di Giovanni Doria
1. Interpretazione e verità della legge.
I sistemi di produzione politica (recte: da parte del potere politico) del diritto, operano, tecnicamente, traducendo il modello normativo prescelto in una formula linguistica contenuta in un testo scritto, dove il modello normativo è assunto come modello incondizionale; e, cioè, come modello da applicare alla variabilità ed alla molteplicità delle situazioni concrete in cui si esprime la storicità della condizione umana. Proprio «qui» – rileva Hans Georg Gadamer – «trova posto il problema dell’ermeneutica giuridica»[1], che, secondo la prospettiva gadameriana, importa la necessaria «mediazione» tra l’“universalità” della legge positiva e la particolarità storica delle situazioni alle quali la legge va applicata[2].
La prospettiva gadameriana realizza, già sul piano dell’ermeneutica filosofica, un netto distacco dall’ermeneutica giuspositivistica. Il processo ermeneutico rappresenta, secondo Gadamer, un momento di sintesi tra la legge ed il fatto, che si realizza e si rinnova storicamente, laddove, invece, la metodologia interpretativa d’impronta tipicamente giuspositivistica, è rivolta, essenzialmente, ad un’opera di sussunzione del fatto al modello normativo della legge[3].
In ambedue le prospettive è, comunque, chiaro che l’esito ermeneutico prescinde dalla verità del risultato dell’interpretazione (e, dunque, dalla verità della norma)[4].
Gadamer assume, infatti, già in sede di morale, l’inesistenza di proposizioni valide in termini assoluti[5], profilando una teoria ermeneutica d’ordine sottilmente storicista[6] che trascura la possibilità di enucleare una verità che trascende l’esito ermeneutico[7]. E la direttrice giuspositivista, riflettendo uno dei postulati dell’etica filosofica moderna (di impronta non cognitivista), assume anch’essa la non predicabilità, sul piano della morale, di una verità oggettiva e, cioè, di criteri (valutativo-)precettivi indipendenti dalle scelte dell’uomo[8]. Ed in questa direzione, dunque, la legge positiva può esaurire (come esaurisce), in sé, la normatività giuridica[9]; sicché l’unico grado di verità cui può aspirare l’interpretazione attiene, semmai, alla conformità dell’enunciato interpretativo a quello legislativo[10].
2. Codice normo-veritativo del fatto ed adeguamento ermeneutico della legge.
La possibilità di assumere un’ulteriore prospettiva, e, cioè, di assegnare all’ermeneutica giuridica il compito di ricondurre la legge al modello normativo del fatto, richiede, di necessità – prescindendo, qui, da questioni e profili propriamente filosofici[11] –, l’affermazione dell’esistenza (trascendente e, per ciò, veritativa) di un codice normativo del fatto, rivolto ad adeguare (appunto in chiave ermeneutica) l’ambito applicativo della legge positiva.
Trattasi di una prospettiva che, sul piano dell’ermeneutica giuridica quale metodo tecnico, non è affatto incompatibile con le altre due diverse prospettive[12].
L’opera di riconduzione della legge al modello normativo del fatto non si pone quale ricostruzione (o semplice riproposizione) di un sistema giusnaturalistico, ma è rivolta ad assegnare all’ermeneutica il compito di adeguare il contenuto precettivo della legge positiva laddove esso non corrisponda, in tutto o in parte, alla struttura ontica del fatto e, per ciò, alla sua dimensione deontica.
In questa linea, la funzione ermeneutica si muove in un contesto di diritto positivo che riconosce come valido, e di cui si cura di eliminare solamente le aporie, senza disconoscere, dunque, che l’interpretazione, sul piano tecnico, è anche, se pur non solo, riconduzione del fatto alla legge (prospettiva giuspositivista) e sintesi storica fatto-norma (prospettiva ermeneutico-ontologica di ispirazione gadameriana).
3. La ritenuta incompatibilità tra pluralismo e verità della legge.
L’inconciliabilità tra le diverse prospettive si pone, in realtà, sul piano delle premesse giusfilosofiche, perché sia in quella giuspositivista, che nella prospettiva ermeneutica-ontologica di matrice gadameirana, si esclude una dimensione morale ed, eo magis, giuridica oggettiva[13]. Nell’altra no.
