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Soggetti e nuove tecnologie 22.12.2021

Libertà di informazione e deindexing nel caso Biancardi c. Italia

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Non viola l'art. 10 CEDU la pronuncia resa dall'autorità giudiziaria italiana, che ha considerato il ricorrente, editore di un giornale online, responsabile per aver violato il diritto vantato da V.X. alla tutela della sua reputazione in quanto ha consentito la permanenza su internet dell'articolo impugnato che lo riguarda per un considerevole lasso di tempo, non procedendo alla sua deindicizzazione tempestiva.


In senso conforme

Corte EDU, sez. V 19 ottobre 2017, n. 71233/2013, Fuchsmann c. Germania
Corte EDU, sez. V, 28 giugno 2018, n. 60798/10 e 65599/10, M.L. e W.W. c. Germania
Corte giust. UE, 13 maggio 2014, C-131/12, Google Spain SL, Google Inc. c. Agenzia spagnola della protezione dei dati, Mario Co
Corte giust. UE, 24 settembre 2019, C-507/17, GC e a. c. Commissione nazionale dell'informatica e delle libertà (CNIL)
Cass. civ., sez. I, 24 giugno 2016, n. 1316
Cass. civ., sez. I, 6 dicembre 2017, n. 6919
Cass. civ., sez. I, 26 febbraio 2021, n. 15160


In senso difforme

Corte EDU, sez. III, 22 giugno 2021, n. 57292/2016, Hurbain c. Belgio

IL CASO - Il diritto all'oblio – definito come l'interesse vantato dal singolo a non vedere la propria identità personale perennemente connessa al contenuto di un articolo che lo riguarda pubblicato legittimamente in passato – rappresenta un tema di grande attualità, rispetto al quale si è formato un notevole fermento giurisprudenziale. Ciò da ultimo emerge dalla sentenza della Corte EDU pronunciata rispetto al caso Biancardi c. Italia il 25 novembre 2021, a poco più di un mese di distanza dalla notizia dell'avvenuta rimessione alla Grande Chambre della pronuncia resa dalla sezione semplice della stessa Corte EDU rispetto al caso Hurbain c. Belgio, commentata in questa rivista (v. Rinviato alla Grande Camera della CEDU un rilevante caso in tema di tutela del diritto all'oblio in ambito di contenuti ricercabili su Internet (caso Hurbain c. Belgio), 29 novembre 2021).

Nella sentenza Biancardi la Corte EDU ha affermato che non viola l'art. 10 CEDU la pronuncia resa dall'autorità giudiziaria italiana, che ha considerato il ricorrente, editore di un giornale online, responsabile per aver violato il diritto vantato da V.X. alla tutela della sua reputazione in quanto ha consentito la permanenza su internet dell'articolo impugnato che lo riguarda per un considerevole lasso di tempo, non procedendo alla sua deindicizzazione tempestiva. La condanna che da ciò è conseguita, consistita segnatamente nel risarcimento del danno non patrimoniale liquidato in 5000 euro per ciascun soggetto leso, pertanto rappresenta secondo la Corte di Strasburgo una giustificabile restrizione della sua libertà di espressione.

Anche in questo caso si pone per l'interprete l'esigenza di rinvenire il punto di equilibrio tra due esigenze contrastanti: la libertà di espressione (e il diritto di cronaca connesso) da un lato, il diritto alla riservatezza (e all'identità personale) dall'altro.

Tali opposte esigenze, inoltre, devono essere contestualizzate nel mondo, qual è quello attuale, digitale, paperless, che consente la diffusione capillare in rete di informazioni riguardanti la generalità dei consociati, con effetti positivi e negativi: se da un lato l'attività di ricerca e di informazione è oltremodo agevolata, non essendo più necessario recarsi materialmente nelle biblioteche, perennemente disponibili per gli utenti in rete, dall'altro proprio per tale ragione è necessario tutelare l'identità personale dell'individuo e la sua riservatezza dalla diffusione capillare – e tendenzialmente permanentemente accessibile - di informazioni che lo riguardano.

L'interprete, nel bilanciare tali interessi, deve considerare il reticolo di norme predisposto dal legislatore in materia, oltre che le peculiarità del caso concreto.

