Juzgado de Primera Instancia nº 11 de Oviedo, 20 gennaio 2022
Nelle controversie aventi ad oggetto il collocamento di un animale di compagnia, deve essere attribuita valenza prioritaria al suo benessere, in quanto essere senziente, e ciò a prescindere dal titolo di proprietà formale: in particolare, in presenza di un protratto e pregresso rapporto di convivenza con una persona (anche se solo possessore) vanno evitati provvedimenti che possono provocare un cambiamento di ambiente e nucleo familiare idonei a provocare all'animale sofferenze evitabili (art. 333-bis Codice civile spagnolo, introdotto dalla legge 17/2021).
IL CASO - Nel 2018, O., cittadina marocchina che vive a Oviedo, si accorda con A., cittadino spagnolo, per occuparsi del cane di quest'ultimo, di nome “Tuco”, per il periodo in cui il proprietario si troverà fuori dalla Spagna per motivi di studio/lavoro. L'effettivo proprietario si disinteressa completamento dell'animale per poi, all'improvviso, tornare a reclamarlo nel 2020, a distanza di oltre due anni. O. si oppone alla restituzione dell'animale: con Tuco si è creato un legame stabile, protratto nel tempo, rappresentato da abitudini di vita insieme. Tuco, per O., è un “compagno insostituibile e parte del suo nucleo familiare” ed O. per Tuco, è una “famiglia”. Richiesto di far restituire il cane al proprietario, il giudice civile spagnolo reputa che nella specie debba applicarsi la nuova legge spagnola sulla tutela degli animali e, pertanto, con misura provvisoria, Tuco viene collocato alle cure di O. atteso che «un cambiamento di ambiente e nucleo familiare potrebbe provocargli sofferenze evitabili». O. e Tuco potranno quindi continuare a vivere insieme fino a quando non ci sarà una sentenza definitiva sul caso.
LE QUESTIONI GIURIDICHE E LA SOLUZIONE – Si discute sulla qualificazione giuridica dell'animale da compagnia in termine di “essere senziente” e non “cosa mobile” ai fini di riconoscergli una forma di tutela specifica, diversa da quella meramente connessa alla disciplina della proprietà.
Per inquadrare in modo corretto la questione giuridica che si affronta è opportuna una premessa sul quadro giuridico italiano e la sua evoluzione.
L'animale d'affezione è un animale con il quale gli esseri umani convivono per compagnia (nel linguaggio inglese di uso comune: «pet animal»). È, tuttavia, possibile rilevarne una definizione giuridica puntuale nell'accordo annesso al d.P.C.M. 28 febbraio 2003 (“Recepimento dell'accordo recante disposizioni in materia di benessere degli animali da compagnia e pet-therapy”): per «animale da compagnia» si fa riferimento ad “ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto, dall'uomo, per compagnia o affezione senza fini produttivi od alimentari, compresi quelli che svolgono attività utili all'uomo, come il cane per disabili, gli animali da pet-therapy, da riabilitazione, e impiegati nella pubblicità” (n.b. gli animali selvatici non sono considerati animali da compagnia). Un'altra definizione – penetrata nell'ordinamento italiano per intervenuta ratifica della relativa Convenzione – è quella contenuta nell'art. 1, comma 1, della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia (Strasburgo, 1987): “Per animale da compagnia si intende ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto dall'uomo, in particolare presso il suo alloggio domestico, per suo diletto e compagnia”. La Convenzione è stata ratificata dall'Italia con la l. 4 novembre 2010, n. 201.
Nella codificazione civile italiana, tuttavia, non sussiste una norma che offra una qualificazione giuridica specifica per l'animale di compagnia che, dunque, soggiace alla disciplina delle cose. L'animale, insomma, anche quello d'affezione, è una “cosa”, in particolare una “cosa mobile” (art. 812 c.c.). Ne consegue che, come tale, è disciplinato nei vari settori del diritto. Ad esempio:
- nell'ambito dei rapporti commerciali, è un bene di consumo (Cass. civ., sentenza 25 settembre 2018, n. 22728; ma v. anche Cass. civ. n. 17930 del 2020);
- in tema di furto, rientra tra le cose mobili su cui può cadere la condotta appropriativa (Cass. pen., sentenza 1° luglio 2019, n. 40438).