Non si intende, qui, analizzare le ragioni per le quali l’assunzione di un codice normativo del fatto, e, dunque, l’assunzione di una dimensione etico-giuridica oggettiva sia, in sede filosofico-generale, più corretta o da preferire all’affermata inesistenza di una classe morale oggettiva[14].
Ciò che interessa, in questa sede, è, piuttosto, discutere di una delle ragioni (principali) della ritenuta impossibilità di un approdo ermeneutico veritativo, costituita dall’affermata incompatibilità tra il pluralismo, quale fatto e quale valore, e la dimensione veritativa della legge. Incompatibilità costituente null’altro che uno degli esiti dello svuotamento veritativo della morale compiuto dall’elaborazione dell’etica filosofica moderna e contemporanea[15], che, in chiave politico-giuridica, ha condotto e conduce alla affermazione secondo cui la legge, essendo – nei sistemi democratici – il prodotto di scelte pluralistiche, non può rispecchiare alcun processo di verità sostanziale, ma solamente formale o procedurale[16].
È un percorso, questo, le cui premesse, risalenti alle formulazioni d’impronta hobbesiana, kantiana e kelseniana, si ritrovano sia nella prospettiva etico-politica di ispirazione gadameriana[17], che in quella propria all’approccio giuspositivista di stampo liberaldemocratico[18]. E che, con varie e differenti espressioni, si trovano riflesse nelle opere, specificatamente dedicate al tema dei rapporti tra legge, diritto e verità, di Dennis Patterson[19] e di Raimo Siltala[20], e, da noi, in particolare, negli studi di Anna Pintore[21], di Gustavo Zagrebelsky[22] e di Natalino Irti[23].
4. (Segue): notazioni critiche.
È, tuttavia, possibile dimostrare che l’affermata inconciliabilità tra pluralismo e verità della legge è solo apparente.
Una cosa è rilevare che la scelta plural-procedurale è politicamente vera; altro è sostenere che una verità deontica ed extra-procedurale sia inconciliabile con il pluralismo socio-politico; che, cioè, l’affermazione (in chiave giuridica) di una verità deontica ed extra-procedurale comporterebbe una sorta di “annegamento” del pluralismo democratico, che, invece, occorre garantire come valore[24]. E, per tal via, sostenere che sia precluso ogni approccio ermeneutico rivolto a restituire alla legge la giuridicità (recte: il contenuto giuridico) propria del fatto.
È possibile, in altri termini, dimostrare (se pur brevemente) che l’affermazione secondo cui il pluralismo richiede, in via esclusiva, un sistema di verità solamente formale delle leggi, costituisce una affermazione falsa. E, per tal verso, affermare che, specie in un sistema di genesi formale del diritto, scopo della interpretazione è (anche) quello di ricondurre la legge al modello normativo del fatto, onde assicurare, laddove necessario, e per quanto possibile, che alla legge positiva venga restituito l’ordine della giustizia che è al di là della legge[25].
5. Il processo di “immedesimazione dell’io nell’altro” quale criterio (fondativo e) identificativo della giuridicità del fatto.
Occorre procedere da un assunto obiettivamente condivisibile, pur nella sua estrema semplificazione.
La vita umana è, essenzialmente, vita associata e, quindi, di relazione; ed il diritto esprime una parte delle regole della vita associata degli individui. In tal senso, il diritto ordina le relazioni intersoggettive, fissando la misura necessitata (per l’esistenza stessa di una vita associata) della condotta dell’io rispetto all’altro.
Ciò conduce ad una doppia affermazione, insuscettibile di falsificazione perché fondata sul principio di non-contraddizione.
La giuridicità postula, da un lato, il riconoscimento dell’altro[26], e, al contempo, la sua insopprimibilità (in senso logico, oltre che storico)[27].
Il diritto esiste (e si danno criteri normo-coercitivi di condotta), non (solo) perché esiste un altro, ma laddove e, dunque, perché v’è il riconoscimento dell’altro come l’io. L’assenza di riconoscimento degrada la relazione intersoggettiva a rapporto di strumentalità, che, di per sé, non necessità di regole di diritto[28].
