In occasione di incontri all’estero sul processo civile o sull’arbitrato capita di sentirsi chiedere per quali ragioni il processo italiano sia ridotto in una condizione che non ha uguali negli altri Paesi avanzati, e neppure in quelli presuntivamente in via di sviluppo. Le domande sono sempre le stesse, generiche, di cortesia, non motivate da un vero interesse per la nostra esperienza poco attraente per tutti. Gli studiosi stranieri sono poi regolarmente scoraggiati dai tecnicismi, e dai problemi di trasposizione dell’apparato concettuale. Il che è particolarmente vero quando il dialogo è con giuristi di common law. Si capisce e non sorprende. Colpisce invece la situazione inversa, e precisamente l’assenza di ogni curiosità degli studiosi italiani per le esperienze maturate all’estero. Con qualche eccezione, interessa molto poco specie quello che succede nei Paesi di common law, su cui circolano notiziole di carattere meramente informativo, raccattate e sfoggiate qua e là senza alcun approfondimento.
Editoriali
Arbitrato e processo civile 01.10.2014
Il “trasferimento” in arbitrato: un’inversione di tendenza?
di Vincenzo Vigoriti