In questa prospettiva, a livello nazionale il riferimento principale è rappresentato dal Codice della privacy (d.lgs. n. 196 del 2003) e in particolare dagli artt. 7 (che prevede la possibilità di ottenere la cancellazione dei dati trattati in violazione di legge), 11 (secondo il quale il trattamento dei dati non può avvenire per un periodo di tempo superiore a quello necessario allo scopo per cui i dati sono stati raccolti e trattati), 15 (a norma del quale chi cagiona ad altri un danno in conseguenza dell'illecito trattamento dei dati personali è tenuto a corrispondergli un congruo risarcimento), 25 (che prevede il divieto di diffondere i dati dopo il decorso del lasso temporale indicato dall'art. 11). A livello europeo, è necessario menzionare gli artt. 8, 10 CEDU (che sanciscono rispettivamente il diritto al rispetto della vita privata e familiare); l'art. 16 TFUE (che prevede il diritto del singolo alla tutela dei dati personali che lo riguardano); il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati Personali (RGPD, Regolamento UE 2016/679).

La pronuncia in esame, emessa dalla CEDU come detto a breve distanza dalla sentenza Hurbain poi oggetto di rimessione alla Grande Camera, si discosta significativamente dalla sentenza Hurbain, in quanto – a differenza di quest'ultima - non fa riferimento alcuno all'anonimizzazione, che comporta la permanente sostituzione delle generalità del soggetto coinvolto dall'articolo pubblicato con una X, con conseguenze negative per libertà di informazione e per il diritto di cronaca che dalla stessa discende.

È la deindicizzazione, piuttosto, che è – più o meno esplicitamente - ritenuta lo strumento più idoneo al bilanciamento delle opposte esigenze summenzionate, in quanto consente il mantenimento online dell'intera notizia, che però diviene, anche progressivamente nel tempo, più difficile da rinvenire per l'utente di rete, non comparendo (o comparendo più difficilmente) tra i risultati forniti dal motore di ricerca utilizzato.

Alla stessa, inoltre, si affianca lo strumento risarcitorio che, al fine di tutelare il diritto alla riservatezza e all'identità personale, trova applicazione nei casi in cui la deindicizzazione non sia stata eseguita tempestivamente dal gestore del motore di ricerca, dall'editore o dal proprietario del giornale online.

LE QUESTIONI GIURIDICHE E LA SOLUZIONE – Ciò posto, possono essere esaminati i fatti dai quali ha avuto origine la sentenza in esame.

Il 29 marzo 2008 su un giornale online di cui il ricorrente è editore veniva pubblicato un articolo riguardante una rissa verificatasi in un ristorante tra soggetti privati. Tale articolo, in particolare, riferiva che, in conseguenza della rissa, era stata disposta la chiusura del ristorante per venti giorni, citava i nomi delle persone coinvolte nella rissa e il possibile motivo da cui la stessa ha avuto scaturigine. Specificava, infine, che per U.X. e A.X. erano stati disposti gli arresti domiciliari, che B.X. era stato portato in una struttura detentiva e che il provvedimento con cui si disponevano gli arresti domiciliari per V.X. era stato revocato.

Il 6 settembre 2010 V.X. e il ristorante W richiedevano infruttuosamente al ricorrente, a mezzo di una diffida stragiudiziale, la rimozione dell'articolo da Internet.

 

La soluzione adottata dall'autorità giudiziaria italiana. Il 26 ottobre 2010 V.X e W agivano in giudizio nei confronti del ricorrente e di Google Italy s.r.l. Questa seconda convenuta veniva successivamente estromessa dal processo.

Il 16 gennaio 2013la Corte d'Appello di Chieti ha affermato che l'editore del giornale online aveva violato il diritto dei ricorrenti alla tutela della loro reputazione, in quanto aveva consentito il mantenimento dell'articolo in questione, nonostante la richiesta di deindicizzazione fatta pervenire dai ricorrenti, rendendone così agevole il rinvenimento per qualsiasi utente che avesse digitato sul motore di ricerca Google le generalità dei ricorrenti o del nome del ristorante. Su queste basi ha condannato l'editore al risarcimento del danno non patrimoniale individuato nella somma di 5000 euro per ciascun ricorrente in via equitativa, trattandosi di risarcire un danno non patrimoniale caratterizzato dalla lesione di interessi della persona costituzionalmente rilevanti.

L'editore del giornale online proponeva ricorso in Cassazione, che tuttavia con sentenza n. 13161 del 24 giugno 2016 ha confermato la decisione assunta dalla Corte d'Appello di Chieti. In questa circostanza, in particolare, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l'illecito trattamento dei dati personali è consistito non tanto nel contenuto dell'articolo pubblicato, quanto nel mantenimento online dell'articolo stesso anche successivamente alla ricezione della diffida. L'articolo in questione, pertanto, poteva essere rinvenuto da qualsiasi utente mediante l'inserimento sul motore di ricerca Google delle generalità dei corrissanti o del nome del ristorante, con una semplicità di consultazione, quindi, potenzialmente molto superiore a quella di un quotidiano cartaceo.

