Sommario:
- 1. Irrisarcibilità del cosiddetto danno riflesso e meritevolezza degli interessi del socio uti singulus.
- 2. Autonomia patrimoniale perfetta, tra fictio juris e teoria contrattualistica: opportunità di una “rilettura” in chiave evolutiva.
- 3. Sulla configurazione della responsabilità degli istituti bancari nell’ipotesi di violazione di doveri di status.
Con la sentenza n. 27733 del 2013 la Suprema Corte si è soffermata sul problema dell’ammissibilità del risarcimento del danno, subito dal socio di una società di capitali, ad opera di un terzo. Più specificatamente, i ricorrenti, soci e fideiussori di una società di capitali, avevano ricevuto, a saldo di forniture effettuate dalla società stessa, alcuni assegni, tratti presso una banca e successivamente girati per l’incasso ad altro istituto bancario, il quale aveva consegnato alcuni assegni circolari, regolarmente versati sul conto della società. Tuttavia, in seguito, erano stati restituiti alcuni assegni, che risultavano insoluti, ma non protestati; conseguentemente, la banca a cui gli assegni erano stati girati per l’incasso, dopo averne chiesto invano la relativa copertura, aveva ottenuto decreto ingiuntivo, iscrivendo ipoteca nei confronti della società, per una somma pari a circa £ 1.800.000.000, determinandone così il fallimento. Successivamente, gli attori, anche in qualità di fideiussori, avevano proposto azione per risarcimento di danni patrimoniali e non patrimoniali, consistenti non solo in perdite strettamente attinenti alla propria posizione di soci (o di garanti in via personale), ma anche di diverso “tenore”, cioè per ulteriori gravissime perdite patrimoniali e di opportunità lavorative, per la perdita del cd. merito creditizio e, più in generale, per l’ “alterazione del corso della propria esistenza”.