Editoriali

Danno e responsabilità 31.01.2018

Qualche necessaria parola di commento all’ultima sentenza in tema di danni punitivi

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L’annotata sentenza (CASS. CIV. - sez. un. - 5 luglio 2017, n. 16601) afferma che all’interno del sistema della responsabilità civile vi sono anche la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria (Il provvedimento è pubblicato anche in Giur. it., 2017, 1787, con nota di A. DI MAJO, e ivi, 2017, 1365 con nota di C. CONSOLO-S. BARONE; in Nuova giur. civ., 2017, 1410, con nota di P. G. MONATERI-M. GRONDONA-A. GAMBARO-G. PONZANELLI; in C. GRANELLI (a cura di), I nuovi orientamenti della Cassazione civile, Milano, 2017, n. 525, con nota di M. TESCARO; in Foro it., 2017, I, 2613, con nota di A. PALMIERI-R. PARDOLESI-S. D’ALESSANDRO-R. SIMONE-P. G. MONATERI. La sentenza è altresì oggetto di commento di C. DE MENECH, Verso il riconoscimento dei danni punitivi?, in www.juscivile.it. 2017, 1. La rimessione della questione alle Sezioni Unite era stata chiesta dalla Cass. civ. 16 maggio 2016, n. 9978, in Giur. it., 2016, 1854, con nota di A. DI MAJO-S. BARONE (ivi, 2017, 1359); in Nuova giur. civ., 2016, 1120, con nota di C. SCOGNAMIGLIO; in Resp. civ. e prev., 2017, 986, con nota di C. DE MENECH (v. anche EAD, Il problema della riconoscibilità di sentenze comminatorie di punitive damages, alcuni spunti ricostruttivi, in Riv. dir. civ. 2016, 1644).

Conseguentemente, sempre secondo la sentenza, deve ritenersi non contraria all’ordine pubblico una sentenza straniera di condanna al risarcimento dei danni punitivi.

In precedenza, la Cassazione si era invece espressa nel senso che la figura dei danni punitivi, ammessi da qualche ordinamento straniero, contrasta col nostro ordine pubblico (Cass. civ. 19 gennaio 2007, n. 1183, pubblicata tra l’altro in Giur. it., 2007, 2724, con nota di V. TOMARCHIO; in Nuova giur. civ. 2007, I, 981, con nota di S. OLIARI; in Foro it., 2007, I, 1460, con nota di G. PONZANELLI. Sull’estraneità al nostro ordinamento dei danni punitivi v. anche Cass. civ. 17 settembre 2013, n. 21255, in Foro it., 2013, I, 3121, con nota di G. COSTANTINO-A. PALMIERI-R. PARDOLESI, e commento di F. BENATTI, in Resp. civ. e prev., 2014, 53).

La nuova decisione è stata salutata in qualche primo commento come una svolta che segna finalmente l’ingresso dei danni punitivi nel nostro ordinamento.

Le riconosciute funzioni deterrente e sanzionatoria della responsabilità civile, si è detto, non soltanto consentono la delibazione di sentenze straniere di condanna ai danni punitivi, ma legittimerebbero nel nostro ordinamento il “risarcimento punitivo”, legittimerebbero cioè l’inflizione di una pena all’autore dell’illecito tramite la condanna al risarcimento del danno.

Al riguardo occorre piuttosto mettere in chiaro che: 1) la responsabilità civile ha certamente funzione deterrente (La funzione deterrente della responsabilità civile è generalmente riconosciuta dalla dottrina. Se ne è avuta conferma dalle varie pregevoli relazioni svolte al convegno organizzato da Pietro Sirena, Università di Pisa 19-21 settembre 2007, raccolte nel volume, P. SIRENA (a cura di), La funzione deterrente della responsabilità civile alla luce delle riforme straniere e dei Principles of European Tort Law, Milano, 2011. Ma, come ha rilevato il S. PATTI, ivi, 210, «occorre distinguere tra funzione deterrente e funzione punitiva») e può anche avere funzione sanzionatoria, ma che 2) ciò non implica che i nostri giudici possano legittimamente condannare ad una pena sotto forma di risarcimento di danno.

Per quanto attiene alla funzione di deterrenza, ossia di prevenzione dell’illecito, deve ammettersi che essa è svolta dalla responsabilità civile anche attraverso l’imposizione dell’obbligo del risarcimento del danno. L’obbligo del risarcimento è, infatti, una conseguenza sfavorevole, comminata a carico di chi compie l’illecito, che comporta un corrispondente impoverimento del responsabile. La conseguenza sfavorevole non consiste tuttavia in una punizione ma nell’obbligo di rimediare alla lesione arrecata.