Il riconoscimento dell’altro come l’io postula, a sua volta, che la misura (e dunque le ragioni) del riconoscimento sia obiettivamente identificabile mediante un processo di immedesimazione dell’io nell’altro, idoneo ad enucleare le condizioni minime per l’esistenza stessa di una relazione[29]. Processo che, dall’esterno, permette di considerare obiettivamente pretendibile e, per ciò, obiettivamente giusto, ciò che l’io pretenderebbe dall’altro nei propri confronti[30].
6. (Segue): il nucleo deontico indisponibile della relazione “io-altro”. Il “campo” del diritto privato.
È innegabile che, nella prospettiva appena tracciata, la dimensione della relazione “io-altro” possiede un contenuto oggettivamente intangibile, e, per ciò, un nucleo deontico indisponibile, che occorre accettare ed ammettere in quanto tale, indipendentemente dalla confluenza in specifici enunciati legislativi[31].
È sufficiente considerare, in questa linea, la progressiva emersione e consolidazione di principi etico-giuridici condivisi ed inderogabili, e come tali, tradotti sul piano formale, specie di ambito costituzionale[32]. E l’obiezione, talora formulata, secondo cui una tale visione corrisponderebbe ad una concezione “sciaristica” o, al più, necessitata a cagione degli esiti nefasti dei conflitti politici avutisi nell’Europa occidentale, è, in realtà, storicamente contraddetta dalla affermazione – se pur con graduazioni differenti in ragione delle diversità storico-culturali – dei diritti fondamentali della persona nel diritto islamico e nelle legislazioni dei paesi asiatici[33].
Nel campo del diritto privato, e, cioè, in un settore della giuridicità attinente ad un ordine di rapporti tra soggetti di “pari grado”, è parimenti rinvenibile, con altrettanta immediatezza e semplicità, un contenuto deontico indisponibile. È sufficiente considerare l’obbligo di restituzione gravante su chi abbia ricevuto una cosa in deposito; il dovere del genitore di mantenere il figlio (specie se) minore; il divieto di patto leonino tra i soci di una società; e così via. Così come, è in questa stessa linea che è possibile cogliere interamente il significato dell’ordinanza della Corte costituzionale n. 77 del 2 aprile 2014, nella quale è stato posto in luce il divieto di pattuire, a titolo di caparra confirmatoria, una somma suscettibile di divenire, nel caso di inadempimento, pressoché pari o superiore al corrispettivo contrattuale convenuto[34]. In tutti questi casi, come in moltissimi altri, traspare con assoluta chiarezza una ineludibile dimensione deontica propria del fatto (ed agevolmente riconoscibile secondo retta ragione) – che precede e fonda ogni qualificazione di indisponibilità da parte della legge –, che, in quanto tale, è insuscettibile di verificazione secondo un confronto plurale.
Il dovere di restituzione incombente sul depositario, l’obbligo di mantenimento del figlio da parte del genitore ed il divieto di patto leonino tra soci riflettono, in altri termini, una struttura veritativa dell’essere, tale da non ammettere differenti opzioni gius-normative fondate (in ipotesi) sul dispiegarsi del valore (socio-politico) del pluralismo.
Le esemplificazioni prospettate aiutano a comprendere che il valore del pluralismo e, dunque, un compiuto esercizio di scelte pluraliste, si fondano, in realtà, e necessariamente, su una dimensione veritativa del dover essere giuridico[35]. È di per sé evidente, del resto, che il disconoscimento (totale o parziale) di quella dimensione gius-veritativa, se pur compiuta “in nome” del pluralismo, costituirebbe null’altro che una forma di aberrazione dello stesso pluralismo. In tal senso, è sufficiente considerare solo alcune delle più recenti decisioni dei diversi legislatori nazionali, la cui parabola va dalla imperativa trasformazione del regime della responsabilità del medico – operata dal legislatore italiano con l’art. 3, comma 1, d.l. 13 settembre 2012, n. 158 (conv. in l. 8 novembre 2012, n. 189) –, divenuta, tout court, di natura extracontrattuale nonostante l’obiettiva rilevazione, nella pressoché totalità dei casi, di un accordo tra medico e paziente, per arrivare al divieto di aborto dei gorilla ai fini della ricerca su embrioni e feti introdotto in Spagna con il real decreto dell’1 febbraio 2013, n. 53 nell’ambito di un sistema che, per effetto della ley orgánica del 3 marzo 2010, n. 2, riconosce la libertà di interruzione della gravidanza da parte della donna.
