Editoriali

Banca finanza assicurazioni 06.10.2025

Globale unionale locale nel mercato finanziario

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Relazione, con lievi adattamenti, al Convegno "I contratti del mercato finanziario" tenuto presso la Consob a Roma in data 2 ottobre 2025.

La finanza è globale, unionale, locale?

Come locus naturalis, come luogo di azione delle imprese finanziarie, è evidentemente globale.

Come locus artificialis, come mercato cioè regolato dal diritto, è un ibrido. Un po’ globale e un po’ locale, nella doppia accezione di unionale e di domestico.

I contratti del mercato finanziario sono intensamente regolati da fonti unionali, ma l'art. 23, comma 5 TUF richiama testualmente l'art. 1933 del Codice civile italiano. È inevitabile che sia così perché le fonti unionali regolano soggetti e attività, le fonti domestiche regolano il contratto. 

I precetti sono unionali, i rimedi sono locali. 

I contratti sono spesso globali, cioè né unionali né locali. Se sono locali, spesso imitano modelli globali.

La tecnica dei contratti globali è la scelta della legge applicabile, insieme alla proroga della giurisdizione. È ciò pone, specialmente dopo Brexit, il problema, oggi acuto, del riconoscimento in Italia delle sentenze inglesi, alla luce delle regole di ordine pubblico internazionale italiano. Ordine pubblico internazionale economico, si capisce.

Il problema più urgente della compresenza di globale, unionale e locale non è a mio avviso la definizione dei nuovi princìpi di diritto – e qui, innanzitutto chiarire la relazione fra speculazione e risparmio –, ma è la soluzione dei problemi quotidiani.

Dipende, quali problemi.

 

Gli intermediari finanziari osservano le regole su soggetti e attività, sotto la vigilanza di Consob. Sono regole (la regulation) che ho altrove definito effimere ma non banali. Per significare (i) che cambiano spesso, (ii) che vanno tutte via via osservate, (iii) che esprimono, e l’interprete enuclea, linee di tendenza. Ma è chiaro che non si sedimentano nei secoli come accade alle regole del diritto civile. 

Queste regole interferiscono intensamente con le regole civilistiche sui contratti (la substantive law). Senza le regole civilistiche sui contatti, a risolvere i problemi dei contratti non ce la fanno. Senza i principi civilistici sulla forma informativa non si sarebbe sistemata la questione della validità del contratto mono firma. Senza la rilettura dell’alea del Codice civile, in chiave di alea razionale, non si sarebbe sistemata la questione della validità dei derivati intrasparenti. Senza la regola civilistica del concorso di colpa non avrebbe senso l’inversione legale dell’onere della prova della diligenza professionale. 

Il fatto che le regole sui soggetti e l’attività, la regulation, interferiscono con le regole sui contratti, la substantive law, pone due problemi: chi detta le regole sui contratti, chi vigila affinché siano osservate.

Le regole sui contratti le detta chi li predispone, l'intermediario finanziario, il quale osserva naturalmente le regole su soggetti e attività, non per forza osserva le regole sui contratti che si ricavano dal Codice civile e dal TUF, soprattutto dal Codice civile.

E come fa ad osservare tutte le regole sui contratti che si possono ricavare in via interpretativa dal Codice civile e dal TUF, del resto?

Come fa a sapere prima che la Cassazione dirà che la forma scritta del contratto di investimento non richiede la firma dell'investitore?

Come fa a sapere prima che la Cassazione dirà che i derivati devono indicare gli scenari probabilistici?

Come fa a sapere prima che la Cassazione dirà che il recesso dal contratto di investimento concluso fuori dalla sede e dalle filiali dell'intermediario è efficace se non è contrario alla buona fede?

La risposta è semplicissima: non può! 

Non può, perché la disciplina dei contratti del Codice civile, ma anche del TUF, non presenta la caratteristica della disciplina dei soggetti e delle attività, non è fatta solo di regole dettagliate, ma per lo più è fatta di clausole generali, e di regole a contenuto indeterminato. E da che mondo è mondo, la concretizzazione del contenuto della regola implicita in una clausola generale o in una nozione indeterminata (i) la fa il giudice, sperabilmente preso per mano dalla dottrina, (ii) la fa il giudice, dopo, e non prima, che i fatti sono accaduti e che le condotte si sono materializzate. 

