immediata del “capitale residuo” (che, nel nostro esempio, sarebbe pari a € 93.725,46), oltre a poter trattenere la rata di rimborso già riscossa, comprensiva (oltre che della quota capitale, nella specie pari a € 6.254,74) anche degli interessi maturati nel primo anno sul capitale iniziale di 100.000 euro (e, dunque, pari a € 10.000, che rappresentano esattamente il 10% del capitale iniziale).
[14] O meglio: l'ammontare di essa che, di tempo in tempo, residua, via via che avviene il pagamento delle rate di rimborso del mutuo, secondo il piano di ammortamento concordato.
[15] Ciò significa che, sebbene anche in quest'ultima categoria di finanziamenti sia possibile il ricorso al “tasso fisso”, questa scelta non può (di fatto) compiersi per un orizzonte temporale troppo lungo (proprio perché il finanziatore non dispone di tutti i dati che sarebbero all'uopo necessari). Tant'è vero che – come vedremo – di solito queste operazioni vengono concluse a tempo indeterminato, proprio per consentire lo ius variandi della banca (che altrimenti non sarebbe possibile, ex art. 118 TUB), e dunque l'adattamento del tasso (che è, pertanto – in realtà – “fisso” solo … sino a modifica). Il che vuol dire che, nella sostanza (sebbene non sempre anche formalmente), in questi contatti, il tasso è sempre un tasso variabile, con la precisazione che l'entità della sua variazione e il momento da cui essa opera non sono predeterminati al momento della conclusione del contratto attraverso il riferimento a un criterio di variazione esterno e predeterminato (ad es., l'evoluzione del tasso “euribor a 3 mesi”), ma dipendono dalla scelta della banca sul se e quando esercitare il proprio “ius variandi”, e dal livello al quale essa deciderà di fissare il nuovo tesso di interesse (valevole da quel momento in poi, e sino a nuova modifica).
[16] È il caso di avvertire che, nel prosieguo, espressioni quali: “andamento (o livello) generale dei tassi”, oppure “tassi generali di interesse”, saranno utilizzate per indicare (il livello di) quei particolari tassi di interesse che fungono (solitamente) da “parametri” per valutare il costo del denaro in un dato momento, tanto da essere presi a base per la determinazione dei tassi variabili destinati ad operare nei singoli rapporti contrattuali (si pensi ad un tasso convenzionale legato alla variazione del tasso “euribor a 3 mesi” o alla variazione del tasso “euribor a 6 mesi”; il che vuol dire, in concreto, che il tasso del rapporto si determinerà aggiungendo uno spread – ad es.: 4 o 5 punti in più – rispetto al livello che di tempo in tempo avrà raggiunto il tasso assunto come riferimento).
[17] Il che significa – detto altrimenti – che, se i tassi sono in generale risalita, il mutuante non potrà beneficiare dell'aumento dei tassi, perché dovrà accontentarsi del tasso di interessi (fisso) a suo tempo pattuito (e non potrà – ovviamente – esercitare lo ius variandi, di cui all'art. 118 TUB, trattandosi, in ipotesi, di contratto a tempo determinato); e, reciprocamente, se i tassi scendono, sarà il mutuatario a non beneficiare di tale discesa, perché sarà tenuto comunque a pagare gli interessi secondo il tasso (fisso) concordato con il mutuante all'inizio del rapporto. Beninteso, anche il “tasso variabile” comporta, nel tempo, vantaggi e svantaggi che possono variamente distribuirsi tra le parti, a seconda del livello generale raggiunto dai tassi di interesse al momento della conclusione del contratto (e, dunque, della ragionevole probabilità che essi scendano, se hanno raggiunto un livello relativamente elevato, o, viceversa, che salgano, se il livello di partenza è relativamente basso). Se tale livello è (relativamente) alto, il mutuatario dovrà corrispondere maggiori interessi nell'immediato, ma può coltivare (più o meno ragionevolmente) l'aspettativa di un ribasso dei tassi in un futuro più o meno prossimo; e il contrario potrà dirsi se il livello dei tassi, al momento della conclusione del contratto, risulti (relativamente) basso.
[18] Per rendere concreto il discorso (agganciandolo a dati “reali”), si possono esaminare le serie storiche dei “tassi euribor a 3 mesi” e (in parallelo) dei “tassi fissi (medi)” dei mutui ipotecari in alcuni periodi. Risulta – ad es. – che, nel 2002, a fronte di tassi euribor pari a 3,19 - 3,25 - 3,41- 3,26 (secondo le rilevazioni, rispettivamente, di gennaio, aprile, luglio e ottobre), i tassi medi dei mutui ipotecari (a tasso fisso) erano pari all'inizio di ciascun trimestre a 5,51 - 5,56 - 5,62 - 5,61, con uno spread virtuale medio rispetto al parametro di riferimento (che abbiamo esemplificativamente scelto) pari a 2,32 - 2,31 - 2,21 - 2,35.