Questa costruzione giuridica è, però, sottoposta da tempo a critiche con specifico riferimento all'animale da compagnia. Nei più recenti interventi del Legislatore nazionale si rinvengono importanti tasselli che tracciano un percorso normativo volto ad assegnare uno status diverso agli animali di compagnia, rispetto alla mera qualificazione giuridica in termini di cose. Sicuramente di rilevanza è il nuovo art. 1138, quarto comma, c.c., aggiunto dall'art. 16, comma 1, lett. b), della legge 11 dicembre 2012 n. 220: “Le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici” anche se esso, nella giustificazione formale, richiama riferimenti di giurisprudenza che traggono linfa dall'aspetto dello statuto della proprietà piuttosto che dalla valorizzazione dell'animale in quando tale (v. Cass. civ. n. 3705 del 2011). Molto importante è il nuovo comma 6-bis) in seno all'art. 514 del Codice di procedura civile, inserito dall'art. 77, comma 1, l. 28 dicembre 2015, n. 221: sono “assolutamente impignorabili” “gli animali di affezione o da compagnia tenuti presso la casa del debitore o negli altri luoghi a lui appartenenti, senza fini produttivi, alimentari o commerciali”. Di estrema rilevanza è anche la legge n. 189 del 2004 che ha introdotto, nel Codice penale, la sezione dei delitti contro il sentimento per gli animali (artt. 544-bis e ss. c.p.), in tempi recenti modificata dalla l.n. 201 del 2010. Questa novella della codificazione penale è molto importante proprio dal punto di vista della qualificazione giuridica: l'opinione della dottrina classica è, infatti, nel senso che solo gli interessi a copertura costituzionale giustifichino la tutela penale (quale extrema ratio) e, nel caso di specie, proprio a tutela del “sentimento per gli animali”, il Legislatore, nel 2004, ha introdotto i delitti di cui agli artt. 544-bis – 544-sexies c.p., così dovendosi ritenere che, in base all'evoluzione della coscienza sociale e dei costumi, il sentimento per gli animali costituisca, oramai, un interesse di tale rango. Pare di contrario avviso l'indirizzo espresso dalle Sezioni Unite nella celebre decisione sul danno non patrimoniale – Cass., SS.UU., sentenza 11 novembre 2008, n. 26972 – dove è stata espressa opinione differente, avendo il Collegio escluso la risarcibilità ex art. 2059 c.c. in caso di morte dell'animale da compagnia; si tratta, però, di una sentenza anteriore all'entrata in vigore delle norme sulla Convenzione di Strasburgo ove sono presenti importanti indici, peraltro a caratura internazionale, circa il valore dell'animale. In particolare: l'animale da compagnia, per il suo rapporto con l'uomo, è qualificato come “creatura vivente” («living creature»); è espressamente riconosciuta “l'importanza degli animali da compagnia per il contributo che essi forniscono alla qualità della vita e dunque il loro valore per la società”; è eletto a “principio fondamentale per il benessere degli animali” il fatto che nessuno causi “dolori, sofferenze o angosce ad un animale da compagnia”. Un ulteriore parametro utile per osservare il tema in esame proviene dall'ordinamento europeo e, in particolare, dal Regolamento CE n. 576/2013 sui movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia che, tra le sue giustificazioni, include espressamente quella di “proteggere la salute degli animali da compagnia” (v. Considerando n. 15). Si tratta di uno strumento unionale che introduce un “passaporto europeo per animali da compagnia” puntando l'attenzione, così, a livello europeo, sull'importanza di favorire la circolazione dei cittadini UE con i propri animali d'affezione.
Nel mutato quadro dei principi nazionali, europei ed internazionali, la prima a reagire alla costruzione ordinaria è stata la giurisprudenza di merito, nonostante l'impostazione granitica della Corte di cassazione. I tribunali, infatti, hanno man mano ritagliato un ventaglio di regole diverse per il “sentimento per gli animali” soprattutto là dove collegato alla realizzazione della persona o aspetti fondamentali della sua vita quotidiana (salute, famiglia, in primis). Un primo precedente che ha animato la dottrina è quello che ha stabilito un vero e proprio diritto soggettivo all'animale da compagnia, riconoscendo così diritti d'azione a sua tutela (Trib. Varese, decreto 7 dicembre 2011). Nel caso di specie, il giudice tutelare ha ritenuto di potere compilare un decreto di amministrazione di sostegno includendo specifiche mansioni per l'amministratore dirette a garantire rapporti periodici tra la beneficiaria e il suo animale di compagnia “rimasto (in assenza anche di parenti) unico ricordo delle vita quotidiana persa a causa della patologia”; in particolare, ha autorizzato la nomina di un ausiliario ad hoc per occuparsi “dei bisogni materiali e del cane della beneficiaria, portandolo presso la stessa con cadenza periodica e secondo le sue volontà”. La dottrina ha criticato questa posizione giurisprudenziale ritenendo che i punti presi di mira dal giudice tutelare ben potessero essere tutelati nel contesto della cura patrimonii, rientrando il “cane” nel patrimonio della beneficiaria. Ma è proprio in ciò la “spinta” interpretativa innovativa che volge, al contrario, lo sguardo alla diversa ottica della cura personae non considerando l'animale di compagnia un “bene” simile agli altri racchiusi nel patrimonio della persona beneficiaria dell'amministrazione di sostegno.