7. La verità normativa del fatto quale presupposto del pluralismo.
L’affermazione (dell’esistenza) di una dimensione veritativa della trama normativa dei fatti (o, se si preferisce, delle relazioni intersoggettive), più che costituire affermazione incompatibile con il (fatto ed il valore del) pluralismo, fonda e legittima, dunque, sul piano socio-politico, ogni scelta pluralista, costituendo, sul versante giuridico, un limite interno ad ogni decisione (politica) pluralista ed un ineludibile percorso ermeneutico della legge positiva.
La difficoltà che avverte l’attuale e comune mentalità di coniugare verità e pluralismo, e, per tal via, di ammettere che la decisione pluralista si fonda su un nucleo veritativo che trascende ogni decisione[36], costituisce null’altro che il riflesso, forse talora inconsapevole, dell’ambiente culturale lasciatoci in eredità dal massimalismo intellettuale proprio del secolarismo laicista, con il suo portato di smarrimento dei presupposti teologico-culturali della vita associata e di affermazione (sempre più massiccia) di forme di conoscenza fondate sul non cognitivismo etico[37].
Tutto questo ha (evidentemente) condotto all’incapacità di riavvertire la necessità di criteri di ricerca del vero nella conoscenza libera e razionale della realtà, e, da ciò, a (la necessità di) sostituire la libertà nell’ambito della verità con la libertà dall’ambito della verità, assumendo, così, il confronto plurale come confronto basato sull’indifferenza verso la verità.
Nella direttrice qui tracciata, emerge, invece, con sufficiente chiarezza, che il pluralismo, piuttosto che fondarsi su una generale ed indifferenziata autonomia di decidere normativamente ciò che l’uomo è e può fare, procede, necessariamente, dal riconoscimento di una dimensione giuridica veritativa dei rapporti intersoggettivi (ritraibile dall’affermazione dell’altro come l’io, oggettivamente identificabile attraverso un processo di immedesimazione dell’io nell’altro)[38], che sola dischiude ed apre ad un libero e retto confronto sulle diverse prospettive nell’ambito del giuridicamente disponibile.
[1] H.G. GADAMER, Gesammelte Werke. 1. Hermeneutik. I. Wahrheit und Methode (2), Tübingen, 323 (sulla scia delle formulazioni aristoteliche rivolte alla costruzione del concetto di epieikeia), nella trad. it. (ed introduzione) di G. VATTIMO, Milano, 1990, 370.
[2] H.G. GADAMER, Gesammelte Werke, cit., 369 (dove il rilievo che ciò «che è giusto, per esempio, non è pienamente determinabile in modo indipendente dalla situazione in cui io devo operare giustamente»).
[3] V. VILLA, Il positivismo giuridico: metodi, teorie e giudizi di valore. Lezioni di filosofia del diritto, Torino, 2004, 29 ss.; si vedano, inoltre, le notazioni già da tempo formulate da R. OGOREK, Richterkönig oder Subsumtionsautomat? Zur Justiztheorie im 19. Jahrhundert, Frankfurt am Main, 1986, 203 ss.
[4] Occorre soltanto precisare che Gadamer non esclude che l’ermeneutica possa pervenire ad un risultato veritativo (cfr., in proposito, G. MURA, La “verità” nella prospettiva ermeneutic4, in V. POSSENTI (a cura di), La questione della verità. Filosofia, scienze, teologia, Roma, 2003, 209 ss., ma attribuisce all’esito veritativo del processo ermeneutico una raffinata connotazione storicistica ed un grado di (necessaria) variabilità (si vedano, al riguardo, le considerazioni di E. BETTI, Die Hermeneutik als allgemeine Methodik der Geisteswissenschaften, Tübingen, 1962, nella trad. it. di O. Nobile VenturaG. CRIFÒ-G. MURA, con introduzione di G. MURA, Roma, 1990, 2, 92).