[19] E così se, analogamente a quanto fatto nella nota precedente, consideriamo la serie storica dei tassi euribor a 3 mesi succedutisi dal 1° luglio 2012 al 1° aprile 2013 (0,50 - 0,21 - 0,20 - 0,20) e la confrontiamo con i tassi medi dei mutui ipotecari (a tasso fisso) nei periodi corrispondenti (5,51 - 5,34 - 5,43 - 5,42), si può notare che il livello dei tassi fissi medi del periodo considerato è sostanzialmente sovrapponibile a quello dei tassi fissi medi di dieci anni prima (v. la nota precedente), ma in conseguenza di uno spread (virtuale) rispetto al parametro convenzionale di riferimento alquanto più elevato (rispettivamente : 5,01 - 5,13 - 5,23 - 5,22) rispetto a quello registrato nell'esempio illustrato nella nota precedente. Il che vuol dire che le banche hanno reagito al basso livello generale dei tassi di interesse (negli anni 2012-2013) coltivando l'aspettativa di un tendenziale rialzo (destinato, nel tempo, ad assumere una certa consistenza), ed allineando a questa aspettativa il livello (dello spread, e quindi) dei tassi fissi da esse praticati alla clientela nelle operazioni di mutuo ipotecario .
[20] E così, ad es., al 1° gennaio 2002, con un tasso euribor a 3 mesi pari al 3,19, il tasso medio di interesse (fisso) per i mutui ipotecari risultava attestato al 5,51 % (v. la penultima nota), livello non molto lontano da (e anzi persino leggermente inferiore a) quello (5,56%) riscontrabile alla data del 1° gennaio 2005, quando il tasso euribor a 3 mesi era però sceso al 2,15, e non molto lontano neanche dal livello riscontrabile al 1° gennaio 2010 (5,36%) in presenza di un tasso euribor a 3 mesi che era addirittura sceso allo 0,65.
[21] In realtà, essendo il tasso soglia pari al tasso medio aumentato del 25% + 4 punti, la differenza tra il tasso soglia e il tasso medio è superiore a 4 punti. Ad es., osservando la serie storica dei tassi medi e dei corrispondenti tassi soglia rilevati per la categoria di operazioni “mutui a tasso fisso” negli anni dal 2012 in poi (quindi, dopo la modifica introdotta col D.L. n. 0/2011), si constata che lo spread tra tasso medio e tasso soglia si è mantenuto, più o meno costantemente, intorno ai 5 punti percentuali (e, dunque, con tassi “medi” che hanno oscillato tra i 4 e i 5/5,5 punti).
[22] Non potrebbe trattarsi di un comportamento generalizzato, perché in tal caso aumenterebbe (nel trimestre successivo) lo stesso livello “medio” del tasso di interesse.
[23] Ancor più improbabile è – naturalmente – che il superamento della soglia usuraria possa aversi ove operi un tasso di interesse variabile, perché in tal caso il tasso di interesse convenzionale seguirebbe l'andamento generale dei tassi interesse.
[24] Ad es., se nel 2002 una banca avesse tenuto il comportamento che stiamo considerando (praticare tassi di interesse prossimi al tasso-soglia), stipulando poniamo un mutuo ipotecario al tasso fisso dell'8% (con un tasso-soglia che, all'epoca, era pari all'8,415 per tale tipo di operazioni), questo tasso si sarebbe trovato a superare la soglia usuraria già nel trimestre 1° aprile 2003 (tasso-soglia: 7,185), e poi in numerosi (anche se non in tutti i) trimestri successivi. Dopo la modifica introdotta dal d.l. n. 70 del 2011 (con l'aumento, in generale, dello spread tra tassi medi e tassi soglia) il pericolo di “sforamento” del tasso convenzionale (del nostro esempio) rispetto al tasso soglia è – invece – venuto sostanzialmente meno, perché i tassi-soglia si sono stabilmente attestati al di sopra del 9,5% - 10%. In tal modo il problema della c.d. “usurarietà sopravvenuta” (ammesso che si potesse porre) è stato eliminato … alla radice, con il suddetto intervento del legislatore!
