Piero Calamandrei, il maestro di Mauro Cappelletti, a sua volta mio maestro, all’inizio degli anni ’50 del secolo scorso, aveva indirizzato i suoi allievi verso studi di carattere costituzionale legati alla sua partecipazione alla Costituente, e di taglio comparativo, mosso da alcune esperienze all’estero. Soprattutto quella delle Lezioni tenute nel 1952 presso l’Università Nazionale Autonoma di Città del Messico, poi pubblicate in più sedi (Il 5 ottobre 2017 si è svolto a Siena un convegno su Processo e Democrazia. Le lezioni messicane di Piero Calamandrei. Nell’occasione T.E. Frosini ha ricordato come esistano ben 60 titoli della bibliografia del Maestro dedicati al diritto comparato). Si trattava di una grande apertura culturale in un ambiente come quello italiano, in cui i processualisti guardavano con ammirazione solo alla dottrina tedesca dei decenni del ’20 e ’30 e soprattutto si occupavano della costruzione del sistema e dell’esegesi dei dati normativi. All’epoca la Costituzione era ritenuta documento sostanzialmente politico, con portata programmatica (Ved. invece P. Barile, La Costituzione come norma giuridica, Firenze, 1951, anche lui allievo di Calamandrei), e addirittura inesistente l’interesse per la comparazione. Di quest’ultima si teorizzava l’inutilità, con un’espressione antica e famosa («altre genti, altri climi»), che esprimeva solo rifiuto, senza alcuna motivazione. Si sa di un processualista che alla fine degli anni ’30 si era recato a studiare a Londra, e che venne fortemente “consigliato” di tornare in Italia, non avendo la common law nulla da offrire.
Queste cose allora non le conoscevo ed ero, invece, interessato allo studio dell’impatto delle garanzie costituzionali sul processo civile. In particolare del due process of law (allora sconosciuto in Europa), principio del V e XIV em. della Costituzione americana. Questa disposizione introduce un’esigenza di giustizia processuale, contrapposta al mero rispetto delle regole, e prevede un meccanismo di tutela originale per l’epoca (il XIV em. è del 1868), secondo cui gli atti, pur formalmente legittimi, provenienti dai singoli Stati dell’Unione potevano essere dichiarati incostituzionali dai giudici federali (ai sensi del due process) in virtù della posizione sovraordinata della Federazione.
La giurisprudenza americana era sterminata e le soluzioni di diritto positivo non facilmente comprensibili e utilizzabili nei Paesi di civil law. Lo stesso per la dottrina. Del resto l’attuazione concreta non era facile neppure in America, ma la volontà c’era, e le applicazioni molte ed apprezzabili anche in sede civile: l’idea di fondo, giustizia oltre le regole, non è mai stata in discussione.
La maggioranza dei processualisti rimaneva comunque scettica verso questo tipo di studi, ad eccezione di pochi grandi maestri, impegnati a superare i limiti di analisi confinate in ambito solo nazionale. Scetticismo comprensibile, quando si pensi alle difficoltà legate alla necessaria, approfondita conoscenza delle lingue e degli istituti stranieri, nonché alla scarsa “convenienza” accademica di questo tipo di indagini. Nonostante tutto, ci sono stati risultati importanti, sia in sede normativa con l’introduzione nella Costituzione italiana del giusto processo, e dell’attribuzione di rango costituzionale al principio del contraddittorio e della parità fra le parti (art. 111, commi 1 e 2, Cost.), sia in sede applicativa dove il giusto processo è ora metro di valutazione delle norme processuali.
Il diritto processuale comparato sembrava in procinto di ricevere ulteriore slancio dall’Unione Europea, ma non è stato del tutto così. Accanto a lavori pregevoli, sensibili agli stimoli transnazionali, ogni tanto ancora si sente dire che «la common law non è diritto puro», o che in quei sistemi «mancano le leggi scritte», e simili amenità. Per fortuna, l’atteggiamento dei Paesi latino-americani è stato di maggiore disponibilità. Forse perché non condizionati da tradizioni soffocanti, tutti hanno sempre manifestato forte e consapevole interesse per l’influenza della Costituzione sulla giustizia civile, e forse è questa la ragione della traduzione del mio vecchio libro (Va ricordata la tesi di libera docenza di A. Pellegrini, As garantias constitucionais do direito de ação, 1973, scritto che tratta del due process, all’epoca sconosciuto in Brasile, come in Italia).
Adesso ci sono altre sfide, come la tutela dei diritti a dimensione superindividuale (la class action), o il problema delle alternative al processo civile (ADR), e anche qui, di nuovo, si dovranno cercare soluzioni che non sacrifichino la domanda di giustizia a cui tutti vogliamo rispondere.
L’occasione di queste brevi riflessioni è data dalla traduzione in lingua spagnola del volume V. Vigoriti, Garanzie costituzionali del processo civile. Due process of law e art. 24 Cost., Milano, 1970. Vi attendono i proff. Priori Posada, Marinoni e Delgado in Perù.