[5] H.G. GADAMER, Gesammelte Werke, cit., 15.
[6] J. GRONDIN, Gadamers ungewisses Erbe, in G. ABEL (a cura di), Kreativität. XX. Deutscher Kongress für Philosophie. Kolloquiumsbeiträge, Hamburg, 2006, 205 ss.; cfr. anche V. VITIELLO, Filosofia teoretica. Le domande fondamentali: percorsi e interpretazioni, Milano, 1997, 190 ss.; e A.R. LUÑO, La virtù dell’epicheia. Teoria, storia e applicazione. I. Dalla Grecia Classica fino ad F. Suárez, in Acta Philosophica, 1997, 2, 211.
[7] J. GRONDIN, Hermeneutische Wahrheit? Zum Wahrheitsbegriff Hans-Georg Gadamers, Weinheim, 1994, 176 ss.; e H.-H. KÖGLER, Being as Dialogue, or The Ethical Consequences of Interpretation, in J. MALPAS-S. ZABALA (a cura di), Consequences of Hermeneutics: Fifth Years After Gadamer’s Truth and Method, Evanston, 2010, 343 ss. (dove, peraltro, alcuni rilievi sulla possibilità di una lettura storicistica della teorica ermeneutica di Gadamer).
[8] In tal senso, incisivamente, B. CELANO, Giusnaturalismo, positivismo giuridico e pluralismo etico, in Materiali per una storia della cultura giuridica, Bologna, 2005, 1, 161 ss., 175; ID., Pluralismo etico, particolarismo e caratterizzazioni di desiderabilità: il modello triadico, in Ragion Pratica, 26, 2006, 133-149.
[9] F. VIOLA, Ermeneutica filosofica, pluralismo e diritto, in Etica & Politica, 2006, 1, 11.
[10] N. BOBBIO, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Milano, 1965, 106 ss., e, se pur in una diversa prospettiva costruttiva, si veda U. Scarpelli, Cos’è il positivismo giuridico, Milano, 1965, 40 ss., alle cui formulazioni sembra, di recente, aderire, A. GENTILI, Il diritto come discorso, in in G. IUDICA-P. ZATTI (a cura di), Trattato di diritto privato, Milano, 2013, 139 ss. Cfr. ancora – sulla scorta del pensiero di A. TARSCKY, The Semantical Concept of Truth and the Foundations of Semantics, in Philosophy and Phenomenological Research,4, 1944, 341 ss. –, L. FERRAJOLI, La formazione e l’uso dei concetti nella scienza giuridica e nell’applicazione della legge, in Materiali per una storia della cultura giuridica, Bologna, 1985, 2, 401 ss., 422; e ID., Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale,3, Bari, 1996, 6 ss., 19 e 22. Per una analisi d’ordine più generale, si veda P. MORO, L’essenza della legge. Saggio sul Minosse platonico, in F. CAVALLA(a cura di), Temi e problemi di filosofia del diritto. Cultura moderna e interpretazione classica, 1, Padova, 1997, 144 ss.
[11] Sulla legittimazione teoretica di una “ermeneutica veritativa” cfr., da noi, gli importanti studi di G. MURA, Ermeneutica e verità. Storia e problemi della filosofia dell’interpretazione, 2, Roma, 1997, 396 ss.; e di U. GALIMBERTI, Parole nomadi, Milano, 2006, 62 ss.
[12] Si distingue, opportunamente, tra l’ermeneutica quale metodo d’interpretazione e l’ermeneutica quale orientamento filosofico (J. BLEICHER, Contemporary Hermeneutics: Hermeneutics as Method, Philosophy and Critique, London, 1980, 51 ss.), sebbene il significato originario, cioè quello di decifrazione e lettura corretta di un “testo”, rimane sempre presente nella filosofia ermeneutica. Per una distinzione, poi, tra ermeneutica giuridica ed interpretazione della giuridicità cfr. F. PETRILLO, Interpretazione degli atti giuridici e correzione ermeneutica, Torino, 2011, 10 ss.