La Corte di Cassazione, pertanto, ha ritenuto il diritto di cronaca vantato dall'editore del quotidiano online sufficientemente tutelato dalla pubblicazione dell'articolo fino al ricevimento della diffida, ma recessivo rispetto al diritto alla riservatezza vantato dai ricorrenti per il lasso temporale successivo a quest'ultima. Da ciò è conseguita la condanna al risarcimento del danno subito dai ricorrenti, liquidato in via equitativa.

 

La pronuncia resa dalla Corte EDU il 25 novembre 2021. L'editore del giornale online, a questo punto, previo esaurimento dei ricorsi interni si è rivolto alla Corte EDU, secondo la quale non viola l'art. 10 CEDU la pronuncia resa dall'autorità giudiziaria italiana, che ha considerato il ricorrente, editore di un giornale online, responsabile per aver violato il diritto vantato da V.X. alla tutela della sua reputazione in quanto ha consentito la permanenza su internet dell'articolo impugnato che lo riguarda per un considerevole lasso di tempo, non procedendo alla sua deindicizzazione tempestiva.

La Corte di Strasburgo, in particolare, ha evidenziato che il caso in esame risulta caratterizzato da due elementi peculiari, che sono stati presi in considerazione nel bilanciamento delle opposte esigenze: il lasso di tempo trascorso rispetto alla richiesta di deindicizzazione e la natura privata dei soggetti coinvolti.

Al fine di individuare la soluzione per il caso de quo, pertanto, è necessario capire quanto tempo l'articolo è stato mantenuto su internet dalla richiesta di deindicizzazione e quanto è stato semplice accedervi, tenendo presente che la deindicizzazione può essere eseguita non solo da un motore di ricerca, ma anche dall'editore di un giornale, da un giornalista o da un proprietario di un sito web di un giornale online. In questa prospettiva, la Corte EDU ha ritenuto apprezzabile il lasso di tempo trascorso dalla richiesta di deindicizzazione al momento in cui la stessa è stata effettivamente eseguita (otto mesi) e ha evidenziato che durante questo periodo di tempo l'articolo in questione era facilmente rinvenibile e consultabile mediante il semplice inserimento delle generalità dei partecipanti alla rissa o del nome del ristorante in cui questa è avvenuta.

La sentenza Biancardi, inoltre, ribadisce gli elementi che l'interprete deve considerare nel bilanciamento tra la libertà di espressione e il diritto alla reputazione, già individuati dalla Corte EDU nella pronuncia del 19 ottobre 2017 resa in merito al caso Fuchsmann c. Germania. Tra questi si annoverano:

  1. il contributo fornito dalla notizia al dibattito di interesse pubblico;
  2. il grado di notorietà del soggetto coinvolto e l'oggetto dell'articolo in questione;
  3. il comportamento assunto dal soggetto coinvolto nei confronti dei mass media;
  4. le modalità utilizzate per ottenere le informazioni in questione e la veridicità di queste ultime;
  5. il contenuto, la forma e le conseguenze della pubblicazione in questione;
  6. la severità della sanzione imposta al ricorrente.

Se in assenza di tali presupposti viene ugualmente pubblicata una notizia riguardante un determinato soggetto a distanza di tempo da quando i fatti si sono verificati, si considera leso il diritto all'oblio.

Nel caso Biancardi, avendo i soggetti coinvolti natura privata, è necessario tutelare la loro reputazione dall'illecito trattamento di dati sensibili mediante la deindicizzazione tempestiva, e - non essendo stata garantita quest'ultima - è stato ritenuto opportuno garantire loro quale tantundem un congruo risarcimento del danno.

 

OSSERVAZIONI - Dall'analisi della pronuncia in oggetto si evince che l'interprete è tenuto a soppesare le opposte istanze rappresentate dalla libertà di informazione e dal diritto all'oblio nell'epoca digitale secondo il cd. criterio di “gerarchia mobile” (Cass., 5 agosto 2010, n. 18279), al fine di individuare di volta in volta il punto di equilibrio tra le stesse, considerando gli indici individuati dalla Corte EDU e discostandosi da questi solo fornendo una congrua motivazione.

La giurisprudenza di legittimità italiana – la cui bontà di approccio già nel 2016 ha formato oggetto di approvazione a Strasburgo - ha fatto applicazione di tali principi nella sentenza n. 6919/2018, seppur fuori dal contesto della pubblicazione di informazioni online. In questa occasione, in particolare, la Cassazione ha rilevato che la messa in onda a distanza di diversi anni di un servizio televisivo riguardante un personaggio pubblico che si rifiutava, all'uscita di un ristorante, di concedere un'intervista, non era espressione dell'interesse della collettività a conoscere la notizia, né del diritto di satira (corollario della libertà di informazione), in quanto funzionale alla mera denigrazione dell'artista, ritratto come un uomo dal carattere difficile e oramai al termine della propria carriera. Sono evidenti, dunque, i parallelismi.