Un altro “territorio” di oscillazioni giurisprudenziali è stato ed è quello del diritto di famiglia italiano ed europeo, dove attorno all'animale di compagnia, si sono verificati veri e propri movimenti tellurici, scosse dirette a mutare gli assetti classici per offrire risposte giurisprudenziali maggiormente protettive del legame sussistente tra animale d'affezione e membri della compagine familiare. Il punto critico sempre di maggiore emersione nelle aule giudiziarie è quello riguardante le sorti dei rapporti tra animale di compagnia e membri della famiglia, nell'ipotesi in cui si verifichi una dissoluzione del vincolo familiare (matrimonio, unione civile, convivenza di fatto). Questa ipotesi non è affatto una speculazione astratta atteso che, secondo i dati statistici, circa il 40% degli italiani ha almeno un animale domestico (v. rapporto Eurispes 2020). Orbene, la separazione dei coniugi (ma, in generale, ogni dissoluzione della famiglia) mette marito e moglie (ma, in generale, i partner) di fronte all'esigenza di continuare il loro legame con l'animale di compagnia che è una “parte della famiglia” e ha instaurato con ognuno di loro rapporti d'affezione; la situazione è ancor più delicata dove vi siano “bambini”. Le persone di minore età, infatti, ramificano veri e propri legami significativi con l'animale, talvolta finanche a scopo terapeutico. In mancanza di soluzione pacifica per la separazione, possono, quindi, sorgere conflitti relativi anche agli animali di compagnia e, in particolare, al loro luogo di prevalente collocamento ed eventualmente ai tempi di permanenza dell'animal pet presso l'uno o l'altro partner e, correlativamente, i figli. Al riguardo, è necessario distinguere due ipotesi: il caso in cui la questione relativa all'animale di compagnia sorga nel contesto generale della lite familiare (ad es. causa di separazione) e il caso in cui sorga come fine a sé stessa (causa diretta esclusivamente a regolare la questione dei rapporti tra animale e partner).
Il secondo caso è quello che, attualmente, sconta maggiormente l'assenza del Legislatore. Infatti, da un punto di vista processuale, manca uno specifico diritto d'azione che consenta di instaurare una controversia per regolare – ad esempio – i tempi di frequentazione tra animale di compagnia e partner estromesso. Ipotizziamo una separazione di due conviventi, senza figli, dove uno solo di essi sia titolare formale dell'animale d'affezione (proprietario intestatario come risultante dall'iscrizione all'anagrafe canina o dal contratto di cessione): in un caso del genere, la lite si risolve, di fatto, in una controversia sulla “proprietà” della cosa mobile. I tentativi di azionare soluzioni diverse non hanno incontrato il favore dei giudici di merito. Ad esempio, in un caso esattamente del genere, il tribunale di Milano ha concluso per l'inammissibilità della domanda. L'ufficio meneghino ha premesso che l'animale di compagnia va riconosciuto come “essere senziente” e deve anche riconoscersi un vero e proprio “diritto soggettivo all'animale di compagnia”; tuttavia, a parere del tribunale, ciò non giustifica, «fuori da una cornice disegnata dal Legislatore, l'istituzione di “diritti d'azione” inediti, non sorretti da una specifica previsione normativa. Inoltre, la premessa sopra ricordata (che esiste un diritto all'animale da compagnia) non rende per ciò solo possibile giungere, in diritto, ad equiparare i figli minori agli animali da compagnia posto che i primi solo (e non i secondi) sono persone fisiche sia nella trama codicistica di diritto interno che nella legislazione sovranazionale. Conseguentemente, non è ammissibile una domanda ex artt. 316 comma IV, 337-bis c.c. in assenza di figli. Il titolare del diritto soggettivo all'animale di compagnia non resta sfornito di protezione giuridica potendo attingere al bacino delle azioni previste a tutela della proprietà» (Trib. Milano, sez. IX civ., decreto 24 febbraio 2015, Pres. Servetti). Questo status quo all'evidenza recide, in modo irrimediabile, il legame tra animale d'affezione e partner che non vanti sullo stesso alcun diritto formalmente consacrato in una scheda negoziale: questi non gode di un'azione “per vedersi riconosciuti” tempi di permanenza e frequentazione con l'animale e se non è proprietario non può nemmeno avanzare pretese attivando le azioni a tutela della proprietà.