[25] Tant'è vero che, se la Banca non abbia ancora esercitato il proprio ius variandi, e quindi sia ancora operante il tasso (“fisso”) stabilito originariamente nel contratto, la circostanza che questo tasso sia, in ipotesi, divenuto superiore al tasso-soglia vigente in uno o più trimestri successivi non comporterà l'invalidità (sopravvenuta) del tasso originario (in altri termini, opererà anche in questo caso la norma di interpretazione autentica di cui all'art. 1 della L. 28-2-2001, n. 24). Ci si può porre la domanda se, in un'ipotesi del genere, la banca sia tenuta a rinegoziare il tasso di interesse (o ad esercitare lo ius variandi unilaterale) al fine di riportarlo entro i limiti della soglia usuraria. Tendenzialmente saremmo propensi – pur con qualche dubbio – a dare alla domanda risposta negativa (ma v. anche la nota seguente).
[26] Detto altrimenti: ogni volta che si fissa (ex novo) un tasso che debba operare tra le parti, questo tasso deve essere conforme al tasso-soglia usurario vigente in quel momento.
Bisogna stare attenti a non confondere questa regola con quella cui si attiene la Banca d'Italia ai fini della determinazione dei “tassi medi” per le operazioni in questione. Nel § 3 dei Chiarimenti (già sopra richiamati: v. retro nt. 4) la Banca d'Italia illustra che nelle operazioni di finanziamento “ad utilizzo flessibile” «sono rilevati i TEG praticati nel trimestre per tutti i conti in essere anche se si tratta di contratti stipulati in precedenza». Questa regola sembrerebbe confermare quanto da noi sostenuto (v. la nota precedente), e cioè che i tassi di interesse pattuiti sono applicabili (e, dunque, sono validi ed efficaci) sino a modifica (attraverso l'esercizio dello ius variandi); altrimenti non si capirebbe perché di essi si debba tener conto nella determinazione del “tasso medio” (e, quindi, del tasso-soglia che dovrà valere nel trimestre successivo). Per la verità, la Banca d'Italia aggiunge anche che, poiché «i TEG applicati … sono sensibili alle variazioni di mercato », essa « ha dato indicazione agli intermediari di condurre una verifica trimestrale sul rispetto delle soglie vigenti in ciascun periodo per tutti i finanziamenti di tale tipo in corso»: formula che sembrerebbe contraddire quanto appena detto, a meno che non la si intenda nel senso di una semplice raccomandazione alle banche di adeguare i TEG applicati alle variazioni di mercato.
[27] Ne abbiamo accennato retro, alla nt. 3.
[28] La tesi in questione ha trovato una compiuta illustrazione, di recente, in G. GUIZZI, Tentazioni pericolose, cit.
[29] Un elemento grandemente rilevante nella fissazione della misura del tasso di interesse (fisso) è quello della durata del finanziamento: un conto è che tale tasso debba applicarsi ad un mutuo triennale, altro conto che esso debba valere per un mutuo decennale (o ventennale).
[30] Nitidissima è, sotto questo profilo, l'affermazione che si legge in ABF, Collegio di coordinamento, dec. 10 gennaio 2014, n. 77 (pres. Marziale, Est. Gambaro), 11: «(…) I finanziamenti a tasso fisso (…) sono contratti in cui il prenditore assume il rischio dei tassi discendenti ed il prestatore assume il rischio dei tassi crescenti. È evidente che applicando il rimedio di cui all'art. 1419 c.c. si frantumerebbe detto equilibrio esponendo il prestatore al rischio di tassi crescenti senza il vantaggio di poter profittare dei tassi decrescenti e con ciò si disincentiverebbe in modo drastico la stipulazione di finanziamenti poliennali a tasso fisso, mentre è noto che i finanziamenti a tasso fisso sono graditi a coloro che dispongono di un reddito fisso, ossia alle categorie sociali più ampie e bisognose di tutela, per l'ovvia ragione che per chi dispone di un reddito fisso, un incremento dei tassi su prestiti poliennali è rovinoso (…)».
[31] V. art. 1, comma 1, d.l. n. 394 del 2000, conv. nella legge 28 febbraio 2001, n. 24 , il cui testo è stato già riprodotto retro , nella nt. 2. Merita di essere ricordato (e lo ricordano – opportunamente – le SS.UU. nella pronuncia in commento), che la Corte costituzionale (con la sentenza n. 29 del 25 febbraio 2002) ha escluso la sospetta illegittimità dell'art. 1, comma 1, d.l. n. 394 del 2000 per violazione degli artt. 3, 24 e 47 Cost.
[32] Cfr., ad es., A.A. DOLMETTA, L'usura sopravvenuta, cit.
[33] Dunque, è l'intera legge ad essere (a detta del legislatore) sottoposta ad interpretazione autentica.