Questa assoluta banalità dal punto di vista del diritto, ripeto, assoluta banalità, assoluta ovvietà - che le clausole generali e le nozioni indeterminate prendono forma in sede applicativa - è un ostacolo al doing business degli intermediari.

Ma è così, e sarà così, almeno finché la politica unionale compirà la scelta – sottolineo, politica – di regolare in sede unionale i contratti oltre ai soggetti e alle attività, e lo farà relegando in un ambito minimo o nullo lo spazio di applicazione del diritto domestico (Codice civile, e amplissimi segmenti di disciplina contenuti nel TUF). Ed ancora, finché la politica unionale compirà la scelta di affidare la decisione delle controversie finanziarie a giudici bensì statuali, ma di formazione rigorosamente unionale. 

Forse accadrà tra mille anni, verosimilmente non accadrà mai, perché quando maturasse lo scenario politico istituzionale, sarebbe ormai cambiata, rispetto a quella che è oggi, la realtà da governare.

 

La realtà di oggi è quindi che il mercato finanziario, come gli altri mercati, regolati e non, è un locus artificialis, coi suoi pregi e i suoi difetti.

Peraltro, detto che gli intermediari non possono regolarsi con certezza in sede di predisposizione dei contratti, sapendo prima ed esattamente come il giudice deciderà, osserverei che, però, possono regolarsi dopo, quando ormai come il giudice ha deciso casi simili lo sanno.

Eppure, non sembra che sia sempre così. 

Sono più di cinque anni che la corte di cassazione richiede per i derivati gli scenari probabilistici a pena di nullità, ma nei contratti gli scenari probabilistici non ci sono.

Non voglio discutere, oggi, se la regola è giusta o sbagliata, è un di dibattito di almeno dieci anni fa, sicuramente è una regola che corrisponde a un principio di diritto che la cassazione a partire dalle sezioni unite di più di cinque anni fa ha confermato più e più volte.

E il fatto che la cassazione non precisa nel dettaglio come si esprimono graficamente gli scenari, facilita il compito di predisporli, perché ciò che si richiede è che siano scenari, e che il grafico indichi le probabilità.

Di fronte al dato, per cui nei contratti gli scenari probabilistici non ci sono, si può riflettere se  la sistematica conclusione sul mercato di contratti, che per principio di diritto assolutamente consolidato della corte di cassazione sono nulli, perché sono privi degli scenari probabilistici, da parte di soggetti abilitati, non sia per Consob il presupposto di interventi di vigilanza, come il divieto di concluderli, esercitando i poteri di product intervention, sul presupposto che si tratta di una prassi che viola le disposizioni inerenti alla prestazione dei servizi di investimento, come interpretare e applicate dal giudice civile, e che reca pregiudizio alla tutela degli investitori, i quali assumono un’alea senza conoscerne la distribuzione quantitativa e qualitativa.

Se si esclude che Consob possa o debba incaricarsi di implementare, con un divieto di contrattare, regole che sono il frutto dell’interpretazione del giudice civile, resta il quesito se, di fronte a quella che comunque è una sistematica conclusione di contratti nulli, si possano immaginare diversi strumenti di richiamo.

Ma il problema che più risente della compresenza della regolazione prevalentemente unionale dei soggetti e delle attività, la regulation, da un lato, e della disciplina prevalentemente domestica dei contratti, la substantive law, dall’altro, è quello degli ibridi.

Che la regolazione dei soggetti e della loro attività presuppone innanzitutto che si identifichino i soggetti ai quali la regolazione si rivolge, e quelli ai quali non, è ovvio.

Ma il fatto è che se i contratti conclusi da un soggetto TUF hanno gli stessi effetti, o prevalenti effetti, dei contratti conclusi da un soggetto TUB, o COD ASS, la disciplina dei contratti degli uni e degli altri può essere la stessa, e deve esserlo, tutte le volte che la causa è uguale, la causa intesa come solo va intesa, come la sintesi degli effetti pratici, il programma dei flussi finanziari.

