Nel corso di pochi mesi, il legislatore ha dapprima introdotto una disciplina per le “società sportive dilettantistiche lucrative” (S.s.d.l.), con la Legge di Bilancio 2018 (L. 27 dicembre 2017, n. 205) - di cui si è data notizia in questa Rivista in un precedente editoriale (Novità nell'organizzazione e gestione di attività sportive: le società sportive dilettantistiche lucrative, del 7 maggio 2018) - per poi, però, abrogarla, con il c.d. Decreto Dignità (D.L. 12 luglio 2018 n.87, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2018 n.96). Oltre al repentino cambio di direzione del legislatore, sicuramente dipeso dal mutato scenario politico a seguito delle recenti elezioni, vi è da chiedersi quali siano le ragioni che hanno spinto a precludere di nuovo il lucro soggettivo nel campo dello sport dilettantistico. In base alla disciplina nuovamente in vigore in Italia, infatti, a tutte le imprese sportive dilettantistiche, diversamente da quelle che operano nel campo dello sport professionistico, è vietato, per ottenere il riconoscimento da parte del C.O.N.I., il fine di lucro: nello statuto deve essere espressamente previsto, tra l'altro, che «i proventi delle attività non possono, in nessun caso, essere divisi fra gli associati, anche in forme indirette» (art. 90, comma 17, L. 27 dicembre 2002, n. 289).