[13] Relativamente alla prospettiva giuspositivista, cfr. A. ROSS, Validity and the Conflict between Legal Positivism and Natural Law, 1961, trad. it. Il concetto di validità e il conflitto tra positivismo e giusnaturalismo, ora in A. SCHIAVELLO-V. VELLUZZI (a cura di), Il positivismo giuridico contemporaneo. Una antologia, Torino, 2005, 80-95; ma, nell’ambito della stessa prospettiva giuspositivista, v. J. RAZ, Authority, Law and Morality, in J. RAZ, Ethics in the Public Domain. Essays in the Morality of Law and Politics, Oxford, 1994, 210 ss. Con riguardo alla prospettiva gadameriana, cfr., in particolare, R. SONDERREGER, Gadamer Wahrheitsbegriffe, in M. WISCHKE-M. HOFER (a cura di), Gadamer verstehen, Darmstadt, 2003, 248 ss.; ed ancora (se pur con conclusioni che appaiono assai radicali) G. Vattimo, Oltre l’interpretazione. Il significato dell’ermeneutica per la filosofia, Bari, 1994, 48 ss.
[14] In quest’ordine di idee si veda, specificatamente, F. VIOLA, Dalla natura ai diritti. I luoghi dell’etica contemporanea, Bari, 1997, 118 ss.; e, per riflessioni ulteriori, cfr. ID., Oggettività e verità dei valori morali, in C. VIGNA (a cura di), Essere giusti con l’altro, Torino, 2000, 25-28.
[15] A. MUSIO, L’autonomia come indipendenza. L’io legislatore, Milano, 2006, 25 ss., 95 ss., 243 ss.
[16] H. KELSEN, Reine Rechtslehere, 1960, trad. it. di M.G. LOSANO, La dottrina pura del diritto, Torino, 1966, 82 ss.; C.R. SUNSTEIN, Interests Groups in American Public Law, in Stanford Law Review, 1985, 59 ss.; F.I. MICHELMAN, Law’s Republic, in Yale Law Journal, 1988, 1493 ss.; M. ROSENFELD, Just Interpretations. Law between Ethics and Politics, Berkeley-Los Angeles, 1998, 33 ss.; J. WALDRON, The Dignity of legislation, Cambridge, 1999, 78 ss.; da noi cfr., tra i contributi più recenti, C. LUZZATI, Ricominciando dal sorite, in M. MANZIN-P. SOMMAGGIO (a cura di), Interpretazione giuridica e retorica forense: il problema della vaghezza del linguaggio nella ricerca della verità processuale, Milano, 2006, 58 ss.; A. PINTORE, I diritti della democrazia, 4, Roma-Bari, 2007, 16 ss.; M. DOGLIANI, I diritti fondamentali, in M. FIORAVANTI (a cura di), Il valore della costituzione. L’esperienza della democrazia repubblicana, Roma-Bari, 2009, 59 ss.; G. Vattimo, Addio alla verità, Roma, 2009, 18 ss.; G. Zagrebelsky, Buono e vero. Vero e razionale, in V. POSSENTI (a cura di), Il futuro della democrazia, Milano-Udine, 2011, 138 ss.; U. BRECCIA, Diritto. Verità. Giustizia, in Studi in onore di Angelo Luminoso, Milano, 2013, 11 ss., anche in ID., Immagini del diritto privato. I, Teoria generale, fonti, diritti, Torino, 2013, 295 ss., spec. 300 ss.
[17] H.G. GADAMER, Gesammelte Werke, cit., 356 ss.; Id., L’ultimo Dio. Un dialogo filosofico con Riccardo Dottori, Roma, 2002, 101. Si veda anche R.J. BERNSTEIN, Beyond Objectivism and Relativism. Science, Hermeneutics and Praxis, Philadelphia, 1983, XV, 12 ss., 207 ss.; e, per una chiara affermazione, secondo la prospettiva etico-politica gadameriana, dell’ermeneutica filosofica quale filosofia della democrazia e del pluralismo, cfr. I.M. FEHER, Gibt es die Hermeneutik? Zur Selbstreflexion und Aktualität der Hermeneutik Gadamerscher-Prägung, in Internationale Zeitschrift für Philosophie, 2, 1996, 252 ss.