Sicché abbiamo contratti conclusi da soggetti TUF che possono essere disciplinati come i contratti conclusi da soggetti TUB o COD ASS, e ciò anche se non si verifica alcuna violazione della riserva di attività, perché le regole su soggetti e attività sono state rispettate.

Ricacciare nel nulla questi problemi è impossibile, se non al prezzo di parlare di altro.

 

Se si parla di contratti della finanza, il tentativo di qualificare i contratti non in base agli effetti che producono, ma in base a una causa tipica, salvaguardando i diversi silos non solo quanto a soggetti e attività, ma anche quanto a disciplina di contratti, è velleitario.  Nessuno crede più, per fortuna, che un contratto è quello che il contraente immagina (il nome, il tipo etc.), invece di quello che effettivamente è.

Se un finanziamento a tasso doppiamente indicizzato, o al limite un qualsiasi finanziamento a tasso variabile, produce gli effetti di un uno swap su parametri di tasso di interesse o di tasso di cambio, certi aspetti della disciplina del contratto possono coincidere, e i giudici nazionali lo diranno.

Tutto ciò non ha nulla a che fare con la contrarietà a singole norme imperative, ha a che fare con limiti di ordine pubblico (interno, unionale, internazionale) che il giudice, con la dottrina, interpreta, e che il giudice applica.

Da ciò l’importanza di chiarire che la tutela dell'integrità dei mercati, della fiducia, della competitività, che spettano all'Autorità di vigilanza, non esauriscono la loro portata con la regolazione e con gli interventi dell'Autorità di vigilanza, ma rappresentano un limite di ordine pubblico di direzione dei mercati finanziari, la cui concretizzazione ex post da parte del giudice, è l’essenza della giurisdizione.

Vi sono poi le aree di sovrapposizione forti, in cui la regolazione dell’attività distingue secondo le categorie di clienti, professionali o al dettaglio, a differenza di quando accade nella disciplina del contratto.

Condotte che non sono dovute nel rapporto con l’intermediario, ma che non esentano l’intermediario dagli obblighi di qualsiasi contraente, segnatamente la correttezza e la professionalità. 

Qui la tensione fra regola di condotta specifica, disapplicata, e regola di condotta enucleata dalla nozione indeterminata, è massima.

È così per il dovere di illuminare il cliente intorno a ciò, che l’intermediario comprende che al cliente non è chiaro, o su cui capisce che si sbaglia. È così, per il dovere di assicurarsi che le informazioni che gli veicola, siano comprese.

In questo, i mercati regolati, prima dei rimedi civilistici, possono contare, devono poter contare, sul formidabile incentivo a migliorare sempre in professionalità, proprio in virtù dell’attività dell’Autorità di vigilanza.

 

In conclusione, volendo dare una risposta all’alternativa, globali unionali domestici, i mercati finanziari sono incontestabilmente domestici, vorrei dire locali. La ragione, è il peso schiacciante del diritto civile, che è locale, perché sono locali i giudici.

Quando ai modelli, fra la trasparenza e la fiducia, entrambe necessarie, personalmente attribuisco un’importanza maggiore alla trasparenza, anche a costo della nullità, perché la trasparenza fa vedere le cose difficili, fa capire che sono difficili, mette l’investitore di fronte all’autoresponsabilità. Con enormi conseguenze applicative, del tutto inimmaginabili fino a quando, inconsapevole dell’alea, ciò di cui l’investitore dovrebbe essere autoresponsabile è soltanto di aver sventuratamente risposto. Non basta la fiducia, perché fidarsi è senza dubbio il presupposto essenziale dei mercati di strumenti offerti da soggetti abilitati, ma, senza una vera trasparenza autoresponsabilizzate, finisce per incentivare l’investitore, non a fidarsi, ma ad affidarsi, e così ad avallare in lui niente altro che un comportamento passivo, totalmente incompatibile con lo sviluppo di un mercato finanziario maturo.

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