[34] Sottinteso: nell'ipotesi in cui il superamento del tasso-soglia sia avvenuto in corso di rapporto, e senza che ci sia stata alcuna variazione del tasso di interesse convenzionale, originariamente pattuito.
[35] Da ultimo v. Cass. civ. 12 aprile 2017, n. 9405.
[36] Naturalmente, ciò pone la necessità di attribuire all'espressione “farsi dare” (interessi o altri vantaggi usurari) un significato plausibile, che non sia quello supposto dall'opinione qui contestata. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di riferire il “farsi dare” agli “altri vantaggi”, diversi dagli interessi, ritenendo che a questi ultimi si riferisca invece (solamente) la formula “farsi promettere”. Oppure si potrebbe pensare che il legislatore abbia (con l'espressione “farsi dare”) voluto riferirsi ad ipotesi in cui “interessi usurari” sono pretesi (e conseguiti) indipendentemente da una promessa preesistente. Come che sia , non dovrebbe essere impossibile – in via di interpretazione sistematica – dare alla formula che compare nel 1° comma del nuovo art. 644 c.p. un significato che si “concili” con l'interpretazione autentica della l. 108, quale è stata fornita dall'art. 1 della l. n. 24 del 2001.
[37] Ciò emerge chiaramente dal brano della sentenza n. 29 del 2002, cit., laddove la Corte cost. afferma che «(…) restano evidentemente estranei all'ambito di applicazione della norma impugnata gli ulteriori istituti e strumenti di tutela del mutuatario, secondo la generale disciplina codicistica dei rapporti contrattuali». Brano che conferma che gli “ulteriori strumenti di tutela” di cui si parla sono rimedi diversi dal giudizio di “usurarietà” (sia pure sopravvenuta), tant'è che essi sono detti “estranei all'ambito di applicazione” della norma impugnata davanti alla Corte (ossia della norma di interpretazione autentica della legge sull'usura).
[38] Abbiamo visto, del resto, come l'espressione “usurarietà sopravvenuta” risulti impropria (o, comunque, equivoca), anche se riferita ad “operazioni di finanziamento ad utilizzo flessibile” (v. supra), dove pure il fenomeno che stiamo analizzando trova spazio per essere prospettato (purché – però – lo si intenda nella sua esatta portata, che porta a configurare semmai una usurarietà “originaria” dei singoli tassi “variati” dalla banca).
[39] Contrariamente a quel che pensa, ad es., G. PASSAGNOLI, Ancora su regole e principi: l'usurarietà sopravvenuta, in Persona e mercato, 2016, 103 ss., spec. 108 ss., dove si prospetta una impossibilità (giuridica) della prestazione (di pagare gli interessi “divenuti usurari”) per sopravvenuta illiceità della stessa.
[40] Cit. retro, nella nt. 37.
[41] Ma va subito detto che l'emanazione della legge n. 24 del 2001 (di interpretazione autentica della l. n. 108 del 1996) ha sostanzialmente privato di fondamento (ammesso che lo avessero in precedenza: v. anche la nota seguente) le tesi volte ad ipotizzare rimedi in termini di invalidità/nullità (sopravvenuta).
[42] Non analizziamo volutamente i tanti nodi problematici che si devono affrontare e risolvere se ci vuole porre in una tale prospettiva. In generale, bisogna superare il problema (notoriamente complesso) dell'ammissibilità di una nullità sopravvenuta (problema alquanto superficialmente eluso, ad es., da U. MALVAGNA, A Commento Della Comunicazione Banca D'italia, cit.). Ammesso che si ritenga superabile questa prima difficoltà, per chi si ponga nella prospettiva del 1° comma dell'art. 1418 c.c. (v. ad es., per questa tesi, A.A. DOLMETTA, L'usura sopravvenuta, cit., 12, e nt. 18, dove tuttavia si nega che l'ipotesi integri una invalidità “sopravvenuta”) occorre poi individuare la norma imperativa (o il principio di ordine pubblico) la cui violazione possa in ipotesi supportare la nullità “virtuale” (sopravvenuta) della clausola degli interessi (norma imperativa – sia detto per incidens – che non può essere lo stesso art. 644 c.p., visto che la l. n. 24 del 2001 esclude la contrarietà ad esso della c.d. “usura sopravvenuta”); mentre, per chi si ponga nella prospettiva del 2° comma, occorre decidere se la nullità riguardi l'oggetto oppure la causa (in concreto?) del contratto. Tutte soluzioni che – anche solo a prospettarle – evidenziano un elevato tasso di criticità.
[43] È uno degli inconvenienti a cui ci si espone ammettendo una nullità “sopravvenuta”.