Deve anche ammettersi che in senso lato il risarcimento del danno esplica una funzione sanzionatoria, in quanto l’imposizione dell’obbligo risarcitorio rappresenta la reazione dell’ordinamento alla commissione di un fatto antigiuridico (la lesione di un interesse giuridicamente protetto). Ma si tratta di una sanzione non punitiva essendo il responsabile tenuto esclusivamente a reintegrare, in forma specifica o per equivalente, l’interesse leso (Può pertanto appropriatamente parlarsi di “sanzione risarcitoria” in contrapposizione alle “sanzioni punitive”: vedi T. PADOVANI, Lectio brevis sulla sanzione, in F. D. BUSNELLI-G. SCALFI (a cura di), Le pene private, Milano, 1985, 59).

La responsabilità civile conosce pure sanzioni punitive comminate a carico di chi commette determinate violazioni di norme imperative. Sono queste le sanzioni civili.

La sanzione civile va però nettamente distinta rispetto al risarcimento del danno, in quanto comporta a carico del responsabile un sacrificio economico che non è commisurato o comunque rapportato al danno eventualmente arrecato e generalmente non va neppure a vantaggio della vittima (Nell’ammettere la delibazione di un provvedimento straniero in tema di astreinte, la Cass. civ. 15 aprile 2015, n. 7613, in Giur. it., 2016, 562, con nota di A. MENDOLA-A. DI MAJO, ha rilevato la fondamentale differenza tra i danni punitivi e l’astreinte, che non ripara il danno «ma minaccia un danno nei confronti di chi si comporterà nel modo indesiderato». Della sentenza si è occupato anche G. PONZANELLI, in Contr. e impr., 2015, 1194, il quale ravvisa l’utilità di strumenti sanzionatori, l’adozione dei quali deve però «passare attraverso l’intermediazione legislativa». Tra i vari saggi del G. PONZANELLI in tema di danni punitivi, v. quello incluso in P. SIRENA (a cura di), La funzione deterrente ecc., cit., 319).

Un esempio di sanzione civile è la sanzione pecuniaria alla quale, nelle controverse insorte sull’esercizio della responsabilità genitoriale, può essere condannato il genitore in caso di gravi inadempienze agli obblighi genitoriali. Si tratta di un esempio significativo, essendo tale sanzione prevista distintamente rispetto alla condanna al risarcimento dei danni nei confronti del minore e nei confronti dell’altro genitore, art. 709-ter, comma 2, c.p.c. (A giudizio di F. D. BUSNELLI, in P. SIRENA (a cura di), La funzione deterrente ecc., cit., 60, i «danni stricto sensu punitivi» sono estranei alla responsabilità civile ma potrebbero configurarsi «come sanzione civile punitiva prevista dal legislatore». Ma, sebbene l’espressione risarcimento punitivo sia ormai entrata nel lessico giuridico, è dubbio che possa appropriatamente parlarsi di risarcimento in presenza di una sanzione afflittiva).

Proprio in quanto la sanzione civile consiste nella comminazione di una pena, essa deve sottostare al principio di legalità, potendo essere inflitta solo in conformità di una previsione di legge.

Il principio di legalità costituisce un limite invalicabile all’ingresso dei danni punitivi. Tale principio non consente che il risarcimento del danno sia inteso come un legittimo strumento per infliggere una punizione. La previsione del risarcimento del danno è infatti la previsione di un rimedio compensativo, che non include la sanzione punitiva. Non è pertanto legittimo aggiungere al risarcimento del danno l’erogazione di una pena non prevista dalla legge.

Una puntuale indicazione in tal senso è contenuta nell’annotata sentenza, dove si legge che la curvatura deterrente –sanzionatoria della responsabilità civile non consente «ai giudici italiani che pronunciano in materia di danno extracontrattuale, ma anche contrattuale, di imprimere soggettive accentuazioni ai risarcimenti che vengono liquidati». La stessa sentenza avverte che il principio sancito dall’art. 23 Cost. pone una riserva di legge che esclude la condanna a prestazioni patrimoniali normativamente non previste (Il riferimento contenuto nella sentenza agli artt. 25 e 28 Cost., oltre all’art. 7 CEDU, ha indotto a prospettare il problema relativo alla identificazione del principio di legalità ritenuto applicabile: vedi C. DE MENECH, Verso il riconoscimento dei danni punitivi?, in www.juscivile, 2017, 6. In motivazione la sentenza specifica tuttavia il senso del principio richiamato avvertendo che in conformità di tale principio la condanna dev’essere basata su «una fonte normativa riconoscibile» rispondente ai caratteri di tipicità e prevedibilità).