Il primo caso è quello che, invece, ad oggi, ha ricevuto maggiori aperture: quando le questioni relative all'animale di compagnia emergano nel contesto di un diritto d'azione già esperito (domanda di separazione, divorzio, responsabilità genitoriale, etc.). In questo ambito, una soluzione favorevole a interventi che tengano conto degli animali di compagnia è indotta dall'esigenza di tutelare il superiore interesse dei bambini: il giudice deve salvaguardare, come noto, finché possibile, le abitudini di vita che i fanciulli hanno maturato nel contesto della vita familiare senza “sconvolgerne” la quotidianità; in primis, salvaguardando la casa familiare, i tempi di frequentazione dei genitori, le amicizie, i parenti, la scuola, le attività sportive e ludiche. E, in questa esigenza di “mantenere” intatta la vita familiare preesistente alla crisi della famiglia, si inserisce l'esigenza di evitare che i bambini possano subire turbamenti per essere deprivati di una figura che concorre al loro benessere come quella dell'animale da compagnia. Ferma la tipicità del diritto d'azione, in questo caso si registra la cd. “atipicità dei provvedimenti del giudice nell'interesse del minore”: l'autorità giudiziaria può adottare tutti i provvedimenti ritenuti più opportuni (v., ad es., artt. 316, 337-ter, 709-ter c.c.). Perché sussista l'interesse del minore è sufficiente che si dimostri che l'animale di compagnia faceva parte della sua vita quotidiana allorché la famiglia era integra: vanno conservate le abitudini di vita e, quindi, anche i legami con gli animali d'affezione. Si può però, aggiungere come sia patrimonio di molti studi medico-scientifici che crescere insieme a un animale domestico è un'esperienza che fa bene alla salute e al comportamento del bambino. Un bambino che impara a prendersi cura di un animale e a trattarlo con gentilezza e pazienza può ricevere un addestramento prezioso per imparare a trattare le persone allo stesso modo; la presenza dell'animale consente al bambino di fare più movimento (piuttosto che giocare a videogiochi o guardare la tv) e tampona eventuali momenti di solitudine. In conclusione: nel superiore interesse del bambino, il giudice può includere nei provvedimenti “opportuni” anche misure che lato sensu includano l'animale di compagnia. Questa soluzione, all'evidenza, sconta alcuni limiti: in primis, la tutela del rapporto con l'animale di compagnia avviene in via indiretta perché la giustificazione del provvedimento è l'interesse superiore della persona di minore età; in secondo luogo, occorre, come detto, che penda una controversia lato sensu familiare.
Molto più difficile è il caso delle controversie insorte tra partner in assenza di figli.
In assenza di figli, la giurisprudenza di merito prevalente esclude che il giudice della famiglia possa intervenire a regolare i rapporti tra animale d'affezione e partner, in difetto di accordi spontanei. Si ammette, infatti, che disposizioni specifiche regolative possano essere ben introdotte nel complessivo assetto compositivo della lite (separazione consensuale, divorzio su ricorso congiunto, etc.) come parte dell'accordo pattizio dei coniugi (v. Trib. Milano, sez. IX, decreto 13 marzo 2013, Trib Como, 3 febbraio 2016, Trib. Modena, 8 gennaio 2018). Al contrario, nei procedimenti contenziosi, si ritiene che il tribunale non possa regolare “l'affidamento dell'animale domestico, posto che i poteri del Giudice in ordine ai provvedimenti accessori sono determinati in modo puntuale dalle norme [del Codice civile] che non contemplano statuizioni relative agli animali di proprietà del nucleo familiare e al loro mantenimento” (Trib. Milano, sez. IX civ., sentenza 17 luglio 2013, Pres. Manfredini; Trib. Roma, sentenza n. 5322 del 2016). Si discostano da questa interpretazione pronunce – al momento minoritarie – che ammettono, al contrario, pronunce giudiziali sui pet animal, finanche con decisione nell'interesse dell'animale stesso (v. Trib. Sciacca, 19 febbraio 2019).