[44] Si veda l'esempio che abbiamo fatto retro, nella nt. 24.
[45] Secondo la tesi che vuole che il tasso di interesse divenuto usurario sia (dichiarato nullo e) sostituito dal tasso-soglia. Ma la sostituzione – che di per sé è una sanzione –, diventerebbe a quel punto un premio (perché il mutuante otterrebbe un tasso di interesse addirittura superiore a quello pattuito).
[46] Ciò potrebbe essere rilevante soprattutto con riguardo alla tesi (Dolmetta) che sostiene la sostituzione della clausola degli interessi divenuta nulla (per usurarietà sopravvenuta) con il tasso medio degli interessi (e non con il tasso soglia).
[47] Es.: posto un tasso (fisso) convenzionale del 8,5% (stabilito al momento della conclusione del contratto, dieci anni prima), se il tasso-soglia – in base all'ultima rilevazione trimestrale – è pari all'8,40 % (mentre , in base alla rilevazione precedente, era pari all'8,6 %), si avrebbe la conseguenza che il tasso convenzionale sarebbe divenuto (automaticamente) eccessivamente oneroso solo perché supera dello 0,10 % il tasso soglia, mentre non lo era nel trimestre precedente (nel quale lo scarto – sebbene questa volta in positivo – rispetto al tasso soglia era sempre di appena lo 0,10%).
[48] E riemergerebbero qui le stesse perplessità che si sono sopra evidenziate con riferimento a quella che abbiamo chiamato “nullità intermittente”, perché anche nel caso della “riduzione” della misura degli interessi per eliminarne l'eccessiva onerosità sopravvenuta, occorrerebbe prevedere che la misura della riduzione venga meno ove il tasso soglia risalga sino al punto da sopravanzare nuovamente il tasso convenzionale previsto dalle parti.
[49] Ma si rammentino le avvertenze sopra formulate circa l'improprietà di questa espressione, e il suo carattere per così dire (indebitamente) “suggestivo”.
[50] Basata su un argomento del quale tuttavia – sia detto per incidens – i giudici della Suprema Corte si dimenticano quando (in altre pronunce, e in diversa materia) ammettono la figura del c.d. “contratto valido ma sconveniente”, e ritengono che da esso possa scaturire un obbligo di risarcimento del danno per scorrettezza precontrattuale. Anche in questo caso, infatti, dovrebbe valere l'assunto – contraddetto dalla suddetta teoria del “contratto valido ma sconveniente” – secondo il quale “esercitare una pretesa corrispondente ad un diritto validamente riconosciuto dal contratto” non può essere qualificato come un comportamento al quale ricollegare un obbligo di risarcimento del danno (e cfr. L. ROVELLI, La responsabilita precontrattuale, in M. BESSONE (diretto da) Trattato di diritto privato, XIII, Il contratto in generale, t. 11, Torino, 2000, 201 ss., e spec. 301 ss.; Id., I principi del diritto contrattuale europeo: tendenze e prospettive, in AA.VV., Il codice civile europeo (Materiali raccolti da C. Alpa e E.N. Buccico), Milano, 2001, 99 ss., spec. 116-117; nonché G. D'AMICO, Responsabilità precontrattuale anche in caso di contratto valido ? (L'isola che non c'è), in Giust. civ., 2014, 197 ss., 222.
[51] È interessante sottolineare come le SS.UU. sembrino, con ciò, escludere che ricorra – nel caso di pretesa di interessi (convenzionali) il cui tasso abbia superato nel corso del rapporto il tasso-soglia definito trimestralmente – un'ipotesi di abuso del diritto, mentre – per converso – sarebbe concepibile una (possibile) violazione della buona fede.
Ciò ci sembra muoversi (condivisibilmente, dal nostro punto di vista) nella direzione di una differenziazione del modo di operare delle due nozioni (laddove invece, capita spesso che l'abuso venga identificato tout court con la violazione della buona fede nell'esercizio del diritto), secondo una prospettiva che avevamo tentato di delineare in un precedente scritto (cfr. G. D'AMICO, Recesso ad nutum, buona fede e abuso del diritto, in Contratti, 2010, 5 ss.).
[52] Sul punto cfr., soprattutto, S. PAGLIANTINI, L'usurarietà sopravvenuta, cit., passim.
[53] In sostanza richiedendo un finanziamento – a condizioni più favorevoli – ad un'altra banca, che proceda all'estinzione del mutuo originario, “surrogandosi” poi, alle nuove condizioni, nella posizione di creditore del mutuatario.
[54] Soluzione che, probabilmente, deve considerarsi definitiva.