[18] H. KELSEN, Das Problem der Gerechtigkeit, Wien, 1960, trad. it. di M.G. LOSANO, Il problema della giustizia, Torino, 1975, 17 ss.; e, più recentemente, cfr. J. WALDRON, Normative (or Ethical) Positivism, in J. Coleman(a cura di), Hart’s Postscript: Essays on the Postscript to the Concept of Law, Oxford, 2001, 411-433.
[19] D. Patterson, Law & Truth, New York, 1996, 43 ss., 59 ss.
[20] R. SILTALA, Law, Truth, and Reason. A Treatise on Legal Argumentation, Heidelberg-London-New York, 2011, 14 ss., 53 ss., 255 ss.
[21] A. PINTORE, Il diritto senza verità, Torino, 1996, 11 ss.
[22] G. ZAGREBELSCKY, La virtù del dubbio. Intervista su etica e diritto, Roma-Bari, 2007, 101 ss.
[23] N. IRTI, Diritto senza verità,Roma-Bari, 2011, 16 ss.
[24] In proposito, ed in chiave più ampia, cfr. le notazioni di T. TODOROV, Les morales de l’histoire, Paris, 1991, 280 ss.
[25] P. RICOEUR, Le Juste, Paris, 1995, 11 ss.
[26] J. PIEPER, Über die Gerechtigkeit, 4, München, 1965, trad. it. di E. MORSELLI, rivista da G. COLOMBI, La giustizia, Brescia-Milano, 2000, 44.
[27] Per un approccio etico-filosofico, secondo una prospettiva veritativa, al riconoscimento dell’altro, cfr. P. Ricoeur, Parcours de la reconnaissance, Paris, 2004, 84 ss.; per una analisi gius-sociologica si veda lo studio di I. STRAZZERI, Riconoscimento e diritti umani. Grammatica del conflitto nel processo di integrazione europea, Perugia, 2007, 84 ss.
[28] A. GEWIRTH, Reason and Morality, Chicago, 1978, 48 ss., 129 ss.; ed ancora Id., The ontological Basis of Natural Law: A Critique and an Alternative, in American Journal of Jurisprudence, 29, 1984, 95 ss. Si veda anche K.-O. APEL, Das Problem einer philosophischen Theorie der Rationalitätstypen, in H. SCHNÄDELBACH (a cura di), Rationalität. Philosophische Beiträge, Frankfurt am Main, 1984, 15 ss.
[29] F. Viola, Lo statuto giuridico della persona in prospettiva storica, in G. PANSINI (a cura di), Studi in memoria di Italo Mancini,Napoli, 1999, 621 ss. Si veda, in senso più generale, lo studio fondamentale di P. RICOEUR, Soi-même comme les autres, Paris, 1990, 344 ss.; nonché, per una prospettiva ulteriore, cfr. il contributo di V. MELCHIORRE, Persona ed etica, in V. MELCHIORRE (a cura di), L’idea di persona,Milano, 1996, 149 ss.
[30] È possible, allora, comprendere perché una delle più lucide elaborazioni giuspositivistiche (H.L.A. HART, The concept of Law, 3, Oxford, 2012, 185 ss.; e ID., Law, Liberty and Morality, Oxford, 1963, 53 ss.), metta in evidenza come il processo di produzione delle leggi, in quanto orientato all’ordine delle relazioni sociali, tende, prevalentemente, a fissare “contesti regolatori” o criteri normativi tali da garantire una aspettativa di consenso da parte dei destinatari.
[31] H. JOAS, The Sacredness of the Person. A New Genealogy of Human Rights, Washington, 2013, 13 ss.
