A quasi quarantacinque anni dall’introduzione del divorzio e venticinque dalla decisione delle SU che hanno formulato l’orientamento tuttora consolidato in materia di assegno post-matrimoniale, la Corte costituzionale è chiamata a pronunciarsi sulla persistente ragionevolezza del “dogma del tenore di vita” come criterio per decidere riguardo all’attribuzione ed alla misura del mantenimento richiesto dalla parte economicamente debole. Il giudice remittente, infatti, pone il problema di stabilire se il “diritto vivente” risulti anacronistico in quanto riferito “ad una gerarchia di valori non più adeguati alla contemporanea legalità costituzionale”. Le argomentazioni addotte, pur risultando solo in parte condivisibili, meritano attenta considerazione, soprattutto laddove – anche nell’ottica della prossima introduzione del c.d. divorzio breve – inducono ad una riflessione sull’opportunità di valorizzare il principio della autoresponsabilità del richiedente, limitando opportunamente la tutela offerta al coniuge economicamente debole al termine di matrimoni di breve durata e nei quali non si riscontrino esigenze di cura di figli non autosufficienti.
Editoriali
Famiglia e successioni 05.08.2014
Il “diritto vivente” in materia di assegno divorzile tra dubbi di legittimità costituzionale ed esigenze di revisione
di Enrico Al Mureden