A sostegno delle legittimità dei danni punitivi non vale addurre che la condanna a tali danni è una condanna risarcitoria, dove la funzione punitiva si realizza non attraverso l’erogazione di una pena ma attraverso la determinazione del risarcimento con finalità punitiva.

Va osservato al riguardo che se la finalità punitiva si realizza attraverso una maggiorazione del risarcimento, ciò che supera la misura del risarcimento risultante dalla valutazione del danno rappresenta una pena, e la sua inflizione è pertanto oggetto di un potere di fatto privo di fondamento legale (Come rileva A. NERVI, in Resp. civ. e prev., 2016, 323, la maggiorazione del risarcimento rispetto al danno causato dall’illecito comporta l’acquisizione di un arricchimento da parte del danneggiato e, per altro verso, pone il problema della giustificazione causale di tale arricchimento).

Una legittima funzione punitiva esercitata in sede di determinazione del danno, si è voluto ravvisare nella condanna al risarcimento del danno non patrimoniale (Sulla concezione secondo la quale il risarcimento del danno non patrimoniale costituirebbe una “pena privata”, vedi, tra gli altri, C. SCOGNAMIGLIO, in P. SIRENA (a cura di), La funzione deterrente ecc., cit. 289).

In quanto l’interesse leso non ha natura economica, si è detto, la corresponsione di una somma di denaro non può reintegrare l’interesse leso dovrebbe pertanto dedursi che non si tratta di risarcimento del danno ma di una forma punitiva rapportata alla gravità del fatto.

La deduzione non è giustificata. L’insuscettibilità dell’interesse non patrimoniale ad essere specificamente reintegrato mediante una prestazione pecuniaria non implica che questa abbia funzione punitiva. La prestazione è prevista dalla legge esclusivamente quale prestazione risarcitoria e pertanto pur sempre in funzione compensativa del danno arrecato (È appena il caso di avvertire che questa funzione compensativa non è smentita dalla rilevanza che assume la gravità del fatto poiché la gravità del fatto aggrava la lesione morale subita dal danneggiato). Difficilmente può quindi ritenersi legittima una sentenza che al risarcimento del danno non patrimoniale aggiungesse una somma a titolo di pena. Ma egualmente difficile è ritenere legittima la sentenza che facesse figurare quella somma come parte dell’ammontare del danno da risarcire (Di funzione deterrente/sanzionatoria perseguita attraverso un “uso flessibile” dei danni non patrimoniali, parla F. BENATTI, in Banca borsa tit. credito, 2017, 46).

La legittimità di un risarcimento non compensativo (e quindi punitivo) si è creduto di poterla desumere dalle ipotesi in cui il responsabile è tenuto a riversare al danneggiato il profitto tratto dall’illecito. In realtà, tale profitto non corrisponde ad un impoverimento della vittima, e pertanto non può parlarsi di risarcimento del danno. Ma, è stato esattamente osservato, non può neppure parlarsi di sanzione punitiva, dato che il riversamento alla vittima del profitto abusivamente realizzato non corrisponde ad un impoverimento dell’obbligato. Si tratta piuttosto, di un rimedio restitutorio (Vedi P. SIRENA, Dalle pene private ai rimedi ultracompensativi, negli Studi a me dedicati, Milano, 2006, IV, 825, il quale ravvisa nell’istituto della gestione di affari altrui il fondamento della restituzione del profitto ingiustificato).

Nell’apertura al rimedio della riversione del profitto si è visto il segnale di un progressivo mutamento della realtà giuridica della responsabilità civile sollecitato dall’avvertita insufficienza del sistema rimediale limitato al risarcimento del danno (Vedi P. PARDOLESI, Danni punitivi, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Agg. 2007, I, 452, il quale muove dall’analisi della figura nordamericana dei punitive damages ravvisando solo qualche sporadico punto di contatto con ipotesi sanzionatorie del nostro diritto privato).

Chi ravvisa il progresso evolutivo della responsabilità civile verso la concezione penale, rappresentata dai danni punitivi, non sembra tuttavia tener conto del fatto che la responsabilità civile si è mossa, e continua a muoversi, in direzione opposta, cioè nella direzione dell’ampliamento delle ipotesi di responsabilità oggettiva, intese ad assicurare il risarcimento del danno a prescindere da una valutazione della condotta del responsabile in termini di dolo o colpa (Sul distacco dall’originaria concezione penalistica della responsabilità civile, vedi P. FAVA, in Corr. giur., 2009, 523).