Le nuove sensibilità verso questo tempo hanno condotto alla presentazione di iniziative legislative specifiche per introdurre norme ad hoc. Ad esempio, il DDL S. 298, presentato nella XVIII Legislatura, ha proposto l'introduzione del titolo XIV-bis del libro primo c.c. in cui inserito l'art. 455-ter, rubricato “Affidamento degli animali familiari in caso di separazione dei coniugi”. Analoghe spinte verso nuove soluzioni legislative sono pervenute in altri contesti europei e, in particolare, in Spagna.
OSSERVAZIONI - Nel contesto delle iniziative legislative volte ad inserire specifiche norme ordinamentali per consentire ai giudici della famiglia di intervenire anche sulle questioni riguardanti gli animali di compagnia, si inserisce, quale elemento di novità più recente, la nuova legislazione spagnola: la legge 15 dicembre 2021 n. 17, che modifica il Codice civile, la legge sui mutui e la legge di procedura civile, sul regime giuridico degli animali. Per quanto qui di interesse, la riscrittura della codificazione civile spagnola introduce nuove norme sia nell'ambito della separazione consensuale che in quella giudiziale in virtù delle quali il giudice acquisisce competenza decisoria anche su “La sorte degli eventuali animali da compagnia, tenuto conto dell'interesse dei familiari e del benessere dell'animale; la distribuzione dei tempi di convivenza ed eventuale cura, nonché gli oneri connessi alla cura dell'animale” (nuova lettera b-bis nell'art. 90, comma I, art. 91, del Codice civile della Spagna). Più nel dettaglio, alla luce delle nuove norme, “nelle sentenze di annullamento, separazione o divorzio, ovvero nell'esecuzione delle stesse, l'autorità giudiziaria, in mancanza di accordo tra i coniugi o in caso di mancata approvazione degli stessi, determinerà (…) la sorte degli animali da compagnia, (“destino de los animales de compañía”). Ma non è tutto, la riforma spagnola interviene, pure, sul sistema di protezione degli animali con norme di particolare importanza. In primo luogo, viene introdotto nel Codice civile il nuovo articolo 333-bis in virtù del quale “gli animali sono esseri viventi dotati di sensibilità” (sono, cioè, esseri senzienti). Il regime giuridico di beni e cose “sarà ad essi applicabile solo nella misura in cui sia compatibile con la loro natura o con le disposizioni volte alla loro tutela”. Valorizzando il “benessere dell'animale” si prevede che il possessore perda il possesso del bene nel caso in cui l'abbandoni e che, comunque, chi abbia instaurato con lui un legame affettivo possa reclamarne la titolarità versando in una situazione che lo esonera dalla restituzione. La riforma di cui si parla, pertanto, presenta caratteristiche di straordinaria novità perché, di fatto, “svincola” la tutela dell'animale alla proprietà e, soprattutto, ammette che essa possa essere diretta: agire direttamente (diritto d'azione) per far valere il miglior benessere dell'animale a prescindere dal fatto che debba sussistere un interesse giustificativo (ad es. interesse di un minore) o un procedimento ospitante (es. separazione).
La nuova legislazione ispanica è entrata in vigore in data 5 gennaio 2022 e, nella decisione cui qui si fa riferimento, se ne registra una prima assoluta applicazione. Nel caso di specie, una ragazza aveva tenuto con sé un animale di proprietà altrui per oltre due anni, nel totale disinteresse del proprietario il quale, però, a distanza di oltre due anni lo aveva reclamato. Il giudice civile spagnolo, tenuto conto del titolo di proprietà, ne aveva ordinato la restituzione. Questa decisione aveva lasciato insoddisfatta la persona al momento convivente con il cane, la quale si era, quindi, opposta alla sua restituzione: tra ella e il cane si era creato un legame stabile, protratto nel tempo, rappresentato da abitudini di vita insieme. Il cane era, ormai, un “compagno insostituibile e parte del suo nucleo familiare” e la ragazza, per l'animale, era, ad ogni effetto, una “famiglia”. Nelle more, interviene la nuova legislazione spagnola che modifica il raggio di valutazione del tribunale: non deve più considerare solo il titolo di proprietà e non può più considerare l'animale di compagnia una “cosa mobile”. Il cane è un essere senziente, un animale d'affezione e i provvedimenti regolativi del suo collocamento presso una persona devono tener conto del suo benessere. Da qui, una diversa decisione (provvisoria): in attesa della statuizione finale, il cane resta con la ragazza che se ne è occupata per oltre due anni, atteso che “un cambiamento di ambiente e nucleo familiare potrebbe provocargli sofferenze evitabili”.
