Viviamo in anni di aperture ad interventi esterni sul contratto, in funzione di un suo teorico e teorizzato equilibrio; in anni in cui la giurisprudenza trova e talora raccoglie inviti e spunti dottrinali per utilizzare clausole generali e singoli dati normativi al fine di eliminare o modificare anche d’ufficio il risultato di scelte autonome delle parti; in anni in cui viene promossa l’espansione delle tecniche di controllo sulla contrattazione privata, siano esse sottrattive, correttive o integrative; in anni di solidarismo costituzionale, esportato in vari settori del diritto privato e fatto prevalere anche sull’autonomia contrattuale. Convinzioni culturali, ambizioni ideologiche, aspirazioni di politica del diritto sono così mescolate in un’atmosfera che può in qualche modo riassumersi nella ripetutissima constatazione di come la equazione tra giustizia contrattuale e volontà delle parti non sia più accettabile (constatazione vera, ma del tutto fuorviante). In questa atmosfera, la Corte di Cassazione interviene oggi in modo per certi versi sorprendente, con una decisione resa il 27 febbraio-23 maggio 2014, al n. 11529, in materia di interpretazione dell’art. 1474, comma 3, c.c.
Editoriali
Obbligazioni e contratti 22.07.2014
Ulisse, in Cassazione, resiste alle sirene della “giustizia” contrattuale
di Marcello Maggiolo