Nel caso in cui l'interprete ritenga prevalente il diritto alla riservatezza e quindi il diritto dell'individuo all'oblio, per assicurarne la sua tutela in concreto, lo strumento più efficace sembra essere rappresentato proprio dalla deindicizzazione. Questa, come visto, consente il mantenimento online dell'intera notizia, rendendone al contempo più difficile il suo rinvenimento, giacché in seguito all'inserimento su un motore di ricerca una parola chiave non emergono i risultati derivanti dai vari “siti sorgente”.

Questa soluzione è stata recepita recentemente dalla giurisprudenza di legittimità con la interessantissima sentenza n. 15160/2021, in quanto consente di bilanciare “il diritto ex art. 21 Cost. della collettività ad essere informata e a conservare memoria del fatto storico, con quello del titolare dei dati personali archiviati a non subire una indebita compressione della propria immagine sociale”. Anche tale sentenza, dunque, è pienamente in linea con le tendenze internazionali ed europee, espresse – come noto – soprattutto nella giurisprudenza Google Spain della Corte di Lussemburgo (ciò su cui sia consentito rinviare alla nota a Hurbain c. Belgio, in questa riv. ).

Va nuovamente ribadito che, nelle ipotesi in cui la deindicizzazione non sia eseguita tempestivamente dal soggetto a ciò legittimato, che non è soltanto il gestore del motore, ma anche e soprattutto il responsabile della pubblicazione, infine, subentra la tutela risarcitoria.

In questo modo l'interprete può rinvenire, di volta in volta, alla luce delle peculiarità del caso concreto, il punto di equilibrio tra le opposte esigenze in campo in base alla cd. gerarchia mobile, più volte richiamata dalla giurisprudenza di legittimità e recepita anche dalla Corte di Strasburgo.

Resta da vedere, in relazione alla pendenza dinanzi alla Grande Camera del caso Hurbain c. Belgio, se la massima istanza della CEDU si allineerà alla pronuncia Biancardi o se, non essendo quest'ultima definitiva, non sia anch'essa destinata nei prossimi mesi ad essere riesaminata in Grande Camera.

 

 

RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI E BIBLIOGRAFICI – Oltre alla pronuncia in commento, nella recente giurisprudenza sovranazionale devono segnalarsi: Cass. civ, sez. III, n. 3679 del 1998; Corte EDU, sez. V 19 ottobre 2017, n. 71233/2013, Fuchsmann c. Germania; Corte EDU, sez. V, 28 giugno 2018, n. 60798/10 e 65599/10, M.L. e W.W. c. Germania; Corte giust. UE, 13 maggio 2014,C-131/12Google Spain SL, Google Inc. c. Agenzia spagnola della protezione dei dati, Mario Costeja González; Corte giust. UE, 24 settembre 2019,C-507/17, GC e a. c. Commissione nazionale dell'informatica e delle libertà (CNIL). Nella giurisprudenza di legittimità si segnalano: C Cass. civ., sez. I, 6 dicembre 2017, n. 6919; Cass. civ., sez. I, 26 febbraio 2021, n. 15160.

In dottrina, si v. per tutti, K. KOWALIK-BAŃCZYK-O. POLLICINO, Migration of European Judicial Ideas Concerning Jurisdiction Over Google on Withdrawal of Information, in www.cambridge.org; T. MADIEGA-A.M. NICHOLS, EU right to be forgotten, in www.epthinktank.eu; J. KOKOTT-C. SOBOTTA, The distinction between privacy and data protection in the jurisprudence of the CJEU and the ECtHR, in International Data Privacy Law, ottobre 2013; S. MARTINELLI, Diritto all'oblio e motori di ricerca – memoria e privacy nell'era digitale, Milano, Giuffrè, 2017; A.R. POPOLI, Il diritto all'oblio approda alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo: ma non viene menzionato, in questa Riv., 05.03.2015; F. DEGL'INNOCENTI, Diritto all'oblio e decorso del tempo come fattore per misurare l'attualità della notizia, in Giustiziacivile.com, 9 dicembre 2016; F. VITELLI, Il diritto all'oblio e i suoi limiti applicativi anche alla luce del Regolamento UE 2016/679, in Giustiziacivile.com., 19 novembre 2019; A. SATARIANO-E. BUBOLA, One Brother Stabbed the other. The journalist who wrote about it paid a price, in www.nytimes.com, 23 settembre 2019; H. TOMLINSON QC, Case Law, Strasbourg: Biancardi v. Italy, Newspaper right to be forgotten order did not breach Article 10, www.inforrm.org, 2 dicembre 2021.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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