Alla luce del quadro sin qui riassunto possono essere svolte delle osservazioni conclusive.
La Dottrina classica ha da tempo messo in evidenza il problema legato alla incapacità dei dati formali, a causa della loro connaturale finitezza e limitatezza, di riempire le lacune delle previsioni risultati dalla prassi sociale e dalla legge; e, quale soluzione a queste lacune, ha posto l'accento sul ruolo della interpretazione che costituisce un linguaggio a sé (“linguaggio della legge e linguaggio sulla legge che è l'interpretazione). In questa direzione, “l'interpretazione” ha il fine di perfezionare il linguaggio legislativo per renderlo il più possibile aderente alla realtà effettiva dei valori, così come essi si evolvono nella società che, per sua natura, cambia, muta, si trasforma. È un problema legato ai “processi con cui (nuovi) valori umani vengono assunti dal diritto e da essi tutelati nel loro itinerario di realizzazione”. Se ne ricava uno straordinario esempio nella giurisprudenza che ha “ritoccato” la teoria generale del diritto ritenendo che, alla tutela del nascituro si possa pervenire senza postularne la soggettività - che è una tecnica di imputazione di diritti ed obblighi - bensì considerandolo oggetto di tutela. In altri termini, «si può essere destinatari di tutela anche senza essere soggetti dotati di capacità giuridica ai sensi dell'art. 1 c.c.». (Cass. civ., SS.UU., sentenza 22 dicembre 2015 n. 25767). È una questione connessa al naturale relativismo dei concetti giuridici. Ebbene, mutatis mutandis, è davvero necessario pervenire alla tutela dell'animale di compagnia muovendosi tra le categorie della “cosa” e della “persona”? Non si può, semplicemente, considerarlo «oggetto di tutela», alla luce del mutato contesto sociale e normativo? L'animale è, ormai, da considerare un “essere senziente” e non una semplice “cosa mobile” se non altro ogni volta che questo aspetto, nelle maglie della legge, possa essere valorizzato: in primis, nei rapporti di famiglia, nelle questioni di salute, nella tutela degli adulti vulnerabili. L'interprete non può ignorare la sterminata serie di indici ordinamentali in tal senso (e alcuni importanti sono stati puntualmente illustrati).
Il ricorso salvifico all'interpretazione è, però, soggetto a limiti precisi là dove si tratti – come già visto – di dover introdurre veri e propri diritti d'azione: e, tuttavia, qui possono svolgersi due considerazioni. La prima riguarda, de iure condendo, le potenzialità insite nella legge 26 novembre 2021, n. 206 che ha steso una delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata: il Legislatore delegato, tra le maglie della norma in esame, potrebbe inserire alcune previsioni di “coordinamento”, anche solo “timide” ma per offrire ulteriori strumenti interpretativi alla magistratura (ad es., in materia di minori); la seconda, riguarda il forte ruolo, in questo terreno, del ricorso agli strumenti alternativi alla giurisdizione, in primo luogo la mediazione, che possono davvero essere utili per “sistemare l'equilibrio dei rapporti” là dove il rimedio normativo presenta lacune.
In buona sostanza, le lacune dell'attuale tessuto legislativo non dovrebbero ostacolare sforzi interpretativi e – sia consentito – “culturali” per riconoscere agli animali di compagnia un'identità che è loro propria: il fatto di essere “esseri viventi che hanno capacità di amare e di soffrire” e non sono “oggetti a nostra disposizione”. E queste non solo parole di chi scrive ma quelle di Margherita Hack.
RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI E BIBLIOGRAFICI – Con riferimento ai contributi della Dottrina, v. V. Amendolagine, Amministrazione di sostegno e tutela del sentimento d'affezione del beneficiando verso l'animale da compagnia (Nota a T. Varese, 7 dicembre 2011)in Giur. it., 2012, 1333; P. Donadoni, Sulla natura giuridica della relazione con l'animale di affezione - La bioetica tra diritto di proprietà e diritto della personalità, in Materiali storia cultura giur., 2014, 259; A. Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche, Giuffrè, 1992; P. Mazza, Le nuove norme per la protezione degli animali da compagnia, in Dir. e giur. agr. e ambiente, 2012, 167; F. Tommaseo, L'infermo e il suo cane: una singolare applicazione della cura della persona nell'amministrazione di sostegno (Nota a Tribunale Varese Decr., 7 dicembre 2011), in Fam. dir., 2012, 4, 379.