Come esempio di danno punitivo conosciuto nel nostro ordinamento è stata additata la condanna di cui all’art. 96, comma 3, c.p.c. traendo conferma dalla sentenza della Corte costituzionale n. 152 del 2016 (Corte cost. 25 giugno 2016, n. 152, in Nuova giur. civ., 2016, I, 1642, con nota di V. VISCONTI) che vi ha ravvisato una natura non risarcitoria (o comunque non esclusivamente tale) (F. QUARTA, in Resp. civ. e prev., 2016, 1159: la disposizione «sembra in grado di assurgere a sede normativa dei danni punitivi»).

 È dubbio, tuttavia che sia giustificato attribuire funzione punitiva ad una prestazione pecuniaria che non è comminata in relazione a determinate violazioni di legge ma alla mera soccombenza. Prevede infatti la norma che la parte soccombente può in ogni caso essere condannata dal giudice che pronuncia sulle spese del giudizio.

Far valere un pretesa in giudizio costituisce esercizio di un diritto costituzionalmente garantito ancorchè l’azione possa risultare infondata. Appare pertanto costituzionalmente non orientata un’interpretazione della norma dell’art. 96, comma 3,c.p.c. nel senso della comminazione di una sanzione afflittiva a carico del soccombente solo in ragione della soccombenza.

L’interesse dei consociati a non subire turbative processuali infondate è tutelato dell’ordinamento mediante gli istituti della speciale responsabilità processuale che richiede i presupposti del dolo o della colpa. L’assenza di ogni riferimento a questi presupposti nella citata norma prospetta una responsabilità senza colpa, che non è compatibile con l’ipotesi della sanzione punitiva mentre è suscettibile di inquadramento nell’ambito della responsabilità civile (Sulla natura risarcitoria del rimedio vedi il mio Diritto civile, 5, La responsabilità, Milano, 2012, 780. Nel senso che non si tratti di "condanna punitiva", vedi C. ASPRELLA, in Corr. giur., 2016, 1586). Oltretutto la condanna è a favore della controparte ed è determinata in via equitativa (Secondo un’osservazione della E. NAVARRETTA, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, Torino, 1996, 370, la funzione sanzionatoria civile potrebbe intervenire attraverso la liquidazione equitativa del danno motivata attraverso "la ratio punitiva". Infliggere una punizione attraverso un giudizio di valutazione equitativa costituisce tuttavia un’operazione estranea a tale giudizio, previsto per accertare l’entità da questo dovuto al danneggiato).

Il necessario ancoraggio normativo al quale è subordinata una condanna punitiva dell’autore dell’illecito, trova ampio riconoscimento in dottrina (Sul necessario ancoraggio normativo delle sanzioni civili v., tra gli altri, C. GRANELLI, in Resp. civ. e prev., 2014, 1760, «consentono di orientare la misura risarcitoria con valenza punitiva». Secondo A. DI MAJO, in Giur. it., 2017, 1706, la funzione punitiva della responsabilità civile deve appoggiarsi ad un ancoraggio normativo, che però non avrebbe «bisogno di "una intermediazione legislativa" bastando il richiamo a criteri o linee-guida presenti nell’armamentario della responsabilità civile che “consentono di orientare la misura risarcitoria con valenza punitiva». Nel nostro ordinamento sembra tuttavia che in conformità del principio di legalità la sanzione penale o civile debba trovare la sua fonte in un atto avente forza di legge, pur senza escludere che tale forza possa essere nella realtà acquisita da fonti extralegislative). A parte la sua previsione costituzionale il principio di legalità deve considerarsi un principio basilare della nostra civiltà giuridica, e quindi un principio di ordine pubblico. Questo principio non impedisce tuttavia di per sé la delibazione di sentenze straniere di condanna al risarcimento dei danni, ma esige, come rileva la sentenza annotata, che i danni punitivi siano legali nell’ordinamento dello Stato in cui la sentenza è emessa, che cioè tali danni siano previsti dalla legge o da altra fonte normativa di quell’ordinamento.

L’annotata sentenza va condivisa sul punto e va condivisa anche nella parte in cui richiama l’art. 49 della Carte dei diritti fondamentali dell’Unione, reputando necessaria la conformità della condanna al principio di proporzionalità della pena.

 

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