[32] E.-W. BÖCKENFÖRDE, Grundrechte als Grundsatznormen. Zur gegenwärtigen Lage der Grundrechtsdogmatik, in Der Staat, 1990, 24 ss., successivamente anche in Staat, Verfassung, Demokratie: Studien zur Verfassungstheorie und zum Verfassungsrecht, Frankfurt am Main, 1991, 191 ss.; v. anche D. GRIMM, Autonomia e libertà. Riflessioni sulla tutela dei diritti fondamentali e la “commercializzazione”, in Nomos, 2001, 9 ss.; da noi, di recente, cfr. M. BARBERIS, Stato costituzionale, Modena, 2012, 61 ss.; ed ancora B. Pastore, Pluralismo, fiducia, solidarietà. Questioni di filosofia del diritto, Roma, 2009, 36 ss.; e D. MARCONI, Per la verità. Relativismo e filosofia, Torino, 2007, 108 ss. Per alcune considerazioni orientate, in chiave generale, al diritto privato, si veda U. BRECCIA, Cosa è “giusto” nella prospettiva del diritto privato, in Interrogativi sul diritto “giusto”, Pisa, 2001, 93 ss., ora anche in ID., Immagini del diritto privato, cit., 285 ss.
[33] Al riguardo, per alcune (ma) fondamentali riflessioni storico-filosofiche, cfr. H. JOAS, The Sacredness of the Person,cit., 184 ss.; per specifici riferimenti “tecnici”, si veda, invece, tra gli studi più recenti, A. PISANÒ, I diritti umani come fenomeno cosmopolita. Internazionalizzazione, regionalizzazione, specificazione, Milano, 2011, 110 ss.
[34] Corte cost. 2 aprile 2014, n. 77, in GU 1a Serie Speciale - Corte Cost. 9 aprile 2014, n. 16; la medesima vicenda era già stata risolta in senso analogo nella precedente ordinanza n. 248 del 21 ottobre 2013 (in GU 1a Serie Speciale - n. 16 del 2014, cit.)
[35] E così, per rimanere nell’ambito delle esemplificazioni operate nel testo, potrà costituire oggetto di una decisione pluralista la misura ed il tempo della restituzione della cosa data in deposito, o, ancora, il contenuto e le modalità di assolvimento dell’obbligo di mantenimento gravante sui genitori in favore del figlio, e così via. Ma è immediatamente evidente che l’esercizio di ogni scelta pluralistica si fonda, necessariamente, su una dimensione deontologica del fatto, e, dunque, sulla obiettiva ed indeclinabile esistenza di un dovere di restituire, di un dovere di mantenere, e così via.
[36] G. KALINOWSKI, Le problème de la vérité en morale et en droit, Lyon, 1967, 205 ss.; e, più di recente, cfr. J. FINNIS, The Truth in Legal Positivism, in R.P. GEORGE (a cura di), The Autonomy of Law: Essays on Legal Positivism, Oxford, 1996, 195-214. Si vedano, inoltre, gli studi di P. BARCELLONA, Diritto senza società. Dal disincanto all’indifferenza, Bari, 2003, 95 ss.; e, ancor prima, ID., Il declino dello Stato. Riflessioni di fine secolo sulla crisi del progetto moderno, Bari, 1998, 34 ss.
[37] Si vedano, anche in chiave storico-ricostruttiva (delle idee), l’importante studio di C.J. FIEDRICH, Transcendent Justice. The Religious Dimension of Constitutionalism, Durham, 1964, 21 ss., 45 ss.; ed ancora, la profonda analisi di C. LEFORT, Democracy and Political Theory, Minneapolis, 1988, 150 ss. Da noi, cfr., in particolare, il lavoro di F. CAVALLA, La verità dimenticata. Attualità dei presocratici dopo la secolarizzazione, Padova, 1996, 159 ss. Ed ancora, per alcune notazioni di straordinario interesse, si veda (anche) il volume di G. AGAMBEN, Stato di eccezione, Torino, 2003, 46 ss., 89 ss.
[38] P. HÄBERLE, Wahrheitsprobleme im Verfassungsstaat, Baden Baden, 1995, 98 ss.; cfr., inoltre, le considerazioni svolte da F. D’AGOSTINO, Filosofia del diritto, Torino, 2000, 148 ss.; e, in una prospettiva ulteriore, da L. BAGOLINI, Il fondamento etico e metafisico del diritto, in Riv. int. fil. dir., 1997, 125 ss.