Non sussiste alcuna preclusione a che la convenzione parasociale venga sottoscritta oltre che dai soci anche da terzi semprechè l'oggetto del patto sia l'assunzione di obbligazioni in relazione all'esercizio dei diritti sociali all'interno della società. Nessuna norma quindi preclude ad un terzo di prendere parte al patto parasociale, non essendo previste limitazioni soggettive, atteso che l'intesa deve vertere sostanzialmente sull'esplicazione dei diritti sociali all'interno della compagine societaria interessata.
Il patto parasociale stipulato dal socio di maggioranza di una società non ha efficacia nei confronti di quest'ultima, non potendosi ritenere che l'azionista di maggioranza possa impegnare la società in sostituzione del suo organo gestorio, salvo la prova che quest'ultimo abbia agito come un amministratore di fatto o la prova che il contratto sia stato concluso per comportamento concludente.
Nessun precetto prevede che la volontà assembleare si formi soltanto nel consesso assembleare poiché sono inderogabili le regole formali del procedimento assembleare (convocazione, votazione, verbalizzazione, etc) ma non quelle relative alle modalità di formazione della volontà dei soci, semprechè non si configuri un conflitto con l'interesse sociale. Pertanto, sono valide le clausole del patto parasociale che dettano i criteri di nomina degli amministratori o prevedono che il voto dell'amministratore delegato sia neutro rispetto alle maggioranze di approvazione poiché non contrastano con alcuna norma imperativa. È, invece, affetta da nullità parziale la clausola del patto parasociale che prevede un quorum di approvazione del 70% per ogni tipo di delibera assembleare per violazione dell'art. 2369, comma 4, c.c., che esclude che l'innalzamento del quorum possa essere previsto per le delibere di approvazione del bilancio e per la nomina e revoca delle cariche sociali.